Guardie Informate = Guardie Giurate :: Forum
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Mon, 10 Aug 2020 23:07:58 +0200
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Vigilante invalido civile assegnato a servizi notturni, no al risarcimento [da independent]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=26154&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Vigilante invalido civile assegnato a servizi notturni, no al risarcimento<br />
Respinto il ricorso di un vigilante che chiedeva il risarcimento dei danni per la illegittima protratta assegnazione a mansioni incompatibili con la sua condizione<br /><br />Con l’ordinanza n. 9084/2020 la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso presentato da un vigilante che aveva agito in giudizio nei confronti della società datrice per ottenere l’esonero dalla prestazione dei servizi notturni nonché il risarcimento dei danni per la illegittima protratta assegnazione a mansioni incompatibili con la sua condizione di invalido civile.<br />Le pretese dell’attore erano state respinte dalla Corte territoriale, la quale aveva osservato come il datore di lavoro non fosse a conoscenza dello stato di invalidità, posto che non era dato desumere dal contratto che l’assunzione del dipendente fosse avvenuta a seguito di collocamento obbligatorio, mancando anche l’atto di avviamento al lavoro e anzi riportandosi nella lettera di assunzione dichiarazioni del lavoratore di segno contrario.<br />In ogni caso, per il Giudice di secondo grado, la documentazione concernente lo stato di invalidità, anche ove disponibile per il datore al momento dell’assunzione, non conteneva alcuna prescrizione relativa alla impossibilità di assegnazione del lavoratore a determinate mansioni.<br />Quest’ultimo, del resto, per molto tempo aveva regolarmente adempiuto le prestazioni che gli venivano richieste e solo diversi anni dopo l’assunzione aveva fatto istanza non di essere esonerato dalle mansioni di vigilante ma solo dai turni di servizio da espletare in ore notturne.<br />Nell’impugnare la sentenza di appello, il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, l’omessa valutazione di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, costituito dalla sussistenza dello stato di disabilità al momento dell’assunzione e dalla sua immediata evidenza.<br />Per la Suprema Corte, si tratta tuttavia di una argomentazione inammissibile. Il fatto che il ricorrente assumeva omesso, in realtà, era stato preso esplicitamente in considerazione in sentenza, là dove la Corte di merito aveva stabilito che lo stato di invalidità non era noto alla datrice di lavoro al momento dell’assunzione e che, inoltre, esso non era riconoscibile ictu oculi. Da li il rigetto del ricorso con riferimento al motivo di doglianza preso in esame.<br /><br />La redazione giuridica<br /><br /><a href="https://responsabilecivile.it/vigilante-invalido-civile-assegnato-a-servizi-notturni-no-al-risarcimento/" title="https://responsabilecivile.it/vigilante-invalido-civile-assegnato-a-servizi-notturni-no-al-risarcimento/" rel="external">https://responsabilecivile.it/vigilant ... turni-no-al-risarcimento/</a>
Tue, 26 May 2020 12:01:38 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=26154&forum=22
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Indagine penale e sospensione della nomina a guardia particolare giurata [da independent]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=25781&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Indagine penale e sospensione della nomina a guardia particolare giurata<br />
Per il Tar Lombardia, i fatti relativi a un procedimento penale devono essere autonomamente apprezzati dal Prefetto<br /><br />Avv. Francesco Pandolfi - In tema di sospensione della nomina a guardia particolare giurata e del porto d'armi per difesa personale, con irrogazione del divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi, la presenza di un'indagine penale nella sua fase embrionale non fa scattare per forza un automatismo valutativo negativo del Prefetto il quale, dunque, prima di arrivare ad emettere il proprio decreto di sospensione deve separatamente ed autonomamente dare la propria valutazione di quei fatti, appunto attinenti al procedimento penale sottostante ed appena iniziato.<br />1. Valutazione amministrativa<br />2. Accoglimento del ricorso<br />3. Il succo della pronuncia<br />4. In pratica<br />Valutazione amministrativa<br />Tutto questo per giungere ad un eventuale giudizio, ad esempio negativo, circa l'esistenza in capo alla persona interessata dei requisiti di affidabilità e buona condotta: se non lo fa, il provvedimento amministrativo potrà essere sottoposto a ricorso avanti il Tar competente.<br />Accoglimento del ricorso<br /><br />Si tratta di una materia abbastanza delicata, ultimamente sviscerata dalla Prima Sezione del Tar Lombardia, con la sentenza n. 27/2020 pubblicata il 07.01.2020; una pronuncia di accoglimento della domanda proposta dal titolare della licenza di porto d'armi per difesa personale a tariffa ridotta quale guardia particolare giurata, dipendente di un Istituto di vigilanza con contratto di lavoro a tempo indeterminato.<br /><br />Il succo della pronuncia<br />In sintesi: in presenza di indagini penali a carico di una guardia giurata, l'Autorità prefettizia non può limitarsi a richiamare il fatto storico dell'esistenza di queste indagini e del titolo di reato astrattamente ipotizzato (nel caso esaminato dal Tar Lombardia si era trattato dell'ipotesi ex art. 609 bis e ter c.p.) essendo, al contrario, chiamata a rendere conto della reale incidenza delle condotte asseritamente poste in essere dalla persona e del loro grado di effettivo disvalore rispetto ai requisiti di affidabilità, che condizionano la possibilità di svolgere l'attività di guardia giurata. <br /><br />In pratica<br />L'Amministrazione deve svolgere una rigorosa istruttoria e spiegare bene le ragioni che la inducono a ritenere che questa persona non sia in possesso dei necessari requisiti. Proprio considerando la specifica natura dell'attività di cui si parla.<br /><br />Come sopra accennato, il ricorso è stato accolto con annullamento del provvedimento impugnato.<br /><br />Fonte: <a href="https://www.studiocataldi.it/articoli/37064-indagine-penale-e-sospensione-della-nomina-a-guardia-particolare-giurata.asp" title="https://www.studiocataldi.it/articoli/37064-indagine-penale-e-sospensione-della-nomina-a-guardia-particolare-giurata.asp" rel="external">https://www.studiocataldi.it/articoli/ ... a-particolare-giurata.asp</a>
Mon, 10 Feb 2020 07:46:36 +0100
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=25781&forum=22
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Oggetto: Sentenza CCNL Vigilanza 2013 [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=25500&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Oggetto: Sentenza CCNL Vigilanza 2013<br />
00198 Roma – Via Nizza, 128 – Tel.06.84242284 – 84242205 – Fax 06.84242292<br /><a href="http://www.uiltucs.it/" title="http://www.uiltucs.it/" rel="external">http://www.uiltucs.it/</a> - E-mail:[email protected] – Pec: <a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a><br />UNIONE ITALIANA LAVORATORI TURISMO COMMERCIO E SERVIZI<br />S e g r e t e r i a N a z i o n a l e ADERENTE<br />Roma, 29 agosto 2019<br />Prot. 313/19<br />Alle UILTuCS Regionali<br />e Territoriali interessate<br />Loro sedi<br />Oggetto: Sentenza CCNL Vigilanza 2013<br />Si trasmette una sentenza di fondamentale importanza per il settore Vigilanza<br />Privata, relativamente al comparto “personale non decretato”.<br />Dopo un lungo iter dibattimentale, il Tribunale di Torino si è espresso sulla<br />retribuzione stabilita nel CCNL 2013 che è stata giudicata inadeguata rispetto al parametro<br />costituzionale posto dall’art. 36 (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla<br />quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia<br />un'esistenza libera e dignitosa”).<br />La sentenza compie una approfondita e dettagliata disamina, partendo dalla<br />comparazione salariale e normativa con altri CCNL applicati nel comparto; inoltre, dopo aver<br />audìto esponenti datoriali e sindacali, evidenzia persino l’insussistenza e la contraddittorietà<br />delle motivazioni “politiche” che sono state addotte dai soggetti firmatari a fondamento della<br />scelta in favore di questo CCNL.<br />Il pronunciamento (secondo, dopo Tribunale Milano – primo per dettaglio di<br />motivazione) dà ragione alla scelta della nostra Organizzazione di non sottoscrivere il CCNL 2013.<br />Giunge in un momento delicato della vertenza per il nuovo CCNL e sicuramente condizionerà la<br />discussione.<br />Anche per queste ragioni, oltre ad invitare a dare massima diffusione alla sentenza,<br />riteniamo indispensabile confermare la riunione del 17 settembre alle ore 11,00, onde compiere<br />valutazioni sul negoziato e coordinare le iniziative sul piano vertenziale.<br />Cordiali saluti.<br />Il Segretario Nazionale<br />(Stefano Franzoni)<br />Il Segretario Generale<br />(Brunetto Boco)<br />All./1-
Thu, 29 Aug 2019 17:19:47 +0200
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Re: obblighi della sorveglianza speciale..cioè? [da michelebru]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=3834&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: obblighi della sorveglianza speciale..cioè?<br />
Chiedo scusa, vorrei fare una domanda in materia di obblighi di sorveglianza speciale ed i motori di ricerca mi hanno indirizzato a questo forum.<br /><br />Ho letto la seguente consulenza:<br /><br /><a href="https://www.avvocatogratis.it/ottobre-2013/841-misura-di-prevenzione-della-sorveglianza-speciale-di-pubblica-sicurezza.html#.XWeOC3vOPIV" rel="external" title="">sorveglianza speciale</a><br /><br /><br />in questo sito<br /><br /><a href="https://www.avvocatogratis.it" rel="external" title="">avvocato online</a><br /><br /><br />E' possibile che tra gli obblighi connessi alla sorveglianza speciale ci sia quello di non vendere cespiti immobiliari del patrimonio di colui che è assoggettato a sorveglianza speciale ?<br /><br />E se colui che è sottoposto a sorveglianza speciale dovesse vendere il proprio immobile per far fronte a situazione di insolvenza economica ?<br /><br />Grazie a tutti coloro che vorranno aiutarmi a capire qualcosa in più in materia di obblighi di sorveglianza speciale.<br /><br />Saluti
Thu, 29 Aug 2019 14:20:31 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=3834&forum=22
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Cassazione: risarcimento del danno per le ore di lavoro eccessive [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=25411&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: risarcimento del danno per le ore di lavoro eccessive<br />
Cassazione: risarcimento del danno per le ore di lavoro eccessive<br /> <br /> <br /><br />Lo svolgimento del lavoro in violazione dei limiti di orario e di riposo settimanale, se sconfina nell'abnormità fa scattare il risarcimento dei danni psicofisici patiti dal dipendente <br /><br /><br /><br /><br /><br />Avv. Francesco Pandolfi - Svolgere il proprio lavoro alle dipendenze di un'azienda, per un numero di ore che oltrepassa di molto quelle contrattualmente previste, determina l'insorgenza di un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore del lavoratore che le ha effettivamente prestate, anche se in qualche modo egli abbia acconsentito allo straordinario. <br />Il fatto<br />Il danno da usura psico-fisica<br />In pratica<br />Il fatto<br /><br /><br /><br />Si tratta di un principio che è stato coniato dalla Sezione Lavoro della Cassazione con l'ordinanza n. 12540 del 10 maggio 2019 (sotto allegata), con riferimento specifico al dipendente di una Spa addetto alla vigilanza.<br /><br /><br /><br />La vicenda, che in causa ha in seguito portato all'elaborazione del criterio, è stata quella del dipendente il quale, pur avendo lavorato per alcuni anni per un monte ore molto al di sopra di quelle pattuite con il CCNL Istituti di Vigilanza Privata, non aveva percepito l'esatta retribuzione, nè recuperato il riposo settimanale.<br />Il danno da usura psico-fisica<br /><br />Il succo dell'elaborazione giurisprudenziale è, dunque, il seguente.<br /><br />Il lavoro che supera di gran lunga i limiti di legge e del contratto collettivo, protraendosi per anni, provoca un danno da usura psico-fisica distinto da quello biologico, addirittura presunto nell'an siccome è lesione del diritto garantito dall'art. 36 Cost.<br /><br />Dunque, nel caso in cui il lavoratore chieda egli stesso di effettuare ulteriori ore di straordinario non previste contrattualmente, tale manifestazione di volontà non va ad incidere sulla produzione del danno, in quanto sussiste in ogni caso un generale obbligo del datore di tutelare l'integrità psicofisica e la personalità morale del lavoratore (art. 2087 c.c.).<br /><br /><br /><br /><br /><br />Il principio scolpito dalla Sezione Lavoro richiama il vincolo normativo dato dall'art. 2087 codice civile, in ordine alla tutela delle condizioni di lavoro.<br />L'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.<br />La sostanza di tutto questo è che tale danno è risarcibile.<br /><a href="https://www.studiocataldi.it/articoli/34682-cassazione-risarcimento-del-danno-per-le-ore-di-lavoro-eccessive.asp" title="https://www.studiocataldi.it/articoli/34682-cassazione-risarcimento-del-danno-per-le-ore-di-lavoro-eccessive.asp" rel="external">https://www.studiocataldi.it/articoli/ ... e-di-lavoro-eccessive.asp</a>
Tue, 21 May 2019 19:14:42 +0200
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Guardia giurata spara accidentalmente al ladro durante la colluttazione: è omicidio preterintenziona [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=25363&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Guardia giurata spara accidentalmente al ladro durante la colluttazione: è omicidio preterintenziona<br />
Cassazione penale, sez. V, sentenza 04/02/2019 n° 5515<br /><br />Nell’omicidio preterintenzionale, l’evento morte deve costituire il prodotto della specifica situazione di pericolo generata dal reo con la condotta intenzionale volta a ledere o percuotere una persona, con la conseguenza che se la morte della vittima è del tutto estranea all’area di rischio attivato con la condotta iniziale, intenzionalmente diretta a percuotere o provocare lesioni, ed è, invece, conseguenza di un comportamento successivo, l’evento mortale non può essere imputato a titolo preterintenzionale, ma deve essere punito a titolo di colpa, in quanto effetto di una serie causale diversa da quella avente origine dall’evento di percosse o lesioni dolose.<br /><br />E’ quanto emerge dalla sentenza 4 febbraio 2019, n. 5515 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.<br /><br /> Vai alla Sentenza<br />Nello specifico, il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte prende spunto dalla condanna inflitta dalla Corte di Assise di Appello di Napoli del 19/12/2017 nei confronti di una guardia giurata per il reato di omicidio preterintenzionale, in quanto a seguito di una colluttazione con un soggetto sorpreso ad aggirarsi nel luogo ove egli fungeva da vigilante, lo colpiva con la propria pistola in dotazione al capo per percuoterlo ed invece ne esplodeva un colpo, cagionandone la morte.<br /><br />Ricorreva in Cassazione la difesa della guardia giurata deducendo il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 584 c.p.<br /><br />Nello specifico, la difesa sosteneva che già la dizione letterale del dettato normativo dell’art. 584 c.p. si presterebbe ad identificare come antecedenti causali della morte condotte diverse dalle percosse e dalle lesioni a condizione che siano ad esse strettamente connesse, celandosi dietro tale dizione una ipotesi di responsabilità oggettiva. Conseguentemente, sarebbe stata più idonea al caso de quo l’interpretazione che circoscrive l’ambito applicativo del reato di cui all’art. 584 c.p. al riscontro di un nesso di derivazione diretta della morte dalle percosse o dalle lesioni, venendo altrimenti in rilievo una ipotesi di omicidio colposo in cui l’evento morte è da addebitarsi al soggetto agente per averlo determinato a causa di un comportamento negligente, imprudente o imperito.<br /><br />Ed è per proprio per questo motivo che secondo la difesa dell’imputato la qualificazione giuridica esatta del fatto avrebbe dovuto coincidere con il reato di omicidio colposo, essendo sopraggiunta la morte non per i colpi inferti col calcio della pistola in dotazione, ma a causa del colpo accidentalmente esploso in violazione delle regole cautelari da osservare per espletare i propri compiti di vigilanza in sicurezza.<br /><br /><br />Gli ermellini respingevano il ricorso dando preliminarmente atto del fatto che la Corte territoriale avesse fatto buon governo delle regulae iuris secondo le quali ai fini dell'integrazione dell'omicidio preterintenzionale è necessario che l'autore dell'aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o a ledere taluno e che esista un rapporto di causa ed effetto tra gli atti predetti e l'evento letale, senza necessità che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall'agente (Sez. 5, n. 41017 del 12/07/2012, S. e altri, Rv. 253744; Sez. 1, n. 1008 del 03/10/1986 - dep. 30/01/1987, Smorgon e altri, Rv. 174956).<br /><br />Invero, il reato ex art. 584 c.p. è compiutamente descritto attraverso la presenza di elementi distintivi sia per quel che concerne la qualificazione dell’elemento soggettivo, sia rispetto l’elemento oggettivo, avendo il Legislatore inteso presidiare con una sanzione specifica e particolarmente severa quelle fattispecie aggravate dall'evento morte che si caratterizzino per la commissione di atti di diretta aggressione all'integrità fisica del soggetto passivo: vale a dire per la commissione di condotte che, per loro intrinseca natura, esprimono più di ogni altra il pericolo che vengano innescati processi causali in grado di degenerare nell'uccisione di colui che le subisce (Sez. 5, n. 35015 del 03/05/2016, Baciu, Rv. 267549).<br /><br />Conseguentemente, nell’omicidio preterintenzionale l’evento morte deve costituire il prodotto di una specifica situazione di pericolo generata dal reo (la volontà di ledere o percuotere una persona), con la conseguenza che se la morte della vittima è del tutto estranea all'area di rischio attivato con la condotta iniziale, intenzionalmente diretta a percuotere o provocare lesioni, ed è, invece, conseguenza di un comportamento successivo, l'evento mortale non può essere imputato a titolo preterintenzionale, ma deve essere punito a titolo di colpa, in quanto effetto di una serie causale diversa da quella avente origine dall'evento di percosse o lesioni dolose (Sez. 5, n. 3946 del 03/12/2002 - dep. 28/01/2003, Belquacem, Rv. 224903).<br /><br />Alla luce di tutto ciò, la Suprema Corte rilevava quindi la correttezza della sussunzione del fatto oggetto di gravame nello schema del delitto di omicidio preterintenzionale.<br /><br />Invero, l’evento morte si è verificato a causa del colpo accidentalmente partito dall’arma da fuoco in dotazione alla guardia giurata che la aveva estratta dalla fondina ed adoperata per percuotere la testa della soggetto sorpreso ad aggirarsi nel luogo ove fungeva da vigilante, nella consapevolezza che l’arma fosse carica.<br /><br />Non può quindi sostenersi che l'evento letale si sia verificato per una serie causale diversa da quella avente origine dall'evento percosse e che, quindi, sia del tutto estraneo all'area di rischio attivato con la condotta di percosse inflitte nell'ambito della colluttazione.<br /><br />La Suprema Corte quindi rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.<br /><a href="https://www.altalex.com/documents/news/2019/02/27/guardia-giurata-spara-accidentalmente-al-ladro-durante-colluttazione-e-omicidio-preterintenzionale" title="https://www.altalex.com/documents/news/2019/02/27/guardia-giurata-spara-accidentalmente-al-ladro-durante-colluttazione-e-omicidio-preterintenzionale" rel="external">https://www.altalex.com/documents/news ... icidio-preterintenzionale</a>
Sat, 6 Apr 2019 12:51:35 +0200
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Antiterrorismo e gpg.. [da GunGun74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=25268&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Antiterrorismo e gpg..<br />
Ciao a tutti, per prima cosa mi presento dicendo che sono una G.p.G. e lavoro con un istituto di vigilanza romano.<br />Volevo sapere gentilmente pareri, e se qualcuno piu' esperto possa riscontrare irregolarita' riscontrabili/contestabili legalmente riguardo al servizio che svolgo.<br /><br />Premessa, il servizio mi e' stato presentato come “antiterrorismo” presso un ente privato italiano molto importante, ed io selezionato per le mie caratteristiche professionali insieme ad altri 2 colleghi.<br />- Il servizio si svolge con 2 G.P.G. impegnate contemporaneamente nelle ore 12 diurne, dal lunedi' al sabato con G.A.P. indossato, esterno al perimetro dell’ente, e si divide tra servizio di presidio in piedi davanti ai varchi, e ronda appiedata di circa 1km intorno al perimetro, sempre esternamente.<br />- Le dotazioni forniteci sono una radio, un kway (senza loghi del mio istituto) ed il sopracitato G.A.P. (non nominale, quindi a fine turno lo passiamo in consegna al collega montante).<br />- Non sono previste pause, tantomeno per mangiare.<br />- I servizi poiche' di 12 ore, sono stati suddivisi dal nostro istituto in 2 turni di 6h ed uno di 12h, ovvero ogni giorno una G.P.G. DEVE lavorare 12h e gli altri due 6h poiche' non abbiamo altro personale adeguato, andando a consumare ogni giorno 1h di permesso spettante. Per ovviare a questo problema di consumo delle ore di permesso, il nostro istituto si e' appellato ad un vecchio contratto integrativo territoriale che prevede il sistema di turnazione 6 + 1 con 16,92 ore di permesso mensile, variandoci, senza avercelo comunicato, il nostro sistema di turnazione contrattuale firmato 5 + 1. (Non so se sia collegato perche' di fatto non ho trovato nulla che riguardi la remunerazione del 6 + 1 su contratto territoriale, ma lo stipendio e' notevolmente inferiore).<br />- I responsabili della sicurezza della committenza, hanno richiesto esplicitamente ai superiori del nostro istituto di vietarci, in caso di condizioni climatiche avverse e pioggia, il riparo interno (almeno nelle ore di maggiore afflusso/deflusso), minacciando di provvedere loro stessi a sanzionare chi di noi chi non rispetti tale richiesta, poiche' a detta loro, noi dobbiamo svolgere un servizio paragonabile a quello di “contractor”.<br />- Concludo con l’ultimo aspetto economico, ovvero che pur indossando il G.A.P. che se non sbaglio, da T.U.L.P.S., deve essere giustificato adeguatamente dal tipo di servizio svolto, non riceviamo indennita' di antiterrorismo o antirapina (unico escamotage che potrebbe regolamentare l’oggetto indossato).<br /><br /><br />Se qualcuno di voi puo' aiutare ed indirizzare verso chi possa tutelarci, ne sarei infinitamente grato.
Wed, 23 Jan 2019 22:50:27 +0100
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Guardia giurata e pistola per difesa: quando si può annullare la sospensione del decreto di nomina [da Nightwolf ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24842&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Guardia giurata e pistola per difesa: quando si può annullare la sospensione del decreto di nomina<br />
Le cose da sapere sui casi in cui è possibile disarticolare la sospensione del decreto e del porto d'armi<br /><br />Avv. Francesco Pandolfi -- Questore e Prefetto, al verificarsi di determinate circostanze ritenute pregiudizievoli, possono decidere di rendere la vita difficile alla guardia particolare giurata.<br />La guardia particolare giurata<br />In generale, secondo la Legge questa figura (abbreviando: g.p.g.) deve possedere il requisito della buona condotta e deve trattarsi di persona affidabile anzi, particolarmente affidabile sullo svolgimento della propria attività a tutela di beni e persone rispetto a possibili azioni delittuose.<br />Diciamo di più: a loro è richiesta una condotta irreprensibile e assolutamente immune da critiche o censure.<br /><br />Il decreto di nomina a g.p.g.: elementi a favore<br />Per il rilascio di questo particolare decreto è sempre necessaria una buona condotta, tanto sull'attitudine quanto sull'affidabilità dell'aspirante ad esercitare le funzioni connesse all'autorizzazione di polizia.<br />L'emissione del decreto di nomina presuppone quindi uno screening approfondito sul complessivo stile di vita della persona, il tutto con il preciso scopo di accertare la già richiamata buona condotta in funzione del tipo di autorizzazione o abilitazione da rilasciare.<br />L'esito positivo di questo complessivo esame favorisce pertanto l'emissione del decreto.<br />Il decreto di nomina g.p.g.: elementi non favorevoli<br />Eventuali valutazioni negative sul possesso del requisito basilare della buona condotta devono provenire da fatti:<br />1) gravi,<br />2) ripetuti nel tempo,<br />3) idonei a coinvolgere l'intera vita familiare,<br />4) idonei a coinvolgere la vita sociale e di relazione dell'interessato,<br />in modo tale che riescano ad incidere sulla moralità e sull'assenza di critiche quali requisiti per poter aspirare al rilascio della licenza di polizia.<br /><br />Il ruolo dell'Autorità di Pubblica Sicurezza<br />Fatte queste premesse, diciamo pure che l'Organo amministrativo chiamato per legge a valutare il requisito della buona condotta svolge una funzione parecchio delicata.<br />Per svolgerla, l'Autorità è dotata di vasta discrezionalità, che però non è estesa al punto da essere indefinita ma è pur sempre soggetta a limiti, quali quelli della razionalità e della coerenza dei provvedimenti che sceglie di adottare.<br />La sospensione dei titoli e della licenza di porto di pistola<br />Poniamo il caso che l'Autorità disponga la sospensione per 90 giorni dei titoli di approvazione della nomina di g.p.g., oltre che della licenza di porto di pistola (oltre alla sospensione del decreto di nomina e della licenza per l'armamento per il residuo periodo di validità ed altro ancora).<br />Si tratta di circostanze tutt'altro che infrequenti in questo specifico settore: una di queste si è verificata proprio nel 2017 per un caso che è stato successivamente trattato e deciso dalla Terza Sezione del Tar Puglia con la sentenza n. 413/2018.<br />Una pronuncia favorevole per il ricorrente.<br />Il caso pratico<br />La persona interessata, in servizio presso un cimitero con un collega scatta una foto, poi condivisa su un gruppo whatsapp, che lo ritrae accanto ad alcuni feretri scoperti e pronti per l'inumazione.<br />Inutile dire che l'episodio è una grave violazione delle norme di regolamento di servizio dell'istituto e, stando al parere dell'Autorità, reca pure un forte disvalore sociale nonché un abuso della qualifica meritevoli di sanzione ulteriore rispetto a quella già adottata dal predetto istituto presso cui presta servizio il soggetto.<br />Un bel problema, non c'è che dire.<br />Cose che non può fare l'Autorità<br />Da quanto esposto sembrerebbe proprio che l'amministrazione sia depositaria di un potere pressoché illimitato, ma non è proprio così.<br /><br />In effetti, quando il destinatario del provvedimento sanzionatorio è una guardia particolare giurata l'Autorità deve tenere conto che l'eventuale revoca dei titoli abilitativi può incidere pesantemente sulla capacità lavorativa della persona interessata e, quindi, sulla produzione di reddito utile al sostentamento suo e della sua famiglia.<br />Ecco perchè nei casi come quello citato, certamente riprovevole ma non impossibile da superare e risolvere con un pò di buona volontà e buon senso, il provvedimento deve essere sorretto da una motivazione più che rigorosa.<br />In pratica l'amministrazione:<br />a) non può trascurare l'esame dei precedenti comportamenti del richiedente, al fine di capire se si tratta di personalità che non offre garanzia di corretto uso dell'arma, oppure se il fatto accertato è semplicemente un episodio, magari sgradevole, ma che rimane pur sempre un unico episodio;<br />b) non può mettere in atto contromisure punitive e/o sanzionatorie per un fatto del genere, in quanto sarebbero del tutto illegittime siccome non previste dalla normativa di settore.<br />Cosa fare in pratica<br />Trovandosi in una situazione del genere, controllare se i provvedimenti della Questura e Prefettura appaiono sproporzionati rispetto al fatto specifico che sta a monte.<br />Se questo controllo mette in mostra una visibile sproporzione decisionale, non esitare a proporre ricorso.<br />Altre informazioni su questo argomento?<br />Contatta l'Avv. Francesco Pandolfi<br />3286090590<br /><a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a><br /><br /><a href="https://www.studiocataldi.it/articoli/30132-guardia-giurata-e-pistola-per-difesa-quando-si-puo-annullare-la-sospensione-del-decreto-di-nomina.asp" title="https://www.studiocataldi.it/articoli/30132-guardia-giurata-e-pistola-per-difesa-quando-si-puo-annullare-la-sospensione-del-decreto-di-nomina.asp" rel="external">https://www.studiocataldi.it/articoli/ ... del-decreto-di-nomina.asp</a>
Tue, 24 Apr 2018 19:32:44 +0200
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Congedo papà 2018: 4 giorni obbligatori + 1 [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Congedo papà 2018: 4 giorni obbligatori + 1<br />
Congedo papà 2018: 4 giorni obbligatori + 1 <br /> <br />Il congedo papà è stato introdotto inizialmente nella riforma del lavoro Fornero. Nel corso del tempo è cambiata più volte e per il 2018 sono concessi 4 giorni obbligatori + 1 facoltativo (in alternativa alla madre) per ogni nascita o adozione/affidamento dal 1° gennaio 2018.<br /><br /><br /> Di Francesca Zucconi<br />Introdotto inizialmente dalla Riforma del Lavoro Fornero il congedo papà, tecnicamente congedo di paternità obbligatorio e facoltativo, ha subito nel corso di questi pochi anni numerose modifiche.<br /><br />Inizialmente inserito nel nostro ordinamento come misura sperimentale per il triennio 2013-2015, è stato poi prorogato per l’anno 2016 dalla Legge di Stabilità 2016 e successivamente prorogato anche per gli anni 2017 e 2018.<br /><br />Congedo papà 2018 per nascita, adozione o affidamento del bambino<br /><br />Il congedo papà 2018 interessa:<br />◾i padri naturali;<br />◾adottivi;<br />◾affidatari.<br /><br />Per gli eventi di nascita o adozione / affidamento verificatesi dopo il 1° gennaio 2018 e con regole differenti a seconda che si tratti di congedo obbligatorio o facoltativo.<br /><br />Congedo paternità obbligatorio di 4 giorni<br /><br />Il congedo obbligatorio è, infatti, un diritto autonomo del padre. Lo stesso può quindi fruire dei giorni a lui spettanti indipendentemente dalla fruizione del congedo obbligatorio della madre. Può di conseguenza assentarsi dal lavoro entro i 5 mesi dalla nascita / affidatamento / adozione, per un totale di 4 giorni, anche non continuativi.<br /><br />È questa la principale novità introdotta nel 2018, dato che fino all’anno precedente i giorni di cui poteva usufruire erano solamente due.<br /><br />Non è prevista alcuna sanzione per il padre che non intende usufruire di questi giorni di congedo e lo stesso vale per l’azienda. A differenza della disciplina legata al congedo di maternità che prevede una sanzione penale per la mancata astensione obbligatoria della madre.<br /><br />Congedo paternità facoltativo di 1 giorno.<br /><br />La legge di Bilancio 2018 reintroduce la facoltà di astenersi per un periodo ulteriore, questa possibilità inizialmente pari a 2 giorni è stata ridotta ad una sola giornata per il 2018, da utilizzare sempre entro i 5 mesi dalla nascita nonché ingresso del figlio in famiglia.<br /><br />Al contrario del congedo obbligatorio che costituisce un diritto indipendente dalla madre, l’utilizzo del giorno facoltativo è subordinato alla rinuncia espressa di un giorno di congedo della madre.<br /><br />Congedo papà, quanto spetta<br /><br />A livello retributivo il trattamento economico è pari al 100% della retribuzione, a carico dell’INPS. Il congedo papà è anticipato dal datore di lavoro che a sua volta recupererà questo anticipo conguagliandolo in DM10.<br /><br />Per i padri interessati a questi congedi devono presentare al datore di lavoro un’istanza al proprio datore di lavoro con un preavviso di almeno 15 giorni. L’unico documento aggiuntivo che deve essere presentato è la rinuncia della madre nel caso di congedo facoltativo.<br /><br />La doverosa precisazione da fare è che questa novità vale per gli eventi di nascita ed equiparati, intervenuti dal 1 gennaio 2018. La conseguenza è che per tutti gli eventi avvenuti nel 2017 i cui congedi sono fruibili anche in quest’anno si applicano le regole precedenti. Cioè i padri possono godere solo di due giorni di congedo obbligatorio.<br /><a href="https://www.lavoroediritti.com/leggi-e-prassi/congedo-papa-2018-4-giorni-obbligatori-1" title="https://www.lavoroediritti.com/leggi-e-prassi/congedo-papa-2018-4-giorni-obbligatori-1" rel="external">https://www.lavoroediritti.com/leggi-e ... 18-4-giorni-obbligatori-1</a>
Mon, 2 Apr 2018 23:42:37 +0200
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Lo studio dell' Avvocato Sposito Ignazio a disposizione delle guardie giurate [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Lo studio dell' Avvocato Sposito Ignazio a disposizione delle guardie giurate<br />
per tutti i colleghi che necessitano consulenza legale ,amministrativa,civile,busta paga o altro possono inviare le loro richieste allo studio dell'avvocato Sposito che potra indicargli eventuali soluzioni<br /><br /><br /><a href="http://www.studiosposito.it" title="http://www.studiosposito.it" rel="external">http://www.studiosposito.it</a> <br /><br />L'avvocato Ignazio Sposito con studio in Brusciano (Na) si occupa prevalentemente di diritto civile, diritto del lavoro, diritto amministrativo e diritto tributario.<br /><br />L'avvocato Sposito é in grado di operare direttamente nella circoscrizione di Nola ma può fornire assistenza presso tutte le altre sedi giudiziarie delle Corti di Appello di Napoli e Salerno.<br /> <br />studio <br /><br />Fornisce assistenza anche presso le sedi del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania di Napoli e Salerno, nonchè su tutto il territorio nazionale avvalendosi della collaborazione di studi legali qualificati.<br /><br />É disponibile per domiciliazioni nell'ambito della provincia di Napoli.<br /> <br /> <br /><br /><br /><br /> <br /><br />L'avvocato Ignazio Sposito con studio in Brusciano (Na) si occupa prevalentemente di diritto civile, diritto del lavoro, diritto amministrativo e diritto tributario.<br /><br />L'avvocato Sposito é in grado di operare direttamente nella circoscrizione di Nola ma può fornire assistenza presso tutte le altre sedi giudiziarie delle Corti di Appello di Napoli e Salerno.<br /> <br />studio <br /><br />Fornisce assistenza anche presso le sedi del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania di Napoli e Salerno, nonchè su tutto il territorio nazionale avvalendosi della collaborazione di studi legali qualificati.<br /><br />É disponibile per domiciliazioni nell'ambito della provincia di Napoli.<br /> <br /> Le principali aree d'intervento, trattate nell'ambito sia del contenzioso civile sia dell'attività stragiudiziale, sono:<br /><br />•DIRITTO CIVILE<br /><br />◦contratti<br />◦diritto di famiglia<br />◦mediazioni familiari, separazioni e divorzi<br />◦diritto delle successioni e donazioni<br />◦patti di famiglia e passaggi generazionali<br />◦diritto immobiliare<br />◦contenzioso diritto civile<br />◦contenzioso nazionale<br />◦risoluzione stragiudiziale di controversie di diritto interno<br />◦Responsabilità per danno da vacanza rovinata<br />◦Responsabilità medica<br />◦Responsabilità da circolazione stradale<br /><br /><br />•DIRITTO DEL LAVORO<br /><br />◦Licenziamenti individuali: impugnazione<br />◦Sanzioni disciplinari: impugnazione<br />◦Mobbing: azione di risarcimento danni<br />◦Lavoro a progetto<br /><br /><br />•DIRITTO AMMINISTRATIVO<br /><br />◦diritto dei lavori pubblici<br />◦diritto urbanistico<br />◦arbitrati<br />◦diritto ambientale<br /><br /><br />•RECUPERO CREDITI<br /><br />◦Recupero del credito mediante procedimento d'ingiunzione<br />◦Procedura esecutiva: esecuzione forzata<br />◦Assistenza nella fase stragiudiziale e nella eventuale fase conciliativa<br /><br /><br />•DIRITTO TRIBUTARIO<br /><br />◦contenzioso fiscale<br /><br /><br /><br /><br /> <br /><br />Studio Legale Sposito<br /> via Camillo Cucca 295, 80031 - Brusciano (NA)<br /> e-mail: <a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a><br /> CF. SPSGNZ79E12G812G - P.Iva 06189341214<br /> Copyright 2012 OmniaChip®
Tue, 20 Mar 2018 18:36:38 +0100
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Telecamere nascoste per controllo dipendenti: le riprese sono valide? [da Nightwolf ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24680&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Telecamere nascoste per controllo dipendenti: le riprese sono valide?<br />
Pubblicato il 10 gennaio 2018<br />Hanno valore di prova e possono essere usate in una eventuale causa le registrazioni della videosorveglianza nascosta e non concordata coi sindacati?<br /><br />Nella tua azienda sono state piazzate delle telecamere per evitare che qualcuno possa rubare la merce e le attrezzature. In realtà, gli obiettivi finiscono per inquadrare anche i dipendenti che maneggiano il denaro. Tanto – dice il datore di lavoro – anche per dissuadere gli stessi lavoratori dalla tentazione di appropriarsi di qualcosa che non è loro. Le telecamere sono regolamentari perché l’installazione è stata comunicata alla direzione del lavoro e gli apparecchi sono stati opportunamente segnalati. Tutti, quindi, ne sono a conoscenza. Senonché hai scoperto che, oltre alla videosorveglianza “visibile”, vi sono altre telecamere nascoste, piazzate in modo che nessuno possa accorgersene, in modo che, laddove il dipendente non si senta controllato, possa essere colto in fallo, magari nell’atto di commettere un furto. A quel punto ti chiedi che valore possono avere delle registrazioni non regolamentari e se i filmati possono essere usati per un eventuale licenziamento. Il problema non è solo tuo visto che alcuni tuoi colleghi sono stati colti mentre si appropriavano di una parte dell’incasso della giornata. Insomma, in caso di telecamere nascoste per il controllo dei dipendenti, le riprese sono valide? La risposta è stata fornita ieri dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo [1]. Ecco cosa ha detto la Cedu in un caso che ha visto coinvolta la Spagna, ma il principio di diritto è valido e operante anche nel nostro Stato benché lo Statuto dei lavoratori detta divieti e limiti ben precisi alla videosorveglianza sui luoghi di lavoro.<br /><br /><br /> <br />In generale l’impiego delle telecamere sul posto di lavoro è vietato salvo quando serve per tutelare i beni aziendali (come anche il denaro in cassa) e prevenire il pericolo di furti o altri reati ai danni dell’impresa [3]. In tali ipotesi – del tutto eccezionali – l’installazione deve essere concordata con i sindacati e va comunque comunicata ai dipendenti i quali devono quindi essere a conoscenza delle telecamere attive e operanti, nonché delle modalità di raccolta, trattamento, conservazione e uso dei dati personali, ecc. Inoltre va rispettata la loro privacy (non possono essere installate telecamere nelle aree di socializzazione dei dipendenti: mensa, bagni, spogliatoio, aree di svago ecc.).<br /><br />Ciò vare anche se lo scopo delle telecamere è accertare l’identità dei lavoratori sospettati di furto. Anche in tali casi, infatti, il datore di lavoro ha il dovere di rispettare le norme sulla tutela dei dati personali e di avvertire e fornire ai dipendenti le informazioni generiche sulla videosorveglianza per non violarne l’altrui riservatezza.<br /><br /><br />Deve, poi, essere una misura proporzionata a questo scopo (tutela dei beni aziendali e degli interessi del datore) e temporanea.<br /><br />Detto ciò, vediamo che valore hanno le registrazioni e se queste possono essere utilizzate per licenziare i dipendenti ed, eventualmente, contrastarne una eventuale opposizione. Secondo la Corte di Strasburgo, le riprese raccolte attraverso le telecamere nascoste possono essere utilizzate in un processo relativo al licenziamento se non sono l’unica prova a carico dei dipendenti. Quindi, se agli atti del procedimento contro i lavoratori accusati di furto o di altri reati vi sono ulteriori indizi e dimostrazioni di colpevolezza, le registrazioni della videosorveglianza non regolamentare, perché nascosta, possono essere utilizzate nel processo. Per la Corte, infatti, per accertare un’eventuale violazione dell’equo processo relativo al licenziamento, svoltosi utilizzando prove assunte in contrasto con la Carta dei diritti dell’uomo, è necessario considerare tutte le circostanze del caso, inclusa l’importanza delle prove in questione e il carattere decisivo o meno dei video. Se i filmati non costituiscono l’unica prova sulla quale si basa la decisione dei giudici interni che considerano il licenziamento legittimo, ma il procedimento interno ha al centro anche prove testimoniali e altri elementi, il processo deve essere considerato equo.<br /><br />In definitiva è legittimo il licenziamento del dipendente che sia stato colto in flagrante da una telecamera nascosta sul luogo del lavoro, la cui installazione non era stata concordata coi sindacati, con la direzione del lavoro e non comunicata ai dipendenti stessi. E ciò a condizione solo che vi siano altre prove a suo danno come, ad esempio, la testimonianza di un collega, di un vigilante o anche di un cliente.<br /><br /><a href="https://www.laleggepertutti.it/190741_telecamere-nascoste-per-controllo-dipendenti-le-riprese-sono-valide" title="https://www.laleggepertutti.it/190741_telecamere-nascoste-per-controllo-dipendenti-le-riprese-sono-valide" rel="external">https://www.laleggepertutti.it/190741_ ... ti-le-riprese-sono-valide</a>
Thu, 11 Jan 2018 18:38:06 +0100
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-cassazione-si-al-licenziamento-del-lavoratore-che-non-co [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24607&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: -cassazione-si-al-licenziamento-del-lavoratore-che-non-co<br />
<a href="https://www.studiocataldi.it/articoli/28123-cassazione-si-al-licenziamento-del-lavoratore-che-non-comunica-l-assenza-per-malattia.asp" title="https://www.studiocataldi.it/articoli/28123-cassazione-si-al-licenziamento-del-lavoratore-che-non-comunica-l-assenza-per-malattia.asp" rel="external">https://www.studiocataldi.it/articoli/ ... -assenza-per-malattia.asp</a>
Mon, 13 Nov 2017 19:36:16 +0100
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24607&forum=22
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Pistola sotto il materasso: la custodia è corretta [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24361&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Pistola sotto il materasso: la custodia è corretta<br />
Pistola sotto il materasso: la custodia è corretta<br /><br />2 maggio 2017 <br /><br /><br />Per la Cassazione, la custodia dell’arma senza caricatore né colpo, anche senza particolari misure di sicurezza in casa è corretta.<br /><br />Avv. Francesco Pandolfi – La Corte di Cassazione penale rimedia ad una “svista” del giudice di merito: l’interessato è infatti condannato dal Tribunale in quanto ritenuto responsabile per non aver custodito con la dovuta diligenza (nell’interesse della sicurezza pubblica, all’interno della propria abitazione) la pistola, il caricatore e cinquanta cartucce, il tutto legalmente detenuto.<br /><br />Il ragionamento del Tribunale sulla custodia dell’arma<br /><br />In pratica il pensiero e la decisione del primo giudice sono questi, sul presupposto che la persona vive da sola e custodisce:<br />1.a) la pistola sotto il materasso del proprio letto;<br />2.b) le 50 cartucce all’interno di un cassetto del mobile posto in una veranda;<br />3.c) il caricatore dell’arma dentro una cassapanca in muratura, posizionata vicino il camino di una sala.<br /><br />Ebbene sulla scorta di questi elementi il Tribunale ritiene che le modalità di custodia sono state tali da integrare la contravvenzione ex art. 20 commi 1, 2 L. 110/75 in quanto, all’interno dell’abitazione, possono accedere persone anche senza risiedervi e queste possono facilmente essere esposte al pericolo di un facile rintraccio dell’arma e, allo stesso tempo, al rischio che della stessa qualcuno possa farne un uso improprio.<br /><br />Se questo è l’esito nella causa di prime cure, in Cassazione la vicenda viene ampiamente e favorevolmente rivista.<br /><br />Intanto il diretto interessato (solo in casa) mette bene in evidenza che le due parti dell’arma (corpo della pistola e caricatore) e le munizioni sono da lui custodite in tre luoghi diversi della propria abitazione, ubicata fuori dal centro abitato e assicurata da cancelli di protezione blindati.<br /><br />Un dato questo cruciale, al quale egli ricollega l’inesistenza del reato, poiché ha adottato tutte le cautele possibili ed esigibili da una persona di normale prudenza.<br /><br />Per la Cassazione, la custodia dell’arma è corretta<br /><br />Il ragionamento della Cassazione (cfr. Cass. n. 13570/2017, qui sotto allegata) è semplice, lineare e, come preannunciato, in sintonia con l’interessato.<br /><br />In astratto, il dato di partenza è questo: nel nostro ordinamento l’obbligo di custodia, nel caso in cui la persona non eserciti professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi, può dirsi adempiuto nel momento in cui sono state adottate tutte le cautele (proporzionate al pericolo che la norma vuole scongiurare) che possono esigersi da una persona di normale prudenza.<br /><br />In concreto: nel caso esaminato l’imputato ha indubbiamente realizzato tutte queste cautele ed ha posto una particolare cura ed attenzione alle componenti dell’arma; la Corte non trascura neppure di considerare che egli vive solo in una casa che risulta non frequentata da minori.<br /><br />In pratica La sentenza impugnata ha messo in evidenza la cattiva interpretazione della legge da parte del Tribunale: va quindi annullata senza rinvio perché il fatto contestato all’imputato non sussiste. Quando i presupposti sono questi, non esitare a proporre ricorso.<br /><br />Avv. Francesco Pandolfi<br /><br /><br />Cassazione, sentenza n. 13570/2017<br /><br />Fonte: <a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a><br /><a href="http://www.uglguardiegiurate.net/pistola-sotto-il-materasso-la-custodia-e-corretta/" title="http://www.uglguardiegiurate.net/pistola-sotto-il-materasso-la-custodia-e-corretta/" rel="external">http://www.uglguardiegiurate.net/pist ... o-la-custodia-e-corretta/</a>
Sun, 25 Jun 2017 19:42:15 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24361&forum=22
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Re: Perquisire la cliente al centro commerciale è reato [da vigilante8]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24171&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Perquisire la cliente al centro commerciale è reato<br />
Non evidenzia una grande novita' questa sentenza...una gpg informata dovrebbe ben sapere che non puo' effettuare perquisizioni...il collega sta pagando cara la sua impreparazione.
Mon, 20 Mar 2017 16:38:50 +0100
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24171&forum=22
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Guardia giurata pagata troppo poco, Ivri condannata [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=24045&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Guardia giurata pagata troppo poco, Ivri condannata<br />
E’ una sentenza importante per le guardie particolari giurate, quella pronunciata pochi giorni fa dalla Corte d’Appello di Firenze che, ribaltando il primo grado condanna un istituto di vigilanza molto noto, la Ivri, a inquadrare un lavoratore al terzo livello per le mansioni svolte. Lavoratore che era stato impiegato in prevalenza con funzioni di Operatore Unico di Centrale Operativa e inquadrato però a livelli molto bassi. <br /><br /><br />Con la conseguente differenza di stipendio. Ma, mentre in primo grado la guardia giurata, assistita dall’Ufficio assistenza contrattuale Uil Vigilanza armata (Uiltucs) anche tramite l’avvocato Corti, aveva visto respingere il ricorso, i giudici d’Appello hanno preso in considerazione il principio della ‘prevalenza’ con la quale esercitava quel ruolo di maggior responsabilità, anche con autonomia decisionale, e hanno accolto la domanda di ricalcolare le differenze salariali da 9 anni a questa parte. E’ un successo non da poco, quello portato a casa ancora una volta dalla Uiltucs Toscana.<br />Una sentenza che segna un precedente che le gpg con stipendi più bassi rispetto ai loro impieghi effettivi, o svolti per la maggior parte delle ore, possono percorrere per far valere i propri diritti. “Dopo anni si è fatta chiarezza – commenta Armando Melandri, responsabile Uiltucs per l’Area di Pisa – sulla questione del riconoscimento del livello e dell’inquadramento contrattuale. <br />È necessario infatti che alle responsabilità date al lavoratore corrispondano le giuste e adeguate remunerazioni. Non si può pretendere che venga ricoperto un ruolo importante pagandolo miseramente. Per questo invito tutte le Gpg a rivolgersi agli uffici della Uiltucs Toscana per le opportune verifiche. Possono fare chiarezza sulla loro situazione e potremmo valutare se è possibile percorrere questa strada e ricorrere per chiedere un inquadramento diverso”.<br />Fonte: Ufficio Stampa<br /><br /><a href="http://www.gonews.it/2017/01/30/guardia-giurata-pagata-poco-ivri-condannata/" title="http://www.gonews.it/2017/01/30/guardia-giurata-pagata-poco-ivri-condannata/" rel="external">http://www.gonews.it/2017/01/30/guard ... ata-poco-ivri-condannata/</a>
Mon, 30 Jan 2017 17:12:26 +0100
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Revoca porto d'armi difesa personale: le condotte da evitare per non subirla [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Revoca porto d'armi difesa personale: le condotte da evitare per non subirla<br />
Revoca porto d'armi difesa personale: le condotte da evitare per non subirla<br />Nota di commento alla sentenza del Tar Brescia n. 5 del 3 gennaio 2017<br /><br />Avv. Francesco Pandolfi – La Prefettura revoca la licenza di porto d'armi per difesa personale rilasciata all'interessato per svolgere le mansioni di guardia particolare giurata.<br />Non solo.<br />Gli viene fatto divieto di continuare a detenere qualsiasi arma, munizione o materia esplodente; inoltre gli viene ingiunto di venderle o cederle a persona non convivente entro 150 giorni dalla notifica del provvedimento.<br />Indubbiamente una posizione problematica, rispetto alla quale egli propone ricorso al Tar. <br /><br /><br /><br />Ma, lo abbiamo ripetuto tante volte, prevenire è meglio che curare ed è per questo che il primo immediato suggerimento, in base all'osservazione di questo caso, è quello di proporre ricorso quando si hanno probabilità non scarse di successo (ovviamente calcolabili con l'aiuto del proprio avvocato). <br />L'utilità della sentenza<br />Sotto un altro profilo, la pronuncia è utile nel suo contenuto perché consente di ricavare, ragionando a contrario, le regole di base per evitare di essere destinatari di un provvedimento amministrativo di questo tipo.<br />Si perché il convincimento negativo dell'amministrazione si consolida nel momento in cui viene percepita la condotta che tende all'abuso della licenza di polizia.<br />E' questo, e solo questo, che bisogna prevenire e/o accuratamente evitare: che l'amministrazione si convinca dell'inaffidabilità.<br />Il caso<br />Accade che la persona interessata litiga con la sua convivente: ne scaturisce uno scontro a seguito del quale i protagonisti riportano lesioni.<br />Il ricorrente, dal canto suo, dichiara di aver profferito solo offese verbali, di aver contattato il 113 e sostiene che la compagna si sarebbe procurato le lesioni da sola. La donna riferisce una versione discordante.<br /><br /><br /><br />L'uomo fa leva sulla sua posizione di incensurato, conferma che si è trattato di un episodio isolato, insiste sul fatto che manca una vera istruttoria dell'amministrazione per far si che il porto d'armi possa essere ragionevolmente tolto.<br />Cosa non fare<br />Il Tar la pensa però diversamente. Dall'iter della causa possiamo pertanto ricavare i seguenti criteri orientativi, utili in casi analoghi per prevenire la revoca della licenza:<br />1) non perdere il proprio autocontrollo, <br />2) evitare discussioni accese, dove è imminente o prevedibile uno scontro,<br />3) gestire con diligenza la custodia dell'arma, sia rispetto al luogo dove essa si trova sia per le sue condizioni (nel caso in osservazione era montata e con il caricatore inserito): in buona sostanza porre in essere tutte quelle misure per consentire il proprio esclusivo utilizzo dell'arma, evitando accuratamente che l'arma possa essere presa ed usata da terzi,<br />4) nel caso specifico poi della "guardia giurata", avere a maggior ragione una particolare cura della propria "affidabilità", proprio in relazione all'attività che si svolge (caratterizzata dall'uso dell'arma).<br /><br />Altre informazioni su questo argomento?<br />Contatta l'avv. Francesco Pandolfi<br />utenza mobile 3286090590<br />mail: <a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a> <br /><br />Francesco Pandolfi | Avvocato<br /><br />E-mail: <a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a> - Tel: 328.6090590<br /><br />Recapiti: Via Giacomo Matteotti 147, 4015 Priverno LT<br /><br />Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed è autore di numerose pubblicazioni in materia.<br /><br />Altre informazioni su questo argomento? Richiedi una consulenza all'Avv. Pandolfi<br /><br /><br />Fonte: Revoca porto d'armi difesa personale: le condotte da evitare per non subirla <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><br /><a href="http://www.studiocataldi.it/articoli/24706-revoca-porto-d-armi-difesa-personale-le-condotte-da-evitare-per-non-subirla.asp" title="http://www.studiocataldi.it/articoli/24706-revoca-porto-d-armi-difesa-personale-le-condotte-da-evitare-per-non-subirla.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/articoli/ ... itare-per-non-subirla.asp</a>
Fri, 13 Jan 2017 17:46:33 +0100
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Licenziato perché rifiuta i documenti per il trasferimento [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziato perché rifiuta i documenti per il trasferimento<br />
Pubblicato il 24/11/2016<br />Ultima modifica il 24/11/2016 alle ore 10:00<br /><br /><br /><br /><br />Trasferimento programmato dall’azienda. Il dipendente non si oppone, ma prende tempo, non fornendo i documenti necessari, nonostante una specifica richiesta. Questo comportamento gli costa carissimo, facendogli perdere il posto di lavoro.<br /><br />Procedimento. Chiara la contestazione mossa dalla società, operativa nel settore della security. Essa ha deciso, per ragioni aziendali, il «trasferimento» del dipendente, inquadrato come guardia giurata, dal Lazio alla Toscana. Ma il lavoratore non ha mai risposto alla «richiesta di produrre i documenti necessari alla predisposizione delle pratiche» per la sua collocazione nella nuova sede.<br />L’atteggiamento ostruzionistico del lavoratore è stato valutato dai vertici aziendali come sufficiente per dare il ‘la’ a un «procedimento disciplinare» poi concluso con il provvedimento più drastico, il «licenziamento». Questa decisione è ritenuta corretta dai giudici che, prima in Tribunale e poi in appello, respingono le obiezioni mosse dal legale della guardia giurata.<br /><br />Correttezza. A chiudere la battaglia legale provvedono ora i magistrati della Cassazione (sentenza n. 23656/16, depositata il 21 novembre). E l’ultima puntata della vicenda è sfavorevole ancora una volta al lavoratore, che deve dire addio al suo impiego come guardia giurata.<br />Decisivo il peso riconosciuto al comportamento tenuto dall’oramai ex dipendente della società. Egli ha «reiteratamente e volontariamente ignorato una disposizione aziendale, specificamente consistente nella produzione della documentazione richiesta dal datore di lavoro», e questo silenzio rappresenta, secondo i giudici, una grave violazione dei «principi di correttezza e buonafede». Sarebbe stato più logico, e di sicuro non punibile, contestare il «trasferimento».<br />Così facendo, scegliendo cioè la strada dell’ostruzionismo, il lavoratore si è reso colpevole di una grave violazione, punibile legittimamente, concludono i giudici, col licenziamento.<br /><br />Fonte: <a href="http://www.dirittoegiustizia.it" title="www.dirittoegiustizia.it" rel="external">www.dirittoegiustizia.it</a> <br /><br /><a href="http://www.lastampa.it/2016/11/24/italia/i-tuoi-diritti/licenziato-perch-rifiuta-i-documenti-per-il-trasferimento-PRgCDg7l8Z7YYbDGz0OWGL/pagina.html" title="http://www.lastampa.it/2016/11/24/italia/i-tuoi-diritti/licenziato-perch-rifiuta-i-documenti-per-il-trasferimento-PRgCDg7l8Z7YYbDGz0OWGL/pagina.html" rel="external">http://www.lastampa.it/2016/11/24/ita ... Z7YYbDGz0OWGL/pagina.html</a>
Thu, 24 Nov 2016 14:44:36 +0100
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Re: Armi diverse [da Gargoyle]
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LEGGI E SENTENZE:: Armi diverse<br />
Certo, l'idea è questa. Ormai la memoria muscolare è quella, poi ho fatto abitudine a quella tipologia.<br />Basta sapere che sia legittimo intercambiare fra le 3 comuni consentite in base alla tipologia di servizio
Mon, 14 Nov 2016 21:51:51 +0100
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Re: Cassazione, il datore di lavoro non può controllare i dipendenti con il Gps [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione, il datore di lavoro non può controllare i dipendenti con il Gps<br />
Licenziamento - Cassazione Lavoro: il datore di lavoro non può controllare a distanza i propri dipendenti mediante GPS<br />26 ottobre 2016 - Francesca Russo <br /><br />La Corte di Cassazione, con recente sentenza, ha negato al datore di lavoro la possibilità di controllare a distanza i propri dipendenti mediante l’apparecchiatura GPS, se tale meccanismo generalizzato di controllo è stato predisposto ben prima dell’emergere dei sospetti su una eventuale violazione da parte del lavoratore.<br />Nel caso in esame, un’azienda di sorveglianza privata, attraverso le rilevazioni del sistema GPS presente sulla vettura del dipendente, era venuta a conoscenza che il lavoratore, in qualità di vigilante, non aveva effettuato tutte le ispezioni che aveva registrato nel rapporto di servizio, licenziando, così, il dipendente.<br />La Corte d’appello di Venezia aveva accolto l’opposizione del lavoratore, diretta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giusta causa per insussistenza dei fatti, oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro e delle retribuzioni non percepite.<br />L’azienda ha presentato ricorso avverso la decisione della Corte d’Appello, respinto dai Giudici di legittimità per i motivi di seguito esposti.<br />Innanzitutto, ha affermato la Suprema Corte, il sistema di controllo mediante l’apparecchiatura GPS istallato sulle vetture in uso ai dipendenti dell’azienda è stato predisposto ex ante ed in via generale ben prima che si potessero avere sospetti su una eventuale violazione da parte del lavoratore. Tale sistema era stato autorizzato dai sindacati per ragioni di sicurezza in quanto richiesto dalla Questura di Rovigo presumibilmente anche nell’interesse dell’incolumità dei lavoratori, escludendo che lo stesso potesse essere utilizzato per controllare la loro attività lavorativa.<br />Inoltre, la Corte ha affermato il principio secondo il quale: “l’effettività del divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori richiede che anche per i cosiddetti controlli difensivi trovino applicazione le garanzie della Legge n. 300 del 1970, articolo 4, comma 2; ne consegue che, se per l’esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro può installare impianti o apparecchi di controllo che rilevino anche dati relativi alla attività lavorativa dei dipendenti, tali dati non possono essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale del lavoratori medesimi”.<br />La Corte ha ritenuto che il controllo mediante il sistema GPS sulle autovetture della società permetteva un controllo a distanza dell’ordinaria prestazione lavorativa, non la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro.<br />Pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale, assorbito l’incidentale, condannando il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.<br />(Corte di Cassazione - Quarta Sezione Lavoro, Sentenza 5 ottobre 2016, n. 19922)<br /><br /><a href="http://www.filodiritto.com/news/2016/licenziamento-cassazione-lavoro-il-datore-di-lavoro-non-puo-controllare-a-distanza-i-propri-dipendenti-mediante-gps.html" title="http://www.filodiritto.com/news/2016/licenziamento-cassazione-lavoro-il-datore-di-lavoro-non-puo-controllare-a-distanza-i-propri-dipendenti-mediante-gps.html" rel="external">http://www.filodiritto.com/news/2016/ ... endenti-mediante-gps.html</a>
Thu, 27 Oct 2016 00:03:58 +0200
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Guardie giurate e porto di manganello: è legittimo (?) [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Guardie giurate e porto di manganello: è legittimo (?) <br />
Per la Cassazione l’impegno lavorativo escluderebbe il reato <br /><br />Con sentenza del 7 settembre 2016, n. 37181, la Corte di Cassazione, sez. I Penale, ha affermato la legittimità del porto di un manganello estensibile in metallo lungo 65 cm. da parte di una guardia giurata, essendo l’arma in questione “corredo” della divisa d’ordinanza fornita dalla società di servizi di sicurezza privata di cui la stessa era dipendente.<br /><br />In primo grado, al contrario, il Tribunale aveva condannato la guardia giurata per il porto del manganello (nello specifico, la guardia, che indossava l’uniforme di servizio, era stata fermata a bordo di un motociclo per un controllo di routine), trattandosi di un’arma che, per le circostanze di tempo e di luogo, era da considerarsi utilizzabile per l’offesa alla persona.<br /><br />In base all’art. 4, comma 1, della legge n. 110 del 18 aprile 1975, infatti, tra le armi di cui è vietato il porto - salvo le autorizzazioni concesse, ai sensi dell’art. 42 del TULPS, dal Prefetto e dal Questore - fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, in quanto oggetto atto ad offendere, rientra anche il manganello, o sfollagente.<br /><br />Tuttavia, in sede di ricorso in Cassazione, i giudici hanno accolto la tesi difensiva, secondo la quale il porto del manganello era giustificato in quanto fornito al ricorrente dalla società di vigilanza privata di cui era dipendente, società della quale, al momento del controllo, lo stesso indossava l'uniforme tipica del personale che si occupa di sicurezza negli esercizi commerciali, con il manganello agganciato al cinturone.<br /><br />Tali circostanze hanno indotto la Corte ad annullare la sentenza di primo grado, ritenendo l’impegno lavorativo addotto dall’imputato come giustificazione al porto del manganello - e la circostanza che lo stesso indossasse l’uniforme di servizio - sufficienti ad escludere l’illiceità del fatto, che pertanto non costituiva reato.<br /><br />Attenzione! Ci teniamo a precisare che, aldilà di quanto espresso nella sentenza della Corte di Cassazione, il manganello è a tutti gli effetti un’arma propria e, in quanto tale, il porto ne è assolutamente vietato, salvo espresse autorizzazioni. A proposito di autorizzazioni, vogliamo in ogni caso sottolineare come non sia assolutamente prassi per i Prefetti concederle in relazione a tali strumenti: basti pensare che neppure ai vigili urbani è permesso utilizzare il manganello.<br /><br />Si ricorda infine che il manganello è considerato uno strumento a supporto dell’esercizio di funzioni ordine pubblico: funzioni che, come è ben noto, le guardie giurate non possono esercitare.<br /><br /> <br /><br />A.G.<br /><a href="http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=109" title="http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=109" rel="external">http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=109</a>
Wed, 21 Sep 2016 16:27:22 +0200
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Guardia giurata licenziata per mancanze plurime: la Cassazione ne stabilisce la legittimità [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Guardia giurata licenziata per mancanze plurime: la Cassazione ne stabilisce la legittimità<br />
Licenziamento per mancanze plurime: la Cassazione ne stabilisce la legittimità <br /><br />30 Agosto 2016 - 16:50<br /> icon person <br />Anna Maria D’Andrea <br /> <br />Con la sentenza 16217 del 3 agosto la Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità del licenziamento per più mancanze minori. Ecco cosa cambia per i dipendenti.<br /><br />La sentenza 16217 della Corte di Cassazione del 3 agosto ha stabilito la legittimità del licenziamento di un dipendente per più mancanze plurime. Chiamata a deliberare sulla controversia tra un dipendente e il suo datore di lavoro, i giudici della suprema Corte hanno emesso sentenza a favore del procedimento disciplinare a carico del dipendente per più mancanze minori<br /><br /><br />Cosa è successo e cosa cambia per i lavoratori dipendenti?<br /><br />Licenziamento per più mancanze minori: il caso<br /><br />Oggetto della controversia è il licenziamento di un vigilante, accusato di essersi assentato durante l’orario notturno di lavoro la sera in cui l’azienda subiva un furto. L’azienda ha contestato e sanzionato con il licenziamento il dipendente per la cattiva condotta assunta durante il turno di vigilanza nella notte in cui è avvenuto il furto. <br /> Motivazioni del licenziamento sono state più mancanze minori: non aver effettuato l’attività di vigilanza ad intervalli nelle diverse postazioni, l’accusa di aver manomesso il sistema di sorveglianza della propria postazione e non aver effettuato l’appropriata l’attività di controllo.<br /><br />Utilizzando le disposizioni del Ccnl, le quali prevedono in caso di grave negligenza e di assenza ingiustificata dal lavoro la sospensione conservativa dal servizio e dalla retribuzione, il vigilante si è rivolto al giudice di primo grado e alla Corte d’Appello per deliberare sull’illegittimità del procedimento sanzionatorio a suo carico, chiedendo quindi l’applicazione di una misura sanzionatoria proporzionata alla mancanza lavorativa.<br /><br />Sia in primo grado che in Appello, i giudici hanno però confermato la legittimità del licenziamento, portando come motivazione i filmati delle telecamere di sorveglianza che riprendevano il ladro al momento del furto e le testimonianze dei colleghi a conferma dell’alterazione del sistema di controllo dell’azienda. Il licenziamento è quindi stato legittimato dai giudici confermando l’effettiva mancanza del lavoratore durante il suo turno di vigilanza e la conseguente rottura del rapporto di fiducia con il datore di lavoro.<br /><br /> <br /><br /> <br />La sentenza della Corte di Cassazione: legittimità del licenziamento e motivazioni<br /><br />Il dipendente, rivoltosi dinnanzi alla Corte di Cassazione per richiedere il riconoscimento dell’illegittimità del procedimento disciplinare a suo carico, si è visto respingere la richiesta. Perché?<br /> Nonostante la legge Fornero preveda nel Ccnl l’applicazione di una pena conservativa, la sanzione del licenziamento non è in questo caso considerata sproporzionata. I fatti che hanno portato al licenziamento del dipendente sono plurimi e ognuno di essi è di particolare rilievo disciplinare. Nella fattispecie, vengono valutati nel loro insieme e, la constatazione delle mancanze plurime legittima il licenziamento a carico del dipendente.<br /><br />Principio di proporzionalità della sanzione: a carattere generale e ad interpretazione<br /><br />Nell’emettere la sentenza a favore della legittimità del licenziamento per mancanze plurime, la Corte di Cassazione si è inoltre espressa circa il carattere di generalità del principio di proporzionalità della sanzione. La Corte ha quindi affermato che il principio di giusta causa del licenziamento è stato appositamente definito a caratteri generali, di modo da rendere le norme adeguate alla realtà disciplinare. Il principio del giusto licenziamento va quindi deliberato in via interpretativa, in base ai valori esterni e alle sue disposizioni tacite.<br /><br /><a href="https://www.forexinfo.it/licenziamento-mancanze-plurime-legittimita-cassazione" title="https://www.forexinfo.it/licenziamento-mancanze-plurime-legittimita-cassazione" rel="external">https://www.forexinfo.it/licenziamento ... me-legittimita-cassazione</a>
Tue, 30 Aug 2016 18:48:16 +0200
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Permesso non accordato: si può licenziare il dipendente assente? [da Nightwolf ]
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LEGGI E SENTENZE:: Permesso non accordato: si può licenziare il dipendente assente?<br />
Autore: Redazione<br />29/08/2016<br />Se il dipendente chiede il permesso dal lavoro e si assenta dal suo posto ritenendo il consenso dell’azienda implicitamente accordato, mentre invece poi viene negato, non puo' essere licenziato. <br /><br />Solo il dipendente che si assenta in malafede dal lavoro e' suscettibile di licenziamento, mentre chi chiede un permesso confidando nel fatto che, secondo gli usi, il permesso gli verra' certamente accordato, mentre invece non avviene cosi', compie certamente un comportamento negligente, ma non per questo e' causa di licenziamento. A chiarirlo e' una recente sentenza del tribunale di Milano [Trib. Milano, sent. del 23.12.2015]<br /><br /> <br /><br />Il concetto di abbandono del posto di lavoro, in senso stretto, implica una insubordinazione da parte del dipendente e una violazione consapevole dei suoi doveri d’ufficio. Il che richiede necessariamente la coscienza, da parte di quest’ultimo, dell’irregolarita' della sua condotta. Pertanto, si puo' parlare di abbandono del posto di lavoro solo quando il lavoratore, presentata la richiesta di permesso e presa visione del diniego di autorizzazione da parte dell’azienda, si assenti comunque o si assenti per ripicca o per contestazione o magari perche', maliziosamente, finga di non essere venuto a conoscenza del rifiuto. Non altrettanto pero' puo' dirsi quando, presentata la richiesta e confidando il dipendente – sia pure con superficialita' e negligenza – nella sicura autorizzazione (anche sulla base dei pregressi rapporti con il datore di lavoro e della prassi aziendale), il lavoratore si assenti senza attendere il “visto” sul permesso. E' vero, si tratta di una assenza non autorizzata ma, in tal caso, piu' che parlare di lavoratore che abbandona il posto di lavoro, dovra' parlarsi di lavoratore assente ingiustificato dal posto di lavoro: si tratta di certo di un comportamento negligente del dipendente, che puo' essere oggetto di una sanzione disciplinare, ma non cosi' grave come il licenziamento disciplinare, in quanto manca una dolosa insubordinazione alle prescrizioni organizzative datoriali.<br /><br />E' stato piu' volte ripetuto dalla giurisprudenza che il licenziamento e' solo l’ultima spiaggia, la sanzione da applicarsi tutte le volte in cui il comportamento incriminato e' talmente grave da non consentire piu' la prosecuzione del rapporto di lavoro e da interrompere quel legame di necessaria fiducia che deve sussistere tra il dipendente e l’azienda. A tal fine, il datore di lavoro – e, in caso di contestazione, il giudice – deve valutare non solo il danno procurato all’azienda dalla condotta del lavoratore, ma anche e soprattutto l’intenzionalita' della stessa. In assenza di una deliberata volonta' di arrecare un danno al proprio capo non sempre si puo' parlare di comportamento grave e, quindi, passibile di licenziamento.<br /><br />L’assenza ingiustificata dal lavoro e' stata considerata causa di licenziamento, ad esempio, quando il dipendente, malato, non si e' curato di comunicare la propria impossibilita' in azienda e non ha verificato che il medico curante inviasse il certificato medico all’Inps. Altrettanto grave e' stata ritenuta l’assenza senza preavviso di un dipendente la cui funzione appare particolarmente delicata per la sicurezza dell’azienda o del cliente (si pensi al caso della guardia giurata o dell’addetto alla sicurezza in un reparto industriale particolarmente pericoloso).<br /><br />- See more at: <a href="http://www.laleggepertutti.it/130755_permesso-non-accordato-si-puo-licenziare-il-dipendente-assente#sthash.YO4HZSPo.dpuf" title="http://www.laleggepertutti.it/130755_permesso-non-accordato-si-puo-licenziare-il-dipendente-assente#sthash.YO4HZSPo.dpuf" rel="external">http://www.laleggepertutti.it/130755_ ... ente#sthash.YO4HZSPo.dpuf</a>
Mon, 29 Aug 2016 23:54:05 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=23633&forum=22
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Re: Quando la retribuzione è incostituzionale, la storia di un addetto alla vigilanza... [da FFS]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=23567&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Quando la retribuzione è incostituzionale, la storia di un addetto alla vigilanza...<br />
Più che un paradosso: è un esempio lampante della corruzione che dilaga nei sindacati che hanno firmato quella schifezza di contratto!<br />Dovremmo prenderli tutti a calci nel "...." a questi pseudo paladini dei diritti dei lavoratori.<br />Meno male che c'è ancora qualche giudice onesto che sa la misura della dignità!<br />Ma in che mondo viviamo?<br />E quando ci sveglieremo veramente?
Sat, 6 Aug 2016 08:29:27 +0200
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Abbandono del posto di lavoro: licenziamento legittimo anche se l'assenza e' di breve durata [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=23549&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Abbandono del posto di lavoro: licenziamento legittimo anche se l'assenza e' di breve durata<br />
Attivita' di vigilanza privata ed abbandono del posto di lavoro: licenziamento legittimo anche se l'assenza e' di breve durata<br /><br />a cura di: AteneoWeb S.r.l.<br /><br /><br />PDF <br /> <br /><br />La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15441 del 26 luglio 2016 si e' espressa in tema di abbandono e/o allontanamento dal posto di lavoro.<br /> Nello specifico la Suprema Corte ha esaminato il caso di un dipendente che svolgeva attivita' di trasporto valori e di vigilanza privata che era stato oggetto di licenziamento per ragioni disciplinari a seguito dell'allontanamento dal posto di lavoro per soli 10 minuti.<br /><br />La Corte ha statuito la legittimità del licenziamento ponendo l'accento non tanto sulla brevità dell'assenza del dipendente dal posto di lavoro quanto sul pericolo arrecato dall'assenza stessa, data l'attività svolta dal lavoratore (servizio di vigilanza).<br /><br /> <br /> Fonte: <a href="http://www.cortedicassazione.it" title="http://www.cortedicassazione.it" rel="external">http://www.cortedicassazione.it</a><br /><br /><a href="http://www.ateneoweb.com/notizie-legali/attivita-di-vigilanza-privata-ed-abbandono-del-posto-di-lavoro-licenziamento-legittimo-anche-se-l-assenza-e-di-breve-durata.html" title="http://www.ateneoweb.com/notizie-legali/attivita-di-vigilanza-privata-ed-abbandono-del-posto-di-lavoro-licenziamento-legittimo-anche-se-l-assenza-e-di-breve-durata.html" rel="external">http://www.ateneoweb.com/notizie-lega ... za-e-di-breve-durata.html</a>
Fri, 29 Jul 2016 20:28:10 +0200
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Re: Vigilanza privata: nuova Circolare su certificazione e qualificazione del settore [da David-PX4]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=23506&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Vigilanza privata: nuova Circolare su certificazione e qualificazione del settore <br />
Le leggi vanno rispettate e basta. Ancora con la storia del rispetto? Chi non rispetta le regole deve essere sbattuto fuori del mercato del lavoro e basta. Io voglio sapere cosa devo fare e basta. Il portire deve sapere quello che deve fare e basta. Ma a chi propone leggi, decreti, circolari e quant'altro continua imperterrito a generare e far confusione e Non far rispettare le regole e...Non basta.
Sat, 9 Jul 2016 08:59:10 +0200
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Cassazione, il CCNL va nuovamente allegato al ricorso [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione, il CCNL va nuovamente allegato al ricorso<br />
Cassazione, il CCNL va nuovamente allegato al ricorso<br /><br />Posted on 5 luglio 2016 by Avv. Giuseppe Tripodi<br /><br />Cassazione, il CCNL va nuovamente allegato al ricorso<br />Cassazione civile, Sezione Lavoro 13/06/2016 <br />Ud. 17/03/2016 Dep.13/06/2016 Sentenza n. 12102<br /><br />LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO <br />Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VENUTI Pietro – Presidente – Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere – Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere – Dott. BERRINO Umberto – Consigliere – Dott. LEO Giuseppe – Consigliere -<br /><br />ha pronunciato la seguente:<br /><br />SENTENZA<br /><br />sul ricorso 20601-2013 proposto da: B.S.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MANCUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO SUGAMELE, giusta delega in atti; – ricorrente -<br /><br />contro<br /><br />K.S.M. S.P.A., C.F. (OMISSIS); – intimata -<br /><br />Nonchè da: K.S.M. S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LUIGI ANTONELLI, 10, presso lo studio dell’avvocato ANDREA COSTANZO, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO MARINELLI, giusta delega in atti; – controricorrente e ricorrente incidentale -<br /><br />contro<br /><br />B.S.G. (OMISSIS); – intimato -<br /><br />avverso la sentenza n. 441/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 21/03/2013 R.G.N. 2151/2011; <br />udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA; <br />udito l’Avvocato SUGAMELE ANTONINO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. <br />CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.<br /><br />SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br /><br />Con sentenza n. 209/11 il Tribunale di Trapani condannava la KSM S.p.A. a pagare all’ex dipendente B.S.G., guardia giurata inquadrata nel 6 livello CCNL per dipendenti di istituti di vigilanza privata, la somma di Euro 1.862,00 a titolo di risarcimento danni per violazione delle disposizioni sullo spostamento del riposo settimanale, nonchè quella di Euro 321,60 quale indennità ex art. 31 cit. CCNL. Rigettava, invece, l’impugnativa del licenziamento intimato al lavoratore il 28.6.07, nonchè la domanda di superiore inquadramento nel 4 livello super e quella di declaratoria di illegittimità delle disposizioni aziendali in base alle quali era stata assegnato presso enti diversi dall’aeroporto di (OMISSIS), dove lavorava.<br /><br />Con sentenza depositata il 21.3.13 la Corte d’appello di Palermo rigettava l’appello principale di B.S.G. e quello incidentale della KSM S.p.A. Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.S. G. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..<br /><br />La KSM S.p.A. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale basato su due motivi.<br /><br />MOTIVI DELLA DECISIONE<br /><br />1.1. – Preliminarmente si osservi che l’eccezione di nullità della procura ad litem apposta in calce al controricorso, sollevata dal ricorrente principale nella memoria ex art. 378 c.p.c., va comunque superata per ragioni di economia processuale, atteso che entrambi i ricorsi sono da rigettarsi con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità (v. meglio infra), con conseguente sostanziale irrilevanza dell’eccezione in parola, che è di nullità relativa ex art. 157 c.p.c., comma 2 (cfr. Cass. S.U. n. 25036/13).<br /><br />Invero, come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. n. 15106/13; cfr. altresì, Cass. n. 6826/2010; Cass. n. 2723/2010;<br /><br />Cass. n. 18410/2009), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.<br /><br />Ne consegue che, accertata – alla stregua delle considerazioni che seguono l’infondatezza di entrambi i ricorsi con compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità, sarebbe comunque vana ogni ulteriore disquisizione a riguardo o l’eventuale concessione d’un termine per sanare la nullità in discorso, che si tradurrebbe in un inutile allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.<br /><br />2.1. – Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione dell’art. 31 CCNL per dipendenti di istituti di vigilanza privata nella parte in cui la sentenza impugnata gli ha negato il diritto al superiore inquadramento nel 4 livello super, nonostante che la citata clausola contrattuale lo riconosca alle guardie particolari giurate come lui addette al piantonamento fisso e che espletino in via continuativa e prevalente anche – e non esclusivamente, come ritenuto dai giudici di merito – compiti di sicurezza inerenti a sistemi computerizzati e gestiscano strumenti di controllo tecnologicamente avanzati.<br /><br />Il motivo è improcedibile perchè denuncia una violazione di clausola di contratto collettivo nazionale senza produrne il testo integrale.<br /><br />Invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. n. 4350/15; Cass. n. 2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass. S.U. 23.9.10 n. 20075; Cass. 13.5.10 n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c..<br /><br />Nè a tal fine basta la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati eventualmente depositati, essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14), il che nel caso in esame non è avvenuto.<br /><br />2.2. – Il secondo motivo prospetta violazione dell’art. 1460 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 per avere la gravata pronuncia ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore per essersi questi rifiutato di recarsi sul posto di lavoro, vista la prospettiva di essere inserito nell’organico aziendale con una qualifica inferiore rispetto alle mansioni effettivamente svolte: obietta il ricorrente principale che il proprio rifiuto doveva qualificarsi come legittima eccezione di inadempimento, adeguata e proporzionata visto l’inadempimento di parte datoriale che, malgrado le continue e pressanti sollecitazioni del ricorrente, non gli aveva riconosciuto la retribuzione e l’inquadramento dovutigli.<br /><br />Il motivo è infondato, dovendosi dare continuità alla costante giurisprudenza di questa S.C. secondo cui il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di essere addetto allo svolgimento di mansioni non spettanti può essere legittimo – e, quindi, non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall’art. 1460 c.c. -<br /><br />purchè risulti proporzionato all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede (v., ex aliis, Cass. n. 6663/99, Cass. n. 2948/01, Cass. n. 21479/05, Cass. n. 13365/06, Cass. n. 10086/07, Cass. n. 3304/08, Cass. n. 17713/13).<br /> <br /> <br /><br /> <br />In particolare (v. Cass. n. 12696/12), il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli. Il dipendente è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartitegli ex artt. 2086 e 2104 c.c. e può invocare l’art. 1460 c.c. solo in caso di un altrui inadempimento totale o talmente grave da incidere in maniera irrimediabile sulle sue esigenze vitali.<br /><br />Pertanto, non è legittimo – ed è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa – il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia gli altri fondamentali obblighi derivanti dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.).<br /><br />In altre parole, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento di singoli compiti non conformi alla propria qualifica e che, ciò nonostante, gli siano stati richiesti, ma non può solo per questo motivo astenersi dall’espletare qualsiasi prestazione (cfr. Cass. n. 29832/08; Cass. n. 25313/07).<br /><br />Nel caso in esame, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto comunque sproporzionata l’eccezione di inadempimento sollevata dall’odierno ricorrente principale, che a fronte del regolare pagamento delle retribuzioni e della copertura previdenziale ha ritenuto che bastasse esigere un superiore inquadramento contrattuale e una determinata assegnazione di sede (peraltro neppure spettantegli) per rifiutarsi di svolgere qualsivoglia prestazione lavorativa.<br /><br />2.3. – Con il terzo motivo il ricorrente principale si duole di omessa pronuncia sullo specifico motivo d’appello in cui aveva dedotto una violazione dell’art. 7 Stat. per mancata affissione del codice disciplinare.<br /><br />Il motivo va disatteso, sia pure integrandosi come segue la motivazione della sentenza impugnata, che effettivamente non si è pronunciata sullo specifico motivo d’appello inerente alla mancata affissione del codice disciplinare, della cui formulazione pur dà espressamente atto.<br /><br />In proposito ritiene questa Corte di aderire all’orientamento (cfr.<br /><br />Cass. n. 28663/13) secondo cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame.<br /><br />In siffatta evenienza la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione, anche a fronte di un error in procedendo (tale essendo la motivazione omessa), mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (altri precedenti propendono invece, sempre che non siano necessari nuovi accertamenti in punto di fatto, per la cassazione senza rinvio con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2:<br /><br />cfr. Cass. n. 21968/15; Cass. n. 5729/12; Cass. n. 15112/13; Cass. n. 2313/10).<br /><br />Ciò premesso in rito, va ricordato che per costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr., per tutte, Cass. n. 20270/09), la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non è dovuta ove il licenziamento sia dovuto a violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.<br /><br />Nel caso di specie tali doveri fondamentali trovano la propria fonte non già in particolari disposizioni aziendali, ma nelle disposizioni codicistiche sul carattere sinallagmatico del rapporto di lavoro e sull’inopponibilità (ex art. 1460 c.c.) dell’eccezione di inadempimento da parte del lavoratore nei sensi sopra già chiariti in relazione al secondo motivo del ricorso principale.<br /><br />2.4. – Il quarto motivo del ricorso di B.S.G. denuncia violazione del D.M. n. 85 del 1999, art. 5 (allegato B) in relazione all’art. 2103 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo occuparlo in contesti diversi dai locali aeroportuali, sebbene la citata norma regolamentare vieti alle imprese di sicurezza di adibire il proprio personale di sicurezza a compiti diversi da quelli inerenti alla qualifica rivestita o per cui hanno ricevuto una specifica formazione professionale documentata:<br /><br />conclude il ricorso che il diritto del lavoratore al cit. 4 livello super comporta l’impossibilità per il datore di lavoro di adibirlo a mansioni – inferiori – diverse da quelle di controllo della sicurezza aeroportuale e che non richiedano l’utilizzo della professionalità da lui raggiunta.<br /><br />Il motivo è infondato.<br /><br />Come correttamente affermato dalla gravata pronuncia, il D.M. n. 85 del 1999, art. 5 (allegato B), nella parte in cui statuisce che “Le imprese di sicurezza non devono adibire il proprio personale di sicurezza a compiti diversi da quelli inerenti alla qualità giuridica rivestita o per cui hanno ricevuto una specifica formazione professionale documentata”, lungi dallo stabilire una sorta di principio di inamovibilità del dipendente e/o di impossibilità di dequalificarlo (cui già provvede l’art. 2103 c.c., nei limiti in esso previsti), mira soltanto a fissare i requisiti, le condizioni e le modalità per l’affidamento in concessione dei servizi aeroportuali, anche mediante uno standard di sicurezza parametrato alla professionalità dei lavoratori che vi siano addetti.<br /><br />E nel caso in discorso l’odierno ricorrente è stato adibito, fuori dell’aeroporto, pur sempre a compiti di vigilanza propri della sua qualifica.<br /><br />3.1. – Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 1218, 1223 e 2697 c.c. per avere la gravata pronuncia riconosciuto in favore del dipendente il risarcimento del danno per lavoro prestato oltre il settimo giorno consecutivo senza godere del riposo compensativo, nonostante che a tal fine non basti l’inadempimento – da parte del datore di lavoro – d’un obbligo legalmente o contrattualmente previsto, essendo invece necessario che il dipendenti alleghi e provi il concreto verificarsi del danno medesimo.<br /><br />Il motivo è inammissibile perchè nuovo, non essendo stato fatto valere in appello; in quella sede la KSM S.p.A. si è limitata a negare il proprio inadempimento, senza nulla addurre quanto ad eventuale mancanza di allegazione e prova del danno risarcito.<br /><br />3.2. – Con il secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione – in rapporto all’art. 1362 c.c. – dell’art. 31 CCNL istituti di vigilanza privata, per avere i giudici di merito riconosciuto al lavoratore l’indennità ivi prevista sol per aver utilizzato macchinari da cui potrebbe in astratto derivare l’esposizione a radiazioni, mentre la clausola contrattuale richiede un’esposizione ad un rischio radiogeno concreto, rischio inesistente per il semplice fatto di controllare mediante video gli strumenti di sicurezza posti negli aeroporti.<br /><br />Il motivo è improcedibile perchè, deducendo in sostanza una violazione di clausola contrattuale, avrebbe dovuto accompagnarsi alla produzione integrale del CCNL e alla specifica indicazione della sua collocazione in atti, come sopra già evidenziato relativamente al primo motivo del ricorso principale.<br /><br />4.1. – In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati, il che consiglia di compensare le spese del giudizio di legittimità.<br /><br />P.Q.M.<br /><br />LA CORTE rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità.<br /><br />Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.<br /><br />Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 marzo 2016. <br />Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016<br /><br /><a href="http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-il-ccnl-va-nuovamente-allegato-al-ricorso/" title="http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-il-ccnl-va-nuovamente-allegato-al-ricorso/" rel="external">http://www.sentenze-cassazione.com/ca ... ente-allegato-al-ricorso/</a>
Wed, 6 Jul 2016 14:25:04 +0200
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Quarto, il Si.U.L.C. ottiene una interrogazione parlamentare [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Quarto, il Si.U.L.C. ottiene una interrogazione parlamentare<br />
Quarto, il Si.U.L.C. ottiene una interrogazione parlamentare dal M5S<br />Giugno 15, 2016<br />Scritto da Salvatore Di Bonito, Segretario Nazionale Si.U.L.C<br />Pubblicato in News<br />Il Sindacato da anni cerca di accendere i riflettori su un problema serio che fagocità milioni di euro: quello dei fallimenti anomali degli istituti di vigilanza<br /><br />Da anni il Si.U.L.C. ha messo in guardia i Governi, i Ministri, le Prefetture e le Direzioni Provinciali del Lavoro dell’anomalia rappresentata da decine e decine di Istituti di Vigilanza Privata che hanno fagocitato miliardi di euro dalle casse dello Stato sotto forma di cassa integrazione falsa, false mobilità, falsi stati di crisi, contratti “anomali” stranamente stipulati, prima del fallimento, con una sola sigla sindacale, etc.<br /><br />Tutto questo infinito giro di miliardi è sempre stato fatto presente, in tempi non sospetti, a tutti gli Organi competenti e, ciò nonostante, solo la Magistratura è dovuta intervenire per fermare, anche se tardi, quelle associazioni a delinquere finalizzate alla truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e alle tasche dei cittadini senza soldi.<br /><br />Questo ultradecennale miliardario “giro di affari”, che vede tutti coinvolti, dagli pseudo Istituti di Vigilanza, gestiti sempre dagli stessi “comitati di affari familiari”, ai vari Organi dello Stato, compresi i Ministri ALFANO e POLETTI, e che erano, e sono, a perfetta conoscenza di queste illegalità ramificate come una piovra, che hanno, e stanno, dissanguato le casse dell’I.N.P.S. e delle Regioni.<br /><br />Quel che colpisce è il fatto che a fronte degli innumerevoli e “sempre piu’ strani” fallimenti degli istituti di Vigilanza, le autorizzazioni e licenze per nuovi Istituti di Vigilanza vengono continuamente rilasciati dagli Enti preposti. Ma se vengono dichiarati continui stati di crisi miliardari da parte di questi pseudo-Istituti, come mai se ne fanno aprire altri che poi, guarda caso, falliscono a loro volta in modo milionario?<br /><br />Dopo questi continui, ed “inarrestabili” scandali al sole, il Senatore Sergio PUGLIA, del M5S, insieme ai Senatori SANTANGELO, PAGLINI, GIARRUSSO, SERRA, MORONESE e DONNO, ha presentato una interrogazione parlamentare ad hoc di cui se ne attende la calendarizzazione. Il Si.U.L.C. chiede che per far terminare questo infinito scandalo, che vede le Istituzioni colpite e apparentemente coinvolte, in modo pregnante, stante il loro anomalo immobilismo, con questa INARRESTABILE E MILIARDARIA PIOVRA, venga, finalmente, istituito il tanto promesso Registro delle Guardie Giurate, da dove le Guardie Giurate devono essere assunte per evitare il proliferare di migliaia di armi nelle Città, nonostante l’allarme terrorismo e mafia, l’applicazione e rispetto del cd.<br /><br />Decreto Maroni che stabilisce la “capacità tecnica” di un Istituto di Vigilanza per potere operare così da evitare “fallimenti miliardari e truffe continue ed aggravate” di cui le cronache sono piene. Il Si.U.L.C. attende che vengano salvaguardati i livelli occupazionali e che i lavoratori ed i cittadini vengano salvaguardati da questi pseudo imprenditori “a conduzione familiare” che pensano solo ad arricchirsi dalle casse dell’erario e sulla disperazione di migliaia di famiglie.<br /><br />Il Segretario Nazionale<br />DI BONITO Salvatore <br /><br />In allegato la documentazione fornita dal Segretario nazionale Di Bonito<br /><a href="http://puntomagazine.it/areaflegrea/quarto/73-news/7006-quarto-il-si-u-l-c-ottiene-una-interrogazione-parlamentare-dal-m5s.html" title="http://puntomagazine.it/areaflegrea/quarto/73-news/7006-quarto-il-si-u-l-c-ottiene-una-interrogazione-parlamentare-dal-m5s.html" rel="external">http://puntomagazine.it/areaflegrea/q ... parlamentare-dal-m5s.html</a>
Wed, 15 Jun 2016 12:55:39 +0200
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Presunta dequalificazione, rifiuto di lavorare e giusta causa di licenziamento [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Presunta dequalificazione, rifiuto di lavorare e giusta causa di licenziamento<br />
Presunta dequalificazione, rifiuto di lavorare e giusta causa di licenziamento<br /><br />Se il datore di lavoro adempie ai propri obblighi contrattuali è licenziabile per giusta causa il lavoratore che si rifiuta di svolgere la prestazione lavorativa per una presunta dequalificazione. Il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli. Pertanto, non è legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia gli altri fondamentali obblighi derivanti dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.) . Il lavoratore può rifiutare singoli compiti non conformi alla propria qualifica e che, ciò nonostante, gli siano stati richiesti, ma non può solo per questo motivo astenersi dall'espletare qualsiasi prestazione. <br /><br /> <br /><br /><br /><br /><br /><br />Con una interessante decisione, in tema di prestazioni lavorative, la Sezione Lavoro della Cassazione ha affermato che non è legittimo - ed è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa - il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia gli altri fondamentali obblighi derivanti dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.).<br /><br /><br /><br />Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra un lavoratore e la società di cui era dipendente.<br /><br />In breve, i fatti. <br /><br />Il Tribunale condannava la K. S.p.A. a pagare all'ex dipendente S.G.B., guardia giurata inquadrata nel 6° livello CCNL per dipendenti di istituti di vigilanza privata, la somma di € 1.862,00 a titolo di risarcimento danni per violazione delle disposizioni sullo spostamento del riposo settimanale, nonché quella di € 321,60 quale indennità ex art. 31 cit. CCNL. <br /><br />Rigettava, invece, l'impugnativa del licenziamento intimato al lavoratore nonché la domanda di superiore inquadramento nel 4° livello super e quella di declaratoria di illegittimità delle disposizioni aziendali in base alle quali era stato assegnato presso enti diversi dall'aeroporto di Trapani-Birgi, dove lavorava. <br /><br />La Corte d'appello rigettava l'appello principale del lavoratore e quello incidentale della K. S.p.A. <br /><br />Contro tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il lavoratore, in particolare per avere la pronuncia ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore per essersi questi rifiutato di recarsi sul posto di lavoro, vista la prospettiva di essere inserito nell'organico aziendale con una qualifica inferiore rispetto alle mansioni effettivamente svolte: obietta il lavoratore che il proprio rifiuto doveva qualificarsi come legittima eccezione di inadempimento, adeguata e proporzionata visto l'inadempimento di parte datoriale che, malgrado le continue e pressanti sollecitazioni del ricorrente, non gli aveva riconosciuto la retribuzione e l'inquadramento dovutigli. <br /><br />La Cassazione ha respinto il ricorso.<br /><br />Prima di esaminare la soluzione della Cassazione, va qui ricordato che, all’indomani del Jobs Act (che ha profondamente modificato l’art. 2103 c.c.), in corso di rapporto il lavoratore può essere adibito a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto, purché le stesse siano riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte oppure corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito.<br /><br />Il demansionamento quindi è ancora generalmente vietato in quanto lesivo della professionalità acquisita dal lavoratore, tranne che in due casi: <br /><br />1) - qualora vi sia una modifica degli assetti organizzativi aziendali tale da incidere sulla posizione del lavoratore; <br /><br />2) - in specifiche ipotesi previste dai contratti collettivi. <br /><br />In entrambi i casi, comunque, il lavoratore può essere assegnato un solo livello di inquadramento inferiore a patto però che rientri nella stessa categoria legale. <br /><br />Occorre poi tener presente che, per il principio di irriducibilità della retribuzione, il lavoratore ha diritto di conservare il trattamento retributivo riconosciutogli prima dell’assegnazione a mansioni inferiori, con la sola eccezione di quegli elementi retributivi strettamente connessi alla mansione disimpegnata. <br /><br />Un’altra, distinta, ipotesi è quella del demansionamento per accordo tra le parti per cui le stesse possono sottoscrivere un accordo in una sede “protetta” (es. in sede sindacale o in DTL) decidendo di modificare le mansioni, la categoria legale, il livello di inquadramento ed anche la retribuzione, ma una simile modifica è legittima solo se motivata da un rilevante interesse del lavoratore rientrante in una delle seguenti ipotesi: conservazione dell’occupazione, miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore ed acquisizione di una diversa professionalità.<br /><br />Se il datore di lavoro adibisce il lavoratore a mansioni inferiori in ipotesi diverse da quelle sopra riportate, un simile demansionamento deve considerarsi illegittimo, ma in tale ipotesi si pone il problema della legittimità del rifiuto da parte del lavoratore di svolgere mansioni considerate dequalificanti.<br /><br />In particolare, nella sentenza qui commentata, i Supremi Giudici affermano di dover dare continuità alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di essere addetto allo svolgimento di mansioni non spettanti può essere legittimo - e, quindi, non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall'art. 1460 c.c. - purché risulti proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede.<br /><br />In particolare, il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli. <br /><br />Il dipendente è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartitegli ex artt. 2086 e 2104 c.c. e può invocare l'art. 1460 c.c. solo in caso di un altrui inadempimento totale o talmente grave da incidere in maniera irrimediabile sulle sue esigenze vitali. <br /><br />Pertanto, non è legittimo - ed è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa - il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia gli altri fondamentali obblighi derivanti dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.): in altre parole, secondo la Cassazione, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento di singoli compiti non conformi alla propria qualifica e che, ciò nonostante, gli siano stati richiesti, ma non può solo per questo motivo astenersi dall'espletare qualsiasi prestazione.<br /><br />Nel caso in esame, correttamente secondo la Suprema Corte, i giudici di merito avevano ritenuto comunque sproporzionata l'eccezione di inadempimento sollevata dal lavoratore che a fronte del regolare pagamento delle retribuzioni e della copertura previdenziale aveva ritenuto che bastasse esigere un superiore inquadramento contrattuale e una determinata assegnazione di sede (peraltro neppure spettantegli) per rifiutarsi di svolgere qualsivoglia prestazione lavorativa. <br /><br />Da, qui, dunque, il rigetto del ricorso.<br /><br />Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza.<br /><br />Ed invero, secondo l’interpretazione offerta dalla Cassazione, in tema di prestazioni lavorative, non è legittimo - ed è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa - il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia gli altri fondamentali obblighi derivanti dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.).<br /><br /><br /><br /><br />Precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. L, sentenza n. 12696 del 20/07/2012<br /><br /><br /><br /><br /><br />Corte di Cassazione, Sez. L, sentenza 13 giugno 2016, n. 12102<br /><br /><a href="http://www.ipsoa.it/~/media/Quotidiano/2016/06/15/presunta-dequalificazione-rifiuto-di-lavorare-e-giusta-causa-di-licenziamento/12102-16%20pdf.pdf" title="http://www.ipsoa.it/~/media/Quotidiano/2016/06/15/presunta-dequalificazione-rifiuto-di-lavorare-e-giusta-causa-di-licenziamento/12102-16%20pdf.pdf" rel="external">http://www.ipsoa.it/~/media/Quotidian ... amento/12102-16%20pdf.pdf</a><br /><br /><a href="http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/rapporto-di-lavoro/quotidiano/2016/06/15/presunta-dequalificazione-rifiuto-di-lavorare-e-giusta-causa-di-licenziamento" title="http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/rapporto-di-lavoro/quotidiano/2016/06/15/presunta-dequalificazione-rifiuto-di-lavorare-e-giusta-causa-di-licenziamento" rel="external">http://www.ipsoa.it/documents/lavoro- ... ta-causa-di-licenziamento</a>
Wed, 15 Jun 2016 12:22:40 +0200
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Multa cancellata per chi supera di oltre 40 kmh il limite di velocità se sussiste lo stato di necess [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Multa cancellata per chi supera di oltre 40 kmh il limite di velocità se sussiste lo stato di necess<br />
Multa cancellata per chi supera di oltre 40 kmh il limite di velocità se sussiste lo stato di necessità<br />L'esimente richiede che l'azione sia compiuta per scongiurare un pericolo attuale e basta anche una "ragionevole minaccia"<br /> <br /><br /> <br />di Lucia Izzo - Multa cancellata per il richiamo allo stato di necessità, anche se l'automobilista procedeva a 40 chilometri orari oltre il limite consentito: per profittare dell'esimente, l'azione deve essere compiuta per scongiurare un pericolo attuale, inteso non come probabilità in senso assoluto, essendo sufficiente anche la "ragionevole minaccia".<br /><br />Lo ha disposto il Giudice di Pace di Palermo (magistrato onorario Citarda) nella sentenza 363/2016, accogliendo l'opposizione che il trasgressore aveva avanzato contro la multa elevata a suo carico.<br /><br /> <br />Il ricorrente era stato trovato a viaggiare sul suo veicolo viaggiando a 40 chilometri oltre il limite di velocità previsto e pertanto era scattata a suo carico la contravvenzione disciplinata dall'art. 142, comma 9, del Codice della strada.<br /><br />Nonostante ciò, trova accoglimento la sua richiesta di veder applicata l'esimente di cui all'art. 54 c.p., confermata dalla legge 689/91, disciplina che si configura come legge speciale per quanto riguarda i procedimenti inerenti le sanzioni amministrative.<br /><br />Il giudice chiarisce che lo stato di necessità si configura quando ricorre un pericolo attuale che rischia di determinare un danno alla persona: ciò significa che non solo il pericolo deve essere presente quando si trova ad agire il soggetto che chiede l'esimente, ma deve anche configurarsi in maniera imminente anche il danno che può derivare dal rischio.<br /><br />Per il giudice, il carattere di "attualità" del pericolo che porta a commettere l'azione illecita, impone che il rischio sia individuato e circoscritto nel suo contenuto quando il fatto viene commesso.<br />Affinché il trasgressore non risponda dell'illecito deve, conclude il giudicante, sussistere un nesso causale preciso e indefettibile tra la necessità di sacrificare un interesse protetto e l'obiettivo di evitare il pericolo specifico.<br /><br /> <br /><br />(30/03/2016 - Lucia Izzo) Commenti • Ultimi commenti • Cita nel tuo sito • Foto: 123rf.com<br /><br /><br />Fonte: Multa cancellata per chi supera di oltre 40 kmh il limite di velocità se sussiste lo stato di necessità <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/articoli/21569-multa-cancellata-per-chi-supera-di-oltre-40-kmh-il-limite-di-velocita-se-sussiste-lo-stato-di-necessita.asp" title="http://www.studiocataldi.it/articoli/21569-multa-cancellata-per-chi-supera-di-oltre-40-kmh-il-limite-di-velocita-se-sussiste-lo-stato-di-necessita.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/articoli/ ... lo-stato-di-necessita.asp</a>
Thu, 5 May 2016 21:05:44 +0200
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Roma, «Rubare per fame non è reato»: Cassazione assolve homeless [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Roma, «Rubare per fame non è reato»: Cassazione assolve homeless<br />
«Il fatto non costituisce reato»: per questo motivo la Cassazione ha annullato completamente la condanna a sei mesi di reclusione e cento euro di multa, per furto, inflitta dalla Corte di Appello di Genova a un giovane straniero senza fissa dimora, affermando che non è punibile chi, spinto dal bisogno, ruba al supermercato piccole quantità di cibo per «far fronte» alla «imprescindibile esigenza di alimentarsi». Con questo verdetto la Suprema Corte ha giudicato legittimo non punire un furto per fame del valore di 4 euro e sette centesimi per wurstel e formaggio. A fare ricorso in Cassazione non è stato il giovane senza fissa dimora, Roman Ostriakov, originario dei Paesi dell'Est.<br /><br /> Il ricorso lo ha fatto il Procuratore generale della Corte di Appello di Genova che chiedeva per l'imputato, non l'assoluzione, ma uno sconto di pena con la derubricazione del reato da furto lieve, come stabilito in primo e secondo grado, in tentato furto dal momento che Roman era stato bloccato prima di uscire dal supermercato, dopo essere stato notato da un cliente zelante e poco solidale con lo stomaco vuoto altrui che aveva avvertito il personale vigilante. Il clochard alla cassa aveva pagato solo una confezione di grissini, non i wurstel e le due porzioni di formaggio che si era messo in tasca. Venne fermato mentre stava per uscire dal negozio e quasi sperava di avercela fatta.<br /><br /> Dalla sentenza degli ermellini - numero 18248 della Quinta sezione penale - si apprende che Roman aveva già dei precedenti di furti di generi alimentari di poco prezzo, commessi sempre perchè spinto dalla fame, cronica come la sua situazione di indigenza e di emarginazione. Ad avviso dei supremi giudici quello commesso da Roman è un furto consumato e non tentato, ma - a loro avviso - «la condizione dell'imputato e le circostanze in cui è avvenuto l'impossessamento della merce dimostrano che egli si impossessò di quel poco cibo per far fronte ad una immediata e imprescindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità».<br /><br />Così è stata annullata senza rinvio la sentenza di condanna inflitta in appello, il 12 febbraio del 2015, «perchè il fatto non costituisce reato». Il collegio degli 'ermellinì è stato presieduto da Maurizio Fumo, il consigliere relatore è Francesca Morelli. Anche la Procura della Cassazione aveva chiesto l'annullamento senza rinvio della decisione dei 'severì magistrati genovesi. «La Cassazione ha stabilito un principio sacrosanto: un piccolo furto per fame non è in alcun modo equiparabile a un gesto di delinquenza, perchè l'esigenza di alimentarsi giustifica il fatto», ha commentato Carlo Rienzi, presidente del Codacons.<br /><br />«Negli ultimi anni di crisi economica è aumentato a dismisura il numero di cittadini, specie anziani, costretti a rubare nei supermercati per riuscire ad arrivare a fine mese. In questi casi il reato è commesso non dal ladro ma dallo Stato che abbandona i più deboli al loro destino portandoli a compiere gesti come furti di alimenti», ha concluso Rienzi. <br /><br />Lunedì 2 Maggio 2016 - Ultimo aggiornamento: 20:04<br /> <a href="http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/rubare_reato_cassazione_assolve-1706441.html" title="http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/rubare_reato_cassazione_assolve-1706441.html" rel="external">http://www.ilmessaggero.it/primopiano ... ione_assolve-1706441.html</a>
Mon, 2 May 2016 20:30:38 +0200
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PARENTI E CONVIVENTI INAFFIDABILI (Angelo Vicari) [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: PARENTI E CONVIVENTI INAFFIDABILI (Angelo Vicari)<br />
PARENTI E CONVIVENTI INAFFIDABILI (Angelo Vicari) <br />Non è la prima volta che il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi su provvedimenti di rifiuto/revoca del Prefetto e/o del Questore in materia di licenze di armi, adottati in considerazione dei precedenti di parenti o conviventi.<br />Di questo indirizzo restrittivo ne ha fatto le spese recentemente una Guardia giurata, che si è vista rifiutare il rinnovo della licenza di porto di pistola, nonché l’adozione del divieto di detenere armi, siccome a carico del proprio convivente “risultano numerosi precedenti di polizia per reati di natura ostativa”.<br />L’interessato, ritenendosi fortemente penalizzato per la sua attività lavorativa, con possibili ripercussioni negative sulla conservazione della stessa, è stato costretto a ricorrere al Giudice amministrativo.<br />Il TAR del Piemonte, con sentenza n. 1497, del 10 luglio 2014, ha però respinto il ricorso, ritenuto infondato, riconoscendo la legittimità del provvedimento del Prefetto per il suo carattere “cautelativo della sicurezza pubblica”, perché “finalizzato ad evitare il pericolo per tale bene giuridico,determinato dalla possibile disponibilità di armi in capo ad un soggetto che non possa garantirne il corretto uso”. Infatti, il provvedimento prefettizio è stato motivato evidenziando che, anche la semplice convivenza con persona che abbia pregiudizi penali, può determinare dubbi sul “giudizio di sufficiente affidabilità circa la garanzia di non abusare delle armi, con il conseguente giudizio prognostico sfavorevole circa il possibile utilizzo improprio dell’arma”.<br />Di diverso avviso il Consiglio di Stato che, con sentenza n. 5542, del 15 ottobre 2015, ha accolto il ricorso in appello. Infatti, è stato evidenziato che “sebbene l’Autorità di pubblica sicurezza abbia il compito, da esercitare con ampia discrezionalità, di prevenire fatti lesivi della sicurezza pubblica che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi” pur tuttavia tale ampia potestà discrezionale, peraltro “da esercitare con il massimo rigore”, non può prescindere dal presupposto che “i requisiti soggettivi del richiedente vanno valutati con stretto riferimento alla persona del titolare dell’autorizzazione”.<br />Nonostante ciò, lo stesso Consiglio di Stato ha riconosciuto che “il pericolo di abusi potrebbe derivare da soggetti conviventi appartenenti alla famiglia del titolare dell’autorizzazione”. Dunque, quando si possa ipotizzare detto pericolo, sussiste la legittimità dei provvedimenti delle Autorità di P.S., sempreché nella motivazione siano indicati “rigorosamente quali indizi lasciano ritenere che la convivenza e l’ambiente familiare possa condizionare negativamente il giudizio di non affidabilità personale, come ad esempio scambio di querele, minacce e lesioni, in un contesto di conflittualità inusuale fra persone che vivono sotto lo stesso tetto”.<br />Invece, nel provvedimento del Prefetto, adottato nei confronti del ricorrente, non vi è alcun riferimento ai citati”indizi”, ma solo un generico richiamo ai precedenti penali del convivente, peraltro datati.<br />Quindi, siccome dagli atti “non risultano situazioni attuali di conflittualità tra il ricorrente ed il proprio convivente che possano far sospettare il pericolo di un abuso delle armi da parte del ricorrente, neppure su condizionamento o pressione del convivente”, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso, pur compensando le spese tra le parti.<br />Tale decisione conferma l’orientamento dell’alto Consesso in casi analoghi, nei quali l’unico motivo per l’emissione di provvedimenti inibitori in materia di armi è stato quello del rapporto di parentela, affinità o convivenza del titolare delle licenze con persone con pregiudizi penali ostativi (Cons. St. n. 5438/2005, n. 581/2014, n. 2312/2014, sentenza commentata in questo stesso sito).<br />Da quest’ultima giurisprudenza si evince chiaramente che il Consiglio di Stato non mette in discussione “l’ampia discrezionalità” delle Autorità di P.S. in materia di autorizzazioni relative alle armi, ma, anzi, ribadisce che detta discrezionalità debba essere “esercitata con il massimo rigore”, siccome “le cronache dimostrano sin troppo spesso che vi è semmai da lamentare che certe precauzioni non siano state più severamente adottate” (Cons. St. n. 4666/2013), precisando, comunque, che, quando si incida su interessi primari della persona, come la conservazione del lavoro, l’esercizio di tale discrezionalità debba essere“più penetrante” (Cons. St. n. 5039/2014).<br />Il Giudice amministrativo, dunque, non solo riconosce l’opportunità dell’adozione di provvedimenti restrittivi quando vi sia il pericolo che parenti o conviventi non affidabili possano avere la disponibilità di armi, ma, anzi, li sollecita.<br />Invece, lo stesso Consiglio di Stato mette in discussione il percorso procedurale per l’esercizio corretto di tale “ampia discrezionalità”. Infatti, l’anello debole della catena degli atti endoprocedimentali, che determina la illegittimità dei provvedimenti delle Autorità di P.S., è, quasi sempre, la mancanza o inadeguatezza della loro motivazione. Purtroppo la P.A. troppo spesso si dimentica di una delle più importanti novità introdotte dalla legge n.241/1990 sul procedimento amministrativo, nella quale, all’art. 3, è stato esplicitamente stabilito che “ogni provvedimento amministrativo..deve essere motivato…La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, così da mettere in grado il cittadino di conoscere facilmente i motivi che inducono la P.A. ad adottare provvedimenti negativi nei suoi confronti, potendo valutare nel contempo l’opportunità o meno di ricorrere.<br />Ancor oggi, raramente i provvedimenti emessi dalle Autorità di P.S. sono sostenuti “da congrua motivazione in ordine ai presupposti ed agli elementi significativi che inducono all’adozione di una misura che comporta una restrizione della sfera giuridica del destinatario” (Cons, St. n. 2312/2014).<br />Il Consiglio di Stato, anche nella sentenza in commento, evidenzia che, nei casi di provvedimenti adottati per inaffidabilità di parenti o conviventi, dalla motivazione si dovrebbe facilmente evincere “quali indizi lasciano ritenere che la convivenza e l’ambiente familiare possa condizionare negativamente il giudizio di non affidabilità”, come per esempio querele/denunce per minacce o lesioni, non limitandosi a formule di stile limitate alla elencazione di precedenti penali.<br />Dunque, le indicazioni di tale giurisprudenza dovrebbero richiamare l’attenzione delle Autorità di P.S., ogni qual volta devono emettere provvedimenti di restrizione della sfera giuridica del destinatario, a maggior ragione quando questi ultimi possano incidere, come nel caso di specie, sulla attività lavorativa. Un richiamo in tal senso è stato formalizzato anche dallo stesso Ministero dell’Interno con le circolari del 30 ottobre 1996 e del 21 marzo 2014. Infatti, è stata raccomandata “la massima attenzione alla stesura della motivazione, dovendo l’esercizio della discrezionalità amministrativa trovare fondamento su elementi il più possibile circostanziati e non risultare ancorati a generiche finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica”.<br />Quindi, specialmente quando i provvedimenti inibitori si basano su precedenti di parenti o conviventi, i fatti e gli accertamenti devono essere particolarmente circostanziati, tenuto conto che “le autorizzazioni di polizia sono personali” (art. 8 T.U.L.P.S.) e che “i requisiti soggettivi del richiedente vanno valutati con stretto riferimento alla persona del titolare dell’autorizzazione” (Cons. St. n. 5542/2015). Peraltro, non possono essere concesse licenze di porto di armi a chi “non dà affidamento” di non abusarne (art. 43 T.U.L.P.S.), affidamento limitato al richiedente e non anche ai suoi parenti o conviventi. Lo stesso Ministero dell’Interno, con circolare del 30 ottobre 1996, relativa alle pronunce della Corte Costituzionale sul requisito dell’ottima e buona condotta, ebbe a precisare che “non dovranno essere prese in considerazione circostanze che attengano alla vita privata, bensì solo fatti specifici ed obiettivamente verificabili che si sono manifestati nell’ambito della vita associata anche familiare”.<br />All’Autorità di P.S. non mancano certo gli strumenti giuridici per intervenire preventivamente anche quando l’affidabilità del titolare delle licenze possa essere messa in pericolo dalla presenza di parenti o conviventi inaffidabili. Infatti, l’art. 38 del T.U.L.P.S. dà potestà di eseguire, quando lo ritenga opportuno, “verifiche di controllo” a tutti i detentori di armi e “di prescrivere quelle misure cautelari che ritenga indispensabili”. Tale potestà è finalizzata alla verifica che la custodia delle armi sia “ assicurata con ogni diligenza” ed offra “adeguate garanzie di sicurezza”, con possibile denuncia all’A.G. per gli artt. 20 e 20bis della legge 110/1975 , ove venga riscontrata la mancanza di ”cautele necessarie”, con conseguente possibilità di impossessamento agevole delle armi da persone imperite o che ne possano fare abuso.<br />Una adeguata motivazione non dovrebbe prescindere da tali controlli, ripetuti nel tempo, con l’elencazione anche di eventuali denunce all’A.G., quando siano state riscontrate inadempienze, nonchè querele e/o denunce, tutti fatti circostanziati che “lasciano ritenere che la convivenza e l’ambiente familiare possa condizionare negativamente il giudizio di non affidabilità” del titolare delle licenze, anche in merito alla custodia.<br />Come in medicina la”prognosi”, pur essendo aleatoria, si basa sulla “diagnosi”, conseguenziale alla valutazione dei sintomi del malato, così le Autorità di P.S., nell’adottare i propri provvedimenti, dovrebbero formulare il “giudizio prognostico” basato esclusivamente su una preventiva e scrupolosa diagnosi dei “soli fatti specifici ed obiettivamente verificabili”, suscettibili di rivelarsi, in forma più esplicita, quali segni premonitori di possibile abuso e/o negligenza nella custodia delle armi da parte del titolare delle licenze.<br /><a href="http://www.earmi.it/varie/parenti.html" title="http://www.earmi.it/varie/parenti.html" rel="external">http://www.earmi.it/varie/parenti.html</a>
Sun, 10 Apr 2016 19:10:14 +0200
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Legittimo “spiare” il dipendente con il Gps [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Legittimo “spiare” il dipendente con il Gps<br />
Legittimo “spiare” il dipendente con il Gps <br /> <br /> di Antonio Del Gatto<br /><br />Con sentenza n. 20440/2015, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha confermato due precedenti decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello di Torino, che si erano entrambi pronunciati per il rigetto della domanda proposta dal ricorrente per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli dall’azienda presso cui lavorava.<br /><br />Il datore di lavoro gli aveva contestato di essersi allontanato dalla sede aziendale “per trattenersi in bar o locali di tavola calda o comunque fuori della zona di attività dell’impresa, per conversare, ridere o scherzare con i colleghi”.<br /><br />Ancorché dotato di autonomia operativa, il suo comportamento risultava, infatti, privo di adeguata logica motivazione, “né bastava a giustificare la durata delle soste nei bar l’assunzione di farmaci diuretici, oppure la necessità di colloqui con i collaboratori, colloqui che ben avrebbero potuto svolgersi sui luoghi di lavoro”. Tutti comportamenti per i quali, peraltro, sussistevano precedenti disciplinari regolarmente contestati.<br /><br />Tali comportamenti costituivano, in definitiva, giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro perché minavano in radice il nesso fiduciario necessariamente intercorrente tra il lavoratore e il datore di lavoro.<br /><br />In proposito, il ccnl di categoria ripeteva la formula dell’art. 2119 del codice civile, mentre il codice disciplinare (artt. 12 e 13), prodotto in giudizio dall’azienda, prevedeva per i coordinatori di lavoro altrui il licenziamento nei casi di soste in pubblici esercizi oppure di inattività, o di presenza fuori delle zone di lavoro, o di intrattenimento con altri colleghi.<br /><br />Ma il novum della pronuncia della Suprema Corte sta nell’aver considerato non fondato il motivo del ricorrente che denuncia la violazione degli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori, sostenendo l’illegittimità del licenziamento, preceduto dall’utilizzazione di investigatori privati e del sistema satellitare GPS, di rilevamento dei movimenti dell’autovettura affidata per l’esecuzione della prestazione lavorativa.<br /><br />Secondo gli Ermellini di piazza Cavour, i predetti articoli “impongono modi d’impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti e attrezzature per il controllo a distanza. I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell’obbligazione lavorativa ma non anche comportamenti dei lavoratori lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale. Non sono perciò vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti”.<br /><br />Ciò tanto più vale quando, come nel caso di specie, il lavoro deve essere eseguito fuori dei locali aziendali, ove è più facile la lesione dell’interesse all’esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell’immagine dell’impresa, all’insaputa dell’imprenditore.<br /><br /><a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a><br /><br /><a href="http://ilfoglietto.it/il-foglietto/4386-legittimo-spiare-il-dipendente-con-il-gps.html" title="http://ilfoglietto.it/il-foglietto/4386-legittimo-spiare-il-dipendente-con-il-gps.html" rel="external">http://ilfoglietto.it/il-foglietto/43 ... ipendente-con-il-gps.html</a>
Thu, 4 Feb 2016 10:41:03 +0100
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Corte Ue: chi usa la mail aziendale a fini personali può essere licenziato [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Corte Ue: chi usa la mail aziendale a fini personali può essere licenziato <br />
13 gennaio 2016<br /><br />--------------------------------------------------------------------------------<br /><br /> Corte Ue: chi usa la mail aziendale a fini personali può essere licenziato <br /><br />Per la Corte europea dei diritti dell’uomo il controllo da parte del datore di lavoratore non viola la privacy del lavoratore<br /><br />Con una decisione quasi unanime – 6 voti a 1 – i giudici di Strasburgo hanno stabilito che il controllo, da parte del datore di lavoro, della mail aziendale del dipendente, non viola l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, che tutela il rispetto della privacy nella vita privata, familiare e casalinga, e la relativa corrispondenza.<br /><br />Controllo che può anche legittimare il licenziamento del lavoratore che, con l’utilizzo a fini personali di uno strumento di lavoro aziendale, comprometta, a giudizio dell’azienda, la sua produttività in ufficio.<br /><br />Il caso all’esame della Corte nasce dal ricorso di un cittadino romeno licenziato dal datore di lavoro che aveva scoperto che la messaggeria aziendale veniva utilizzata del dipendente per parlare con il fratello e la fidanzata, infrangendo così le regole interne della società.<br /><br />Inutile il tentativo del ricorrente di invocare la violazione del suo diritto alla privacy: secondo la Corte, oltre a non essere “irragionevole” che un datore di lavoro voglia verificare che i dipendenti portino a termine i propri incarichi durante l’orario di lavoro, l’accesso alla messaggeria aziendale era stato effettuato da parte di quest’ultimo nella convinzione di trovare solo comunicazioni di tipo professionale. In ogni caso, il contenuto delle comunicazioni personali intercettate, la cui riservatezza resta tutelata, non è stato utilizzato per legittimare il licenziamento.<br /><br />In conclusione, per la Corte europea dei diritti dell’uomo, la giustizia romena, nel confermare la legittimità del licenziamento, ha trovato un buon equilibrio tra il diritto alla privacy del dipendente e gli interessi del suo datore di lavoro. Il tutto mentre in Italia si dibatte sui nuovi controlli a distanza previsti dal Jobs Act.<br /><br /> <br /><br />A.G.<br /><a href="http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=56" title="http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=56" rel="external">http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=56</a>
Wed, 13 Jan 2016 22:58:51 +0100
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Congedo parentale,maternita e paternita ,le novita in vigore dal 2015 [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Congedo parentale,maternita e paternita ,le novita in vigore dal 2015<br />
Le novità introdotte dal Decreto n. 80/2015<br /><br /> <br /><br />1. Le modifiche sul testo unico della maternità e paternità: il Decreto Legislativo n.151/2001 dopo il 25 giugno 2015 <br /><br />•l'astensione obbligatoria non goduta a causa di parto prematuro potrà essere fruita dalla lavoratrice madre dopo la nascita del bambino, anche nel caso in cui ciò comporti il superamento dei cinque mesi previsti (nuovo articolo 16 del D. Lgs. n.151/2001);<br /><br /><br />•il congedo parentale (c.d. astensione facoltativa) potrà essere richiesto fino al compimento del dodicesimo anno di vita del bambino (nuovo articolo 32, comma 1), lì dove la precedente norma prevedeva la soglia dell'ottavo anno;<br /><br /><br />•la scelta tra fruizione giornaliera o oraria del congedo parentale è ora consentita al lavoratore, anche in mancanza di una specifica disciplina dettata dalla contrattazione collettiva di qualsiasi livello (nuovo articolo 32, comma 1 ter);<br /><br /><br />•sono ridotti i tempi di comunicazione per la scelta della modalità di fruizione del congedo parentale: il datore di lavoro dovrà essere informato con un preavviso di almeno cinque giorni (non più quindici), ridotti a due qualora si richieda la fruizione ad ore (nuovo articolo 32, comma 3); <br /><br /><br />•il limite entro il quale il congedo parentale dà diritto a una indennità pari al 30% della retribuzione è elevato ai primi 6 anni di vita del bambino (anziché ai primi 3 anni). Dai 6 ai 12 anni il congedo non è retribuito, ad eccezione dei lavoratori con redditi particolarmente bassi (pari a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria – per l'anno 2015 Euro 16.327,68), per i quali l'indennità del 30% è prevista fino all'ottavo anno del bambino (nuovo articolo 34, commi 1 e 3).<br /><br /><br />•è possibile sospendere il congedo di maternità in caso di ricovero del bambino, a condizione che la lavoratrice presenti un certificato medico che attesti l'idoneità alla ripresa dell'attività (articolo 16 bis);<br /><br /><br />•l'indennità di maternità è corrisposta anche alle lavoratrici licenziate per colpa grave integrante giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro (nuovo articolo 24, comma 1). <br /><br /><br />Tali novità si applicano, in via sperimentale, per il solo 2015: la possibilità di fruirne per gli anni successivi è subordinata all'entrata in vigore di ulteriori decreti legislativi che individuino adeguata copertura finanziaria.<br /><br />Resta fermo che le dimissioni volontarie del genitore durante il primo anno di vita del bambino non prevedono obbligo di preavviso al datore di lavoro (nuovo articolo 55, comma 1).<br /><br /><br />Le novità per i genitori adottivi<br /><br />Al fine di evitare disparità e favorire l'inserimento del minore nelle famiglie, è prevista l'estensione delle tutele predisposte per i genitori naturali anche ai genitori adottivi.<br /><br /> Tra le varie novità previste in caso di adozioni internazionali, è introdotta anche:<br /><br />•la possibilità per il padre di richiedere un congedo non retribuito sebbene la madre non sia lavoratrice (nuovo articolo 31, comma 2), in modo che entrambi possano partecipare pienamente a tutte le fasi della procedura di adozione, anche quelle che si svolgono all'estero; <br /><br /><br />•la non obbligatorietà di lavoro notturno, che è estesa anche alle madri o padri adottivi o affidatari duranti i primi di tre anni di ingresso del bambino nella famiglia (nuovo articolo 53, comma 2, lettera 1 bis). <br /><br /><br />Disposizioni a sostegno dei lavoratori autonomi e parasubordinati interessati da un affido o da un'adozione <br /><br />1.L'indennità di maternità sarà fruibile anche dalle libere professioniste, per cinque mesi in caso di adozione e per tre mesi nell'ipotesi di affido (nuovo articolo 72, comma 1).<br /><br /><br />2.Le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata dell'INPS possono richiedere l'indennità di maternità della durata di cinque mesi dall'ingresso del minore in famiglia, fruibile anche dal padre in caso di morte, grave infermità o abbandono della madre (articolo 66, comma 1 bis). <br /><br /><br />3.E' recepito il principio per cui l'omissione contributiva del committente non ha ripercussioni sulla fruizione dell'indennità di maternità per i lavoratori iscritti alla Gestione Separata, altrimenti ingiustamente condizionati dal comportamento illecito di un terzo (articolo 64 ter).<br /><br /><br />4.Anche laddove la madre sia lavoratrice autonoma, in caso di morte o infermità grave della stessa o in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre - lavoratore autonomo - quest'ultimo può fruire del congedo di paternità (articolo 66, comma 1 bis). <br /><br /><br />Le novità di cui ai punti 2, 3 e 4 avranno validità anche per gli anni successivi al 2015 subordinatamente all'entrata in vigore dei decreti legislativi che ne individuino la copertura finanziaria.<br /><br /> <br /><br />2. Violenza di genere <br /><br />Per il 2015 le vittime di violenza di genere (come individuate dal Decreto Legge 93/2013 convertito nella Legge 119/2013), lavoratrici dipendenti o parasubordinate sia del privato che del pubblico, potranno richiedere un'astensione per un periodo massimo di tre mesi dall'attività lavorativa, per motivi legati al percorso di protezione. La fruizione del congedo potrà avvenire su base giornaliera od oraria nell'arco dei tre anni, secondo modalità stabilite dagli accordi collettivi; in loro assenza, si avrà riguardo alle esigenze della lavoratrice stessa. <br /><br />Durante il periodo di congedo la lavoratrice percepirà un'indennità parametrata all'ultima retribuzione.<br /><br />Le lavoratrici vittime di violenza potranno inoltre chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, verticale od orizzontale, ove disponibili in organico. Il part time concesso dovrà essere trasformato nuovamente in full time su richiesta della lavoratrice (articolo 24 - d. lgs.n. 80/2015).<br /><br /> <br /><br />3. Telelavoro e azioni di conciliazione <br /><br />Sono introdotti benefici per i datori di lavoro che utilizzeranno forme di organizzazione tese ad una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei propri dipendenti:<br /><br />•i lavoratori ammessi al telelavoro possono essere esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da disposizioni di legge o di contratto collettivo per l'applicazione di particolari normative ed istituti (articolo 23 - d. lgs. n. 80/2015);<br /><br /><br />•In via sperimentale, per il triennio 2016-2018, il 10% del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello è destinata alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata. Saranno definiti in un apposito decreto interministeriale i criteri e le modalità per accedere a questo nuovo sgravio. Nello stesso decreto, inoltre, saranno delineate linee guida e modelli utili per incoraggiare la diffusione delle buone pratiche (articolo 25 - d. lgs. n. 80/2015).<br /><br /><a href="http://www.lavoro.gov.it/Priorita/Pages/20150805_Conciliazione-vita-lavoro---scheda-di-sintesi.aspx" title="http://www.lavoro.gov.it/Priorita/Pages/20150805_Conciliazione-vita-lavoro---scheda-di-sintesi.aspx" rel="external">http://www.lavoro.gov.it/Priorita/Pag ... ---scheda-di-sintesi.aspx</a>
Wed, 13 Jan 2016 17:33:08 +0100
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Circolare MISE – Requisiti minimi dei sistemi di comunicazione radio e/o telefonica [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Circolare MISE – Requisiti minimi dei sistemi di comunicazione radio e/o telefonica <br />
Circolare MISE – Requisiti minimi dei sistemi di comunicazione radio e/o telefonica <br />Il 24 novembre scorso, presso il Ministero dello Sviluppo Economico – Direzione Generale per le Attività Territoriali, FederSicurezza, insieme alle altre associazioni rappresentative degli istituti di vigilanza privata, ha preso parte ad un incontro di consultazione in merito alla bozza di Circolare sulle “Modalità operative per l’accertamento della sussistenza dei requisiti minimi dei sistemi di comunicazione radio e/o telefonica di cui all’Allegato E del D.M. n. 269/2010, come sostituito dall’Allegato 1 del D.M. n. 56/2010”.<br /><br />Al termine della fase di consultazione, tenendo conto dei contributi pervenuti e in raccordo con il Dipartimento della pubblica sicurezza – Ufficio per gli affari della polizia amministrativa e sociale, è stata emanata la Circolare in commento, che contiene le indicazioni tecnico-operative per uniformare la modulistica e le procedure relative all’attività svolta dagli Ispettorati territoriali per la verifica dei requisiti minimi dei sistemi di comunicazione radio e/o telefonica degli istituti di vigilanza privata, ai sensi dell’Allegato E del D.M. n. 269/2010, come sostituito dall’Allegato 1 del D.M. n. 56/2010.<br /><br />Il documento contiene anche un fac-simile del verbale di accertamento utilizzato dai funzionari degli Ispettorati territoriali nel corso delle ispezioni presso gli Istituti di Vigilanza, che può tornare utile come guida da seguire per un’eventuale preventiva verifica interna.<br /><br />La Circolare, in allegato, sarà operativa a partire dall’inizio del 2016<br /><br /><a href="http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=45" title="http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=45" rel="external">http://www.federsicurezza.it/news.aspx?newId=45</a>
Fri, 4 Dec 2015 20:10:44 +0100
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Lavoratore spiato con il gps? Confermato il licenziamento [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Lavoratore spiato con il gps? Confermato il licenziamento<br />
Lavoratore spiato con il gps? Confermato il licenziamento<br /><br />Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 12/10/2015 n° 20440<br />Con la sentenza numero 20440/2015, depositata il 12 ottobre, i Giudici di legittimità hanno dichiarato legittimo il licenziamento perpetrato in danno di un lavoratore dopo una serie di controlli svolti con il sistema satellitare GPS e con un’agenzia investigativa.<br /><br /><br /><br />Il caso approda in Cassazione dalla Corte d’Appello di Torino, la quale, con pronunzia del novembre 2013, ha confermato la decisione del Tribunale di prime cure di rigetto del ricorso proposto dal lavoratore per la declaratoria di illegittimità del licenziamento.<br /><br /><br /><br />Nel caso esaminato il lavoratore interessato dal licenziamento svolgeva le mansioni di coordinatore dell’operato di altri dipendenti addetti alla nettezza urbana nel territorio di alcuni comuni della provincia di Torino, con orario dalle sei alle dodici e trenta e l’utilizzo del veicolo della società.<br /><br /><br /><br />La Corte piemontese ha evidenziato che nelle comunicazioni di addebito fatte al lavoratore gli veniva contestato, giustamente, l’allontanamento dalla zona di attività e le numerose pause. Ha osservato, ulteriormente, che è lecito il controllo svolto dalla società datrice al di fuori dei locali aziendali mediante guardie giurate, o simili, e con l’uso di strumenti per la localizzazione degli automezzi (GPS) e che, comunque, anche se il lavoratore è dotato di una certa autonomia operativa è sempre tenuto al rispetto dei limiti temporali della pause e al rispetto dei limiti dei territori di competenza.<br /><br /><br /><br />I comportamenti del lavoratore hanno, dunque, costituito una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro poiché hanno compromesso il rapporto fiduciario intercorrente tra il lavoratore e il datore<br /><br /><br /><br />Il lavoratore ricorre in Cassazione contestando la mancata immediatezza della contestazione disciplinare, l’illegittimità del licenziamento e l’intenzionalità dell’illecito. Gli Ermellini hanno ritenuto infondati tutti i motivi addotti dal lavoratore. <br /><br /><br /><br />La Corte, in particolare si è soffermata sulla legittimità del licenziamento preceduto dall’utilizzo di investigatori privati e del sistema di controllo GPS installato sull’autovettura utilizzata dal lavoratore.<br /><br /><br /><br />Le norme dello Statuto dei Lavoratori impongono modi di impiego specifici delle guardie giurate, del personale di vigilanza e delle attrezzature per il controllo a distanza. Ma tali divieti, sottolinea la Corte, “riguardano il controllo sui modi di adempimento dell’obbligazione lavorativa, ma non anche i comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale.” <br /><br /><br /><br />Per tale ragione non sono illegittimi i controlli difensivi, quei controlli, in altri termini, che hanno lo scopo di evidenziare comportamenti estranei alla normale attività lavorativa. <br /><br /><br /><br />Tale orientamento, peraltro, è pacifico e consolidato, argomenta la Corte, tanto più come nel caso oggetto di esame, quando l’attività lavorativa è espletata al di fuori dei locali aziendali.<br /><br /><br /><br />Merita breve cenno anche il quarto motivo di doglianza del lavoratore inerente la scelta dei minuti di pausa.<br /><br /><br /><br />Secondo la Corte, è assolutamente da escludere che la determinazione del tempo e della durata delle pause di riposo - che non bisogna confondere con la necessità fisiologica di recarsi ai servizi igienici - sia rimessa all’arbitrio del lavoratore. <br /><br /><a href="http://www.altalex.com/documents/news/2015/11/12/lavoratore-spiato-con-il-gps-licenziamento" title="http://www.altalex.com/documents/news/2015/11/12/lavoratore-spiato-con-il-gps-licenziamento" rel="external">http://www.altalex.com/documents/news ... -con-il-gps-licenziamento</a>
Thu, 12 Nov 2015 09:20:06 +0100
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Corte Ue, risoluzione contratto per rifiuto taglio salario è licenziamento [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Corte Ue, risoluzione contratto per rifiuto taglio salario è licenziamento<br />
Economia <br />loading<br />Corte Ue, risoluzione contratto per rifiuto taglio salario è licenziamento <br />ore 11.25 del 11 novembre 2015<br />Per i giudici di Lussemburgo quando la cessazione del rapporto di lavoro "è imputabile alla modifica unilaterale apportata dal datore di lavoro a un elemento sostanziale del contratto di per ragioni non inerenti alla persona della lavoratrice stessa" si tratta di un licenziamento<br />Invia<br />6<br /> <br />MILANO - Chiudere un contratto di lavoro perché un dipendente ha rifiutato una riduzione salariale o un'altra modifica "sostanziale e unilaterale" del contratto, equivale ad un licenziamento: lo ha stabilito la Corte di Giustizia Ue. "La risoluzione di un contratto di lavoro in seguito al rifiuto del lavoratore di acconsentire a una modifica unilaterale e sostanziale, a suo svantaggio, degli elementi essenziali del contratto costituisce un licenziamento ai sensi della direttiva sui licenziamenti collettivi", scrive la Corte.<br /><br /> "Il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso rientra nella nozione di 'licenziamento' ai sensi della direttiva. La Corte ricorda che i licenziamenti si caratterizzano per la mancanza di consenso da parte del lavoratore", si legge nella sentenza.<br /><br />La Corte si è pronunciata su un caso spagnolo nel quale, in sintesi, il dipendente di un'azienda che aveva chiuso numerosi contratti di lavoro per motivi e con modalità differenti, voleva vedere applicata la legge sui licenziamenti collettivi che l'azienda invece negava, avendo chiuso dei contratti anche con il consenso di alcuni dipendenti. Tra essi, una lavoratrice che aveva acconsentito alla risoluzione consensuale dopo aver rifiutato una decurtazione dello stipendio del 25%.<br /><br />Ma, scrive la Corte, in questo caso la cessazione del rapporto di lavoro "è imputabile alla modifica unilaterale apportata dal datore di lavoro a un elemento sostanziale del contratto di per ragioni non inerenti alla persona della lavoratrice stessa. Tale cessazione costituisce quindi un <a href="licenziamentohttp://m.repubblica.it/mobile/r/sezioni/economia/2015/11/11/news/corte_ue-127097193?rss=" title="licenziamentohttp://m.repubblica.it/mobile/r/sezioni/economia/2015/11/11/news/corte_ue-127097193?rss=" rel="external">licenziamentohttp://m.repubblica.it/mobile/r/sezio ... s/corte_ue-127097193?rss=</a>
Wed, 11 Nov 2015 13:14:36 +0100
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Re: La suprema Corte di Cassazione con la sentenza citata, afferma che la Guardia Particolare Giurata an [da WuMing]
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LEGGI E SENTENZE:: La suprema Corte di Cassazione con la sentenza citata, afferma che la Guardia Particolare Giurata an<br />
Era evidente fin dall'inzio, il TAR l'aveva fregata in partenza e detto chiaramente non poteva fare diversamente!!!<br />Ha reso il decreto da g.p.g. sulla forza della motivazione di autosufficienza economica venuta a mancare col ritiro della concessione (attenzione a chi legge, la concessione non è un atto dovuto da parte dello stato, non è un diritto, è e resta una concessione, come ai tempi del monarca che per sua gentile grazia concedeva) del decreto da g.p.g., ma poi non ha potuto usare la stessa ermeneutica per la concessione del porto d'armi.<br />Il contratto è scritto da gente che queste robe le sa benissimo, le scrivono in questo modo per fregarti in partenza, ecco perché fanno il combinato disposto di decreto da g.p.g. e decreto per l'arma, sanno a priori che così facendo licenziano senza se e senza ma, con la giurisprudenza dalla loro parte.<br />E i sindacati complici padronali firmano!!!<br />Una follia fare ricorso in Cassazione dovendo pagare le spese legali e processuali.<br />Io non l'avrei fatta tenendomi quei soldi.<br />Questa è la legge.
Mon, 19 Oct 2015 01:31:31 +0200
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“Assolto da procedimento, veicolo non di proprietà”, ‘reintegrato’ vigilante foggiano [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: “Assolto da procedimento, veicolo non di proprietà”, ‘reintegrato’ vigilante foggiano<br />
16 ott 2015, 22:36<br /><br />Ricorso di un privato contro l'U.T.G. Prefettura di Foggia e il Ministero dell'Interno<br /><br />“Assolto da procedimento, veicolo non di proprietà”, ‘reintegrato’ vigilante foggiano<br /><br />All’esito della Pubblica Udienza del 2.7.2015, per la quale le parti non hanno prodotto memorie, la causa è passata in decisione<br /> <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><a href="http://www.infodifesa.it" title="www.infodifesa.it" rel="external">www.infodifesa.it</a><br /><br /><br /><br />Di: Redazione<br /><br /><br /><br /><br />ADVERTISEMENT<br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br /><br /><br />Condividi Tweet<br /><br /><br />Bari. ”(..) In tale ottica, l’aver accertato nel luglio 2013 lo svolgimento dell’attività in questione pur con i titoli scaduti, allorquando il loro rinnovo era stato tempestivamente richiesto e nell’attesa che il procedimento venisse ad una conclusione, nonostante le reiterate, e disattese, richieste in tal senso, non pare, a giudizio del Collegio, circostanza che da sola possa giustificare il mancato rinnovo delle autorizzazioni di polizia per sopravvenuta inaffidabilità e perdita del requisito della buona condotta del ricorrente, il quale fino all’evento contestatogli si è rivelato persona esente da mende, distintosi per di più nell’esercizio della propria attività professionale”. Con recente sentenza, la seconda sezione del TAR Puglia di Bari – definitivamente pronunciandosi – hanno accolto il ricorso di un privato contro l’U.T.G. Prefettura di Foggia e il Ministero dell’Interno, per l’annullamento – previa sospensione dell’efficacia – del provvedimento del 29.04.2014, notificato il 02.06.2014, con il quale sono state rigettate “le istanze intese ad ottenere rispettivamente il rinnovo del decreto di nomina a guardia particolare giurata, ed il rinnovo dell’autorizzazione al porto di pistola”.<br /> <br />Attraverso il ricorso l’uomo aveva impugnato “il provvedimento di rigetto delle istanze tese ad ottenere il rinnovo del titolo di guardia particolare giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola, lamentando in sintesi, il difetto di motivazione, la violazione dell’art. 11 RD 773/1931 e l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto ed illogicità manifesta, in cui sarebbero incorse le Amministrazioni intimate“. “(…) nell’ottobre 2012 veniva presentata istanza di rinnovo dei titoli di polizia in questione, in scadenza il 21.11.2012, e che in data 3.4.2013 la Prefettura di Foggia comunicava la presenza di motivi ostativi all’accoglimento, consistenti, in particolare, nella pendenza di un procedimento penale a carico dell’istante (…) e nell’aver riscontrato parti di autocarro oggetto di furto montati su un mezzo di proprietà dello stesso, circostanze tali da determinare l’insussistenza in capo all’interessato dei requisiti di cui all’art.138 TULPS”. “A tale comunicazione, seguivano le osservazioni e controdeduzioni della parte, e successivamente – dopo circa sette mesi – la Prefettura provvedeva ad integrare il preavviso ex 10bis, segnalando, quale ulteriore motivo ostativo, l’avvenuto accertamento da parte degli locali organi di polizia, dello svolgimento dell’attività di guardia giurata in assenza di autorizzazione, in quanto i titoli risultavano già scaduti”.<br /> <br />“Infine, a seguito della nota del 31.1.2014, nella quale il difensore di parte, sollecitando la conclusione del procedimento, evidenziava l’insussistenza dei motivi ostativi indicati dall’Amministrazione, in quanto il procedimento penale a carico del ricorrente si era concluso con la sua assoluzione e lo stesso non risultava tra gli indagati per il procedimento relativo al veicolo, l’Amministrazione adottava comunque il provvedimento di rigetto, datato 29.4.2014, del quale il ricorrente chiede pertanto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia. In data 6.10.2014, si costituivano in giudizio, per mezzo dell’Avvocatura Distrettuale, le Amministrazioni in epigrafe indicate, chiedendo il rigetto delle domande proposte e depositando a tal fine la relazione prefettizia”.<br /> <br />“Alla Camera di Consiglio del 23.10.2014, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare ”atteso che sono venuti meno i motivi ritenuti dall’Amministrazione ostativi all’accoglimento delle istanze di rinnovo dei titoli di polizia in capo al ricorrente”, rilevando altresì ”che in materia di rinnovo del titolo di guardia giurata, l’Amministrazione è tenuta a valutare rigorosamente la personalità del soggetto richiedente, in considerazione dell’incidenza delle determinazioni amministrative sulla posizione professionale dell’istante”.<br /> <br />All’esito della Pubblica Udienza del 2.7.2015, per la quale le parti non hanno prodotto memorie, la causa è passata in decisione.<br /> <br />Il Collegio ha ritenuto di confermare quanto sommariamente rilevato in sede cautelare. “Invero, l’Amministrazione ha ritenuto che le circostanze evidenziate nelle due comunicazioni di preavviso di rigetto delineassero una condotta non affidabile del ricorrente, rischiosa per la sicurezza pubblica e privata, tanto da giustificare, prima ancora, la revoca delle licenze di porto di fucile per uso caccia e porto di fucile per difesa personale da parte del Questore di Foggia – frattanto intervenuta in data 9.12.2013, e quindi il successivo diniego al rinnovo dei titoli di polizia oggetto dell’odierna causa. Tuttavia, come provato dalla parte, tali motivi ostativi si sono rivelati estranei alla sua persona, essendosi il procedimento penale a suo carico concluso con la completa assoluzione dello stesso e risultando inoltre il veicolo, su cui erano montati pezzi oggetto di furto, non più di sua proprietà al momento del controllo, tanto che il ricorrente non è mai stato iscritto nel registro degli indagati”.<br /> <br />“Vero è che il provvedimento impugnato sembra aver tenuto conto della insussistenza dei motivi evidenziati nel primo preavviso di rigetto, allorchè nelle sue premesse gli stessi non sono affatto menzionati. Il decreto prefettizio poggia infatti sul presupposto dell’espletamento, da parte del ricorrente, dell’attività di vigilanza armata con i titoli scaduti, fatto che ha determinato, prima ancora, la Questura di Foggia a revocare le licenze di porto di fucile rilasciate (…)”.<br /> <br />“Tuttavia, la suddetta circostanza, seppure astrattamente idonea a denotare un potenziale abuso dei titoli di polizia, va in realtà inquadrata correttamente nel contesto in cui l’intera vicenda si è svolta, nell’ottica di una valutazione complessiva della personalità del soggetto interessato. La valutazione dei requisiti necessari all’esercizio delle funzioni di guardia particolare giurata va infatti esercitata da parte dell’autorità di Pubblica Sicurezza nel rispetto dei canoni tipici della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale, che sotto quello della coerenza logica e della ragionevolezza, dandosi conto in motivazione dell’adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare le circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto richiedente sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi. Nella specie, il rinnovo dei titoli è stato invero tempestivamente richiesto dall’istituto di vigilanza presso il quale la parte lavora prima della scadenza delle autorizzazioni, e nelle more della definizione del procedimento di rinnovo, durato oltre 18 mesi, il ricorrente è stato impiegato dal proprio datore di lavoro quale guardia giurata, sino presumibilmente all’ottobre 2013, allorquando l’amministratore unico della società di vigilanza ha interpellato, infruttuosamente, la Prefettura sull’esito del procedimento di rinnovo e sul possibile utilizzo del dipendente per servizi non comportanti l’uso dell’arma, fino ad un possibile suo licenziamento”.<br /> <br />“(…) non pare, a giudizio del Collegio, circostanza che da sola possa giustificare il mancato rinnovo delle autorizzazioni di polizia per sopravvenuta inaffidabilità e perdita del requisito della buona condotta del ricorrente, il quale fino all’evento contestatogli si è rivelato persona esente da mende, distintosi per di più nell’esercizio della propria attività professionale”.<br /><a href="http://www.statoquotidiano.it/16/10/2015/assolto-dal-procedimento-veicolo-non-di-proprieta-reintegrato-vigilantes-foggiano/390122/" title="http://www.statoquotidiano.it/16/10/2015/assolto-dal-procedimento-veicolo-non-di-proprieta-reintegrato-vigilantes-foggiano/390122/" rel="external">http://www.statoquotidiano.it/16/10/2 ... gilantes-foggiano/390122/</a>
Sun, 18 Oct 2015 20:17:05 +0200
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Fissate le regole per il corretto uso dei dati sull’affidabilità commerciale di imprenditori e manag [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22516&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Fissate le regole per il corretto uso dei dati sull’affidabilità commerciale di imprenditori e manag<br />
Fissate le regole per il corretto uso dei dati sull’affidabilità commerciale di imprenditori e manager<br /><br /><br /><br />Le società che offrono informazioni sull'affidabilità commerciale di imprenditori e manager potranno raccogliere dati solo da fonti pubbliche o direttamente dall'interessato. I dossier dovranno essere sempre aggiornati e la conservazione dei dati avrà precisi limiti temporali. Queste alcune tra le principali misure prescritte dal "Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato a fini di informazione commerciale", promosso dal Garante della privacy e redatto insieme a varie associazioni di categoria, imprenditoriali e dei consumatori, interessate al settore.<br /><br />Il nuovo Codice, sottoscritto dalle associazioni e pubblicato oggi sulla Gazzetta ufficiale, interviene a regolare un settore particolarmente importante per il corretto funzionamento del mercato. Le società che offrono informazioni commerciali, infatti, grazie al loro lavoro di valutazione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale, sono in grado di segnalare eventuali rischi relativi a soggetti in affari.<br /><br />Tuttavia, come ha più volte sottolineato il Garante, intervenuto negli anni a seguito di numerosi ricorsi e segnalazioni su queste attività, il non corretto utilizzo di banche dati e di strumenti di analisi così invasivi può arrecare seri danni alla dignità e alla riservatezza delle persone coinvolte, nel caso, ad esempio, in cui venissero raccolte e utilizzate informazioni inesatte, non aggiornate o che devono rimanere private.<br /><br />"Con questa consapevolezza - sottolinea il Presidente dell'Autorità, Antonello Soro - si sono individuate soluzioni innovative alle criticità emerse nella pratica quotidiana, coniugando esigenze di semplificazione degli adempimenti cui le società di informazione commerciale sono tenute, con il diritto alla protezione dei dati personali dei soggetti coinvolti. Si è così declinato, in forme nuove, quel bilanciamento tra libertà dell'iniziativa economica privata e sicurezza, dignità, libertà individuale".<br /><br />Ecco in sintesi le regole più rilevanti fissate dal Codice di deontologia alle quali dovranno attenersi tutti gli operatori del settore:<br /><br />Ricerche limitate a persone con legami giuridici o economici<br />Per realizzare un dossier di informazione commerciale su un manager o un imprenditore, si possono utilizzare solo i suoi dati personali, oppure quelli di persone fisiche o giuridiche che con lui hanno o hanno avuto legami economici o giuridici.<br /><br />Informazioni pubbliche o liberamente comunicate<br />Sono utilizzabili i dati provenienti da "fonti pubbliche", come i pubblici registri, gli elenchi, i documenti conoscibili da chiunque (bilanci, informazioni contenute nel registro delle imprese presso le Camere di Commercio, atti immobiliari e altri atti c.d. pregiudizievoli come l'iscrizione di ipoteca o la trascrizione di pignoramento, decreti ingiuntivi o altri atti giudiziari).<br />Per la prima volta, saranno utilizzabili a questi fini anche i dati estratti da "fonti pubblicamente e generalmente accessibili da chiunque", come le testate giornalistiche cartacee o digitali, oltre che informazioni attinte da elenchi telefonici, da siti web di enti pubblici o altre autorità di vigilanza e controllo.<br />Tutti questi dati, come previsto dal Codice della privacy, possono essere trattati senza il consenso degli interessati.<br />Potranno essere utilizzati anche i dati personali che il soggetto stesso ha liberamente deciso di comunicare al fornitore di informazioni commerciali.<br />Gli operatori dovranno sempre annotare la fonte da cui hanno tratto i dati personali sulla persona censita.<br /><br />Informativa e pronto riscontro agli interessati<br />Tutte le società del settore dovranno pubblicare un'informativa completa almeno sul proprio sito web. Quelle con un fatturato superiore a 300.000 euro (in questo ambito di attività) dovranno realizzare insieme un unico portale dove inserire le comunicazioni sulle attività di informazione commerciale.<br />E' previsto inoltre l'obbligo per gli operatori del settore di garantire un riscontro telematico, tempestivo e completo, alle richieste in materia di privacy avanzate dalle persone censite.<br /><br />Limiti all'utilizzo e alla conservazione dei dati<br />I dati personali possono essere conservati solo per periodi di tempo ben definiti e, comunque, trattati nel rispetto dei limiti alla conoscibilità, all'utilizzabilità e alla pubblicità dei dati previsti dalle normative di riferimento (ad esempio quella sulla trasparenza o sulla pubblicità legale degli atti).<br />Potranno essere trattati anche dati giudiziari (come quelli relativi ad un'eventuale condanna, ad esempio, per bancarotta fraudolenta) della persona censita. Tali informazioni, se tratte da un giornale, o da un'altra fonte pubblicamente e generalmente accessibile, non possono risalire a più di sei mesi prima.<br /><br />Dati sempre pertinenti e aggiornati<br />Gli operatori del settore dovranno utilizzare solo dati pertinenti e non eccedenti l'attività di informazione commerciale. I dati dovranno essere sempre aggiornati.<br /><br />Sicurezza delle informazioni<br />Le società dovranno adottare misure per garantire la sicurezza, l'integrità e la riservatezza delle informazioni commerciali.<br />Il nuovo Codice di deontologia entrerà in vigore il 1 ottobre 2016, così da offrire agli operatori il tempo necessario per poter conformare le banche dati e i sistemi informativi alle prescrizioni stabilite. A partire da quella data, qualunque trattamento di dati personali per finalità di informazione commerciale non conforme al testo appena sottoscritto sarà considerato illecito.<br /><br /><br /> Fonte: Garante per la protezione dei dati personali<br /><br /><a href="http://www.stopsecret.it/Informazioni-Commerciali/Informazioni-commerciali-a-prova-di-privacy-il-Garante-vara144473199023524" title="http://www.stopsecret.it/Informazioni-Commerciali/Informazioni-commerciali-a-prova-di-privacy-il-Garante-vara144473199023524" rel="external">http://www.stopsecret.it/Informazioni ... rante-vara144473199023524</a>
Tue, 13 Oct 2015 16:27:48 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22516&forum=22
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La Cassazione: “pedinare” un dipendente col Gps è lecito [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22515&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: La Cassazione: “pedinare” un dipendente col Gps è lecito<br />
Il licenziamento del dipendente che si allontana dal posto di lavoro sulla base di un “pedinamento” portato avanti col sistema Gps installato sull’auto aziendale è legittimo: lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 20440/15, respingendo il ricorso di un coordinatore di addetti alla nettezza urbana della provincia di Torino, accusato di esser stato “pizzicato” in un bar in orario lavorativo “per conversare, ridere o scherzare coi colleghi”. Già in primo grado e in Appello era stato dato torto al lavoratore.<br /><br />Secondo quanto afferma la Cassazione, lo Statuto dei lavoratori impone “modi d’impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti ed attrezzature per il controllo a distanza. I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell’obbligazione lavorativa ma non anche comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale”.<br /><br />“Non sono perciò vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti”, scrive la Cassazione, a maggior ragione se questi avvengono al di fuori dei locali aziendali, “in luoghi in cui è più facile la lesione dell’interesse all’esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell’immagine dell’impresa, all’insaputa dell’imprenditore”.<br /><br />Molte polemiche aveva provocato nei mesi scorsi la norma contenuta nel Jobs Act in materia di controllo a distanza dei lavoratori, la quale prevede che “accordo sindacale o autorizzazione ministeriale non sono necessari per l’assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore”, ad esempio attraverso dispositivi mobili come gli smartphone. Tale norma era stata criticata anche dal Garante della privacy, Antonello Soro.<br /><br /><br /><br />GM<br /><br /><a href="http://www.direttanews.it/2015/10/13/la-cassazione-pedinare-un-dipendente-col-gps-e-lecito/" title="http://www.direttanews.it/2015/10/13/la-cassazione-pedinare-un-dipendente-col-gps-e-lecito/" rel="external">http://www.direttanews.it/2015/10/13/ ... endente-col-gps-e-lecito/</a>
Tue, 13 Oct 2015 16:25:50 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22515&forum=22
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Re: Festivi Infrasettimanali [da WuMing]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22509&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Festivi Infrasettimanali<br />
Aggiro il blocco degli allegati dandovi i link diretti alle sentenze.<br />Comincio dall'ultima sentenza, la n. 16592/2015.<br /><br /><a href="http://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2015/09/cass_2015_16592.pdf" title="http://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2015/09/cass_2015_16592.pdf" rel="external">http://www.bollettinoadapt.it/wp-cont ... 15/09/cass_2015_16592.pdf</a><br /><br />Proseguo e concludo con la sentenza n. 16634/2005 <br /><br /><a href="http://www.certificazione.unimore.it/site/home/documento124002627.html" title="http://www.certificazione.unimore.it/site/home/documento124002627.html" rel="external">http://www.certificazione.unimore.it/ ... e/documento124002627.html</a>
Tue, 13 Oct 2015 07:39:28 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22509&forum=22
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Re: I controlli a distanza sui lavoratori dopo i decreti attuativi del Jobs Act [da WuMing]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22503&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: I controlli a distanza sui lavoratori dopo i decreti attuativi del Jobs Act<br />
Semplifichiamo: art 1, per le videocamere serve ancora l'accordo sindacale autorizzativo o il permesso della DTL, la novità è che si possono mettere pure per la tutela del patrimonio aziendale, ergo ora è impossibile negare l'installazione, la motivazione sussiste sempre.<br />Art. 2 è ammesso il controllo senza le condizioni dell'art. 1 con tutti i mezzi che il lavoratore utilizza per svolgere la mansione.<br />Art. 3, usando la legge 196/03 sulla Privacy vi possono spiare in lungo e in largo con la formulazione che Altalex mette come domanda, la cui risposta è affermativa.<br />Dal 23 settembre siamo tutti nel grande fratello e il nostro caro padrone ci spia senza problemi quando gli pare e come gli piace, per fare fuori chi rivendica diritti.<br />Il progressivo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori è una costante sottrazione di democrazia nel rapporto di lavoro.<br />Diritti giustissimi conquistati con durissime lotte oggi non trovano difensori neppure nei lavoratori.<br />Ecco come si scivola dalla democrazia all'autoritarismo.
Mon, 12 Oct 2015 13:54:38 +0200
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Sentenza UE: Gli spostamenti casa-lavoro nell’orario di lavoro da retribuire. Ecco quando [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22380&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Sentenza UE: Gli spostamenti casa-lavoro nell’orario di lavoro da retribuire. Ecco quando<br />
Sentenza UE: Gli spostamenti casa-lavoro nell’orario di lavoro da retribuire. Ecco quando<br /> <br /><br />Un importante sentenza della Corte di Giustizia Europa chiarisce che gli spostamenti (il tragitto casa-lavoro) rientrano nell’orario di lavoro e sono da retribuire in busta paga. Il caso riguarda i lavoratori che non hanno un luogo di lavoro fisso e sono impegnati in spostamenti quotidiani decisi dal datore di lavoro. Vediamo nel dettaglio<br /><br />di Antonio Barbato<br /><br />Arriva una importante pronuncia della Corte di Giustizia europea in materia di orario di lavoro: “Il tempo di spostamento deve essere considerato come orario di lavoro”. Più precisamente, i lavoratori che non hanno un luogo di lavoro fisso e abituale hanno diritto a vedersi riconosciuto come orario di lavoro retribuito gli “spostamenti quotidiani dal proprio domicilio ai luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal datore di lavoro”. La sentenza ha un impatto importante sulla determinazione dell’orario di lavoro (e relativi limiti e riposi spettanti) e della retribuzione spettante ai lavoratori che abitualmente svolgono lavori e mansioni per le quali l’utilizzo dell’automobile (aziendale e non) è d’obbligo, come ad esempio i dipendenti addetti alle vendite ed ai rapporti con la clientela. La sentenza chiarisce in quali casi va retribuito il tragitto casa-lavoro. Secondo la Corte, nel caso in questione, quello dei lavoratori che lavorano svolgendo una mansione per la quale sono abitualmente impegnati in spostamenti quotidiani, essendo i lavoratori sostanzialmente “a disposizione del datore di lavoro”, di fatto mettono le proprie energie lavorative a disposizione di quest’ultimo anche nei trasferimenti casa-lavoro, o per meglio dire, nei trasferimenti dalla propria abitazione al primo cliente (ad inizio giornata lavorativa) e dall’ultimo cliente al proprio domicilio (a fine giornata lavorativa). Sono orario di lavoro gli spostamenti, chiarisce la Corte, solo nel caso in cui i clienti da raggiungere sono indicati dal datore di lavoro giorno per giorno. E pertanto in questo caso il datore di lavoro sottopone il lavoratore al proprio potere direttivo e di controllo. <br /><br /><br /><br /><br /> <br /> googletag.cmd.push(function() { googletag.display("div-banner-6"); });<br /> <br /><br /><br />Vediamo nel dettaglio il contenuto della Sentenza UE e le motivazioni. Il caso La Sentenza della Corte UE è intervenuta in un ricorso di una società spagnola, che vende impianti antifurto e antincendio. Questa società ha chiuso tutti i suoi uffici regionali ed ha affidato la propria rete di vendita a propri dipendenti che operano su tutto il territorio spagnolo, dotati di automobile societaria e di cellulari aziendali. La società spagnola per ogni proprio operatore di vendita fissava tutti gli interventi di giornata e quindi determinava, con il proprio potere direttivo, tutti gli spostamenti quotidiani che ogni operatore doveva fare dal proprio domicilio al primo cliente. Ed anche a fine giornata, di conseguenza, dall’ultimo cliente all’abitazione del proprio dipendente. La sentenza La Corte di Giustizia Europea ha stabilito nella propria sentenza che gli spostamenti sono da considerarsi orario di lavoro. E quindi i dipendenti vanno pagati anche per il tempo impiegato per recarsi da casa al luogo di incontro con i propri clienti. Vediamo perché. La Corte richiama la nozione di orario di lavoro: L’art. 2, punto 1) della direttiva europea n. 2003/88 definisce l’ «orario di lavoro» come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali”. Secondo la Corte “affinché un lavoratore possa essere considerato a disposizione del proprio datore di lavoro, tale lavoratore deve essere posto in una situazione nella quale è obbligato giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro e ad esercitare la propria attività per il medesimo”. Di contro: “dalla giurisprudenza della Corte emerge che la possibilità per i lavoratori di gestire il loro tempo in modo libero e di dedicarsi ai loro interessi è un elemento che denota che il periodo di tempo in questione non costituisce orario di lavoro ai sensi della direttiva 2003/88”. Quindi la questione è: gli spostamenti sono un obbligo del lavoratore da retribuire oppure quest’ultimi conservano una possibilità di gestire il proprio tempo libero? Nel caso specifico, come detto, la società fissava l’elenco e l’ordine dei clienti, che devono essere seguiti dai lavoratori di cui al procedimento principale, nonché l’orario degli appuntamenti presso i suoi clienti. Quindi secondo la Corte di Giustizia “detti lavoratori non hanno la possibilità di disporre liberamente del loro tempo e di dedicarsi ai loro interessi, e pertanto essi sono a disposizione dei loro datori di lavoro”. Quindi “se un lavoratore che non ha più un luogo di lavoro fisso esercita le sue funzioni durante lo spostamento che effettua verso un cliente od in provenienza da questo, tale lavoratore deve essere considerato come al lavoro anche durante tale tragitto”. E questo perché “gli spostamenti sono intrinseci alla qualità di lavoratore che non ha un luogo di lavoro fisso od abituale”. E tale constatazione “non può essere inficiata dalla circostanza che i lavoratori, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, comincino e terminino tali tragitti presso il loro domicilio”. Quindi pur se partono da casa, sempre orario di lavoro è da considerarsi. I lavoratori infatti “hanno perso la possibilità di determinare liberamente la distanza che separa il loro domicilio dal luogo abituale di inizio e di fine della loro giornata lavorativa”. E tale situazione è contrario “all’obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, perseguito dalla direttiva 2003/88, nel quale rientra la necessità di garantire ai lavoratori un periodo minimo di riposo”. La Corte conclude: “qualora alcuni lavoratori che si trovano in circostanze come quelle di cui al procedimento principale utilizzino un veicolo di servizio per recarsi, durante la giornata lavorativa, dal loro domicilio presso un cliente indicato dal loro datore di lavoro o per tornare al loro domicilio dal luogo in cui si trova tale cliente e per recarsi dal luogo in cui si trova un cliente ad un altro, tali lavoratori devono, durante tali spostamenti, essere considerati «al lavoro», ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della medesima direttiva”. Quindi come orario di lavoro effettivo. <br /><br />Il dispositivo finale della Sentenza: “L’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale, nelle quali i lavoratori non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale, costituisce «orario di lavoro», ai sensi di tale disposizione, il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro”. L’azienda in questione pertanto ha ridotto il tempo di riposo dei lavoratori e quindi lo spostamento domicilio-cliente è da considerarsi funzionale all’esecuzione dell’attività lavorativa del dipendente. E quindi è da considerarsi orario di lavoro. Ed è soprattutto da retribuire in busta paga.<br /><br /><a href="http://job.fanpage.it/sentenza-ue-gli-spostamenti-casa-lavoro-rientrano-nell-orario-di-lavoro-da-retribuire/" title="http://job.fanpage.it/sentenza-ue-gli-spostamenti-casa-lavoro-rientrano-nell-orario-di-lavoro-da-retribuire/" rel="external">http://job.fanpage.it/sentenza-ue-gli ... -di-lavoro-da-retribuire/</a><br /><a href="http://job.fanpage.it/" title="http://job.fanpage.it/" rel="external">http://job.fanpage.it/</a>
Sun, 13 Sep 2015 07:47:48 +0200
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Quando si può licenziare in tronco un dipendente [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=22379&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Quando si può licenziare in tronco un dipendente<br />
Quando si può licenziare in tronco un dipendente<br /> <br /><br /><br /><br />Licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo: quando la condotta del dipendente è talmente grave da non giustificare neanche il periodo di preavviso?<br /><br /> <br /><br />Tra i vari casi di licenziamento disciplinare – quello cioè imputabile a condotte del dipendente che violano il contratto di lavoro e il rapporto di fiducia con l’azienda – vi sono alcune ipotesi, considerate più gravi, che danno diritto, al datore, di provvedere al licenziamento in tronco, ossia senza neanche concedere il cosiddetto periodo di preavviso<br /><br /><br />La terminologia giuridica, a riguardo, potrebbe dar luogo a confusioni perché molto similare:<br /><br /> <br /><br />– le condotte meno gravi (che giustificano il licenziamento disciplinare con il preavviso) rientrano in quello che si definisce “licenziamento per giustificato motivo soggettivo”;<br /><br /> <br /><br />– quelle invece più gravi (che, come detto, giustificano il licenziamento disciplinare senza preavviso) rientrano nel “licenziamento per giusta causa”.<br /><br /> <br /><br />Come anticipato, si tratta di due perifrasi facilmente confondibili, quando invece la disciplina giuridica è differente.<br /><br />Cerchiamo quindi di comprendere quali sono le ipotesi che, secondo la giurisprudenza, danno luogo al licenziamento “in tronco” (o, come dicono i giuristi, usando un’espressione latina, “ad nutum”, ossia senza il preavviso), e quelle invece meno rilevanti sul piano disciplinare.<br /><br /> <br /><br /> <br /><br />LICENZIAMENTO IN TRONCO O PER GIUSTA CAUSA<br /><br /> <br /><br />Abbandono del posto di lavoro<br /><br />Configura, nella generalità dei casi, un giustificato motivo soggettivo di licenziamento. In ipotesi residuali, tuttavia, può integrare una giusta causa: così, ad esempio, quando dall’abbandono può derivare un pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti [1] o se si tratta di un dipendente con mansioni di custodia o sorveglianza (si pensi a una guardia giurata) [2]. È stato ritenuto legittimo anche il licenziamento in tronco di un dipendente che si era allontanato dalla postazione durante il normale orario di lavoro per compiere un atto contrario ai doveri del servizio e con pericolo per la sicurezza [3].<br /><br /> <br /><br />Insubordinazione<br /><br />In verità, in tali casi, è il giudice a dover valutare la gravità dell’insubordinazione, dei comportamenti (anche pregressi) del dipendente, delle frasi e del contesto: alla luce di tale valutazione si può giungere a comprendere se giustifica il licenziamento con preavviso (di norma e nella maggior parte dei casi) o in tronco (per es. dipendente che, in diverse occasioni, si rechi al lavoro nonostante l’adozione nei suoi confronti della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione).<br /><br />In ogni caso, l’insubordinazione deve consistere in reazioni nei confronti del datore di lavoro o dei superiori tali da costituire grave infrazione alla disciplina e al regolare svolgimento del lavoro in aperta contestazione ai poteri dei superiori. La condotta viene posta in essere attraverso ingiurie, minacce o percosse ai danni dei superiori [4]: senza questi elementi, l’insubordinazione non dà luogo a una condotta sanzionabile con il licenziamento, ma solo a una sanzione disciplinare meno grave.<br /><br /> <br /><br />Assenze ingiustificate<br /><br />Ipotesi di un lavoratore che non comunica tempestivamente le motivazioni della sua assenza dal servizio, o addirittura, fornisce informazioni non veritiere (nel caso specifico, l’assenza era dovuta a custodia cautelare in carcere).<br /><br /> <br /><br />In caso di malattia <br /><br />– il rifiuto di riprendere il lavoro: se il lavoratore, non accettando l’esito della visita di controllo (che lo ha definito ormai guarito e capace di tornare al lavoro), ritiene di essere ancora malato e di potersi esimere dal riprendere il lavoro in attesa di una nuova visita [5];<br /><br /> <br /><br />– l’aver svolto un lavoro in proprio o a favore di terzi durante la malattia se la malattia è stata simulata [6] o se la guarigione è stata ritardata proprio da tali attività [7];<br /><br /> <br /><br />– lavoratore diverse volte sanzionato perché assente ingiustificato alla visita medica di controllo [8];<br /><br /> <br /><br />– dipendente che, assente alle visite domiciliari di controllo, ha inviato i certificati medici oltre il termine previsto [9].<br /><br /> <br /><br />Diritto di critica nei confronti del datore di lavoro<br /><br />Il dipendente che ha divulgato fatti non oggettivamente certi e comprovati idonei a ledere sul piano morale l’immagine del proprio datore di lavoro [10].<br /><br />Nel caso di diffamazione dei propri superiori via mail il licenziamento in tronco scatta solo in caso di gravi espressioni che travalicano il diritto di cronaca e sono teoricamente riconducibili a fattispecie penali quali l’ingiuria e la diffamazione [11].<br /><br /> <br /><br />Commissione di reati <br /><br />Anche il reato commesso nella vita privata consente il licenziamento in tronco. Si deve però trattare di un reato particolarmente grave, tale da far venire meno quella fiducia che è presupposto essenziale della collaborazione tra datore e prestatore di lavoro. Ciò si verifica anche quando il comportamento sia tale da ledere l’immagine del datore di lavoro. Il semplice rinvio a giudizio non integra di per sé giusta causa di licenziamento [13].<br /><br />Sono stati ritenuti gravi per esempio la falsa testimonianza resa dal lavoratore in una causa civile, le molestie sessuali nei confronti di terzi, lo spaccio di sostanze stupefacenti nel caso di un lavoratore addetto alla cura e all’assistenza degli anziani, la condanna al carcere.<br /><br />A maggior ragione è stato ritenuto causa di licenziamento il reato commesso nell’esercizio delle proprie mansioni (per es. appropriazione di somme di denaro, anche se di modesta entità, da parte del dipendente addetto alla cassa; la sottrazione di un bene di proprietà di un collega, ecc.).<br /><br /> <br /><br />Rifiuto di eseguire le prestazioni<br /><br />Costituisce sempre giusta causa di licenziamento [14], salvo che:<br /><br />– il rifiuto sia motivato dall’inadempimento della controparte (per es. in caso di mancato pagamento delle retribuzioni);<br /><br />– le prestazioni richieste non rientrino nella qualifica di competenza del lavoratore;<br /><br />– vi siano pericoli per la salute del dipendente non avendo il datore di lavoro adottato le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e le condizioni di salute dei prestatori di lavoro.<br /><br /> <br /><br />Violazione dei doveri di diligenza, di riservatezza e obbedienza <br /><br />La violazione deve essere valutata in relazione alle particolari mansioni svolte dal lavoratore ed all’interesse del datore di lavoro e alla gravità della condotta.<br /><br />Per esempio, scatta il licenziamento in tronco in caso di:<br /><br />– tentativo di truffa ai danni del datore di lavoro;<br /><br />– fruizione delle ferie in periodo non autorizzato dal datore di lavoro;<br /><br />– rifiuto ingiustificato del trasferimento;<br /><br />– abuso del telefono cellulare aziendale per fini personali;<br /><br />– falsificazione del badge;<br /><br />– ripetute e prolungate assenze dal servizio durante l’orario di lavoro per fini ludici e di svago con falsificazione dell’orario di ingresso.<br /><br /> <br /><br />Violazione del dovere di fedeltà <br /><br />Il licenziamento in tronco è valido solo se comporta un effettivo danno o pregiudizio per il datore di lavoro, come nel caso di un dipendente che abbia costituito una società per lo svolgimento della medesima attività economica svolta dal datore di lavoro.<br /><br /> <br /><br />Diritto di critica del datore di lavoro<br /><br />Per giustificare il licenziamento – sebbene con preavviso – è necessario che la critica travalichi i limiti della correttezza formale o del rispetto della verità oggettiva, leda il decoro dell’impresa datoriale, sia suscettibile di provocare un danno economico e all’immagine all’azienda.<br /><br /><br />Vuoi restare aggiornato su questo argomento?<br />Segui la nostra redazione anche su Facebook, Google + e Twitter. Iscriviti alla newsletter<br /><br /><br />[1] Cass. sent. n. 6534/1998.<br /><br />[2] Cass. n. 18811/2012; Cass. sent. n. 6241/2005.<br /><br />[3] Cass. sent. n. 23378/2014.<br /><br />[4] Cass. sent. n. 2573/1992.<br /><br />[5] Cass. sent. n. 844/1999.<br /><br />[6] Cass. sent. n. 21093/2014; Cass. sent. n. 17094/2012.<br /><br />[7] Cass. sent. n. 17625/2014.<br /><br />[8] Cass. sent. n. 6618/2007.<br /><br />[9] Cass. sent. n. 2003/2012.<br /><br />[10] Cass. sent. n. 29008/2008.<br /><br />[11] Cass. sent. n. 14995/2012.<br /><br />[12] Cass. sent. n. 14995/2012.<br /><br />[13] Cass. sent. n. 20602/2014.<br /><br />[14] Cass. sent. n. 1422/1996.<br /><br /> <br /><a href="http://www.laleggepertutti.it/96787_quando-si-puo-licenziare-in-tronco-un-dipendente" title="http://www.laleggepertutti.it/96787_quando-si-puo-licenziare-in-tronco-un-dipendente" rel="external">http://www.laleggepertutti.it/96787_q ... e-in-tronco-un-dipendente</a>
Sun, 13 Sep 2015 07:44:03 +0200
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Infortunio sul lavoro- Responsabilità civile del datore di lavoro [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Infortunio sul lavoro- Responsabilità civile del datore di lavoro<br />
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. n. 12089 del 17 maggio 2013 <br /> Infortunio sul lavoro- Responsabilità civile del datore di lavoro <br /><br /><br /><br />Data: <br /><br />17/05/2013 <br /><br /><br />Numero: <br /><br />12089 <br /><br /><br /><br /><br />REPUBBLICA ITALIANA<br />IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE<br />SEZIONE LAVORO<br /><br /><br />Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:<br />Dott. VIDIRI Guido - Presidente -<br />Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -<br />Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere -<br />Dott. BALESTRIERI Federico - rel. Consigliere -<br />Dott. MAROTTA Caterina - Consigliere -<br /><br /><br />ha pronunciato la seguente:<br />sentenza<br /><br /><br />sul ricorso 14778/2009 proposto da:<br />P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI 25, presso lo studio dell'avvocato LONGO PIERALFONSO, rappresentato e difeso dagli avvocati ROSSI FABIO, LAURETTI GIOVANNI, giusta delega in atti;<br />- ricorrente -<br />contro<br />LA MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI 76, presso lo studio dell'avvocato SPINELLI GIORDANO TOMMASO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;<br />- controricorrente -<br />e contro<br />ISTITUTO DI VIGILANZA "CITTA' DI APRILIA" S.R.L.;<br />- intimato -<br />avverso la sentenza n. 7594/2007 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 13/06/2008 r.g.n. 7421/04;<br />udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2013 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;<br />udito l'Avvocato GIUSEPPE SANTESE per delega GIOVANNI LAURETTI;<br />udito l'Avvocato NICOLA RIVELLESE per delega TOMMASO SPINELLI GIORDANO;<br />udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto.<br /><br />Fatto<br />P.G. impugnava la sentenza del Tribunale di Latina che aveva respinto la sua domanda volta al risarcimento del danno biologico ex art. 2087 c.c., non ravvisando alcuna colpa a carico del datore di lavoro nell'infortunio da lui subito il (OMISSIS), alle ore 4,45 circa, mentre svolgeva il servizio notturno di vigilanza e pattugliamento (in qualità di guardia particolare giurata) nella zona di (OMISSIS), dove si stava svolgendo la festa del partito della "Rifondazione Comunista", allorquando venne aggredito e malmenato da alcuni giovani i quali, in precedenza, avevano speronato l'auto di servizio su cui si trovava il P., costringendolo a fermarsi.<br />A seguito delle percosse subite, l'appellante deduceva di avere riportato lesioni permanenti nella misura del 20% per danno biologico, con 30 giorni di invalidità totale e 15 di invalidità parziale, come accertato a seguito di c.t.u. svolta in prime cure.<br />Deduceva che il Tribunale aveva erroneamente rigettato il ricorso per la ragione che l'infortunio occorso all'odierno appellante era stato determinato da un fatto-reato commesso da terzi, senza che al datore di lavoro potesse addebitarsi alcun tipo di responsabilità.<br />L'appellante evidenziava l'erroneità della pronuncia. Si costituivano in giudizio la società datrice di lavoro e la Milano Assicurazioni (chiamata in garanzia dal datore di lavoro) resistendo al gravame.<br />L'appellante censurava la sentenza in oggetto sotto vari profili:<br />anzitutto lamentava il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio da parte del primo giudice; evidenziava inoltre come il Tribunale avesse rigettato la domanda sebbene il datore di lavoro non avesse adottato tutte le cautele necessarie ad evitare l'evento dannoso, non avendo, in particolare, inviato altre guardie particolari giurate sul luogo, per coadiuvare il P..<br />La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 13 giugno 2008, rigettava il gravame e compensava le spese.<br />Per la cassazione propone ricorso il P., affidato a due motivi.<br />Resiste la Milano Assicurazioni s.p.a., mentre il datore di lavoro è rimasto intimato.<br /><br />Diritto<br />1. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2087 e 1218 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.<br />Lamenta in sostanza il ricorrente che l'art. 2087 c.c., configurando una responsabilità contrattuale, impone al lavoratore danneggiato solo di dimostrare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno subito e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di aver adottato ogni cautela al fine di evitare il danno, o che lo stesso è derivato da causa a lui non imputabile.<br />Deduce che nella specie, nell'evento chiamato a presidiare, alcuni giovani già avevano aggredito due persone all'interno del parco, sicchè l'azienda avrebbe dovuto attivarsi per predisporre ulteriori misure di sicurezza.<br />2. Il motivo è infondato.<br />Ed infatti, seppure è vero che in ipotesi di lesioni occorse al dipendente durante lo svolgimento del suo lavoro, è sufficiente che questi dimostri l'esistenza del rapporto di lavoro, il danno subito ed il nesso causale con le mansioni svolte (oltre, ove necessario, le regole di condotta che assume essere state violate, Cass. 12 marzo 2003 n. 3622; Cass. 7 novembre 2000 n. 14469), mentre grava sul datore di lavoro la prova di aver adottato le misure idonee, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, a tutelare l'integrità fisica e morale del prestatore di lavoro (art. 2087 c.c.), è altrettanto vero che tale norma non prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, presupponendo sempre una colpa del datore di lavoro (ex plurimis, Cass. 7 agosto 2012 n. 14192; Cass. 3 agosto 2012 n. 13956; Cass. 17 aprile 2012 n. 6002; Cass. 17 febbraio 2009 n. 3785).<br />Deve al riguardo ribadirsi il principio già enunciato da questa S.C. (Cass. 5 dicembre 2001 n. 15350), secondo cui con riferimento alla tutela dell'integrità fisiopsichica dei lavoratori dipendenti dalle aggressioni conseguenti all'attività criminosa di terzi, l'ampio ambito applicativo dell'art. 2087 cod. civ. non può essere dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno, sull'assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto, perchè in tal modo si perverrebbe all'abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico secondo cui il verificarsi dell'evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento, atteso il superamento criminoso di quelli in concreto apprestati dal datore di lavoro.<br />Nella specie, come evidenziato dalla Corte di merito, il P. non ha affatto evidenziato in cosa fosse consistita la colpa della datrice di lavoro, limitandosi a dedurre che precedentemente (senza neppure chiarire se la stessa notte o in giorni precedenti), vi furono delle aggressioni all'interno del parco ove sì svolgeva la "festa" di partito in questione.<br />I giudici di appello, nell'evidenziare che nella specie, il danno derivò esclusivamente dal fatto (penalmente) illecito ed imprevedibile di terzi, tale da porsi come causa esclusiva dell'evento dannoso, hanno incontestatmente accertato che il P. nel ricorso introduttivo del giudizio nulla dedusse circa la colpa della datrice di lavoro, risultando pertanto la deduzione del possibile invio di altra/e pattugliai inammissibile in quanto esposta solo in grado di appello.<br />Hanno comunque ed inoltre accertato che, oltre all'arma di servizio in possesso del P., la sua auto era dotata di apparecchio radio, con cui egli stesso chiese ed ottenne l'intervento dei Carabinieri, mentre dalle testimonianze raccolte, non risultava che egli avesse chiamato la centrale operativa dell'Istituto di Vigilanza. Tali accertamenti non hanno formato oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente.<br />2. Con il secondo motivo il P. denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2087 e 1218 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.<br />Lamenta l'erronea motivazione della Corte di merito in ordine all'esclusione di responsabilità del datore di lavoro nell'ipotesi in cui il danno venga provocato da una condotta illecita di terzi, peraltro erroneamente valutando le risultanze testimoniali di causa.<br />Deduce che secondo la giurisprudenza di legittimità, l'imprenditore è tenuto ad evitare, e ne è dunque responsabile, anche i danni provocati dall'azione di terzi.<br />Il motivo è in parte inammissibile, laddove richiede alla Corte una diversa vantazione delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie, e per il resto infondato.<br />Ed infatti, seppure è vero che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che può sussistere (cfr. tuttavia, contra: Cass. n. 25883/08; Cass. n. 15350/01; Cass. n. 11710/98) la responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., anche laddove l'evento dannoso sia derivato dall'azione, anche delittuosa, di terzi, è altrettanto vero che il fondamento della responsabilità è sempre stato ravvisato in un elemento colposo di questi, così come, nel caso della rapina, allorquando pur a fronte di ripetuti e denunciati episodi criminali, la datrice di lavoro non abbia adottato alcuna misura idonea ad evitare il danno (cfr. Cass. n. 21479/05; Cass. n. 8230/03; Cass. n. 14469/00).<br />Basandosi il motivo di ricorso sull'erroneo presupposto di una responsabilità del datore di lavoro comunque sussistente anche in ipotesi di fatto delittuoso di terzi, esso risulta infondato.<br />4. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.<br />Le spese del presente giudizio di legittimità, nei confronti della parte costituita, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.<br />Nulla per le spese quanto alla parte rimasta intimata.<br /><br /><br />P.Q.M.<br /><br /><br />La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore della Milano Assicurazioni s.p.a., che liquida in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.<br />Nulla per le spese quanto alla parte rimasta intimata.<br />Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 febbraio 2013.<br />Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2013<br /><br /><a href="http://www.insic.it/Giurisprudenza/78368" title="http://www.insic.it/Giurisprudenza/78368" rel="external">http://www.insic.it/Giurisprudenza/78368</a>
Fri, 4 Sep 2015 12:06:49 +0200
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Patto di prova: i giorni di riposo non si contano [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Patto di prova: i giorni di riposo non si contano<br />
Patto di prova: i giorni di riposo non si contano<br /><br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br />Licenziamento possibile escludendo dal calcolo del periodo di prova i giorni in cui non è stata svolta l’attività lavorativa.<br /> <br /> <br /> <br />Il periodo massimo del patto di prova, previsto dai contratti collettivi e dalla legge, si calcola escludendo dal conteggio i giorni di riposo. La normativa stabilisce, infatti, che la prova può durare al massimo 6 mesi, ma si deve considerare solo il lavoro effettivamente svolto. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [1].<br /> <br />L’esatto conteggio è molto importante in quanto solo durante il periodo di prova il datore di lavoro può licenziare “ad nutum”, il dipendente ossia in tronco e senza peraltro fornire una giustificazione se non la valutazione del “mancato superamento del periodo di prova”. Se il licenziamento dovesse intervenire anche un solo giorno dopo la scadenza del periodo di prova, dovrebbe seguire le regole generali (licenziamento solo per giusta causa o giustificato motivo).<br /> <br /> <br /> <br />L’arco temporale di durata del periodo di prova prevede esplicitamente il riferimento al “lavoro effettivo”, con esclusione, quindi, dei giorni di riposo.<br /> <br />Di conseguenza, non è accettabile, spiegano i giudici della Cassazione, la tesi secondo cui il riposo costituisce una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Lo scopo del patto di prova è evidente: la verifica della reciproca convenienza del rapporto di lavoro da valutare attraverso una sperimentazione “sul campo”, con esclusione quindi dei giorni in cui la prestazione non è di fatto resa (durante i quali, altrimenti, la sperimentazione sarebbe solo virtuale).<br /><br /><br />Vuoi restare aggiornato su questo argomento?<br />Segui la nostra redazione anche su Facebook, Google + e Twitter. Iscriviti alla newsletter<br /><br /><br /><br /><br />ADVERTISEMENT<br /><br /><br />La sentenza<br /><br />Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre 2014 – 4 marzo 2015, n. 4347<br /> Presidente Vidiri – Relatore Doronzo<br /> <br />Ragioni di fatto e di diritto della decisione<br /> <br />Con sentenza depositata in data 25 marzo 2010, la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’appello proposto da Sicurcenter s.r.l. contro la sentenza resa dal Tribunale di Cosenza che, in accoglimento della domanda proposta da G.M., aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a quest’ultimo dalla società appellante, con atto del 24 agosto 2007 e motivato dal mancato superamento del periodo di prova; conseguentemente, aveva condannato la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dall’illegittimo licenziamento fino alla reintegra.<br /> 1.3. A sostegno della sua decisione la Corte riteneva che:<br /> il recesso doveva ritenersi tardivo in quanto alla data della sua comunicazione il lavoratore aveva già superato il periodo di prova;<br /> nella determinazione del periodo di prova dovevano essere conteggiati anche i giorni di riposo, in quanto durante tale periodo la mancata prestazione lavorativa inerisce al normale svolgimento del rapporto;<br /> per effetto di questo calcolo, aggiungendo ai giorni di effettivo servizio prestato (cinquantatre) anche quelli di riposo goduti dal lavoratore dopo sei giorni lavorati (otto), e con esclusione dei riposi convenzionali, il lavoratore aveva prestato complessivamente sessantuno giorni di lavoro, oltre il termine di durata del periodo di esperimento della prova fissato in sessanta giorni dal C.C.N.L. per i dipendenti degli Istituti di vigilanza.<br /> 1.4. Contro la sentenza la Sicurcenter s.p.a. propone ricorso per cassazione fondato su un unico articolato motivo, cui resiste il M. con controricorso. 2. Con l’unico articolato motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 2096 c.c. e dell’art. 69 del C.C.N.L. del personale degli istituti di vigilanza, in relazione agli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., nonché per violazione di queste ultime norme nell’interpretazione del contratto individuale di lavoro. Assume che l’espressione adoperata nell’art. 69 del CCNL, secondo cui la durata massima del periodo di prova non può eccedere, per i dipendenti inquadrati nei livelli al di sotto del 1 super (tra cui il M.), “60 giorni di effettivo lavoro prestato”, e l’analoga espressione presente nella lettera di assunzione dell’8 giugno 2007, non potevano avere altro senso che quello fatto palese dalle parole: in questa prospettiva, l’aggettivo “effettivo” indicava la volontà delle parti di includere nel periodo di prova solo i giorni in cui il lavoratore era effettivamente in attività di servizio, con esclusione di tutti gli altri in cui tale attività non era reale ed effettiva. In particolare, in assenza di una diversa previsione della contrattazione collettiva o del contratto individuale di lavoro, non potevano computarsi nel periodo di durata del periodo di prova le giornate di riposo legale o convenzionale godute dal lavoratore.<br /> Questa interpretazione peraltro rispondeva alla finalità del patto di prova, che è quella di consentire alle parti di verificare la reciproca convenienza della prestazione lavorativa nonché l’accertamento da parte del datore di lavoro della capacità del prestatore di lavoro.<br /> 3. II motivo è fondato.<br /> 3.1. Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso – in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova – in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Quest’ultimo, data la sua funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova (Cass., 5 novembre 2007 n. 23061; Cass., 13 settembre 2006 n. 19558).<br /> 3.2. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo (così Cass., 5 novembre 2007, n. 23061; Cass., 22 marzo 2012, n. 4573).<br /> 3.3. E’ compito del giudice del merito procedere all’interpretazione della norma del contratto collettivo, poiché si verte in un’ipotesi di denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, lamentandosi un’errata interpretazione della legittimità delle condotte datoriali in base a norme di ermeneutica negoziale (artt. 1362 e ss., c.p.c.). La parte ricorrente ha, con la sua denuncia, fatto riferimento alle regole codicistiche di interpretazione dei contratti collettivi e dei principi in esse contenuti, che avrebbero dovuto supportare l’ iter argomentativo della impugnata sentenza e che, come si è in precedenza ricordato, hanno trovato riscontro in decisioni di questa Corte e nelle in esse evidenziate finalità sottese al patto di prova. 4. Poste queste premesse, deve ritenersi che il ricorso è fondato. 4.1. L’art. 69 del C.C.N.L. per i dipendenti da Istituti di vigilanza privata, valido dal 1 maggio 2004 al 31 dicembre 2008, sotto la rubrica “Periodo di prova”, così prevede: “La durata massima del periodo di prova non potrà superare i seguenti limiti: – personale inquadrato nel livello Quadro e nel I livello super: 150 giorni di effettivo lavoro prestato; – personale inquadrato negli altri livelli: 60 giorni di effettivo lavoro prestato. Tale periodo di prova sarà proporzionalmente ridotto, sino ad un minimo di 30 giorni, in considerazione di eventuali periodi di stage svolti all’interno dell’azienda e derivanti da corsi di formazione riconosciuti dall’ente bilaterale. La riduzione è calcolata secondo la seguente tabella (…). Al lavoratore in prova dovrà essere corrisposta la retribuzione per la qualifica assegnata”.<br /> 4.2. La Corte territoriale ha ritenuto che la norma contrattuale in esame, che fissa in sessanta giorni di “effettivo lavoro prestato” la durata del periodo di prova, debba essere interpretata nel senso che il “lavoro prestato” debba contemplare anche i giorni di riposo settimanale, di regola coincidenti con la domenica, in quanto sono obbligatori per legge, costituiscono una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e si pongono come condizione necessaria per il recupero delle condizioni psicofisiche del lavoratore. Ha invece escluso dal concetto di “effettivo servizio” i riposi convenzionali, non avendo questi le medesime caratteristiche e finalità dei riposi settimanali.<br /> 4.3. Tale interpretazione non appare tuttavia rispettosa del dato letterale, e in particolare dell’uso ripetuto dell’aggettivo “effettivo” che si rinviene nel testo della norma: sul punto, la Corte territoriale ha omesso ogni valutazione, non specificando in forza di quale criterio ermeneutico ha ritenuto di privilegiare questa opzione, né spiega perché le parti hanno adoperato l’aggettivo “effettivo” nella fissazione del complessivo arco temporale di durata del periodo di prova. L’affermazione secondo cui il riposo “costituisce una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa” e si pone come condizione necessaria per l’espletamento della prestazione lavorativa, rimane apodittica ed insufficiente (v. Cass., 8 ottobre 1999, n. 11310; Cass., 18 luglio 1998, n. 7087, quest’ultima riguardando proprio il ccnl degli istituti di vigilanza privata; Cass., 25 agosto 1999, n. 8859). 4.4. L’interpretazione suddetta viola le regole contenute dell’articolo 1362, comma 1 °, c.c. secondo cui nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole; il comma successivo stabilisce poi che, per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare al riguardo che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa (cfr, ex plurimis, Cass.,22 dicembre 2005, n. 28479; Cass., 22 febbraio 2007, n 4176; Cass., 4 gennaio 2013, n. 110). 4.5. Quest’ultima condizione è riscontrabile nel caso in esame, posto che la ricordata disposizione della norma contrattuale di riferimento è chiara nella sua portata precettiva, facendo espresso riferimento oltre che all’effettività della prestazione lavorativa anche ai “giorni” come unità temporale di riferimento, ed in cui è evidente la volontà delle parti di collegare la verifica della reciproca convenienza del rapporto di lavoro ad una reale ed esattamente valutabile sperimentazione dello stesso, con esclusione dei giorni in cui la prestazione non è di fatto resa, rendendo così la sperimentazione meramente virtuale.<br /> 5. Sussistono quindi i difetti denunciati con il ricorso che giustificano la cassazione della sentenza impugnata e la rimessione ad altro giudice, che – che dopo i necessari accertamenti di fatto – effettuerà una nuova valutazione in merito al compimento, o meno, del periodo di prova da parte del M., tenendo conto della disciplina collettiva e dei principi sopra enunciati in tema di interpretazione del contratto ed in generale dei criteri dettati negli artt. 1362 e ss. c.c.<br /> Il giudice del rinvio deciderà anche in ordine alle spese del presente grado di legittimità.<br /> <br />P.Q.M.<br /> <br />La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Reggio Calabria.<br /> <br /><br />[1] Cass. sent. n. 4347/2015 del 4.03.2015.<br /> - See more at: <a href="http://www.laleggepertutti.it/95392_patto-di-prova-i-giorni-di-riposo-non-si-contano#sthash.yHn7BNkM.dpuf" title="http://www.laleggepertutti.it/95392_patto-di-prova-i-giorni-di-riposo-non-si-contano#sthash.yHn7BNkM.dpuf" rel="external">http://www.laleggepertutti.it/95392_p ... tano#sthash.yHn7BNkM.dpuf</a>
Sun, 16 Aug 2015 18:22:56 +0200
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Revoca del porto d'armi e guida in stato d'ebbrezza [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Revoca del porto d'armi e guida in stato d'ebbrezza<br />
Revoca del porto d'armi e guida in stato d'ebbrezza<br />Nota di commento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 575 del 05 febbraio 2015<br /><br />Fonte: Revoca del porto d'armi e guida in stato d'ebbrezza <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><br />di Avv. Francesco Pandolfi - Un principio generale che ritorna spesso mentre si leggono le sentenze, tanto del Tar quanto del Consiglio di Stato, è quello secondo il quale l'episodico verificarsi di un procedimento penale a carico di chi ha il porto d'armi non dice granché sull'inaffidabilità all'uso delle stesse. <br /><br />In altri termini, se Tizio ha avuto un procedimento penale tanti anni fa, oggi non può automaticamente subire la revoca del suddetto porto d'armi perché la Prefettura, in forza dell'ampia discrezionalità di cui gode, ritiene al contrario che tale "incidente" debba essere considerato rilevante nella valutazione complessiva della condotta. <br /><br /> <br /><br /><br /><br /><br />ADVERTISEMENT<br /><br /><br />Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 575 del 5 febbraio 2015, ha ribadito proprio questo concetto. <br /><br /><br /><br /><br />Guida in stato di ebbrezza ed esiti ematici favorevoli<br /><br />Nel caso in cui, anni addietro, Tizio (guardia giurata) si renda responsabile per una guida veicolare in stato di ebbrezza e, per questo motivo, venga emesso un decreto penale, la Prefettura non può disporre la revoca del porto d'armi nel caso in cui il fatto avente rilievo penale si possa considerare assolutamente occasionale. <br /><br />Se poi aggiungiamo la circostanza per cui i rilievi e gli esiti ematici, in un primo momento sfavorevoli, siano poi stati appurati come pienamente favorevoli per il ricorrente, ne consegue che l'impiego della discrezionalità amministrativa trova in questa fattispecie consistenti limiti. <br /><br />Queste considerazioni possono acquisire una rilevanza notevole per gli interessati nel caso in cui, per esempio, alla guardia giurata venga ritirato il tesserino con sospensione dal servizio, pervenendo addirittura al licenziamento: è intuitivo che ogni determina amministrativa deve essere più che motivata, trattandosi di questioni assai delicate sul piano personale, dell’ordine e della sicurezza pubblica. <br /><br /><br /><br /><br />La posizione del Ministero dell'Interno e della Prefettura<br /><br />Questo è un passaggio molto importante della sentenza che merita un piccolo approfondimento. <br /><br /><br />Il Ministero dell'Interno e la Prefettura si lamentano in giudizio della superficiale analisi dell'art. 5 punto 5 del D.M. del Ministero della Sanità 28 aprile 1998, preclusivo del rilascio del porto d’armi per abuso di alcool.<br /><br />Orbene dice il C.d.S.: è vero che tale Decreto fa riferimento all’accertamento dei requisiti psicologici presso specifici uffici sanitari, ma è altrettanto vero che l'Amministrazione lo richiama nei propri atti difensivi solo nella parte finale del provvedimento, diciamo volendolo utilizzare a proprio vantaggio per emettere un giudizio sulla buona condotta di tipo "automatico" e non "personalizzato", come invece ci dicono ripetutamente le norme e le sentenze.<br /><br />In sintesi, la valutazione sull'affidabilità del soggetto al quale si pensa di revocare il porto d'armi è complessiva e non circoscritta a singoli accadimenti, sia pur aventi risvolti penali. <br /><br /><br /><br /><br />Cosa fare per non incorrere nella revoca del porto d'armi<br /><br />Utilizzare a proprio vantaggio i criteri elaborati nella costante giurisprudenza in tema di porto d'armi, ossia, nel caso in cui si venga raggiunti da procedimento penale per guida veicolare in stato di ebbrezza, non subire passivamente la revoca prefettizia ma opporsi alla stessa con i seguenti argomenti: <br /><br />a) il procedimento penale appartiene al passato remoto, è stato occasionale e non spiega alcun apprezzabile effetto nel momento oggetto di valutazione amministrativa;<br /><br />b) gli esiti ematici sono stati favorevoli;<br /><br />c) la valutazione discrezionale della Prefettura non è stata complessiva ma parziale e circoscritta ad un solo aspetto della personalità e della condotta del titolare. <br /><br /><br /><br /><br />Per contattare l'avv. Francesco Pandolfi<br /><br />3286090590 mail: <a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a><br /><br />blog: <a href="http://www.pandolfistudiolegale.it" title="www.pandolfistudiolegale.it" rel="external">www.pandolfistudiolegale.it</a> <br /><br /><br />Fonte: Revoca del porto d'armi e guida in stato d'ebbrezza <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/articoli/19136-revoca-del-porto-d-armi-e-guida-in-stato-d-ebbrezza.asp" title="http://www.studiocataldi.it/articoli/19136-revoca-del-porto-d-armi-e-guida-in-stato-d-ebbrezza.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/articoli/ ... a-in-stato-d-ebbrezza.asp</a>
Fri, 14 Aug 2015 20:58:10 +0200
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Re: Vigilanza privata responsabile per il furto [da AVVY]
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LEGGI E SENTENZE:: Vigilanza privata responsabile per il furto<br />
Interessante
Fri, 31 Jul 2015 19:41:16 +0200
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Per la Cassazione, se si umilia un dipendente, è mobbing [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Per la Cassazione, se si umilia un dipendente, è mobbing<br />
Per la Cassazione, se si umilia un dipendente, è mobbing .<br /><br /><br /> Martedì 23 Giugno 2015 00:00 <br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br />La sede della Corte di Cassazione<br /> . <br />di Flavia Scotti<br /> <br />Una recente sentenza della Corte di Cassazione - Sez. Lavoro - n.10037 del 15 maggio 2015, precisa sostanza e confini del mobbing.<br /><br />Ad essere sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità è stata una sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila che, confermando una precedente sentenza del Tribunale di Teramo, aveva condannato in solido il Comune di Colonnella e un dipendente a risarcire il danno alla salute e professionale in favore di un’altra dipendente, quale conseguenza di un comportamento mobbizzante.<br /> <br />Nel respingere, dopo averli riuniti, i ricorsi del Comune e del dipendente, la Suprema Corte ha riconosciuto “congrua e formalmente logica” la motivazione della Corte territoriale, stante che tutte le risultanze processuali confermavano “la sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio all’altro, l’umiliazione di essere subordinati a quello che prima era un proprio sottoposto, l’assegnazione a un ufficio aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare, così rendendo ancor più cocente la propria umiliazione”.<br /> <br />Per gli Ermellini di Piazza Cavour, si deve rimarcare che esattamente la Corte del merito ha posto a base del proprio decisum anche le risultanze della perizia, allegata agli atti, eseguita in sede penale da uno dei massimi esperti di mobbing che, esaminata la vicenda lavorativa della dipendente, aveva riscontrato la presenza contestuale di tutti e sette i parametri tassativi di riconoscimento del mobbing “che sono l’ambiente, la durata, la frequenza, il tipo di azioni ostili, il dislivello tra gli antagonisti, l’andamento secondo fasi successive, l’intento persecutorio”, parametri questi di cui la Corte territoriale ha trovato riscontro nelle risultanze istruttorie.<br /><a href="http://www.usirdbricerca.info/index.php?option=com_content&view=article&id=4016:per-la-cassazione-se-si-umilia-un-dipendente-e-mobbing&catid=120:sentenze&Itemid=559" title="http://www.usirdbricerca.info/index.php?option=com_content&view=article&id=4016:per-la-cassazione-se-si-umilia-un-dipendente-e-mobbing&catid=120:sentenze&Itemid=559" rel="external">http://www.usirdbricerca.info/index.p ... d=120:sentenze&Itemid=559</a>
Sat, 4 Jul 2015 22:52:30 +0200
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Licenziamento illegittimo: guardia particolare giurata senza porto d’armi? [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento illegittimo: guardia particolare giurata senza porto d’armi?<br />
Impossibilità sopravvenuta parziale - 12 Giugno 2015 Ore 12:11 <br />Licenziamento illegittimo: guardia particolare giurata senza porto d’armi?<br /><br />In tema di licenziamento, l'esclusività della qualifica delle mansioni di assunzione come guardia particolare giurata fanno sì che quando queste non possono essere più svolte in conseguenza del ritiro del porto d'armi si determina altresì una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione che è parziale e che comunque richiede la valutazione del residuo interesse del datore di lavoro alla prestazione lavorativa residuale, interesse che, ove insussistente, legittima il licenziamento. <br /><br />Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato da una lavoratrice licenziata nei confronti della società sua ex datrice di lavoro.<br /><br />Con ricorso depositato davanti al Giudice del lavoro, la ex lavoratrice adiva il Tribunale esponendo che aveva lavorato alle dipendenze della S.p.A., quale guardia giurata - V livello ruolo del personale amministrativo e che in particolare aveva svolto mansioni di centralinista presso la sede della centrale operativa, in uniforme, ma senza adoperare armi. <br /><br />Il Prefetto di Bergamo le aveva però sospeso cautelarmente il decreto di approvazione per guardia particolare giurata ed il porto d'armi. <br /><br />Lo stesso giorno, la S.p.A., cui detta misura amministrativa era stata comunicata dalla stessa Prefettura, aveva sospeso la dipendente dal servizio e dalla retribuzione con contestuale comunicazione dell'avvio di un procedimento disciplinare. <br /><br />La Prefettura aveva quindi respinto le osservazioni presentate dalla ricorrente ed aveva confermato il provvedimento di sospensione. <br /><br />Il TAR aveva sospeso in via cautelare la "sospensione" del decreto di guardia giurata adottata dalla Prefettura ma non quella del porto d'armi sicché la donna avrebbe potuto svolgere il compito di guardia giurata ma senza arma. <br /><br />Non di meno la S.p.A., datrice di lavoro, intimava il licenziamento alla dipendente con missiva del seguente tenore letterale: <br /><br />“La nostra società rileva che a seguito del ritiro del suo porto d'armi da parte egli organi competenti, in data …….veniva sospesa dal servizio ai sensi e per gli effetti dell'art. 120 CCNL vigente. Ad oggi risulta che la Prefettura non ha provveduto a rilasciarle il porto d'arma necessario per svolgere l'attività di GPG. Il CCNL di categoria all'art. 120 prevede: "Nel caso di sospensione o mancato rinnovo del decreto di nomina a guardia particolare giurata e/o della licenza di porto d'armi il datore di lavoro potrà sospendere dal servizio e dalla retribuzione il lavoratore. Trascorso il periodo di 180 giorni di calendario senza che il lavoratore sia ritornato in possesso dei documenti di cui sopra, il datore di lavoro potrà risolvere il rapporto di lavoro penale motivo senza preavviso o indennità sostitutiva". Alla luce del fatto che dal ritiro della licenza di porto d'armi sono trascorsi oltre 180 giorni emerge l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 120 del CCNL ultimo comma, con la conseguenza che il datore di lavoro ha la facoltà di risolvere il contratto. Sulla base della disposizione contrattuale sopra descritta la nostra società intende risolvere il rapporto di lavoro a causa del mancato rinnovo della licenza di porto d'armi. Alla luce di quanto sopra la nostra società le intima il licenziamento. Il licenziamento produrrà i propri effetti a far data dal ricevimento della presente. La invitiamo a consegnare tutti i documenti e i beni di proprietà della nostra società entro cinque giorni dal ricevimento della presente.”<br /><br />Deduceva la lavoratrice che la datrice di lavoro, quindi, non aveva affatto valutato l'eventualità di ricollocare la lavoratrice in differenti mansioni. <br /><br />Tutto ciò premesso, la ricorrente, sperimentato vanamente il tentativo di conciliazione, chiedeva che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo. Conseguentemente chiedeva di essere reintegrata sul posto di lavoro, ovvero, in subordine, che le fosse accordato l'indennizzo previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.<br /><br />Il Tribunale, respinta l'istanza cautelare tesa al reintegro sul posto di lavoro, rigettava la domanda con compensazione delle spese; in particolare, il giudice del lavoro riteneva sussistere il giustificato motivo oggettivo di licenziamento nonché l'impossibilità di utile impiego della lavoratrice in altra mansione diversa da quella di guardia giurata.<br /><br />La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla soccombente; la Corte d'Appello ha rigettato l'appello, ritenendo che la fattispecie non potesse inquadrarsi nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo; ciò che avrebbe comportato l'onere per la società datrice di lavoro di provare l'impossibilità del reimpiego della lavoratrice in altre mansioni; ha invece ritenuto che la fattispecie fosse da inquadrare nella disciplina dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa. <br /><br />In riferimento a tale disciplina l'art. 120 del contratto collettivo di categoria doveva considerarsi legittimo nella parte in cui prevedeva il licenziamento, o meglio la risoluzione del rapporto, dopo un periodo di 180 giorni ove la guardia giurata non fosse più provvista del porto d'armi. <br /><br />Inoltre la corte d'appello, pur ritenendo che non operasse il criterio, elaborato dalla giurisprudenza in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, secondo cui il datore di lavoro deve dare la prova dell'impossibilità di adibire il lavoratore in altre mansioni, ha comunque preso in considerazione la circostanza che la lavoratrice di fatto era stata adibita a mansioni di addetta al centralino della centrale operativa. <br /><br />Ciò non di meno - ha ritenuto la corte d’appello - la lavoratrice aveva in ogni caso l'obbligo di porto d'armi e, secondo le necessità, poteva essere mandata, in servizio attivo fuori la centrale operativa.<br /><br />Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione la lavoratrice, ponendo alla Suprema Corte una interessante questione di diritto: se il ritiro del porto d'armi (nella specie il provvedimento del prefetto è stato di sospensione della licenza e in questa parte è stato confermato dal Tar che ha sospeso il provvedimento del prefetto solo nella parte riguardante la nomina a guardia giurata) costituisca, o no, ipotesi di sopravvenuta impossibilità della prestazione oppure di giustificato motivo oggettivo di licenziamento.<br /><br />La Cassazione ha respinto il ricorso della lavoratrice.<br /><br />Sul punto, ricordano gli Ermellini che il Tar aveva considerato distintamente il decreto di nomina a guardia particolare giurata e il porto d'armi ed ha accolto il ricorso cautelare disponendo la sospensione della revoca (anzi della sospensione) del primo decreto (quello di nomina a guardia particolare giurata) e non anche la sospensione della nomina a guardia particolare giurata. <br /><br />L'art. 120 del contratto di collettivo di categoria prevede che il rapporto di lavoro è risolto se la guardia giurata risulta priva del porto d'armi per un periodo superiore a 180 giorni. <br /><br />In proposito la giurisprudenza ha ritenuto trattarsi di una fattispecie di impossibilità sopravvenuta della prestazione ovvero di giustificato motivo oggettivo di licenziamento che richiedono vuoi la valutazione dell'interesse del datore di lavoro alla prestazione residua ancora possibile vuoi la verifica dell'impossibilità di adibire il dipendente a mansioni diverse.<br /><br />In diritto la tesi dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione appare per i Supremi Giudici preferibile: la lavoratrice è stata assunta specificamente come guardia giurata; ciò che presuppone la licenza di porto d'armi. <br /><br />L'esclusività della qualifica delle mansioni di assunzione fanno sì che quando queste non possono essere più svolte in conseguenza del ritiro del porto d'armi si determina altresì una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione che è parziale e che comunque richiede la valutazione del residuo interesse del datore di lavoro alla prestazione lavorativa residuale. <br /><br />Già in passato la giurisprudenza della Cassazione ha affermato che il provvedimento di ritiro del porto d'armi, emesso nei confronti di lavoratore svolgente mansioni di guardia particolare giurata, può autorizzare il datore di lavoro al licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, ove dimostri che egli non ha un interesse apprezzabile alla prosecuzione del rapporto, alla stregua delle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Nella specie, puntualizzano i Supremi Giudici, c'è da considerare che la corte d'appello aveva comunque esaminato anche il profilo della residuale utilizzabilità della lavoratrice esclusivamente in mansioni che non richiedessero il porto d'armi ed era pervenuta al motivato convincimento che, anche se la lavoratrice era stata impiegata in mansioni di centralinista della centrale operativa, comunque era sempre pronta ad essere inviata all'esterno in servizio attivo; ciò che richiedeva appunto il porto d'armi.<br /><br /><br /><br /><br />In sintesi:<br /><br />Secondo l’esegesi offerta dalla Suprema Corte, l'esclusività della qualifica delle mansioni di assunzione come guardia particolare giurata fanno sì che quando queste non possono essere più volte in conseguenza del ritiro del porto d'armi si determina altresì una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione che è parziale e che comunque richiede la valutazione del residuo interesse del datore di lavoro alla prestazione lavorativa residuale, interesse che, ove insussistente, legittima il licenziamento. <br /><br />Fra i precedenti giurisprudenziali si segnala: <br /><br />Cass. Civ., Sez. L, sentenza 24 ottobre 2000, n. 13986<br /><br />Riferimenti normativi:<br /><br />Cod. Civ., artt. 1256 e 1463; <br /><br />Cod. civ., art. 2119 <br /><br /><br />A cura della Redazione<br /><br /><a href="http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2015/06/12/licenziamento-illegittimo-guardia-particolare-giurata-senza-porto-d-armi" title="http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2015/06/12/licenziamento-illegittimo-guardia-particolare-giurata-senza-porto-d-armi" rel="external">http://www.ipsoa.it/documents/lavoro- ... iurata-senza-porto-d-armi</a>
Sat, 13 Jun 2015 16:52:05 +0200
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Gioco, lecito sì ma non in orario di servizio! [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Gioco, lecito sì ma non in orario di servizio!<br />
Gioco, lecito sì ma non in orario di servizio! <br />Stampa <br />Email <br />30 Maggio 2015 13:29 Data pubblicazione Scritto da Avv. Giovanni Adamo <br /><br /><br /><br />Il caso in esame concerne un provvedimento recentemente pronunciato dal Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria. Il ricorso al giudice amministrativo era stato proposto da una guardia giurata alla quale la Prefettura di Cosenza aveva revocato i titoli e il porto di pistola.<br /><br />La Prefettura, a giustificazione del proprio provvedimento, adduceva una condotta complessivamente inappropriata, che avrebbe trovato i propri momenti più significativi nell'abbandono dell'auto di istituto, nel consumo di bevande alcooliche, e nella dedizione al gioco (lecito) durante l'orario di servizio.<br /><br /> <br /><br />Occorre un breve incipit, volto a chiarire meglio il contesto nel quale la vicenda va inquadrata. In particolare, al fine di interpretare più correttamente la fattispecie, va osservato, in primo luogo, che la guardia giurata non è, quanto a qualificazione normativa, un soggetto assimilabile al ‘buon padre di famiglia’ (ovvero all'uomo medio), ma un soggetto che riveste la ben più pregnante e caratterizzata qualifica di incaricato di pubblico servizio (è, infatti, l'ultimo comma dell'art. 138 Tulps a stabilire che “salvo quanto diversamente previsto, le guardie particolari giurate nell'esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate rivestono la qualità di incaricati di un pubblico servizio”), che ha, dunque, doveri certamente più significativi di quelli di un soggetto che non sia possessore di una simile qualifica.<br /><br />Nel contempo, al caso di specie devono ritenersi applicabili anche discipline e considerazioni ulteriori. È lo stesso art. 138 Tulps, ad esempio, a stabilire quale condizione imprescindibile per il rilascio (e per il successivo mantenimento) dei titoli in questione, che l'aspirante guardia giurata sia persona ‘di buona condotta morale’ (e questo ovviamente con tutte le naturali perplessità che possano accompagnarsi alla natura talora soggettiva di un simile giudizio, ed anche alla sua possibile variabilità nel tempo).<br /><br />Inoltre, e questo valga in relazione a qualsiasi provvedimento amministrativo, il provvedimento stesso, e il procedimento che lo origina, devono essere improntati a criteri di ‘proporzionalità’ e ‘ragionevolezza’, intendendosi per principio di proporzionalità il fatto che la Pubblica Amministrazione, nell'esercizio dei propri compiti, è tenuta ad adottare la soluzione idonea e necessaria, comportante il minor sacrificio possibile per le posizioni dei privati coinvolti. In pratica, ed in altri termini, tale principio esige l'idoneità del mezzo prescelto rispetto al fine perseguito. Il principio di ragionevolezza, poi, imporrebbe che nel caso concreto la Pubblica Amministrazione supporti il proprio provvedimento con adeguata motivazione e tenendo conto di tutte le circostanze concrete e di tutti gli interessi coinvolti.<br /><br />Il ricorrente, nel caso di specie, sosteneva, fra l'altro, anche la liceità dell'attività di gioco nei locali appositamente autorizzati. Tuttavia il Giudice amministrativo ha (peraltro correttamente) rilevato che l'Autorità amministrativa, nel campo di cui trattasi, è certamente investita di assai ampi poteri discrezionali, e che ha compiuto una valutazione del tutto prescindente e scissa da qualsiasi canone di liceità o illiceità dell'attività di gioco, focalizzando l'attenzione, invece, sulla complessiva affidabilità del ricorrente (che nel caso di specie, se le tesi esposte dall'amministrazione erano corrette, avrebbe tenuto anche altre condotte plausibilmente non del tutto compatibili con l'attività svolta) rispetto al ruolo – particolarmente delicato – che gli era stato affidato.<br /><br />E sul punto la giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, sembra confermare le valutazioni espresse dal Tar Calabria. Ad esempio, per Cons. Stato, 23 maggio 2008, n. 2493, ‘non risulta affetto da inadeguatezza della motivazione il provvedimento di sospensione del rinnovo del decreto a guardia particolare giurata, che motivi tale sospensione con riferimento sia ad un procedimento penale, gravante sul destinatario del provvedimento, sia a comportamenti e personalità dello stesso, tali da pregiudicare il requisito dell'affidabilità’.<br /><br />Elementi, questi, che inducono (comunque cautamente e con le riserve espresse in precedenza) a considerare la pronuncia in commento come aderente all'orientamento giurisprudenziale maggiormente condiviso. <br /><br />L'AUTORE - Giovanni Adamo, fondatore Studio Legame Adamo (<a href="http://www.studiolegaleadamo.it" title="www.studiolegaleadamo.it" rel="external">www.studiolegaleadamo.it</a>), avvocato in Bologna - cultore della materia di Diritto civile nell'Università di Bologna.<br /><br /><a href="http://www.gioconews.it/esperto/94-gioconews/44524-gioco-lecito-si-ma-non-in-orario-di-servizio" title="http://www.gioconews.it/esperto/94-gioconews/44524-gioco-lecito-si-ma-non-in-orario-di-servizio" rel="external">http://www.gioconews.it/esperto/94-gi ... non-in-orario-di-servizio</a>
Sat, 30 May 2015 16:57:05 +0200
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Cassazione: il dipendente può essere "spiato" su Facebook [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: il dipendente può essere "spiato" su Facebook<br />
Cassazione: il dipendente può essere "spiato" su Facebook<br /><br />Il caso: un lavoratore sorpreso lontano dalla "pressa" a utilizzare il proprio cellulare. La sentenza: i controlli 'occulti' aziendali possono essere utilizzati non per controllare l'attività lavorativa ma per smascherare eventuali danni al patrimonio aziendale. Gli accertamenti non devono essere eccessivamente invasivi<br /><br /><br /><br /><br /><br /><br />27 maggio 2015<br /> <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br />ROMA - Ci sarà da discutere. Il dipendente può essere spiato anche su Facebook. Il via libera arriva dalla Cassazione ma non è generalizzato in quanto questa forma di controllo 'occulto', ottenuta attraverso la creazione da parte dell'azienda di un falso profilo Facebook, è ammessa per "riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale" e non per controllare "l'attività lavorativa più propriamente detta". Ecco perché, dice la Suprema Corte, non si può dire che "la creazione del falso profilo facebook costituisca, di per sè, violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro, attenendo ad una mera modalità di accertamento dell'illecito commesso dal lavoratore, non invasiva nè induttiva all'infrazione, avendo funzionato come mera occasione o sollecitazione cui il lavoratore ha prontamente e consapevolmente aderito".<br /> <br />La vicenda analizzata dalla Cassazione riguarda il ricorso di un operaio abruzzese addetto alle stampatrici che era stato licenziato "per giusta causa" - e la Cassazione oggi ha confermato la massima sanzione - nel settembre 2012 sulla base di una serie di contestazioni tra le quali quella di essersi intrattenuto con il suo cellulare a conversare su Facebook. L'accertamento - ricostruisce la sentenza 10955 della sezione Lavoro - era stato reso possibile attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un 'falso profilo di donna su Facebook'. Già la Corte d'appello dell'Aquila, nel dicembre 2013, aveva ritenuto legittimo il controllo fatto sul dipendente, ritenendolo privo di "invasività". Giudizio confermato oggi da piazza Cavour che ha bocciato il ricorso del dipendente, convalidando la legittimità dell'espulsione.<br /> <br />Nel dettaglio, la Cassazione parla di una "tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi 'occulti', anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, in quanto diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l'interesse del datore di lavoro al controllo e alla difesa dell'organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale".<br /> <br />La Cassazione, a scanso di equivoci, precisa che "il datore di lavoro ha posto in essere un'attività di controllo che non ha avuto ad oggetto l'attività lavorativa più propriamente detta e il suo esatto adempimento, ma l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, poi effettivamente riscontrati<br /> <br /><br />e già manifestati nei giorni precedenti allorché il lavoratore era stato sorpreso al telefono lontano dalla pressa cui era addetto, ed era stata scoperta la sua detenzione in azienda di un dispositivo elettronico utile per conversazioni via internet".<br /> <a href="http://www.repubblica.it/tecnologia/2015/05/27/news/facebook_aziende-115394906/" title="http://www.repubblica.it/tecnologia/2015/05/27/news/facebook_aziende-115394906/" rel="external">http://www.repubblica.it/tecnologia/2 ... cebook_aziende-115394906/</a>
Wed, 27 May 2015 21:13:12 +0200
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Il proprietario di una villa stipula un contratto di assicurazione per furto e un contratto di vigil [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Il proprietario di una villa stipula un contratto di assicurazione per furto e un contratto di vigil<br />
Il proprietario di una villa stipula un contratto di assicurazione per furto e un contratto di vigilanza con altra ditta. Subisce un furto con scasso, con sottrazione di beni per ingente valore e chiama in n giudizio la società di vigilanza affinché fosse condannata a pagare il danno subito ed il canone assicurativo pagato. <br />Il vigilante che ha assunto l'obbligo di vegliare sull'immobile di un altro soggetto, ove, a fronte di segnalazione ricevuta, non provveda ad effettuare l'intervento al fine di verificare se effettivamente sia in corso effrazione e non avverte e chiede l'intervento delle forza di polizia, è tenuto a risarcire i danni patiti dalla parte che ha subito l'omessa vigilanza. <br /><br />--------------------------------------------------------------------------------<br /> Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 aprile – 20 giugno 2014, n. 14084 <br />Presidente Russo – Relatore Petti <br /><br />Svolgimento del processo <br /><br />1. Con citazione del 2 aprile 1998 G.T. , nella veste di assicurata danneggiata da un furto con scasso della cassaforte interna alla villa isolata sita in (omissis) , furto avvenuto la notte del (omissis) , convenne dinanzi al Tribunale di FIRENZE la Società Metronotte s.r.l. E ne chiese la condanna al pagamento del premio assicurato in relazione alla perdita dei preziosi custoditi nella cassaforte, per oltre 93 milioni di lire. La società si costituiva e deduceva che per la clausola 8 del contratto il furto non era garantito, mentre era dovuta una penale nel caso di negligenza del personale; <br />chiamava in causa le ASSICURAZIONI GENERALI per esserne garantita. <br />L'assicuratrice si costituiva e contestava la chiamata in garanzia ma poi sosteneva le ragioni della assicurata. <br />2. Il Tribunale di FIRENZE, con sentenza 1 marzo 2004 rigettava la domanda della G. E la domanda di garanzia verso le ASSICURAZIONI Generali e poneva le spese di lite a carico della attrice. <br />3. Contro la decisione proponeva appello la G. Chiedendone la riforma e lo accoglimento delle pretese in relazione allo inadempimento della SECURITAS. <br />Resistevano le controparti. <br />4. La CORTE DI APPELLO con sentenza del 11 luglio 2007 ha riformato la decisione del tribunale accogliendo l'appello ed ha condannato la SECURITAS a pagare, a titolo di inadempimento contrattuale, la somma di Euro 22,278,67 oltre interessi legali dalla domanda; ha condannato le Assicurazioni generali a tenere indenne la Securitas per gli obblighi di pagamento verso la G. ; ha posto a carico delle Securitas le spese dei due gradi da pagare alla G. ; ha compensato le spese tra Securitas e Generali. <br />5. Contro la decisione ricorre SECURITAS METRONOTTE deducendo venti motivi di gravame; resiste la G. Chiedendone il rigetto per inammissibilità o infondatezza. Non resistono Assicurazioni Generali. <br /><br />Motivi della decisione <br /><br />6. Il ricorso, soggetto ratione temporis al regime dei quesiti, non merita accoglimento malgrado il numero dei quesiti, che frammentano il fatto storico dannoso al fine di contrastare la ampia e analitica motivazione data dalla CORTE di appello, che invece ha constatato la gravità dell'inadempimento e la condotta negligente ed incauta della società che tempestivamente allarmata non è stata in grado di predisporre un servizio adeguato di pronto intervento, e convenuta in giudizio si è difesa strenuamente oltre i limiti della buona fede contrattuale, dapprima negando la operatività della garanzia a mezzo di clausola nulla, quindi negando un evidente ritardo e la inefficienza della sicurezza affidata ad unico attonito vigilante che teme la presenza di un pacifico san bernardo, ed infine negando persino al esistenza dei danni contro ogni evidenza. Predispone infine una difesa che è tutta in punto di fatto, con inappropriati inserimenti documentali, significa considerare il ricorso di cassazione come un terzo riesame del merito, ovviamente non consentito neppure quando si deduce un travisamento dei fatti, e non un rimedio revocatorio. <br />PER COMPLETEZZA espositiva si offre una sintesi dei venti motivi, ed a seguire una confutazione per argomenti e per selezione dei motivi all'evidenza inammissibili o privi di specificità o di congruità. <br />Nel PRIMO MOTIVO si deduce - da pag 26 - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dal ritardato intervento a seguito della segnalazione di allarme. Si contesta in particolare che l'intervento sia avvenuto entro venti minuti dalla segnalazione dello allarme nella centrale operativa, e che sia esatta la indicazione del ricevimento di tale allarme alle ore 21,19, mentre la ricezione sarebbe avvenuta alle 21,23 come da tabulato inserito a pag. 28. <br />Nel SECONDO MOTIVO A PAG.29 si insiste nel vizio della motivazione, omessa insufficiente e contraddittoria su altro fatto decisivo relativo al tempo necessario alla guardia giurata per recarsi sul posto, sul rilievo che il BIGLIETTO di intervento a ff 31 reca la ricezione di allarme alle ore 2,39 con intervento effettuato dalla guardia giurata che sottoscrive la certificazione, affermando di avere effettuato solo un controllo esterno per motivo di cane libero. A pag 32 si legge che la CENTRALE operativa inviava immediatamente sul posto la guardia B.B. che firma il certificato ed assume che la stessa giungeva sul posto un quarto d'ora più tardi. <br />NEL TERZO MOTIVO si censura ancora il vizio della motivazione, secondo la formula omnicomprensiva di omissione, insufficienza e contraddizione, in relazione all'onere della prova del ritardo, sul rilievo che la centrale operativa opera in PRATO mentre la villetta isolata è nel COMUNE di (omissis) essendo nel testo una fotocopia incompleta del contratto mancante delle clausole contrattuali e senza alcuna indicazione delle modalità di intervento. <br />NEL QUARTO MOTIVO finalmente si deduce l'error in iudicando in relazione allo art.360 n.3 per violazione dello art.2697 cc e si pone a ff 38 il seguente quesito: "dica la CORTE se il ritardato inadempimento in una azione per il risarcimento del danno è un fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio e come tale debba essere provato dalla parte che agisce in giudizio" dove il quesito è astratto in relazione alle prove esaminate e considerate dal giudice del riesame. <br />NEL QUINTO MOTIVO si deduce error in procedendo in relazione agli artt. 360 n.4 e 116 c.p.c. in relazione al prudente apprezzamento delle prove, e si pone il seguente quesito: "dica la CORTE se costituisca prudente apprezzamento ritenere dimostrata la tardività o la tempestività di un intervento senza conoscere e valutare i tempi necessari per adempiere una determinata obbligazione" dove non risulta precisato che l'intervento, per sua natura era di urgenza e presupponeva la circolazione dei mezzi di sorveglianza sui luoghi da sorvegliare, e che i tempi ed i mezzi necessari dovevano essere predisposti per impedire o prevenire il fatto dannoso, la entrata nella villa, la effrazione della finestra, lo scassinamento della cassaforte, e la neutralizzazione di un san bernardo. <br />NEL SESTO MOTIVO si deduce l'error in iudicando avendo la CORTE DI APPELLO ragionato in via di presunzioni. IL QUESITO A FF 39 recita -. "Viola lo art. 2727 il giudice che da un fatto ignoto costituente la premessa logica maggiore, quale la distanza tra i due luoghi, fa derivare conseguenze e valutazioni sui tempi necessari per percorrere la distanza? <br />DOVE manca la specificazione del fatto ignoto, che è invece noto ed attiene allo obbligo di sorveglianza del bene da proteggere, una villa isolata, e pertanto la valutazione del circuito di emergenza e protezione è ben nota al sorvegliante ed alla sua centrale di allarme. IL FATTO noto è l'inadempimento dell'obbligo di protezione, e la prova dell'inadempimento è altrettanto nota e si evidenzia dalla effrazione della villa e dallo scassinamento della cassaforte ad allarme in atto. <br />NEL SETTIMO MOTIVO si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo, ai sensi dello art. 360 n. 5 c.p.c. che viene indicato nella circostanza da ritenersi pacifica che il vigilante intervenuto non possedeva le chiavi per entrare nella villa e che la presenza di un grosso cane poneva in pericolo la sua incolumità. Dal controllo esterno non era possibile ravvisare la forzatura di serrature né la presenza di estranei. <br />NELLO OTTAVO MOTIVO si deduce nuovamente il vizio cumulativo della motivazione su un fatto decisivo costituito dalle presunte tracce che la guardia avrebbe dovuto rilevare entrando nel giardino della villa ovvero scavalcando il muretto. SI deduce che la parte attrice nel richiedere la prova del furto dei preziosi prelevati dalla cassaforte, non aveva posto in evidenza le tracce della effrazione. <br />NEL NONO MOTIVO si deduce ancora cumulativamente il vizio della motivazione in ordine alla prova del danno, con riferimento alla esistenza dei beni sottratti, alla titolarità degli stessi ed alla prova del valore. <br />QUI si sostiene che le dichiarazioni rese dai gioiellieri e riprodotte in fotocopia allegata al ricorso alle pag 5o e 51 non offrono alcuna certezza sul valore e la proprietà. <br />NEL DECIMO MOTIVO si deduce l'error in iudicando per la violazione dello art. 2699 c. civile ed a ff 53 si pone alla CORTE il seguente quesito di diritto: "dica la CORTE se è possibile attribuire valore di prova legale tipica per la dimostrazione di contratti di compravendita a documento che non possiedono i requisiti dell'atto pubblico e della scrittura privata e nei quali non siano indicati né la data dello acquisto, né del prezzo di vendita né siano dettagliatamente descritti i beni oggetto della compravendita". <br />NELL'UNDICESIMO MOTIVO si deduce nullità del procedimento per violazione dello art. 116 c.p.c. e si pone il seguente quesito: "dica la Corte se costituisce prudente apprezzamento delle prove fondare una decisione sulla avvenuta compravendita di beni per un valore di oltre 90 milioni di lire su documenti privi di valore di prova legale tipica, qualificandoli come prova adeguata sua della proprietà dei beni che del loro valore". <br />NEL DODICESIMO MOTIVO si deduce ancora cumulativamente il vizio della motivazione su fatto decisivo, in relazione ai documento 9 e 10 in cui i venditori Oscar CERBAI e Franco NERI dichiarano di avere venduto al prezzo indicato, per complessive lire 93.137.520 i gioielli elencati. <br />NEL TREDICESIMO MOTIVO si deduce ancora cumulativamente in vizio della motivazione su fatto decisivo, in punto di illogica motivazione sulla proprietà dei gioielli, sul rilievo che quale che fosse il regime dei beni tra i coniugi in ogni caso la signora G. li avrebbe ricevuti in grazioso dono. <br />NEL QUATTORDICESIMO MOTIVO si deduce error in procedendo per la violazione dell'art.345 c.p.c. sul rilievo che la parte attrice non aveva depositato in appello l'atto di separazione dei beni, e si pone il seguente quesito a ff 61: "dica la CORTE se viola l'art. 345 c.p.c. il giudice di appello che ammette una produzione documentale, che era nella disponibilità della parte fin dal primo grado del giudizio, che non è stata tempestivamente prodotta per causa imputabile alla parte e che non è stata ritenuta indispensabile ai fini della decisione". <br />Nel QUINDICESIMO MOTIVO si deduce omessa ed illogica motivazione su fatto decisivo, art. 300 n. 5, in relazione al nesso eziologico, che è stato accertato dai giudici di appello e in relazione allo inadempimento e in relazione alla prova del danno. QUI SI SOSTIENE erronea la affermazione della CORTE DI APPELLO che considera come inerte la condotta della guardia giurata che sopraggiunge sul posto ma non entra nel giardino né scavalca il muretto per la presenza del san bernardo. <br />NEL SEDICESIMO MOTIVO si deduce ancora error in iudicando in relazione all'art. 2697 c.c. e si pone a ff 64 il seguente quesito: "dica la Corte se in caso di azione risarcitoria per responsabilità contrattuale, il nesso di causalità tra la condotta dedotta come inadempiente e il danno è un fatto costitutivo del diritto azionato e come tale debba essere dimostrato da chi agisce in giudizio e se in mancanza di tale dimostrazione la domanda debba essere respinta". <br />NEL DICIASSETTESIMO MOTIVO si deduce error in procedendo per violazione dei principi stabiliti dagli artt. 112, 183 u.c. e 345 c.p.c. ed a ff.66 si propongono ben tre quesiti: <br />a. dica la Corte se viola i principi stabiliti dagli artt. 112 e o 345 cpc il giudice del gravame che non dichiari inammissibili fatti non dedotti nel primo grado del giudizio nei termini stabiliti dagli artt. 112,183 u.c. e 345 c.p.c. fondando su di essi la propria decisione; <br />b. dica la CORTE se viola in particolare il principio della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, il giudice che consente in sede di gravame la modifica dei fatti adottati a sostegno della domanda, fondando su di essi la propria decisione; <br />c. dica inoltre se viola il principio del carattere devolutivo dell'appello il giudice del gravame che introduca ed esamini nuovi fatti, estendendo su di essi l'indagine e se ciò comporti alterazione dei termini della controversia e conseguente violazione del principio del doppio grado di giurisdizione. <br />Nel DICIOTTESIMO MOTIVO si deduce contraddittoria e insufficiente motivazione su fatto decisivo. La tesi è che la CORTE DI APPELLO interpreta la causa del contratto come obbligazione di risultato, AL FINE DI SVENTARE UN TENTATIVO DI FURTO E DI IMPEDIRLO. Ma si sostiene, che tale interpretazione è illogica e contraddittoria. <br />Nel DICIANNOVESIMO MOTIVO si deduce ancora insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo in relazione alla interpretazione della clausola 9 del contratto, che il tribunale considera valida e la corte di appello nulla, in quanto prevede un esonero di responsabilità per dolo o colpa grave. <br />NEL VENTESIMO MOTIVO si deduce error in procedendo per la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. ed a ff 70 si formula il seguente quesito: "Viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato o comunque il conseguente principio del doppio grado di giurisdizione, il giudice del gravame che dichiari la nullità di una clausola per ragioni non dedotte dalla parte attrice e comunque non dedotte nel primo grado del giudizio?". <br />7. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. <br />Dovendo dare un ordine logico giuridico alla congerie dei motivi, gli stessi vengono raggruppati nei seguenti sottoparagrafi. <br />7.1. profilo interpretativo pregiudiziale e devolutum. ESAME dei motivi 19 e 20. <br />7.2.profilo della imputabilità della responsabilità e dello inadempimento. ESAME dei motivi da 1 ad 8. <br />7.3.profili di diritto in relazione alla contestazione della prova del danno. ESAME dei motivi da 9 a 14. <br />7.4.profili di causalità giuridica. ESAME DEI MOTIVI 15,16 e 18. <br />7.5. PROFILI DI EXTRAPETIZIONE. ESAME del motivo 17. <br />7.6 CONCLUSIONI E CONDANNA ALLE SPESE. <br />7.1. PROFILO interpretativo pregiudiziale e devolutum. <br />Il motivo 19 che prospetta motivazione contraddittoria o insufficiente è collegato al successivo 20 che prospetta invece un error in procedendo per ultrapetizione. <br />Il motivo che deduce il deficit motivazionale non è conforme alla regola posta dallo art. 366 bis che esige la chiara indicazione del fatto controverso ed il momento del quesito di fatto coerente con il tema decidendi ed il devolutum in appello. Vedi sul punto CASS 23 dicembre 2009 n. 27162 e 18 marzo 2011 n. 6288. <br />La motivazione data dalla CORTE non è insufficiente ma congrua, avendo considerato il contratto nella sua struttura e causa tipica che ha per oggetto la prestazione di garanzia di un intervento pronto, non appena la centrale riceva il segnale di allarme che attesta la presenza di intrusi nei locali protetti, qui una villa isolata e con un basso muretto di recinzione. <br />INOLTRE non si comprende la contraddizione se non si deduce il fatto impeditivo del pronto ed organizzato intervento. IL MOTIVO risulta pertanto inammissibile. <br />IL SUCCESSIVO motivo 20 DEDUCENDO la ultrapetizione sostiene che la CORTE non aveva il potere di espungere dal contratto, che veniva conservato nella sua funzione tipica o causa di prestazione di vigilanza e sicurezza, una clausola nulla perché contraria all'ordine pubblico ovvero alla regola dell'art.1229 del codice civile. Il relativo quesito è tuttavia incongruo rispetto al devolutum. Sin dalla prima difesa la SECURITAS si avvale della clausola 9 per offrire alla derubata un obolo consistente nella quota di mensilità. La disputa sulla validità della clausola ha avuto seguito in appello ed ora in cassazione, ma nessuna extrapetizione risulta verificata, e la nullità per violazione di norma imperativa e per la contraddizione tra la causa lecita e la clausola illecita, era verificabile anche di ufficio da parte della CORTE. <br />Infondato e inammissibile il ventesimo motivo. <br />NE SEGUE che tra le parti la res certa negoziale consiste nel contratto in essere, da cui si deve espungere in quanto nulla e non applicabile, la clausola 9. <br />7.2 PROFILO DELLA IMPUTABILITÀ DELLA RESPONSABILITÀ E DELLO INADEMPIMENTO. Esame dei motivi da 1 ad 8. <br />La CORTE di appello, attraverso il riesame del contesto probatorio, accerta che la parte attrice, in abbonamento con la vigilanza, ha dato la prova dello inadempimento della prestazione di garanzia, in relazione al mancato controllo ed all'inefficiente o ritardato intervento operativo a seguito dell'allarme registrato presso la SECURTAS. Tale prova doveva pertanto essere contrastata, ai sensi dello art. 1218 c.c. dal debitore della prestazione, dimostrando la tempestività dello intervento e la idoneità dei mezzi messi a disposizione per prevenire o per vigilare in relazione alla certa presenza degli scassinatori nella villa isolata e protetta da un bravo cane SAN bernardo. <br />I PRIMI otto motivi tendono ad una ricostruzione fattuale diversa da quella accuratamente motivata dalla CORTE e vengono prospettati come vizio della motivazione, il primo, il secondo, il terzo, il settimo e l'ottavo, mentre il quarto, il sesto ed il settimo propongono quesiti di diritto incongrui. <br />I MOTIVI che propongono vizi della motivazione sono incongrui in quanto non deducono il fatto giustificativo del ritardo o della mancata vigilanza, ma si limitano a sostenere che il vigilante rapidamente raggiunse la villa, da solo, ma si limitò ad una osservazione esterna, non avendo allertato le forze dell'ordine ed osservò il cane che, per la sua stazza, gli impediva di scavalcare il muretto. <br />I MOTIVI di diritto sono altrettanto incongrui. <br />NEL QUARTO MOTIVO si sostiene contro la legge del contratto, che il derubato aveva l'onere di provare il fatto costitutivo. <br />DIMENTICA il ricorrente che la prova deriva dall'allarme in atto che segnala la presenza in villa di esperti scassinatori, e dunque è stata accertata obbiettivamente al punto che introduce nel motivo i tabulati con la registrazione. <br />NEL quinto motivo, erroneamente prospettato come error in procedendo, si deduce la errata valutazione del ritardo. <br />L'INAMMISSIBILITÀ DERIVA dalla mancanza del motivo di sintesi e dalla mancanza di decisività, se è vero quanto il vigilante certifica rilasciando il tagliando di accesso e intervento di inerzia. <br />IL sesto motivo è inammissibile nella sua formula di censura, ed in vero non si tratta di considerare le prove come presuntive, dato che si tratta invece di prove oggettive, registrate, e di prove de visu, descritte sommariamente dal vigilante negligente ma prudentissimo. <br />IN CONCLUSIONE I PRIMI OTTO MOTIVI non rispettano le regole di approccio considerate nello art.366 bis del codice di rito. <br />7.3. PROFILI DIRETTI ALLA CONTESTAZIONE DELLA PROVA DEL DANNO. <br />ESAME DEI MOTIVI 9, 10, 11, 12, 13, 14. <br />Quanto ai motivi 9,12,13 che deducono cumulativamente il vizio della motivazione in relazione alla prova che i gioielli sottratti, come descritti dal gioielliere, appartenessero alla proprietaria della villa,che li custodiva nella cassaforte, e che erano stati acquistati e donati dal marito, si osserva che la inammissibilità deriva e dalla mancanza del quesito di fatto e dalla cumulatività dei motivi che impedisce alla corte di districare il vizio per omissione da quello per contraddizione ovvero per insufficienza, a fronte di un prudente apprezzamento delle prove. <br />Quanto invece ai motivi 10, 11 e 14 che pongono questioni di diritto, se ne osserva la incongruità rispetto al decisum atteso che la appartenenza dei gioielli alla derubata, in presenza delle dichiarazioni di seri gioiellieri e delle relative stime, non ha implicato alcun error in iudicando da parte dei giudici che hanno valutato le prove e la congruità delle stime, essendo irrilevante il regime di comunione o di separazione dei beni. <br />INAMMISSIBILI i motivi denunzianti i vizi e infondati quelli relativi agli errores in iudicando. <br />7.4 PROFILO DELLA CAUSALITÀ GIURIDICA. ESAME DEI MOTIVI 15,16,18. <br />In questi tre motivi di deduce rispettivamente il vizio della motivazione al 15, l'error in iudicando al 16, e ancora vizio della motivazione al 18. <br />Quanto ai vizi di motivazione la CORTE ritiene prevalente in profilo della inammissibilità in relazione alla chiara e congrua motivazione della CORTE DI APPELLO. Quanto all'error in iudicando del sedicesimo motivo si osserva che il quesito è astratto e incongruo e tanto rende inammissibile il motivo ai sensi dello art. 366 bis c.p.c.. <br />7.5. PROFILO DELLA EXTRAPETIZIONE DEDOTTO SOTTO TRE PROFILI DEL DICIASSETTESIMO MOTIVO. <br />I tre quesiti risultano formulati in modo astratto e risultano privi e del momento di sintesi e di autosufficienza onde sono inammissibili ai sensi dello art.3 66 bis, c.p.c.. <br />7.6 CONCLUSIONE ANCHE IN ORDINE ALLE SPESE. <br />Per le considerazioni sopradette il ricorso non merita accoglimento e la ricorrente SECURITAS METRONOTTE SPA è tenuta a rifondere le spese del giudizio di cassazione alla controricorrente G.T. , liquidate come in dispositivo. <br /><br />P.Q.M. <br /><br />RIGETTA il ricorso e condanna SECURITAS METRONOTTE SPA a rifondere a G.T. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6500 di cui 200,00 per esborsi. <br /><a href="http://www.avvocatocassazionista.it/sentenza.php?id=8511" title="http://www.avvocatocassazionista.it/sentenza.php?id=8511" rel="external">http://www.avvocatocassazionista.it/sentenza.php?id=8511</a>
Sat, 16 May 2015 20:13:30 +0200
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Re: Revisione D.M. 269/2010: pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto emendativo (D.M. n. 56/2015) [da Sxxx]
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LEGGI E SENTENZE:: Revisione D.M. 269/2010: pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto emendativo (D.M. n. 56/2015)<br />
Allegato D sezione I^ <br />1) adempimenti generali del Titolare dell'Istituto, del instintore, il Direttore tecnico ovvero le figure professionali che esercitano poteri di direzione, amministrazione o gestione dell'Istituto, deve :<br /> a) .....<br /> b) inviare al termine di ciascuna giornata lavorativa al Questore di Provincia un foglio notizie sui fatti costituente reato di cui le guardie hanno avuto cognizione nel corso dell'espletamento del Servizio, nonche' ogni altra informazione degna di particolare attenzione per l'ordine e la sicurezza pubblica.<br /><br />....fosse davvero applicato, ma collide coi interessi commerciali troppo di frequente !
Fri, 15 May 2015 19:34:59 +0200
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Modifiche al D.M. Interno 1° dicembre 2010, n. 269 [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Modifiche al D.M. Interno 1° dicembre 2010, n. 269<br />
Modifiche al D.M. Interno 1° dicembre 2010, n. 269 <br />Decreto Ministero Interno 25.02.2015 n° 56 <br /><br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br />/ / <br /><br /><br /> <br /><br /><br />MINISTERO DELL'INTERNO, DECRETO 25 febbraio 2015, n. 56<br /><br />Regolamento recante modifiche al decreto del Ministro dell'interno 1° dicembre 2010, n. 269: «Disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualita' degli istituti e dei servizi di cui agli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonche' dei requisiti professionali e di capacita' tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti e per lo svolgimento di incarichi organizzativi nell'ambito degli stessi istituti.». (15G00076) <br /><br />(GU n. 107 del 11-5-2015) <br /><br />Vigente al: 11-5-2015 <br /><br />IL MINISTRO DELL'INTERNO<br /><br />Visto il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come successivamente modificato e integrato dall'articolo 4 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito nella legge 6 giugno 2008, n. 101; <br /><br />Visto il Regolamento di esecuzione al Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, come successivamente modificato e integrato dal decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 2008, n. 153; <br /><br />Visto il decreto del Ministro dell'interno 1° dicembre 2010, n. 269, recante: "Disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualita' degli istituti e dei servizi di cui agli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonche' dei requisiti professionali e di capacita' tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti e per lo svolgimento di incarichi organizzativi nell'ambito degli stessi istituti"; <br /><br />Considerato che la Commissione europea, nell'ambito della procedura d'informazione (EU Pilot 3963/12/MARK - 3964/12/MARK) in ordine all'esistenza in Italia di restrizioni al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi per le attivita' di vigilanza privata svolte da imprese stabilite in altri Stati membri, che deriverebbero dalla disciplina del decreto del Ministro dell'interno 1° dicembre 2010, n. 269, ha chiesto di emendare il decreto stesso; <br /><br />Sentita la Commissione consultiva centrale per le attivita' di cui all'articolo 134 del testo unico, costituita ai sensi dell'articolo 260-quater del richiamato Regolamento di esecuzione, che si e' espressa nella seduta del 29 maggio 2014; <br /><br />Vista la nota n. 0024720, in data 17 aprile 2014, del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico; <br /><br />Sentito l'Ente nazionale di unificazione che ha espresso il proprio parere con note del 9 ottobre 2013 e 15 gennaio 2015; <br /><br />Vista la comunicazione del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, n. DPE0003740 P-4.22.17.4.5 del 24 aprile 2014, relativa all'archiviazione da parte della Commissione europea della procedura d'informazione precedentemente citata; <br /><br />Visto l'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante "Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri"; <br /><br />Udito il parere del Consiglio di Stato n. 1899/2014, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza del 9 ottobre 2014; <br /><br />Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma del citato articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988, con nota n. 557/PAS./U/017920.10089.D(1)REG.1, del 28 ottobre 2014; <br /><br />Decreta: <br /><br />Art. 1 <br /><br />Modifiche al decreto del Ministro dell'interno 1° dicembre 2010, n. 269, regolamento recante disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualita' degli istituti e dei servizi di cui agli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonche' dei requisiti professionali e di capacita' tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti e per lo svolgimento di incarichi organizzativi nell'ambito degli stessi istituti <br /><br />1. Al decreto del Ministro dell'interno 1° dicembre 2010, n. 269, sono apportate le seguenti modificazioni: <br /><br />a) all'articolo 3, comma 2, lettera e), le parole: "Sono esclusi dall'applicazione delle definizioni del presente decreto i servizi di localizzazione satellitare di autoveicoli, che prevedano l'esclusivo allertamento del proprietario del bene stesso", sono sostituite dalle seguenti: "Per i servizi di localizzazione satellitare di autoveicoli, che prevedano il solo allertamento del proprietario del bene stesso, svolti esclusivamente, le disposizioni del presente decreto si applicano con riferimento all'Ambito 3"; <br /><br />b) all'articolo 6, dopo il comma 2, e' aggiunto il seguente comma: "2-bis. Per le finalita' di cui all'articolo 252-bis, comma 3, del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, le guardie giurate sono munite di un tesserino avente le caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'interno."; <br /><br />c) all'articolo 8, comma 3, le parole "le disposizioni del presente decreto sono immediatamente esecutive" sono sostituite dalle seguenti: "gli istituti debbono dimostrare la conformita' alle disposizioni del presente decreto. Non possono essere autorizzate estensioni di licenza in caso di comprovate situazioni debitorie relative agli oneri previdenziali, contributivi, assicurativi o tributari"; <br /><br />d) all'articolo 8, comma 4, dopo le parole "pubblica sicurezza" sono aggiunte le seguenti: "rilasciate in nome e per conto della medesima persona giuridica"; <br /><br />e) all'Allegato A, sono apportate le seguenti modificazioni: <br /><br />1) al comma 3, punto 3.5, dopo le parole "adempimenti tributari", sono aggiunte le seguenti "come comprovabile dai carichi pendenti risultanti dall'anagrafe tributaria"; <br /><br />2) al comma 4, punto 4.1.1, dopo la parola "TULPS" sono aggiunte le seguenti: "e un centro di comunicazioni/centrale operativa avente le caratteristiche di cui al successivo punto 4.1.2 verificato dal competente Ispettorato regionale del Ministero dello sviluppo economico"; <br /><br />3) al comma 4, punto 4.1.2, al secondo punto, le parole "presidiata sulle 24 ore da guardie giurate", sono sostituite dalle seguenti: "presidiata da guardie giurate per tutto il tempo di effettuazione dei servizi"; al quarto e quinto punto, le parole "UNI 11068:2005 «Centrali di telesorveglianza - caratteristiche procedurali, strutturali e di controllo»'', sono sostituite dalla seguenti: "EN 50518 «Centro di monitoraggio e di ricezione allarme.<br />Parte 1 - Requisiti per il posizionamento e la costruzione»; Parte 2 - Prescrizioni tecniche; Parte 3 «Procedure e requisiti per il funzionamento»"; <br /><br />4) al comma 4, punto 4.1.3, dopo la parola "una" sono aggiunte le seguenti: "organizzazione della"; <br /><br />5) al comma 4, punto 4.2, le parole "di qualita'" sono sostituite dalle seguenti: "di conformita' alla norma" e dopo la parola "aggiornamenti" sono aggiunte le seguenti: "rilasciata da un organismo di valutazione della conformita' accreditato"; <br /><br />6) al comma 6, punto 6.1, le parole "avere, in aggiunta alla cauzione, nelle imprese individuali un patrimonio personale netto e, nelle societa', un capitale interamente versato e mantenuto per tutta la durata dell'attivita', almeno pari a quanto previsto nell'Allegato F del presente Regolamento, in funzione della configurazione definita dal progetto organizzativo e tecnico operativo e dalla licenza", sono sostituite dalle seguenti: "aver prestato la cauzione, di cui all'articolo 137 TULPS, per gli importi previsti dall'Allegato F del presente Regolamento"; <br /><br />7) al comma 6, punto 6.3, le parole "ad integrazione di quanto previsto al punto 6.1", sono eliminate; <br /><br />8) al comma 7, punto 7.1.2, dopo le parole "CCNL di categoria" sono sostituite dalle seguenti "Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro"; <br /><br />f) all'Allegato B, comma 1, sono apportate le seguenti modificazioni: <br /><br />1) al primo punto, le parole "scuola media superiore" sono sostituite dalle seguenti: "istruzione secondaria di secondo grado"; <br /><br />2) al terzo punto, le parole "ovvero aver conseguito master di livello universitario in materia di sicurezza privata che prevedano stage operativi presso istituti di vigilanza privata", sono sostituite dalle seguenti: "ovvero aver superato corsi di perfezionamento in materia di sicurezza privata, erogati da Universita' riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, che prevedano stage operativi presso istituti di vigilanza privata"; <br /><br />3) al quarto punto, dopo le parole "UNI 10459:1995 «Funzioni e profilo del professionista della security» sono aggiunte le seguenti «e successive modifiche e aggiornamenti.»"; <br /><br />g) all'Allegato D, sono apportate le seguenti modificazioni: <br /><br />1) alla Sezione I, comma 1.a, lettera g), le parole "di categoria" sono eliminate; <br /><br />2) alla Sezione I, comma 1.e, dopo la lettera m), e' aggiunto il seguente periodo: "Restano ferme le disposizioni in materia di formazione delle guardie giurate previste da regolamenti e leggi speciali"; <br /><br />3) alla Sezione II, comma 2.b, dopo l'ultimo capoverso, e' aggiunto il seguente: "Le disposizioni sopra indicate in materia di armi, non si applicano ai servizi disciplinati dal decreto interministeriale 28 dicembre 2012, n. 266."; <br /><br />4) alla Sezione II, comma 2.d, dopo l'ultimo capoverso, e' aggiunto il seguente: "Il titolare della licenza, il direttore tecnico e/o l'institore sono sempre abilitati all'accesso alla Centrale operativa, pur non rivestendo la qualifica di guardia giurata, per lo svolgimento delle attivita' organizzative e di controllo"; <br /><br />5) alla Sezione III, comma 3.g.2, al primo periodo, dopo le parole "indossato all'occorrenza", sono aggiunte le seguenti: "nel caso in cui il cliente assicuri la conformita' del box alle norme UNI EN 1522, UNI EN 1523 e UNI EN 1063"; <br /><br />6) alla Sezione III, comma 3.i, al primo capoverso, dopo le parole "deve essere munito", sono aggiunte le seguenti: "di impianto di allarme antintrusione e di impianto di videosorveglianza oltre che"; <br /><br />7) alla Sezione III, comma 3.l.2, al settimo periodo, le parole "rimane in costante ascolto radio verificando", sono sostituite dalla seguente: "monitora"; <br /><br />8) alla Sezione III, comma 3.l.3, voce "Trasporto valori per somme da € 3.000.000,00 e fino a € 8.000.000,00", dopo le parole "per i trasporti relativi alla Banca d'Italia e", sono aggiunte le seguenti: "per i trasporti"; <br /><br />9) alla Sezione III, comma 3.l.4, voce "Tabelle sinottiche per il trasporto del contante", al punto 5, dopo la parola "attivazione", sono aggiunte le seguenti: "automatica, anche mediante sensori sparo sui vetri dell'automezzo, nonche'"; <br /><br />10) alla Sezione III, comma 3.m, voce "Scorta valori", le lettere a), b) e c) sono eliminate e sostituite dalle seguenti: "a) per la scorta a valori fino a € 3.000.000,00 il servizio deve essere svolto da due guardie giurate in uniforme, armate di pistola, munite di giubbotto antiproiettile che deve essere indossato per tutto il periodo del servizio e sino al rientro in sede, a bordo di un automezzo radio collegato e munito di impianto di localizzazione satellitare. Nel caso di scorta a valori non superiori a € 500.000,00 il Questore puo' autorizzare misure di protezione diverse, in relazione alla specifica situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica ed alla natura del bene scortato"; b) per la scorta a valori superiori a € 3.000.000,00 fermo restando le modalita' previste dalla lettera a), il Questore puo' imporre misure di protezione aggiuntive, in relazione alla specifica situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica ed alla natura e al valore del bene scortato; c) la scorta a materiale bellico, parti di armamento ed esplosivi in genere, quando non svolta direttamente dal proprietario del bene con proprie guardie giurate, e' affidata a guardie dipendenti da istituti di vigilanza privata, il cui numero deve essere calcolato in funzione della distanza dell'obiettivo e del tempo necessario al raggiungimento dello stesso e del rientro in sede. Qualora la distanza sia superiore ai 400 Km, debbono essere impiegate due guardie giurate, a bordo di un automezzo con impianto di localizzazione satellitare, e provviste di adeguati strumenti di comunicazione con la centrale operativa dell'istituto di vigilanza; <br /><br />11) alla Sezione III, dopo il comma 3.o, e' aggiunto il seguente comma: "3.p. Trasporti di valori diversi dal contante. I trasporti di beni di rilevante valore economico, diversi dal denaro contante, si effettuano con le modalita' indicate ai commi 3.l.3 e 3.l.4 del presente Allegato, anche con mezzi diversi da quelli ivi indicati e appositamente allestiti, con i massimali ivi previsti aumentati del doppio. I trasporti di valori per massimali superiori a € 16.000.000,00, fino al massimale previsto dall'assicurazione obbligatoria, dovranno essere autorizzati dal Questore che approva il Regolamento, d'intesa con i Questori delle province interessate, il quale puo' imporre misure di protezione aggiuntive, in relazione alla specifica situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica, alla natura ed al valore del bene trasportato nonche' all'utilizzo di tecnologie di difesa passiva, anche alternative a quelle di cui ai commi 3.l.3. e 3.l.4, specifiche per la particolare tipologia di trasporto."; <br /><br />12) alla Sezione V, comma 5.e, alle parole "n. 1952" sono aggiunte le seguenti: "e rappresentano le condizioni minime che devono essere riprese dai singoli regolamenti di servizio. Tali condizioni possono essere integrate da eventuali regole procedurali interne ritenute necessarie dai soggetti autorizzati nonche' dalle prescrizioni del Questore, in relazione a specifiche esigenze di pubblica sicurezza, adeguatamente motivate. Analogamente il Questore di una provincia diversa da quella ove ha sede l'istituto, puo' autorizzare, in casi di necessita' e urgenza modalita' di svolgimento dei servizi diverse da quelle approvate dal Questore di quella sede, dandone comunicazione entro 24 ore". <br /><br />h) l'Allegato E e' sostituito dall'allegato 1 al presente decreto; <br /><br />i) l'Allegato F e' sostituito dall'allegato 2 al presente decreto; <br /><br />j) all'Allegato G, sono apportate le seguenti modificazioni: <br /><br />1) al comma 1, lettera a, la parola "equiparati" e' sostituita da "equipollenti"; <br /><br />2) al comma 1, lettera b, le parole "con profitto un periodo di pratica" sono sostituite dalle seguenti: "attivita' lavorativa a carattere operativo"; <br /><br />3) al comma 1, lettera c, le parole "organizzato da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni e accreditati presso il Ministero dell'interno -<br />Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate" sono sostituite dalle seguenti: "erogati da Universita' riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca" e, dopo la parola "ovvero", sono aggiunte le seguenti: "in alternativa ai requisiti di cui alle lettere b) e c)"; <br /><br />4) al comma 2, lettera a, le parole "scuola media superiore" sono sostituite dalle seguenti: "istruzione secondaria di secondo grado"; <br /><br />5) al comma 2, lettera b, le parole "con profitto un periodo di pratica" sono sostituite dalle seguenti: "attivita' lavorativa a carattere operativo"; <br /><br />6) al comma 2, lettera c, le parole "organizzato da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni e accreditati presso il Ministero dell'interno -<br />Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate" sono sostituite dalle seguenti: "erogati da Universita' riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca" e, dopo la parola "ovvero", sono aggiunte le seguenti: "in alternativa ai requisiti di cui alle lettere b) e c)"; <br /><br />7) al comma 3, lettera a, dopo le parole "Scienze bancarie" sono aggiunte le seguenti: "Scienze dell'investigazione", e la parola "equiparati" e' sostituita dalla parola "equipollenti"; <br /><br />8) al comma 3, dopo le parole "Registro Imprese", sono aggiunte le seguenti: "per attivita' classificate ai codici ATECO 63.11.1, 63.11.11 e 63.11.19 (Elaborazione dati - elaborazione elettronica dei dati contabili - altre elaborazioni elettroniche di dati), 63.11.2 e 63.11.20 (Gestione data base - attivita' delle banche dati), 82.91.1 e 82.91.10 (Attivita' di agenzie di recupero crediti), 82.91.2 e 82.91.20 (agenzie di informazioni commerciali)"; <br /><br />9) al comma 4, lettera a, le parole "scuola media superiore" sono sostituite dalle seguenti: "istruzione secondaria di secondo grado"; <br /><br />10) al comma 4, lettera b, le parole "con profitto un periodo di pratica" sono sostituite dalle seguenti: "attivita' lavorativa a carattere operativo"; <br /><br />11) al comma 4, lettera c, le parole "organizzato da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni e accreditati presso il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate" sono sostituite dalle seguenti: "erogati da Universita' riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca" e dopo la parola "ovvero" sono aggiunte le seguenti: "in alternativa ai requisiti di cui alle lettere b) e c)"; <br /><br />12) al comma 5, sesto rigo, le parole "organizzati da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni e accreditati presso il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate" sono sostituite dalle seguenti: "erogati da Universita' riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca"; <br /><br />13) al comma 6, primo rigo, la parola "annuale" e' sostituita con la parola "triennale", il numero "3" e' sostituito con il numero "2" ed il numero "5" e' sostituito con il numero "4"; <br /><br />14) al comma 6, quarto rigo, la parola "annuale" e' sostituita con la parola "triennale" e dopo il numero "3" e' aggiunto il numero "4"; <br /><br />15) al comma 6, sesto rigo, le parole "il superamento di" sono sostituite dalle seguenti: "la partecipazione ad"; <br /><br />16) al comma 6, ottavo rigo, le parole "e accreditati presso il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate" sono sostituite dalle seguenti: "secondo le procedure individuate dal Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza". <br /><br />k) all'Allegato H, sono apportate le seguenti modificazioni: <br /><br />1) al comma 2, primo punto, le parole "non possono essere attivate presso il domicilio del titolare della licenza ne' in locali nei quali insistano studi legali" sono sostituite dalle seguenti: "dovranno essere idonee ai fini del corretto esercizio della potesta' di controllo, ai sensi dell'articolo 16 TULPS"; <br /><br />2) al comma 2, secondo punto, le parole "dell'impresa (forma societaria, denominazione sociale, rappresentanti legali, etc.) e del richiedente la licenza" sono sostituite dalle seguenti: "del richiedente la licenza e la forma giuridica con la quale intende svolgere l'attivita'". <br /><br />Il presente regolamento, munito del sigillo di Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana ed entrera' in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. <br /><br />Roma, 25 febbraio 2015. <br /><br />Il Ministro: Alfano <br /><br />Visto, il Guardasigilli: Orlando. <br /><br />Registrato alla Corte dei conti il 14 aprile 2015.<br /><br />Interno, foglio n. 794. <br /><br /><br />Allegato 1 <br /><br />ALLEGATO E <br /><br />Requisiti minimi delle Infrastrutture per le Telecomunicazioni <br /><br />L'impiego delle infrastrutture per le telecomunicazioni e' esclusivo e limitato ai servizi d'istituto. <br /><br />In relazione alle classi funzionali indicate all'art. 2 del presente Regolamento, cosi' come stabilito al punto 4.1.2 dell'Allegato A, i requisiti minimi delle infrastrutture per le telecomunicazioni sono i seguenti: <br /><br />Tipologia A - Centro comunicazioni <br /><br />Sistemi di protezione del sito <br /><br />Controllo accessi con registrazione eventi <br /><br />Alimentazione di emergenza sistemi di centrale operativa <br /><br />Gruppo di continuita' statica (autonomia almeno 15 min.) <br /><br />Gruppo elettrogeno con avvio automatico (autonomia a pieno carico non inf. a ore 6) <br /><br />Sistema di comunicazione radio <br /><br />Postazione radio base con antenna direttiva <br /><br />Postazione radio base di riserva con antenna omnidirezionale <br /><br />Registratore comunicazioni <br /><br />Sistema di comunicazione telefonica <br /><br />Linee telefoniche fisse piu' GSM, per un numero totale di linee dedicate pari al 20% delle guardie giurate non servite via radio, comunque non inferiori a due fisse piu' una GSM <br /><br />Centralino telefonico per la gestione di tutte le linee e registratore di comunicazioni entrambi di adeguata capacita' considerando anche gli eventuali collegamenti remotizzati <br /><br />Postazioni operatore disponibili pari al 15% delle linee, comunque non inferiori a due, ferma restando la possibilita' di prevedere una diversa percentuale sulla base delle eventuali linee remotizzate <br /><br />Impianto di climatizzazione e antincendio <br /><br />Tutti gli impianti e gli ambienti a norma <br /><br />Tutti i sistemi di comunicazione sottoposti a manutenzione, con SLA non superiori a tre ore in caso di loro unicita' o di disfunzioni bloccanti <br /><br />In caso di utilizzazione comune ex-art. 257-sexies, gli ambienti e i sistemi sopra descritti dovranno essere adeguati alle esigenze. <br /><br />Inoltre dovranno essere garantiti: <br /><br />Una postazione radio base con canale dedicato per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio; <br /><br />Un numero di linee telefoniche pari al 20% di tutte le guardie giurate non servite via radio, comunque non inferiori a due fisse piu' una GSM per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio; <br /><br />Postazioni operatore disponibili in numero pari al 15% delle linee, comunque non inferiori a due per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio. <br /><br />Tipologia B - Centrale operativa <br /><br />Sistemi di protezione del sito <br /><br />Controllo accessi con registrazione eventi <br /><br />Antintrusione con registrazione eventi <br /><br />Videosorveglianza perimetrale con registrazione e conservazione dei dati per il tempo necessario e comunque non oltre una settimana, tenuto conto delle esigenze di sicurezza inerenti l'attivita' svolta. <br /><br />Alimentazione di emergenza sistemi di centrale operativa <br /><br />Gruppo di continuita' statica (autonomia almeno 15 min.) <br /><br />Gruppo elettrogeno con avvio automatico (autonomia a pieno carico non inf. a ore 6) <br /><br />Sistema di comunicazione radio <br /><br />Postazione radio base con antenna direttiva <br /><br />Postazione radio base di riserva con antenna omnidirezionale <br /><br />Registratore comunicazioni <br /><br />Sistema di comunicazione telefonica <br /><br />Linee telefoniche fisse piu' GSM, per un numero totale di linee dedicate pari al 20% delle guardie giurate non servite via radio, comunque non inferiori a due fisse piu' una GSM <br /><br />Centralino telefonico per la gestione di tutte le linee e registratore di comunicazioni entrambi di adeguata capacita' considerando anche gli eventuali collegamenti remotizzati; <br /><br />Postazioni operatore disponibili pari al 15% delle linee, comunque non inferiori a due, ferma restando la possibilita' di prevedere una diversa percentuale sulla base delle eventuali linee remotizzate <br /><br />Sistema di comunicazione dati di controllo <br /><br />Hardware e software di comunicazione, inclusi i supporti trasmissivi e le interfacce <br /><br />Hardware e software di gestione, che permetta anche: <br /><br />l'archiviazione ordinaria dei dati per una settimana, tenuto conto delle esigenze di sicurezza inerenti l'attivita' svolta; <br /><br />l'estrapolazione dei dati concernenti le segnalazioni di allarme o di interesse, per l'archiviazione definitiva a disposizione delle Autorita' <br /><br />Sistema di gestione remota <br /><br />Hardware e software di comunicazione per monitoraggio e gestione cifrata da remoto, inclusi i supporti trasmissivi e le interfacce <br /><br />Impianto di climatizzazione e antincendio <br /><br />Locale tecnico separato, dotato di impianti antincendio e di condizionamento, qualora il regolare funzionamento dei sistemi richieda condizioni di esercizio incompatibili con la compresenza di operatori <br /><br />Tutti gli impianti e gli ambienti a norma <br /><br />Tutti i sistemi di comunicazione sottoposti a manutenzione, con SLA non superiori a tre ore in caso di loro unicita' o di disfunzioni bloccanti, ad esclusione dei sistemi di trasmissione dei dati di controllo, per cui sono ammessi SLA non superiori ai minimi stabiliti per le Reti Generali <br /><br />In caso di utilizzazione comune ex-art. 257-sexies, gli ambienti e i sistemi sopra descritti dovranno essere adeguati alle esigenze. <br /><br />Inoltre dovranno essere garantiti: <br /><br />Una postazione radio base con canale dedicato per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio <br /><br />Un numero di linee telefoniche pari al 20% di tutte le guardie giurate non servite via radio, comunque non inferiori a due fisse piu' una GSM per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio; <br /><br />Postazioni operatore disponibili in numero pari al 15% delle linee, comunque non inferiori a due per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio <br /><br />Tipologia C - Centrale operativa avanzata <br /><br />Sistema di protezione del sito <br /><br />Controllo accessi con registrazione eventi <br /><br />Antintrusione con registrazione eventi <br /><br />Videosorveglianza perimetrale con registrazione e conservazione dei dati per il tempo necessario e comunque non oltre una settimana, tenuto conto delle esigenze di sicurezza inerenti l'attivita' svolta. <br /><br />Serramenti di tipo blindato e antiproiettile con griglie di protezione, qualora le condizioni strutturali del sito non garantiscano adeguata protezione. <br /><br />Sistema antirapina collegato con la Questura/Comando operativo CC, qualora previsto da specifici accordi stipulati in sede locale (solo per Classe Funzionale E) <br /><br />Alimentazione di emergenza sistemi di centrale operativa <br /><br />Gruppo di continuita' statica (autonomia almeno 15 min.) <br /><br />Gruppo elettrogeno con avvio automatico (autonomia a pieno carico non inf. a ore 6) <br /><br />Sistema di comunicazione radio (solo per Classe Funzionale D) <br /><br />Almeno due canali bidirezionali con altrettante postazioni. Il primo canale radio obbligatorio deve coprire l'area descritta nelle autorizzazioni prefettizie. Il secondo canale, che sopperisce ad eventuali zone d'ombra per assenza di segnale radio, puo' essere assicurato mediante apparati di fonia mobile GSM, eventualmente dotati del sistema "Push-to-talk" IPRS IP Radio Service. Tali sistemi possono essere impiegati anche per i servizi effettuati negli ambiti non espressamente indicati in licenza, intendendosi per tali quelli nei quali il servizio di trasporto, con partenza e rientro da una sede autorizzata, puo' essere concluso nell'arco temporale dell'orario di servizio. <br /><br />Postazione radio base di riserva con antenna omnidirezionale <br /><br />Registratore di comunicazioni <br /><br />Comunicazioni fonia <br /><br />Linee telefoniche fisse piu' GSM, per un numero totale di linee pari al 30% delle guardie giurate non servite via radio, comunque non inferiori a 4 fisse piu' 2 GSM <br /><br />Centralino telefonico per la gestione di tutte le linee e registratore di comunicazioni entrambi di adeguata capacita' considerando anche gli eventuali collegamenti remotizzati <br /><br />Postazioni operatore disponibili pari al 15% delle linee, comunque non inferiori a due ferma restando la possibilita' di prevedere una diversa percentuale sulla base delle eventuali linee remotizzate <br /><br />Sistema di Gestione portavalori (solo per Classe D) <br /><br />Configurazione server/client <br /><br />Hardware e software di comunicazione, inclusi i supporti trasmissivi e le interfacce <br /><br />Hardware e software di gestione, che permetta anche la localizzazione cartografica dei veicoli portavalori, che dovranno essere dotati di sistema GPS <br /><br />Hardware di riserva "a caldo" <br /><br />Tutti gli impianti e gli ambienti a norma <br /><br />Tutti i sistemi di comunicazione sottoposti a manutenzione, con SLA non superiori a tre ore in caso di loro unicita' o di disfunzioni bloccanti. <br /><br />In caso di gestione associata ai sensi dell'art. 257-sexies del Regolamento d'esecuzione T.U.L.P.S, gli ambienti e i sistemi sopra descritti dovranno essere adeguati alle esigenze. <br /><br />Inoltre dovranno essere garantiti: <br /><br />Una postazione radio base con canale dedicato per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio <br /><br />Un numero di linee telefoniche pari al 30% di tutte le guardie giurate non servite via radio, comunque non inferiori a quattro fisse piu' due GSM per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio; <br /><br />Postazioni operatore disponibili in numero pari al 15% delle linee, comunque non inferiori a due per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio <br /><br />Hardware e software di gestione, che permetta la localizzazione cartografica dei veicoli portavalori, che dovra' essere differenziata per ciascun componente del raggruppamento o del consorzio, qualora le condizioni contrattuali attribuiscano responsabilita' soggettive <br /><br />locale tecnico, dotato di impianti antincendio e di condizionamento, qualora il regolare funzionamento dei dispositivi istallati in centrale richieda condizioni di esercizio incompatibili con la compresenza di operatori. <br /><br />Per tutte le tipologie di centrale operativa, la gestione del servizio di teleallarme (tra cui le interrogazioni cicliche) e la comunicazione in fonia debbono essere effettuate tramite canali radio separati. <br /><br />I punti operativi distaccati, ove necessari, devono prevedere l'interconnessione fonica diretta con la sede principale, ma non devono essere dotati di centrale operativa. Laddove tali punti venissero dotati di un centro di comunicazioni o di una centrale operativa, questi dovranno essere conformi alle disposizioni del presente Allegato. <br /><br />Gli istituti che svolgono, esclusivamente, le attivita' di cui all'art.2 , co. 2, lett. a), classe B, del Decreto (servizi di localizzazione satellitare di autoveicoli che prevedano l'allertamento del proprietario del bene stesso e/o servizi di telesorveglianza e/o televigilanza), senza intervento diretto di proprie guardie giurate, non sono tenuti alla realizzazione del sistema di comunicazione radio. <br /><br />Analogamente non sono tenuti alla realizzazione del sistema di comunicazione radio gli istituti che svolgono, esclusivamente, le attivita' di cui all'art. 2, co. 2, lett. a), classe A, servizi previsti dal D.M. 8 agosto 2007, disciplinante le attivita' di stewarding nelle manifestazioni sportive, e/o dal D.M. 6 ottobre 2009, disciplinante le attivita' di assistenza nei locali di pubblico spettacolo e intrattenimento, e/o dal D.M. 28 dicembre 2012, n. 266, disciplinante le attivita' antipirateria a bordo del naviglio mercantile battente bandiera italiana. <br /><br />La verifica dei requisiti minimi dei sistemi di comunicazione radio e/o telefonica di cui al presente Allegato e' effettuata, secondo le indicazioni tecnico-operative della Direzione Generale Attivita' Territoriali del Ministero dello sviluppo economico, dai competenti Ispettorati Territoriali della medesima Direzione Generale, attraverso l'accertamento di conformita' di tali sistemi di comunicazione alla normativa vigente di settore e con verifica della presenza degli opportuni regimi autorizzatori per l'esercizio dell'impianto radio e la funzionalita' dell'impianto stesso, anche introducendo metodi di verifiche a campione, relativamente all'idonea copertura territoriale radio rispetto a quanto previsto dall'atto autorizzatorio. <br /><br />Allegato 2 <br /><br />ALLEGATO F <br /><br />TABELLA DELLE CAUZIONI DEGLI ISTITUTI DI VIGILANZA PRIVATA <br /><br />1. Gli istituti di vigilanza devono prestare la cauzione, di cui all'art. 137 T.U.L.P.S., secondo gli importi di seguito indicati, in ragione delle classi funzionali di cui all'art. 2, comma 2, punto a)<br />del presente regolamento e del numero di dipendenti in forza: <br />+------------------+---------------------+<br />| CLASSE A e/o C: | Cauzione |<br />| +---------------------+<br />| | € 100.000,00 |<br />+------------------+---------------------+<br /><br /><br />+------------------+---------------------+<br />| CLASSE B: | Cauzione |<br />| +---------------------+<br />| | € 120.000,00 |<br />+------------------+---------------------+<br /><br /><br />+------------------+---------------------+<br />| CLASSE D e/o E: | Cauzione |<br />| +---------------------+<br />| | € 150.000,00 |<br />+------------------+---------------------+<br /><br />2. Nel caso di autorizzazione ex art. 134 T.U.L.P.S. riferita a due o piu' gruppi di classi della tabella di cui al comma 1, l'importo della cauzione dovra' essere pari a complessivi € 200.000. <br /><br />3. A partire da 300 dipendenti la cauzione deve essere integrata di € 25.000 per ogni 100 ulteriori dipendenti.<br /><br /><a href="http://www.altalex.com/index.php?idstr=39&idnot=71091" title="http://www.altalex.com/index.php?idstr=39&idnot=71091" rel="external">http://www.altalex.com/index.php?idstr=39&idnot=71091</a>
Tue, 12 May 2015 22:13:53 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21899&forum=22
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Re: licenziamento causa denuncia ho vinto nel processo come fare per i danni subiti? [da FFS]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21868&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: licenziamento causa denuncia ho vinto nel processo come fare per i danni subiti?<br />
Rivolgiti ad un buon avvocato!
Fri, 8 May 2015 22:53:05 +0200
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LICENZIAMENTO SPROPORZIONATO DI IVNG SPA - REINTEGRATA GPG [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: LICENZIAMENTO SPROPORZIONATO DI IVNG SPA - REINTEGRATA GPG<br />
1<br />REPUBBLICA ITALIANA<br />IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO<br />-Sezione Lavoro-<br />Il Tribunale di Busto Arsizio in persona del giudice del lavoro dott.ssa Francesca La<br />Russa ha pronunziato la seguente<br />S E N T E N Z A<br />nella causa n. 657/2013 r.g. lav. avente ad oggetto: opposizione all’ordinanza ex art. 1,<br />comma 51, della legge n. 92/2012, promossa<br />da<br />Istituto Vigilanza Notturna Gallarate s.p.a., in persona dell’Amministratore<br />Delegato e legale rappresentante dott. Angelo Merlo, difesa e rappresentata dagli Avv.ti<br />Giorgio Albé e Valentina Castelli ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in<br />Busto Arsizio, via Cellini, n. 22, per delega a margine del ricorso ex art. 1, comma 51,<br />della legge n. 92/2012<br />opponente<br />contro<br />Polo Marco, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonella Cavaiuolo ed elettivamente<br />domiciliato presso il suo studio in Milano, via A. Volta, n. 12, per delega a margine<br />della memoria difensiva<br />opposto<br />2<br />Conclusioni delle parti: come in atti.<br />Fatto e diritto<br />La società opponente IVNG ha proposto opposizione all’ordinanza ex art. 1, comma 51, della legge n. 92/2012 che ha accolto il ricorso ex art. 1, comma 48, della legge n. 92/2012, e ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato con lettera del 28.8.2012 (doc. n. 11 fasc. ricorrente fase sommaria) al lavoratore Polo Marco - dipendente della società convenuta dal 19.12.2006 con mansioni di Guardia Particolare Giurata, inquadrato a 4° livello del CCNL Istituti di Vigilanza Privata (doc. nn. 1 e 2 fasc. resistente fase sommaria).<br />La società opponente ha censurato l'ordinanza in quanto erronea, sia perché ha ritenuto che non fosse stata contestata la mancata effettuazione del servizio ispettivo, laddove ripetutamente è stato imputato al lavoratore di non essere sceso dall'autovettura per effettuare la timbratura delle ispezioni presso il cliente Macramé, in tal modo non ispezionando il cortile e il retromagazzino e non verificando che le porte fossero chiuse, come da filmati delle videocamere di sorveglianza del cliente che si sarebbe lamentato dell'accaduto con IVNG; sia perché ha ritenuto il comportamento del lavoratore grave, ma non "ancor più grave in quanto, avendo validato il proprio passaggio (peraltro apponendo il lettore datix sull'estremità del tubo allungabile ...), ha indotto sia il datore di lavoro sia Macramé S.r.l. a credere che il servizio fosse stato reso regolarmente quando invece non lo era.".<br />L'opposto ha chiesto il rigetto dell'opposizione, in quanto infondata, essendo stato fatto il servizio ispettivo e non essendo il ricorrente quello di cui ai fotogrammi.<br />All'esito delle deposizioni testimoniali e della visione di parte dei filmati, le parti hanno discusso la causa che è stata trattenuta in decisione.<br />L'opposizione non è fondata.<br />Il comportamento contestato al ricorrente, di cui alla contestazione disciplinare del 3.8.2012 (doc. n. 9 fasc. ricorrente fase sommaria) - per aver prelevato, nel<br />3<br />turno notturno dei giorni 20, 21, 22, 23, 24, 25, 28, 29 e 30 luglio 2012, un bastone allungabile fino a circa 1, 80 metri dai locali del cliente Macramè s.r.l., avervi applicato all’estremità il lettore datix necessario per effettuare la timbratura delle ispezioni che, nei giorni indicati, ha effettuato senza scendere dall’autovettura, allontanandosi dal cortile della ditta cliente con il bastone parzialmente sporgente dal finestrino, nonché per aver fatto leva sulla maniglia della portiera, per aprirla, di un’autovettura posteggiata nel cortile della ditta, con richiamo della recidiva specifica per la contestazione disciplinare dell’11.6.2012 (doc. n. 3 fasc. ricorrente) - rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle stesse previsioni del CCNL Vigilanza privata che stabiliscono la sospensione della retribuzione e del servizio da uno a sei giorni nei confronti del lavoratore che “esegua con negligenza grave il lavoro affidatogli” (doc. lett. A fasc. ricorrente fase sommaria).<br />Dalla contestazione disciplinare emerge che, al di là delle modalità escogitate per la timbratura delle ispezioni, non vi è contestazione sull’effettivo servizio ispettivo reso, né vi sono agli atti documentate lamentele e contestazioni da parte del cliente presso il quale il servizio è stato reso.<br />Anche all'esito delle deposizioni testimoniali - che hanno precisato che lungo il perimetro del capannone della ditta vi erano applicate al muro sei "placchette" alle quali andava avvicinato il lettore datix per la timbratura - deve ritenersi che, in effetti, il servizio sia stato svolto lungo tutto il perimetro dello stabilimento della ditta cliente, come richiesto, nella fascia oraria concordata, in assenza di specifica contestazione da parte del datore di lavoro della mancata timbratura di alcune "placchette" poste lungo il perimetro della ditta Macramé che non risulta essersi lamentata con IVNG in merito alle timbrature.<br />Anche a voler ritenere che il lavoratore non sia sceso dall'autovettura ad ogni "placchetta" ed abbia utilizzato il bastone allungabile al quale aveva apposto il lettore datix, non è comunque provato che lo stesso non sia sceso per controllare le porte (mentre per le finestre il controllo era solo visivo), non necessariamente poste in corrispondenza delle "placchette", per come emerso dalla deposizione<br />4<br />del teste Fusco ("mi fermavo con l'autovettura anche vicino alle porte, oltre che vicino alle placchette, e scendevo dall'auto per controllare"), o per controllare il cortile e il retromagazzino.<br />In ogni caso, anche qualora non avesse controllato porte, cortile e retromagazzino, si tratterebbe di prestazione parziale - avendo comunque effettuato il giro lungo il perimetro dell’azienda, come risultante dalla mancata contestazione delle timbrature delle “placchette” - punita dal CCNL col provvedimento della sospensione anche nei confronti del lavoratore che "ometta parzialmente di eseguire la prestazione richiesta".<br />Pertanto, all'esito della visione dei filmati del cliente di IVNG, Macramé, anche a voler ritenere che il soggetto di cui ai fotogrammi (doc. n. 16 fasc. opponente) sia il lavoratore Polo - stante le sembianze corporali simili a quelle del ricorrente (capelli, corporatura, forma del viso), pur non identificabili i tratti del viso, considerato anche che il ricorrente possedeva un’ulteriore divisa con la camicia a maniche corte color azzurro e dato atto della mancata contestazione dello svolgimento dei turni indicati ai quali si riferiscono i filmati - deve ritenersi che l'applicazione all'estremità del bastone del lettore datix utilizzato per effettuare le timbrature lungo il perimetro del capannone, senza scendere dall'autovettura, e le ulteriori contestazioni di introduzione nei locali della ditta per prelevare il bastone lì posto e l’avere fatto leva sulla portiera di un’autovettura posta davanti all’entrata del magazzino, non possano essere qualificati quale negligenza gravissima tale da incidere sul vincolo fiduciario e giustificare il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 cod. civ., in quanto integranti la "negligenza grave" nell'esecuzione del lavoro affidato che il CCNL istituti di Vigilanza Privata punisce con sanzione conservativa.<br />L'opposizione deve essere, pertanto, respinta, con conseguente conferma dell'ordinanza emessa nella fase sommaria che, in applicazione del 4° comma dell’art. 18 della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012 - che<br />5<br />prevede che “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione …” - ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore e ordinato alla società l’immediata reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro, con condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, di un indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, a titolo di risarcimento del danno, detratto quanto percepito altrove, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.<br />La soccombenza della società opponente comporta, in applicazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c., la condanna della stessa al pagamento delle spese processuali sostenute dal lavoratore anche per tale fase e liquidate nel dispositivo, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi anticipatario ex art. 93 c.p.c..<br />P.Q.M.<br />- rigetta l'opposizione;<br />- condanna la società opponente al pagamento delle spese di lite, in favore dell'opposto, liquidate in 2.000,00 euro per compensi, oltre accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.<br />Busto Arsizio, 22 maggio 2014<br />Il Giudice del lavoro<br />dott.ssa Francesca La Russa<br /><br /><br /><a href="http://www.sinalvcisal.it/wp-content/uploads/downloads/2014/05/ordinanza-Polo-IVNG.pdf" title="http://www.sinalvcisal.it/wp-content/uploads/downloads/2014/05/ordinanza-Polo-IVNG.pdf" rel="external">http://www.sinalvcisal.it/wp-content/ ... 5/ordinanza-Polo-IVNG.pdf</a>
Fri, 8 May 2015 22:10:17 +0200
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Agente usa il tesserino per entrare ad una festa. E’ un abuso di potere? [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Agente usa il tesserino per entrare ad una festa. E’ un abuso di potere?<br />
Agente usa il tesserino per entrare ad una festa. E’ un abuso di potere?<br />Posted on 4 marzo 2015<br /><br />inShare<br /><br /><br /><br />Sentenze<br /><br />3 marzo 2015<br /><br />Agente usa il tesserino per entrare ad una festa. E’ un abuso di potere?<br /><br />Corte di Cassazione, sezione VI Penale Sentenza 22 gennaio – 26 febbraio 2105, n. 8625<br /><br />by Avv. Giuseppe Tripodi<br /><br /><br /><br />Agente usa il tesserino per entrare ad una festa. E’ un abuso di potere?<br />Corte di Cassazione, sezione VI Penale – Sentenza 22 gennaio – 26 febbraio 2105, n. 8625<br />Presidente Conti – Relatore Leo<br /><br />La sentenza che di seguito si riporta, riguarda un caso di un agente di polizia penitenziari a di Messina che, per parteciapre ad una festa, trovandosi senza invito, ha pensato di esibire il proprio tesserino per convincere la guardia giurata che presidiava l’ingresso selenzionando gli accessi.<br />L’agende di polizia penitenziaria, mostrando il tesserino, faceva presente di avere diritto all’ingresso sebbene fosse privo di invito, ma alla risposta negativa della guardia giurata, l’imputato non esitava ad usare la forza nei confronti dell’interlocutore nel tentativo di spostarlo per varcare l’ingresso.<br /><br />Il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, che ha disposto il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato riguardo al delitto di cui agli artt. 56 e 316 quater cod. pen., concludeva in tal senso «il comportamento, al di là degli aspetti di inopportunità e di risìbilità non appare volto a raggiungere una utilità giuridicamente significativa né insistito sotto il profilo della induzione».<br /><br />Il Pubblico Ministero, denunciando vizi di motivazione e violazioni della legge penale processuale e sostanziale, presentava ricorso sulla base del fatto che il Giudice territoriale avrebbe derogato, senza per altro alcuna motivazione al proposito, la regola di giudizio tipica dell’udienza preliminare, ad esempio ipotizzando una desistenza senza alcun atto di indagine al proposito e, comunque, mediante una mera asserzione. L’irrilevanza della condotta ex art. 56, comma 3, cod. pen. sarebbe del resto esclusa dal fatto che la pretesa di entrare nel locale di intrattenimento senza averne il diritto era fallita solo per la resistenza opposta dalla guardia giurata, e che l’azione si era già esaurita quando P., per ragioni da accertare, aveva chiesto l’intervento della Polizia.<br /><br />La sentenza sarebbe fondata su osservazioni prive di pertinenza, non essendo ad esempio necessario che l’induzione del privato interlocutore sia perseguita con insistenza, o per conseguire un vantaggio che il giudice consideri meno risibile della partecipazione ad una festa, in assenza per altro di pur minimi riferimenti al criterio della offensività e, pertanto, il provvedimento impugnato sarebbe privo di effettiva motivazione.<br /><br />I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondato il ricorso annullando il provvedimento impugnato.<br /><br /><a href="http://www.sentenze-cassazione.com/agente-usa-tesserino-per-entrare-ad-festa-abuso-potere/" title="http://www.sentenze-cassazione.com/agente-usa-tesserino-per-entrare-ad-festa-abuso-potere/" rel="external">http://www.sentenze-cassazione.com/ag ... re-ad-festa-abuso-potere/</a>
Mon, 4 May 2015 18:48:15 +0200
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TAR CATANIA : Vicende penali di parenti - non sono ostative [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: TAR CATANIA : Vicende penali di parenti - non sono ostative<br />
TAR CATANIA : Vicende penali di parenti - non sono ostative <br /> <br /><br />REPUBBLICA ITALIANA - IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia<br />sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)<br />ha pronunciato la presente<br />SENTENZA<br />FATTO e DIRITTO<br />1) Il Signor xxx, guardia particolare giurata, è titolare di licenza di porto di fucile per uso caccia, rinnovata il 28 agosto 2003.<br />Con nota del 27 luglio 2005 il Commissariato di P.S. “Librino”di Catania ha proposto al Questore di Catania di revocare la predetta licenza, segnalando che xxx era “fratello di un pregiudicato per sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, favoreggiamento, già condannato per furto, rapina, porto abusivo e detenzione illegale di armi”.<br />Con nota comunicata il 23 agosto 2005 la Questura di Catania ha preannunciato l’adozione del provvedimento di revoca della licenza, invitando l’interessato a presentare eventuali controdeduzioni in proposito.<br />Acquisita la relativa risposta, con decreto Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006, notificato il 2 novembre 2006, il Questore di Catania ha revocato la licenza di porto di fucile per uso caccia rilasciata a xxx.<br />Il predetto provvedimento è stato motivato avendo riguardo alle seguenti circostanze di fatto:<br />“ ... il 7.03.2002 il fratello del xxx è stato deferito all’A.G. dalla Squadra Mobile di Catania per favoreggiamento personale, nell’ambito dell’operazione denominata “Fiducia 2”, perché, dopo che era stato commesso il delitto di estorsione aggravata ai danni di una società di cui è titolare la stessa moglie del xxx, rendeva false e reticenti dichiarazioni agli organi inquirenti, favorendo in tal modo una banda di estortori affiliati al clan Santapaola, e che lo scaturito procedimento penale si è concluso con una sentenza di condanna emessa l’1.03.2004 del Tribunale di Catania divenuta esecutiva il 6.05.2004; <br />... Viste le memorie difensive dalle quali non si rilevano motivazioni utili ai fini dell’adozione di un provvedimento favorevole atteso che, malgrado la residenza anagrafica sia diversa, il fratello ha favorito, con le sue dichiarazioni mendaci, gli estortori della società di proprietà della cognata ma di fatto gestita dal proprio fratello; <br />... lo stretto legame di parentela con soggetto condannato per gravi delitti – tra cui anche favoreggiamento perché con il suo comportamento ha ostacolato le indagini di Polizia favorendo una banda di estortori – induce fondatamente a ritenere che il xxx non dia garanzia di non abusare del titolo di polizia e comunque non abbia i requisiti previsti dalla legge per poter essere titolare di licenze in materia di armi ...”. <br />Con il ricorso n. 98/2007 notificato il 2 gennaio 2007, depositato il 12 gennaio 2007, il Signor xxx ha impugnato il decreto del Questore Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006 prima citato, deducendone l’illegittimità sotto vari profili.<br />Le Autorità intimate si sono costituite in giudizio per avversare il gravame, chiedendone il rigetto.<br />2) La Signora yyy coniugata con xxx, ha presentato, a sua volta, un’istanza per il rilascio della licenza di porto di fucile per uso tiro a volo.<br />Nel trasmettere la predetta richiesta al Questore di Catania con nota del 23 agosto 2005, il Commissariato di P.S. “Librino” di Catania ha segnalato che il cognato della richiedente era “un pregiudicato per sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, favoreggiamento, già condannato per furto, rapina, porto abusivo e detenzione illegale di armi”.<br />Con nota comunicata il 5 settembre 2006 la Questura di Catania ha preannunciato l’adozione del provvedimento di diniego della licenza, invitando l’interessata a presentare eventuali controdeduzioni in proposito.<br />Acquisita la relativa risposta, con decreto Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006, notificato il 31 ottobre 2006, il Questore di Catania ha denegato alla Signora yyy la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo.<br />Il predetto provvedimento è stato motivato avendo riguardo alle seguenti circostanze di fatto:<br />“ ... il 7.03.2002 il cognato della richiedente è stato deferito all’A.G. dalla Squadra Mobile di Catania per favoreggiamento personale, nell’ambito dell’operazione denominata “Fiducia 2”, perché, dopo che era stato commesso il delitto di estorsione aggravata ai danni di una società intestata alla richiedente, rendeva false e reticenti dichiarazioni agli organi inquirenti, favorendo in tal modo una banda di estortori affiliati al clan Santapaola, e che lo scaturito procedimento penale si è concluso con una sentenza di condanna emessa l’1.03.2004 del Tribunale di Catania divenuta esecutiva il 6.05.2004; <br />... Lette le memorie difensive dalle quali non si rilevano motivazioni utili ai fini dell’adozione di un provvedimento favorevole atteso che quanto asserito, e cioè che il cognato annovera “solo pregiudizi penali risalenti agli anni ’80 e non seguiti da altre condanne” contrasta con quanto si rileva dal casellario giudiziale; <br />... il legame di affinità con soggetto condannato per gravi delitti – tra cui anche favoreggiamento perché con il suo comportamento ha ostacolato le indagini di Polizia favorendo una banda di estortori – induce fondatamente a far ritenere che la richiedente non dia garanzia di non abusare del titolo di polizia e comunque non abbia i requisiti previsti dalla legge per poter essere titolare di licenze in materia di armi ...”. <br />Con il ricorso n. 97/2007 notificato il 2 gennaio 2007, depositato il 12 gennaio 2007, la Signora yyy ha impugnato il decreto del Questore Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006 prima citato, deducendone l’illegittimità sotto vari profili.<br />Le Autorità intimate si sono costituite in giudizio per avversare il gravame, chiedendone il rigetto.<br />3) La Signora zzz, nata a Catania il 28 maggio 1987, figlia di xxx, ha presentato un’istanza per il rilascio della licenza di porto di fucile per uso tiro a volo.<br />Nel trasmettere la predetta richiesta al Questore di Catania con nota del 23 agosto 2005, il Commissariato di P.S. “Librino”di Catania ha segnalato che lo zio della richiedente annoverava “pregiudizi penali per sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, favoreggiamento, già condannato per furto, rapina, porto abusivo e detenzione illegale di armi”.<br />Con nota comunicata il 5 settembre 2006 la Questura di Catania ha preannunciato l’adozione del provvedimento di diniego della licenza, invitando l’interessata a presentare eventuali controdeduzioni in proposito.<br />Acquisita la relativa risposta, con decreto Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006, notificato il 31 ottobre 2006, il Questore di Catania ha denegato alla Signora zzz la licenza di porto di fucile ad uso tiro a volo.<br />Il predetto provvedimento è stato motivato avendo riguardo alle seguenti circostanze di fatto:<br />“ ... il 7.03.2002 lo zio della richiedente è stato deferito all’A.G. dalla Squadra Mobile di Catania per favoreggiamento personale, nell’ambito dell’operazione denominata “Fiducia 2”, perché, dopo che era stato commesso il delitto di estorsione aggravata ai danni di una società intestata alla madre della richiedente, rendeva false e reticenti dichiarazioni agli organi inquirenti, favorendo in tal modo una banda di estortori affiliati al clan Santapaola, e che lo scaturito procedimento penale si è concluso con una sentenza di condanna emessa l’1.03.2004 del Tribunale di Catania divenuta esecutiva il 6.05.2004; <br />... Lette le memorie difensive dalle quali non si rilevano motivazioni utili ai fini dell’adozione di un provvedimento favorevole atteso che quanto asserito, e cioè che lo zio annovera “solo pregiudizi risalenti agli anni ’80 e non seguiti da altre condanne” contrasta con quanto si rileva dal certificato del casellario giudiziale del predetto; <br />... il legame di parentela con soggetto condannato per gravi delitti – tra cui anche favoreggiamento perché con il suo comportamento ha ostacolato le indagini di Polizia favorendo una banda di estortori – induce fondatamente a far ritenere che la richiedente non dia garanzia di non abusare del titolo di polizia e comunque non abbia i requisiti previsti dalla legge per poter essere titolare di licenze in materia di armi ...”. <br />Con il ricorso n. 96/2007 notificato il 2 gennaio 2007, depositato il 12 gennaio 2007, la Signora zzz ha impugnato, a sua volta, il decreto del Questore Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006 prima citato, deducendone l’illegittimità sotto vari profili.<br />Le Autorità intimate si sono costituite in giudizio per avversare il gravame, chiedendone il rigetto.<br />4) Attesa l’evidente connessione, i ricorsi in epigrafe devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica sentenza.<br />5) Ricorso n. 98/2007 R.G.<br />Come evidenziato al superiore punto 1), con il ricorso n. 98/2007 (che per ragioni di ordine logico viene esaminato per primo) il Signor xxx impugna il decreto Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006, con il quale il Questore di Catania gli ha revocato la licenza di porto di fucile per uso caccia, rinnovata il 28 agosto 2003.<br />L’interessato premette di essere titolare della licenza di guardia particolare giurata rilasciatagli l’8 agosto 2006 dal Prefetto di Catania, di essere incensurato e di non avere carichi pendenti.<br />Evidenzia che la revoca è stata disposta unicamente sulla base del vincolo di parentela con il fratello yyy, descritto nella nota informativa del 27 luglio 2005 del Commissariato di P.S. “Librino”di Catania (riportata nel provvedimento impugnato) quale “pregiudicato per sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, favoreggiamento, già condannato per furto, rapina, porto abusivo e detenzione illegale di armi”.<br />Con la I^ censura si lamenta la violazione dell’art. 6 della L. n. 241/1990, in quanto la Questura di Catania avrebbe adottato il provvedimento impugnato recependo supinamente il contenuto della predetta nota informativa, senza svolgere un’autonoma attività istruttoria al riguardo.<br />Con la III^ censura vengono dedotti i vizi di difetto di motivazione, eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, illogicità manifesta, contraddittorietà e ingiustificata disparità di trattamento, carenza di istruttoria, violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.<br />Il ricorrente evidenzia che la revoca del porto di fucile non sarebbe riferibile a fatti e comportamenti a lui addebitabili, che il fratello xxx Giuseppe sarebbe residente a Floresta, in provincia di Messina, che le condanne patite da quest’ultimo (per le quali sarebbe stato emesso un provvedimento di grazia) riguarderebbero fatti avvenuti nel 1980, e che lo stesso fratello nel 2002 avrebbe commesso il reato di favoreggiamento personale per evitare ritorsioni da parte di una banda di estortori.<br />Per il Tribunale tali rilievi sono fondati.<br />Dalla documentazione depositata in giudizio dal ricorrente, non smentita dall’Amministrazione resistente, risulta in effetti che:<br />- Nei confronti di xxx Giuseppe non è stata emessa alcuna sentenza di condanna per il reato di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione né è pendente il relativo procedimento penale.<br />- Per i reati di furto, rapina e detenzione illegale di armi (commessi tutti nel 1980) nei confronti di xxx Giuseppe è stato emesso un provvedimento di grazia con Decreto del Presidente della Repubblica del 21 giugno 1985; i predetti reati, peraltro remoti nel tempo, non hanno mai impedito il rinnovo della licenza di porto fucile nei confronti del ricorrente xxx (Cfr., in termini, Tar Catania, Sezione Quarta, 21 luglio 2009 n. 1351, alla quale espressamente si rinvia).<br />- Vero è che con sentenza n. 174 del 15 marzo 2004 il Tribunale Penale di Catania ha condannato xxx Giuseppe per favoreggiamento personale, in quanto, in qualità di direttore tecnico della “kkkkk S.a.s.”, aveva omesso di denunciare l’attività estortiva patita dalla predetta società, per il presumibile stato di timore che lo aveva indotto a negare collaborazione agli organi inquirenti.<br />Però, come risulta dalla stessa decisione, è altrettanto vero che, mentre xxx Giuseppe in data 23 febbraio 2002 aveva riferito alla P.G. che l’azienda di famiglia non era stata sottoposta ad alcuna attività estorsiva, nella stessa data xxx Filippo aveva dichiarato che “l’azienda di famiglia era sottoposta ad estorsione, specificando di aver saputo proprio dal fratello Giuseppe che, per evitare problemi, erano stati costretti a pagare denaro a malavitosi, che si presentavano in azienda a riscuotere le somme”, e, contestualmente, aveva riconosciuto in fotografia Messina Salvatore e Pelleriti Antonino come esattori del provento estorsivo.<br />In sostanza, di fronte alla patita estorsione, i due fratelli hanno assunto posizioni completamente divergenti, tanto è vero che le dichiarazioni rese da xxx Filippo sono state poi utilizzate dal G.U.P. per giustificare la condanna di xxx Giuseppe.<br />Tali decisive circostanze sono state del tutto ignorate dal Questore di Catania, che si è fermato al dato formale della condanna per favoreggiamento personale a carico di xxx Giuseppe, senza tenere conto del comportamento tenuto nella stessa vicenda da xxx Filippo, che si è del tutto dissociato dal fratello.<br />- Lo stesso Questore di Catania ha altresì omesso di considerare che con decreto del Prefetto di Catania dell’8 agosto 2006 xxx Filippo era stato nominato guardia particolare giurata, venendo così autorizzato a detenere armi da sparo. Peraltro, tale provvedimento di nomina è stato rinnovato con successivo decreto prot. n. 777/2008/G.P.G. Area 1 Ter del 24 luglio 2008, il che fa ritenere che l’Autorità amministrativa abbia valutato positivamente la personalità di xxx Filippo e non abbia ritenuto ostativi i precedenti penali di xxx Giuseppe.<br />Quest’ultima circostanza risulta essere assai rilevante, in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (Cfr. Tar Salerno, Sezione Prima, 4 dicembre 2008 n. 3996) il mantenimento della qualifica di guardia giurata è sottoposto ad una penetrante valutazione da parte dell’Amministrazione, specie per quanto concerne il profilo dell’allarme sociale, dal momento che in base all’art. 138, ultimo comma, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, salvo diverse previsioni, le guardie articolari giurate - nell’esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate - rivestono la qualifica di incaricati di pubblico servizio.<br />Tanto basta per accogliere il ricorso in esame e disporre l’annullamento dell’impugnato decreto del Questore di Catania Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006 di revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia, intestata a xxx Filippo.<br />La II^ censura, con la quale è stata dedotta la violazione degli artt. 11 e 43 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, resta assorbita.<br />6) Ricorso n. 97/2007 R.G.<br />A sua volta, con il ricorso n. 97/2007 (di cui al superiore punto 2) la Signora yyy impugna il decreto Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006, con il quale il Questore di Catania le ha denegato la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo.<br />L’interessata premette di essere moglie di xxx Filippo e ripropone nei confronti del provvedimento impugnato le medesime censure fatte valere dal marito con il ricorso n. 98/2007.<br />Per il Tribunale tali rilievi sono fondati, dal momento che il provvedimento di diniego è stato motivato dall’Amministrazione avendo riguardo unicamente alla condotta di xxx Giuseppe, cognato della richiedente, condotta che il Collegio ha ritenuto non ostativa al mantenimento della licenza di porto di fucile per uso caccia in favore di xxx Filippo.<br />Peraltro yyy coabita con il marito xxx Filippo che, in quanto guardia particolare giurata, è autorizzato a detenere armi, donde la manifesta illogicità del provvedimento di diniego.<br />Le carenze istruttorie e motivazionali riscontrate dal Collegio non possono essere colmate dalle allegazioni difensive contenute nella nota del 19 gennaio 2007 della Questura di Catania, depositata in giudizio dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, nella quale si accenna, tra l’altro, ad una non meglio identificata “nota informativa redatta dai Carabinieri della Stazione di Floresta”, in base alla quale xxx Giuseppe “risulta di pessima condotta in genere, capace di commettere delitti contro la persona ... di fatto ha sempre vissuto a Catania ove risulta essere associato a pregiudicati del luogo”.<br />Infatti tali affermazioni costituiscono un’inammissibile integrazione postuma della motivazione, che non può sanare il deficit istruttorio e motivazionale denunciato (Cfr. Cons. Stato, VI, 29 maggio 2008, n. 2555; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 30 giugno 2009 , n. 6339; Tar Catania, Sez. IV, 20 ottobre 2009, n. 1702).<br />In conclusione, il ricorso in esame deve essere accolto, e va conseguentemente disposto l’annullamento dell’impugnato il decreto del Questore di Catania Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006, con il quale è stata denegata alla ricorrente yyy la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo. Sono espressamente fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Autorità amministrativa<br />7) Ricorso n. 96/2007 R.G.<br />Infine, con il ricorso n. 96/2007 (di cui al superiore punto 3) la Signora zzz impugna il decreto Cat. 6.F/P.A.S./2006 del 24 ottobre 2006, con il quale il Questore di Catania le ha denegato la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo. (si omette in quanti ripete le precedenti argomentazioni)<br />Tenuto conto della complessità della situazione di fatto, stimasi equo disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del giudizio.<br />P.Q.M.<br />Il Tribunale Amministrativo per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania, Sezione Quarta, accoglie i ricorsi in epigrafe nei modi di cui in motivazione, previa la loro riunione.<br />Spese compensate.<br />Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.<br />Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2010 <br />Ettore Leotta, Consigliere, Estensore<br />NOTA: Ma che belle questure che abbiamo! <br />Unico appunto alla sentenza: perché mai compensare le spese? <br /><a href="http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/catania3.html" title="http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/catania3.html" rel="external">http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/catania3.html</a>
Sun, 26 Apr 2015 07:54:37 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21800&forum=22
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sentenza vigilanza privata su mancato pagamento 10 minuti ... [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21795&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: sentenza vigilanza privata su mancato pagamento 10 minuti ...<br />
IO ho dato un occhiata nel caso fosse stata gia' inserita, ma non lho trovata....nel caso di una mia svista chiedo scusa.<br /><br /><a href="http://www.sinalvcisal.it/wp-content/uploads/downloads/2013/09/SENTENZA-CONTRO-CIVIN-VIGILANZA-PER-I-10-MINUTI4.pdf" title="http://www.sinalvcisal.it/wp-content/uploads/downloads/2013/09/SENTENZA-CONTRO-CIVIN-VIGILANZA-PER-I-10-MINUTI4.pdf" rel="external">http://www.sinalvcisal.it/wp-content/ ... ANZA-PER-I-10-MINUTI4.pdf</a>
Sat, 25 Apr 2015 16:00:51 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21795&forum=22
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Lecito licenziare chi rifiuta l’intervento urgente anche si trova a fine turno [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Lecito licenziare chi rifiuta l’intervento urgente anche si trova a fine turno<br />
Una Guardia Giurata non può abbandonare il posto di lavoro ed è tenuta a aspettare il cambio, inoltre in caso di emergenza insorta alla fine del turno vi è l’obbligo di prestare servizio anche se questo dovesse comportare lo sforamento del limite delle otto ore giornaliere. Insubordinazione, infatti, è il reato contestato ad una guardia giurata che si era rifiutata di aspettare il cambio in una situazione di emergenza.<br /><br />La sentenza<br /><br />Il datore di lavoro è autorizzato a licenziare un dipendente che rifiuta di eseguire un intervento di urgenza mentre è smontante: La Corte di Cassazione ha infatti sancito, con una sentenza del 18 settembre 2013, che la modalità della “flessibilizzazione” dell’orario consente di fatto di far fronte ad emergenze e imprevisti anche con il superamento del termine delle otto ore regolari.<br /><br />La Corte ha infatti respinto il ricorso, presentato da una guardie giurata che si opponeva alla decisione della Corte d’appello di Firenze, la quale ha legittimato il licenziamento operato dall’azienda in seguito al rifiuto di eseguire un intervento ‘urgenza poco prima della fine del turno.<br /><br />Il caso<br /><br />La guardie giurata si è rifiutata di intervenire in seguito ad una segnalazione della centrale di un allarme scattato nella sua zona poco prima della fine del suo turno.<br /><br />La condotta del dipendente è stata ritenuta dall’Istituto una dimostrazione di insubordinazione, in quanto l’Art 75 del CCNL della Vigilanza prevede espressamente che il personale smontante o già smontato è obbligato ad effettuare il servizio nel ricorso di condizioni oggettive che lo richiedano. La sezione lavoro della Suprema corte ha ritenuto legittimo il provvedimento espulsivo in base alle disposizioni di legge e di contratto che regolano l’orario di lavoro del personale addetto ai turni di notte, e in particolare di quello di vigilanza:<br /><br /> <br />«L’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore, è fatta salva, tuttavia, l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite. Tale disposizione è ribadita dall’articolo 13 del d.lgs. 66/2003 e ha trovato piena attuazione nella contrattazione collettiva di settore (art. 71 del c.c.n.l. del personale degli istituti di vigilanza privata ratione temporis applicabile) nel quale, stante il ruolo ricoperto dalla vigilanza privata quale attività ausiliaria di prevenzione, sicurezza per la tutela del patrimonio pubblico e privato, con le conseguenti necessità di assicurare servizi caratterizzati da straordinarietà non programmabili al fine di evitare pericoli e/o danni ai beni da vigilare, è stato convenuto che in base all’art. 3 d.lgs. 66/2003 ai fini contrattuali l’orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali e, tuttavia, si è precisato che tenuto conto delle obiettive necessità di organizzare i turni di lavoro in maniera da garantire la continuità nei servizi di tutela del patrimonio pubblico e privato affidato agli istituti di vigilanza».<br /><br />E ancora<br /><br /> <br />«Il lavoratore del turno smontante non può lasciare il posto di lavoro senza prima aver avuto la sostituzione, del lavoratore del turno montante, che dovrà avvenire entro due ore e mezza dal termine del normale orario giornaliero»: si tratta di una modalità di flessibilizzazione dell’orario che, ragionevolmente, consente il corretto avvicendamento nel servizio assicurando la presenza di personale per fare fronte a esigenze impreviste, e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere concretamente qualificata la necessità di provvedere ad un intervento in prossimità della fine del turno di servizio con, solo eventuale, travalicamento del termine di otto ore.<br /><br /><a href="http://www.cassazione.net" title="www.cassazione.net" rel="external">www.cassazione.net</a>
Thu, 23 Apr 2015 09:46:04 +0200
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Re: SOSPESO DAL SERVIZIO E DALLA RETRIBUZIONE PER PROC.PENALE [da Theguard]
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LEGGI E SENTENZE:: SOSPESO DAL SERVIZIO E DALLA RETRIBUZIONE PER PROC.PENALE<br />
Mi dispiace ma per quel che so io non si ha diritto a nulla...<br /><br />Questo è uno dei problemi che ha il nostro lavoro e per questo, mi infastidisce molto quando ci paragonanano a quelli della sicurezza dei centri commerciali ed ai portieri d'aziende, i quali, al tuo posto non avrebbero avuto alcun problema a lavorare !
Thu, 16 Apr 2015 07:29:09 +0200
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Licenziamento e periodo di prova (CASS.CIV. SEZ. LAV., n. 4347 DEL 4 MARZO 2015) [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento e periodo di prova (CASS.CIV. SEZ. LAV., n. 4347 DEL 4 MARZO 2015)<br />
Licenziamento e periodo di prova (CASS.CIV. SEZ. LAV., n. 4347 DEL 4 MARZO 2015)<br /><br />sui giorni di lavoro “effettivo” i contratti collettivi possono prevedere deroghe al principio generale <br /> <br /><br />Pubblicato in Diritto del lavoro in data 02/04/2015 <br />Autori: User Caragnano Roberta <br /> User AR redazione <br /> <br />Sintesi<br />In caso di licenziamento di un lavoratore per mancato superamento del periodo di prova, il contratto collettivo, in deroga al principio generale, può escludere dal conteggio le domeniche 'facendo riferimento a sessanta giorni di servizio effettivo'<br /><br />La Corte di Cassazione si è espressa ribadendo che il principio generale alla base del periodo di prova può essere ridefinito dalla contrattazione collettiva, la quale può disporre diversamente attribuendo rilevanza sospensiva ad eventi non previsti dalla disposizione legale.<br /><br />IL CASO<br /><br />Il lavoratore G. M., dipendente di un istituto di vigilanza inquadrato in un livello al di sotto del 1 super del C.C.N.L. del personale degli istituti di vigilanza, proponeva ricorso al Tribunale di Cosenza avverso il licenziamento intimatogli dalla società S. s.r. l. per mancato superamento del periodo di prova, come disciplinato dall’art. 69 del su indicato contratto collettivo nazionale di lavoro.<br /><br />Il Tribunale in accoglimento dello stesso condannava la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dal giorno dell’illegittimo licenziamento sino alla reintegra.<br /><br />La Corte territoriale di Catanzaro rigettava l’appello della società S. s.p.a. che contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione fondato su un unico articolato motivo, cui resisteva G.M. con controricorso.<br /><br />La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato, per le spese, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.<br /><br /> <br /><br />IL COMMENTO<br />1.Sul computo dei giorni “effettivi” di lavoro: la posizione dell’azienda e la decisione della Corte di Appello <br /><br />Nella fattispecie in esame la quaestio su cui si è espressa la Corte di Cassazione verte sulla definizione del periodo di prova e sul computo dei giorni e, in particolare, sulla interpretazione dell’articolo 69 del C.C.N.L. del personale degli istituti di vigilanza che così prevede «La durata massima del periodo di prova non potrà superare i seguenti limiti: - personale inquadrato nel livello Quadro e nel I livello super: 150 giorni di effettivo lavoro prestato; - personale inquadrato negli altri livelli: 60 giorni di effettivo lavoro prestato. Tale periodo di prova sarà proporzionalmente ridotto, sino ad un minimo di 30 giorni, in considerazione di eventuali periodi di stage svolti all’interno dell’azienda e derivanti da corsi di formazione riconosciuti dall'ente bilaterale. La riduzione è calcolata secondo la seguente tabella (...). Al lavoratore in prova dovrà essere corrisposta la retribuzione per la qualifica assegnata», nonché sulla interpretazione del contratto di lavoro ai sensi degli artt. 362, 1363 e 1366 c.c..<br /><br />Il lavoratore contestava l’illegittimità del licenziamento ed esattamente l’interpretazione letterale dell’aggettivo “effettivo” rispetto al calcolo dei giorni del periodo di prova e se fossero o meno computabili i giorni convenzionali di riposo tra cui le domeniche.<br /><br />Per l’azienda il riferimento ai “60 giorni di effettivo lavoro prestato” a cui faceva riferimento l’art. 69 del contratto collettivo di riferimento e l'analoga espressione presente nella lettera di assunzione del lavoratore, datata 8 giugno 2007, erano da interpretarsi letteralmente con esclusione dei giorni di riposo che, quindi, non si intendevano computati.<br /><br />La Corte di Appello di Catanzaro, in accoglimento del ricorso del lavoratore, aveva ritenuto tardivo il recesso perché intervenuto successivamente al superamento del periodo di prova e aveva ribadito che nel conteggio dei giorni erano da considerarsi anche i giorni di riposo «in quanto durante tale periodo la mancata prestazione lavorativa inerisce al normale svolgimento del rapporto».<br /><br />Riguardo agli aspetti pratici ai 53 giorni di effettivo servizio prestato dovevano essere aggiunti gli 8 giorni di riposo goduti dal lavoratore dopo sei giorni lavorativi, per un totale di 61 giorni, quindi, oltre il termine dei 60 giorni previsti dall’art. 69 del contratto collettivo di riferimento.<br /><br /> <br />1.Il ragionamento della Corte di Cassazione <br /><br />La Corte di Cassazione, investita della questione, si è espressa con un giudicato differente rispetto a quello della Corte di Appello rilevando, invece, come sostenuto dal datore di lavoro, che l’espressione in questione "60 giorni di effettivo lavoro prestato" presente nell’art. 69 aveva un senso letterale preciso ossia «la volontà delle parti di includere nel periodo di prova solo i giorni in cui il lavoratore era effettivamente in attività di servizio, con esclusione di tutti gli altri in cui tale attività non era reale ed effettiva». Ne discendeva che mancando una precisa e diversa previsione della contrattazione collettiva non era computabili nel periodo di prova i giorni di riposo legale o convenzionale.<br /><br />La Corte nel suo ragionamento metodologico di ricostruzione della fattispecie ricorda la finalità del patto di prova che è quella di consentire alle parti di verificare e valutare la reciproca convenienza della prestazione lavorativa, insieme all’accertamento delle capacità del prestatore, ma allo stesso tempo e indirettamente ribadisce il ruolo importante della contrattazione collettiva, che consente alle parti, concordemente, di regolare in maniera differente il rapporto di lavoro, mentre è in capo al giudice il compito di interpretare le norme dei contratti collettivi nei casi in cui, come nella fattispecie in questione, si verificano ipotesi di denuncia di violazione denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, rispetto ad una errata interpretazione della legittimità delle condotte datoriali in base a norme di ermeneutica negoziale (artt. 1362 e ss., c.p.c.).<br /><br />Su queste basi la Corte ribadisce un proprio consolidato orientamento [1] per il quale ai fini del computo dei giorni per il periodo di prova sono considerati lavorativi anche quelli inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività mentre sono esclusi, perché non prevedibili, i giorni della malattia, dell’infortunio, della gravidanza e del puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Tale principio è vero fatta eccezione per i casi in cui sia espressamente e diversamente previsto dalla contrattazione collettiva [2] come, appunto, nel caso in esame.<br /><br />La Suprema Corte a riguardo, e rispetto al giudicato della Corte di Appello (si veda § 1), che aveva computato nel calcolo dei giorni di lavoro anche quelli di riposo convenzionale, segnala che la Corte territoriale non si era attenuta alla valutazione letterale della espressione "effettivo servizio", ribadito dalla norme in questione, omettendo ogni valutazione e senza specificare in forza di quale criterio ermeneutico avesse supportato la propria decisione.<br /><br />Ma vi è di più. I giudici rilevano anche che il riferimento generico al riposo come modalità di svolgimento della attività lavorativa e, quindi, da considerare a tutti gli effetti nel conteggio dei giorni, era da considerarsi insufficiente oltre che apodittica come affermazione alla luce di un orientamento giurisprudenziale non solo generale [3] ma anche specifico rispetto alla interpretazione del C.C.N.L. degli istituti di vigilanza privata (così anche Cass., 18 luglio 1998, n. 7087).<br /><br /> <br /><br />2.1. Sulla interpretazione del contratto collettivo e sulla volontà delle parti<br /><br /> <br /><br />Gli Ermellini, sulla base delle considerazioni su esposte, si sono espressi accogliendo il ricorso poiché sussistente la violazione dell’art. 1362. c.c il quale così prevede «nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto». In particolare la Corte ha precisato [4] che il ricorso al primo criterio della interpretazione letterale preclude successivi criteri di valutazione in tutti i casi in cui, come in quello in esame, emerge una precisa e comune volontà delle parti che esclusa interpretazioni differenti. <br /><br />La norma prevista dal contratto collettivo di riferimento del settore degli istituti di vigilanza ha una portata precettiva e fa riferimento a due criteri: l’effettività della prestazione e i giorni di lavoro che sono considerati come unità temporale di riferimento.<br /><br />Le parti, a riguardo, hanno espresso in maniera evidente la loro volontà di collegare la verifica della prestazione lavorativa a tali criteri per rendere concretamente valutabile la prestazione.<br /><br /> <br /><br />La Corte, pertanto, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza e rimesso al giudice di appello la quantificazione delle spese.<br /><br /> <br /><br /><br />[1] Sul punro cfr. Cass., 5 novembre 2007 n. 23061; Cass., 13 settembre 2006 n. 19558.<br /><br />[2] Si leggano in tal senso così Cass., 5 novembre 2007, n. 23061; Cass., 22 marzo 2012, n. 4573.<br /><br />[3] Cass., 8 ottobre 1999, n. 11310 e Cass., 25 agosto 1999, n. 8859.<br /><br />[4] Su questo orientamento giurisprudenziale si leggano per tutte Cass. 22 dicembre 2005, n. 28479; Cass. 22 febbraio 2007, n 4176; Cass. 4 gennaio 2013, n. 110<br /><br /><br /><a href="http://dirittodellavoro.diritto.it/docs/36980-licenziamento-e-periodo-di-prova-cass-civ-sez-lav-n-4347-del-4-marzo-2015" title="http://dirittodellavoro.diritto.it/docs/36980-licenziamento-e-periodo-di-prova-cass-civ-sez-lav-n-4347-del-4-marzo-2015" rel="external">http://dirittodellavoro.diritto.it/do ... v-n-4347-del-4-marzo-2015</a>
Thu, 2 Apr 2015 21:11:59 +0200
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SENTENZA :CITTA DI ROMA [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: SENTENZA :CITTA DI ROMA<br />
SENTENZA :CITTA DI ROMA<br /><br /><br />26.03.2015 17:53<br />REPUBBLICA ITALIANA<br /> <br />IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br /> <br />Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio<br /> <br />(Sezione Prima Ter)<br /> <br /> <br /> <br />ha pronunciato la presente<br /> <br />SENTENZA<br /> <br /> <br /> <br />sul ricorso numero di registro generale 12868 del 2014, proposto da:<br /> <br />Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma Società Cooperativa, rappresentata e difesa dagli avv. Federico Tedeschini, Domenico Greco, con domicilio eletto presso Studio Legale Tedeschini in Roma, largo Messico, 7;<br /> <br />contro<br /> <br />U.T.G. - Prefettura di Roma, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;<br /> <br />per l'annullamento<br /> <br />dei provvedimenti della Prefettura di Roma di diniego parziale di accesso prot. n. 239850/Area I Bis OSP e 239217/Area I Bis O.S.P. del 21.10.2014;<br /> <br />e per la declaratoria di accesso<br /> <br />agli atti, provvedimenti e relazioni di servizio dei competenti Organi di Polizia di cui all’istanza di accesso formulata dalla ricorrente, ancorchè di data e tenore sconosciuti, che hanno costituito il presupposto per l’adozione, da parte del Prefetto di Roma, dell'informativa interdittiva antimafia prot. n. 234639/2014 del 16.10.2014;<br /> <br />e per il risarcimento dei danni<br /> <br />danni subiti e subendi dalla ricorrente conseguenti alla mancata ostensione della documentazione richiesta, da quantificare in corso di causa, anche in via equitativa.<br /> <br /> <br /> <br />Visti il ricorso e i relativi allegati;<br /> <br />Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Roma e di Ministero dell'Interno;<br /> <br />Viste le memorie difensive;<br /> <br />Visti tutti gli atti della causa;<br /> <br />Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 la dott.ssa Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;<br /> <br />Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.<br /> <br /> <br /> <br />FATTO e DIRITTO<br /> <br />La società ricorrente, operante nel settore della vigilanza pubblica e privata ed appartenente al Gruppo Metronotte, è stata destinataria dell’informativa antimafia del 16 ottobre 2014 della Prefettura della Provincia di Roma.<br /> <br />La ricorrente, oltre ad impugnare tale provvedimento dinnanzi al TAR Lazio, ha chiesto in data 21 ottobre 2014 l'accesso alla nota della Prefettura della Provincia di Roma prot n. 234639/2014 del 16 ottobre 2014 (comunicata all'Agenzia delle Entrate con nota prot n. 23521/2014 del 16 ottobre 2014) e di tutti gli atti e provvedimenti connessi e presupposti del procedimento culminato con l'adozione dell'informativa antimafia de qua (relazioni di P.G. e di P.S., istruttoria, provvedimenti, ecc.), al fine di esercitare il proprio diritto di difesa avverso gli atti adottati nei suoi confronti, ritenuti lesivi.<br /> <br />La Prefettura di Roma ha riscontrato la descritta istanza di accesso, con note prot. n. 239850/Area I Bis e prot. n. 239217/Area I Bis O.S.P. del 21 ottobre 2014, nella quali si legge che: “(…) la S. V. potrà presentarsi presso questo Ufficio il giorno 23/10/2014 alle ore 10.00 [...] Si informa che, nella fattispecie in esame, l'accesso è consentito [...] relativamente al provvedimento ostativo, conclusivo del procedimento. Gli atti endoprocedimentali, contenenti informazioni fornite dai competenti Organi di Polizia, non potranno essere visionati perché appartenenti alla categoria dei documenti inaccessibili ai sensi dell'art. 3 del D.M 10.05.1994, n. 415, regolamento attuativo dell'art. 24, comma 2 della legge n. 241/1990. La predetta documentazione istruttoria rimane conservata agli atti di questo Ufficio, nel rispettivo fascicolo [...] ".<br /> <br />In sostanza, l'Amministrazione resistente ha concesso unicamente l'ostensione del provvedimento conclusivo del procedimento, negandolo a tutta la documentazione richiesta dalla ricorrente, affermando che trattasi di "documenti inaccessibili ai sensi dell'art. 3 del D.M 10.05.1994, n. 415, regolamento attuativo dell'art. 24, comma 2 della legge n. 241/1990".<br /> <br />Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall'Amministrazione, la parte ricorrente le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe e deducendo i seguenti vizi: violazione e falsa applicazione degli arti. 1, 3, 22, 24 e ss., Legge n. 241 del 1990 e s.m.i.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del D.M. n. 415/1994; violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del D.P.R. n. 352 del 1992. Violazione e falsa applicazione dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU; violazione e falsa applicazione degli ant. 13, 24 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione dei principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa; eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, travisamento di atti e fatti, sviamento, manifesta ingiustizia.<br /> <br />L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.<br /> <br />Il Collegio ritiene che le domande proposte dalla parte ricorrente al fine di ottenere l'accesso agli atti del procedimento concluso con l'adozione della citata informativa interdittiva antimafia, siano fondate e debbano essere accolte per le ragioni di seguito indicate.<br /> <br />Come correttamente rappresentato dalla Società ricorrente, la legge n. 241/1990 garantisce il diritto di accesso - a coloro che sono legittimati in tal senso ed hanno interesse ad ottenere gli atti richiesti -, anche in caso di limiti all'ostensione, posto che l'art. 24 della citata legge del 1990, oltre ad individuare i limiti all'accesso, prevede che lo stesso "... deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici ...".<br /> <br />Nel caso di specie, l'istanza di accesso della Società ricorrente presenta tutti i caratteri (interesse personale, concreto e attuale, nonché necessarietà e indispensabilità) richiesti dalla legge affinché l'Amministrazione conceda l'ostensione, poiché la ricorrente è destinataria della interdittiva antimafia adottata sulla base degli atti di cui è stato chiesto l'accesso.<br /> <br />Pertanto, la conoscenza degli atti che hanno costituito il presupposto per l'adozione dell'informativa interdittiva risulta consentita e necessaria per esercitare il diritto di difesa della ricorrente.<br /> <br />Del resto, la classifica di "riservato" apposta sugli atti di cui è stato chiesto l'accesso, riconducibili agli atti di cui agli artt. 2 e 3 del D.M. n. 415/1994 (recanti l'elenco di categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti, rispettivamente, "alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionale" e "alla sicurezza pubblica" ovvero alla "prevenzione e repressione della criminalità") non preclude, in modo assoluto, la cognizione degli stessi, se sussiste (come nel caso di specie) l'esigenza di difesa di interessi giuridicamente protetti del richiedente.<br /> <br />Ne consegue l'illegittimità del diniego parziale di accesso adottato dall'Amministrazione resistente, anche perché, nel caso di specie, l'accesso è stato negato facendo un generico richiamo all'art. 24 della L.n. 241/1990 e all'art. 3 D.M. n. 415/1994, utilizzando una motivazione generica non recante le reali ragioni che, nel caso concreto, impediscono alla ricorrente di visionare ed estrarre copia dei documenti richiesti per motivi di ordine e sicurezza pubblica, nonché per finalità di prevenzione e repressione della criminalità.<br /> <br />E' evidente, del resto, che eventuali esigenze di segretezza o riservatezza, una volta esplicitate e motivate, non impedirebbero all'Amministrazione di consentire l'accesso, potendo essere soddisfatte con idonee tecniche di mascheramento.<br /> <br />Pertanto, tenendo conto di quanto sopra esposto, va ordinato all'Amministrazione di consentire l'accesso agli atti posti a base dell'informativa interdittiva antimafia del Prefetto di Roma prot. n. 234639/2014 del 16.10.2014, mediante estrazione di copia.<br /> <br />L'accesso va consentito entro il termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione, o, se anteriore, notificazione della presente decisione.<br /> <br />Va, invece, disattesa la domanda di risarcimento danni, posto che, pur a voler prescindere dalla genericità della stessa, la Società ricorrente non ha dedotto e documentato alcunché al riguardo, e (oltre ad aver citato la richiesta risarcitoria nell'epigrafe dell'atto introduttivo del giudizio) non ha ribadito la domanda nelle conclusione del ricorso.<br /> <br />Le spese seguono il principio della soccombenza prevalente, e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.<br /> <br />P.Q.M.<br /> <br />Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)<br /> <br />definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,<br /> <br />lo accoglie e per l’effetto ordina all'Amministrazione l'esibizione degli atti indicati in motivazione, con le modalità e i termini ivi indicati;<br /> <br />Condanna l'Amministrazione soccombente al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari di lite, che si liquidano in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00);<br /> <br />Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.<br /> <br />Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:<br /> <br />Carlo Taglienti, Presidente FF<br /> <br />Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore<br /> <br />Roberto Proietti, Consigliere<br /> <br /> <br /> <br />L'ESTENSORE IL PRESIDENTE<br /> <br /> <br /> <br /> <br /> <br />DEPOSITATA IN SEGRETERIA<br /> <br />Il 02/03/2015<br /> <br />IL SEGRETARIO<br /> <br />(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Mon, 30 Mar 2015 03:27:12 +0200
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Revoca di porto d'armi: un caso di illegittimità del provvedimento prefettizio [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Revoca di porto d'armi: un caso di illegittimità del provvedimento prefettizio<br />
Revoca di porto d'armi: un caso di illegittimità del provvedimento prefettizio<br /><br />Fonte: Revoca di porto d'armi: un caso di illegittimità del provvedimento prefettizio. <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><br /><br /><br />Avv. Francesco Pandolfi - cassazionista<br /><br /><br />Il carattere isolato di un procedimento penale nonché le risultanze prodotte sulla base di esami ematici, svolti successivamente alla guida in stato di ebbrezza, non consentono al Prefetto di revocare il porto d'armi ( Consiglio di Stato sezione 3, sentenza n. 575 del 05.02.2015 ). <br /><br />Il Tribunale amministrativo regionale della Campania accoglie il ricorso proposto da Tizio, allora guardia giurata particolare avverso il decreto con cui la Prefettura ha disposto la revoca del porto d’armi perché responsabile di guida della propria auto in stato di ebbrezza in violazione dell’art. 186 comma 2 del Codice della Strada, in forza del quale veniva emesso decreto penale. <br /><br /><br /><br />ADVERTISEMENT<br /><br /><br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br /><br />Il Tribunale, dopo aver ricostruito i contenuti normativi e giurisprudenziali del potere ampiamente discrezionale di valutazione dell’Amministrazione, ha censurato il provvedimento impugnato ritenendolo illogico per aver omesso di considerare il carattere isolato del procedimento penale nonché le risultanze prodotte sulla base degli esami ematici successivamente effettuati.<br /><br />Anche in appello la decisione non cambia.<br /><br />Dicono i Giudici che sul piano generale è corretto ricordare che il rilascio e il rinnovo di licenza di p.s. sono disciplinati da norme particolarmente rigorose sul piano oggettivo e soggettivo, e ciò vale anche per quella in questione connessa proprio all’uso delle armi e quindi anche al possesso di requisiti soggettivi di specifica affidabilità.<br /><br />Di conseguenza viene riconosciuta la più ampia discrezionalità dell’Amministrazione nella valutazione in ordine al possesso di quei requisiti sulla base degli elementi e delle risultanze in atto sussistenti e che si deve esplicitare in un complessivo motivato e concreto giudizio, sia pure non dettagliato.<br /><br />Nella fattispecie la Sezione condivide le argomentazioni di carattere generale e specifico svolte anche sinteticamente dal T.A.R. che, dopo aver richiamato il contesto normativo e giurisprudenziale, ha sostenuto l’illogicità del decreto in questione che sostanzialmente si è limitato a prendere atto della violazione del Codice della Strada senza considerare, nella disamina di competenza, che si trattava di fatto isolato e che i successivi esiti ematici erano stati favorevoli al ricorrente.<br /><br />Inoltre, il D.M. del Ministero della Sanità, pur facendo riferimento all’accertamento dei requisiti psicologici presso specifici uffici sanitari, è stato solo citato dal Ministero appellante nella parte finale del provvedimento, a supporto di un giudizio sulla buona condotta pressochè automatico omettendo invece, come evidenziato dal T.A.R., alcuna indicazione di elementi di valutazione complessiva delle circostanze dedotte anche a prescindere dall’esito del procedimento penale.<br /><br />Tanto più che sempre la competente Prefettura ha ritenuto di rinnovare al contempo il solo decreto di guardia particolare giurata, mentre il relativo tesserino era stato nel frattempo ritirato dai Carabinieri con conseguente sospensione dell’interessato dal servizio e il successivo licenziamento dello stesso, e tale determinazione avrebbe dovuto essere idoneamente motivata trattandosi di titoli ambedue particolarmente qualificati sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica.<br /><br />Va pure detto, per completezza, che il Ministero ha tenuto nell’occasione un atteggiamento dilatorio ed inspiegabile, posto che non ha coltivato il contenzioso, né ha inteso riadottare altro provvedimento in sintonia con il dictum del giudice di prime cure, così consentendo all’interessato di continuare di fatto nell’utilizzo del porto di armi.<br /><br />contatta l'avv. Francesco Pandolfi<br /><br />3286090590 <a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a><br /><br />blog <a href="http://www.pandolfistudiolegale.it" title="www.pandolfistudiolegale.it" rel="external">www.pandolfistudiolegale.it</a><br /><br /><br /><br />Fonte: Revoca di porto d'armi: un caso di illegittimità del provvedimento prefettizio. <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17787.asp" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17787.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... /news_giuridica_17787.asp</a>
Sat, 28 Mar 2015 04:52:08 +0100
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Quando la sospensione del porto d’armi diventa illegittima imposizione del divieto di esercitare la [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Quando la sospensione del porto d’armi diventa illegittima imposizione del divieto di esercitare la<br />
Quando la sospensione del porto d’armi diventa illegittima imposizione del divieto di esercitare la propria attività lavorativa<br /><br />Fonte: Quando la sospensione del porto d’armi diventa illegittima imposizione del divieto di esercitare la propria attività lavorativa. <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><br /><br /><br />di Gerolamo Taras - La detenzione ed il porto di armi, sono caratterizzati dall’ ampia discrezionalità, attribuita dall’ ordinamento all’ Amministrazione, sia in sede di rilascio che in sede di revoca delle licenze di Pubblica Sicurezza.<br /><br />Tale potere viene riconosciuto all’ Autorità di P. S., in funzione della difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica, della prevenzione del danno che possa derivare a terzi da indebito uso ed inosservanza degli obblighi di custodia, nonché della commissione di reati che possano essere agevolati dall'utilizzo del mezzo di offesa. Ovviamente la discrezionalità non può sconfinare nell’arbitrio ma deve essere esercitata nel rispetto di un adeguato obbligo motivazionale.<br /><br /><br />ADVERTISEMENT<br /><br /><br /><br /><br />A maggior ragione se il rilascio o la revoca del porto d’ armi viene "messa in relazione non con la possibilità di esercitare un hobby che richiede l’utilizzo delle armi, ma con la possibilità di svolgere una professione”.<br /><br />“Nel primo caso, l’interesse a poter utilizzare armi ben può essere recessivo, rispetto a quello dell’incolumità pubblica, anche laddove vi sia una valutazione meramente prognostica della possibilità che il soggetto non offra piena garanzia di non abusare delle armi. Nel secondo, il bilanciamento degli interessi opera in modo diverso, considerato che l’uso dell’arma è strumentale alla possibilità di esercitare una professione” (TAR Lombardia –Brescia-sentenza n. 02611/2010). <br /><br />I Fatti. L’ Autorità di Pubblica Sicurezza di Brescia aveva disposto, in via cautelare, nei confronti della dipendente di un Istituto di Vigilanza, la sospensione del porto d’armi e dell’ autorizzazione allo svolgimento delle funzioni di Guardia Giurata, (con conseguente e correlato divieto di detenzione di armi e munizioni) sino “alla definizione del procedimento penale pendente” per delitti contro la persona e per delitti contro la libertà morale, con l’aggravante di aver commesso il fatto con armi la sospensione del porto d’armi. La Guardia Giurata veniva di conseguenza sospesa dal servizio e dalla retribuzione e successivamente licenziata dall’ Istituto di Vigilanza. <br /><br /><br /> <br /><br /><br /> Il provvedimento veniva confermato dal Prefetto, nonostante la Vigilante avesse inoltrato all’Amministrazione una memoria, nella quale venivano evidenziate la pretestuosità della querela ed altre circostanze dalle quali emergeva che la stessa aveva sempre tenuto normale condotta morale e civile,non dando mai adito in pubblico a rimarchi di sorta”.<br /><br />Contro il provvedimento la Vigilante faceva ricorso al TAR, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, e contestualmente il risarcimento del danno subito, consistente nella mancata percezione della retribuzione a causa della sospensione dal lavoro.<br /><br />Nel ricorso veniva sottolineato il nesso eziologico tra provvedimento illegittimo e danno. L’elemento soggettivo della colpa veniva, invece, individuato nell’ avere, l’Amministrazione, confermato i provvedimenti cautelari, senza compiere alcun autonomo accertamento o valutazione dell’effettiva affidabilità della ricorrente e senza tener conto di quanto comunicato dall’interessata a sostegno della propria affidabilità e della tesi dell’infondatezza della querela (unica motivazione posta alla base degli stessi provvedimenti).<br /><br />Con la sentenza sopra citata, il TAR di Brescia aveva accolto parzialmente il ricorso. Secondo i Giudici di primo grado “l’Amministrazione avrebbe dovuto, anche alla luce dell’informativa proveniente dalla polizia giudiziaria, condurre una più precisa ed ampia istruttoria, partendo dal presupposto che la credibilità di quanto fatto oggetto di querela appariva sin da subito minata dal contenuto delle mail e degli sms inviati dalla stessa querelante ed attestanti la falsità dei fatti denunciati. Tutto ciò avrebbe dovuto imporre, prima della conferma del pesante provvedimento di sospensione impugnato, una più completa indagine sull’affidabilità della querelante, considerato che rispetto alla ricorrente era stato possibile riscontrare una condotta sino a quel momento immune da mende”. Per di più il Tribunale di Bergamo, con sentenza in data 17 novembre 2009, aveva assolto la ricorrente dai fatti per i quali era stata rinviata a giudizio (e che avevano determinato i provvedimenti cautelari prefettizi). <br /><br />Ma non solo: “La sospensione del porto d’armi e dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di guardia giurata, nonché il divieto di detenzione di armi debbono, quindi, ritenersi illegittimi … in quanto privi di un’adeguata motivazione ed adottati in esito ad un’istruttoria carente e comunque insufficiente a fronte dell’incidenza del provvedimento finale sulla possibilità di esercitare la propria attività lavorativa per la destinataria” Di conseguenza l’illegittima imposizione del divieto di esercitare la propria attività lavorativa, costituisce, quindi, la condotta lesiva, colposa … che ha causato il danno, in linea di principio suscettibile di risarcimento e consistente nell’impossibilità... di operare quale guardia giurata;<br /><br />Il T.A.R. aveva invece respinto la domanda volta ad ottenere la condanna dell’Amministrazione al risarcimento per i danni subiti.<br /><br />Secondo il T.A.R., il licenziamento subito dalla ricorrente, a seguito dei provvedimenti impugnati, non risultava «direttamente riconducibile al fatto proprio dell’Amministrazione». <br /><br />La Vigilante ha, quindi, appellato la sentenza, nella parte in cui aveva respinto la sua domanda volta ad ottenere la condanna dell’Amministrazione al risarcimento per i danni subiti e limitatamente al periodo nel quale è stata sospesa dal servizio in seguito ai provvedimenti emessi dal Prefetto di Bergamo.<br /><br />La sentenza del T.A.R. di Brescia non essendo stata appellata dall’Amministrazione, neppure in via incidentale, era, nel frattempo, passata in giudicato, per le parti, non oggetto dell’appello della Ricorrente.<br /><br />Secondo il Consiglio di Stato -Sezione Terza sentenza n. 01520/2015 del 20/03/2015-il T.A.R. ha erroneamente ritenuto, che non sussistesse un diritto al risarcimento (anche) per il periodo durante il quale l’interessata era stata sospesa dal servizio. <br /><br />“Non vi è dubbio, infatti, che l’appellante ha subito un danno per non aver potuto prestare servizio, come guardia giurata, a seguito dei provvedimenti ritenuti illegittimi con i quali il Prefetto di Bergamo le ha sospeso i titoli di polizia, e che tale danno è stato ritenuto dal T.A.R. determinato dall’azione colposa dell’Amministrazione, con la sentenza appellata che sul punto è passata in giudicato”.<br /><br />“L’appellante aveva, infatti, richiesto il risarcimento per la mancata percezione dello stipendio non solo per il licenziamento subito ma anche per il periodo durante il quale era stata sospesa dal servizio”.<br /><br />“Inoltre, come affermato nell’appello, la Vigilante non avrebbe potuto durante tale periodo svolgere altra e diversa attività lavorativa”.<br /><br />“Pertanto, alla ricorrente deve essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale subito per effetto della mancata percezione della retribuzione per il suddetto periodo di sospensione dal servizio, commisurato sotto tale profilo all'effettivo importo mensile della retribuzione moltiplicato per i mesi in cui la lavoratrice è stata sospesa dal servizio ed eccettuate le componenti stipendiali presupponenti l'effettiva prestazione dell'attività lavorativa”.<br /><br /><br /><br /><br />Gerolamo Taras - <a href="mailto:[email protected]" title="[email protected]">[email protected]</a> <br /><br /><br />Fonte: Quando la sospensione del porto d’armi diventa illegittima imposizione del divieto di esercitare la propria attività lavorativa. <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17931.asp" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17931.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... /news_giuridica_17931.asp</a>
Thu, 26 Mar 2015 21:47:30 +0100
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Lavoratore, attentato terroristico, infortunio, rischio prevedibile, responsabilità [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Lavoratore, attentato terroristico, infortunio, rischio prevedibile, responsabilità<br />
Lavoratore, attentato terroristico, infortunio, rischio prevedibile, responsabilità <br />Tribunale Ravenna, sentenza 23.10.2014<br /><br /><br /><br />L’art. 2087 c.c., che è una clausola generale e, come tutte le clausole generali, ha una funzione sussidiaria rispetto alla legge e di adeguamento di essa al caso concreto, conforma l’obbligo di prevenzione del datore di lavoro al perimetro del rischio concreto del lavoro espletato dall’impresa (esteso all’ambiente, alle condizioni, modalità, luoghi, periodi di svolgimento). <br /><br /><br />Nella specie, il rischio di attentati e di danni all’incolumità personale dei lavoratori in Algeria è una delle condizioni di rischio dell’attività di lavoro che l'impresa datrice svolge e che deve dunque fronteggiare con misure protettive adeguate, rispettando l’art. 2087 c.c. Di conseguenza, a queste condizioni di rischio prevedibile, il lavoro diventa sul piano obiettivo una delle condizioni o antecedenti causali dell’evento lesivo (ex art. 42, co. 2 c.p.) ancorché commesso da terzi, e come tale fondante la responsabilità del datore di lavoro nei confronti degli eventi lesivi dell’integrità fisica dei lavoratori da esso dipendenti, con il conseguente riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni. <br /><br /><br />(*) Riferimenti normativi: artt. 1218 e 2087 c.c.; art. 42, co. 2 c.p.<br /><br />(Fonte: Massimario.it - 11/2015. Cfr. nota di Maria Spataro)<br /><br />Tribunale di Ravenna<br /><br />Sentenza 23 ottobre 2014<br /><br />REPUBBLICA ITALIANA<br /><br />IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br /><br />Il Giudice del Tribunale di Ravenna Dott. Roberto RIVERSO,<br /><br />ha pronunciato la seguente<br /><br />SENTENZA<br /><br />nella causa civile iscritta a ruolo il 09.11.2011 al n. 1073/2011 del registro generale contenzioso promossa da:<br />-D. E.<br /><br />nato a T. (UD) il OMISSIS<br />residente a Udine (UD) Via X. n. OMISSIS<br />(CODICE FISCALE: OMISSIS)<br /><br />rappresentato e difeso dall’Avv. Flaviano De Tina del foro di Udine e dall’Avv. Ingrid Ruiba del foro di Ravenna ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Ingrid Ruiba, sito in Ravenna, Via Ponte Marino n. 43, giusta delega a margine dell’atto introduttivo;<br /><br />- ricorrente<br /><br />contro<br /><br />-COOPERATIVA MURATORI & CEMENTISTI - C.M.C. DI RAVENNA – SOC. COOP.<br />corrente in Ravenna (RA) Via Trieste n. 76<br />(CODICE FISCALE: OMISSIS)<br /><br />in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Rag. Massimo Matteucci<br />rappresentata e difesa dall'Avv. Roberto Fariselli e dall’Avv. Mirca Tognacci ed elettivamente domiciliata presso lo studio sito in Ravenna, Via Corrado Ricci n. 5.<br /><br />- convenuta<br /><br />contro<br /><br />CHIAMATA IN CAUSA<br /><br />-UNIPOL ASSICURAZIONI S.P.A.<br />con sede in Bologna (BO) Via Stalingrado n. 45<br />(CODICE FISCALE – PARTITA I.V.A.: OMISSIS)<br /><br />in persona del suo procuratore ad negotia Dott. Enzo Frilli in virtù di mandato rilasciato a margine del presente atto rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Nanni ed elettivamente domiciliata presso lo studio sito in Ravenna, Via G. Mazzini n. 16.<br /><br />- chiamata in causa<br /><br />contro<br /><br />-MILANO ASSICURAZIONI S.P.A.<br />in persona del legale rappresentante pro tempore<br />con sede legale in Milano (MI) Via Senigallia, 18/2<br /><br />- chiamata in causa<br /><br />Oggetto: risarcimento danni.<br /><br />Conclusioni<br /><br />All’udienza del 23.10.2014 i procuratori delle parti hanno concluso:<br /><br />-per la parte ricorrente: “In via principale di merito: - dichiarata la giurisdizione del giudice italiano e l’applicabilità alla fattispecie della legge italiana, - accertata la nullità e/o annullabilità e/o illegittimità e/o inefficacia del termine apposto al contratto di lavoro datato 20.04.2007 accertarsi e/o dichiararsi la conversione del rapporto di lavoro instaurato tra il ricorrente e la resistente in data 20.04.2007 in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; - condannarsi la resistente a pagare al ricorrente, anche ex art. 18 L. 300/70, le retribuzioni globali di fatto – quantificate – in Euro 3.958,33 mensili oltre successivi aumenti contrattuali o la diversa anche maggiore somma che sarà quantificata anche a mezzo di CTU e/o risulterà di giustizia, anche a norma dell’art. 36 Cost. e/o a risarcirgli il danno in misura pari alle retribuzioni maturate (Euro 3.958,33 – mensili) dalla data del 30.06.2010, o dalla diversa data stabilita in corso di causa, alla reintegra, e/o riammissione in servizio, e comunque in misura non inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi nella misura pari al tasso di sconto vigente maggiorato di due punti (art. 95 CCNL per i lavoratori delle cooperative di produzione e lavoro dell’edilizia e attività affini) e rivalutazione del maturato al saldo; - condannarsi la resistente a corrispondere al ricorrente l’indennità sanzionatoria prevista dall’art. 32, comma 5, L. 183/2010, da determinarsi in 12 mensilità della retribuzione globale di fatto – quantificata in Euro 3.958,33 mensili oltre successivi aumenti contrattuali o la diversa anche maggiore somma che sarà quantificata anche a mezzo di CTU e/o risulterà di giustizia, anche a norma dell’art. 36 Cost. – o nella diversa misura non inferiore a 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto che sarà quantificata anche a mezzo di CTU e/o risulterà di giustizia, anche a norma dell’art. 36 Cost., oltre interessi nella misura pari al tasso di sconto vigente maggiorato di due punti (art. 95 CCNL per i lavoratori delle cooperative di produzione e lavoro dell’edilizia e attività affini) e rivalutazione del maturato al saldo, - accertata la responsabilità della resistente nell’infortunio occorso al ricorrente in data 21.09.2007, condannarsi la resistente a risarcire al ricorrente tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti che, salva la diversa anche maggiore quantificazione che sarà fatta anche in via equitativa dal Giudice adito, si indicano in Euro 564.404,19 – di cui:<br /><br />° Euro 98.464,00 a titolo di danno non patrimoniale temporaneo;<br /><br />° Euro 253.864,64 a titolo di danno non patrimoniale permanente;<br /><br />° Euro 208.585,55 a titolo di danno patrimoniale;<br /><br />°- Euro 3.500,00 a titolo di rimborso spese mediche e di trasporto;<br /><br />oltre rivalutazione ed interessi, come per legge, sulle somme tutte dovute al ricorrente dal maturato al saldo. Spese, diritti, onorari e accessori rifusi”.<br /><br />-per la parte convenuta – COOPERATIVA MURATORI & CEMENTISTI – C.M.C. DI RAVENNA – SOC. COOP -: “In via preliminare, Voglia l’Ill.mo Giudice, ai sensi degli articoli 420 e 106, c..p.c., ordinare la chiamata in causa della Compagnia Assicuratrice Unipol S.P.A., con sede in Bologna, Via Stalingrado n. 45, in persona del legale rappresentante, e della Milano Assicurazioni S.P.A., corrente in Milano, via Del Lauro n. 7, in persona del legale rappresentante; - nel merito, in principalità, respingere, siccome infondate, tutte le richieste avanzate nei suoi confronti dal ricorrente E. D.; - in via subordinata, salvo gravame, ove essa dovesse essere ritenuta responsabile o corresponsabile dell’infortunio di cui fu vittima il ricorrente e, per tale motivo, condannata al relativo risarcimento, condannare la Compagnia Assicuratrice Unipol S.P.A. e la Milano Assicurazioni S.P.A., in forza delle garanzie assicurative, ovvero di quella ritenuta pertinente al caso di specie, a tenere indenne e manlevata la Cooperativa resistente, condannandole al pagamento in favore di quest’ultima di quanto essa fosse tenuta a corrispondere. Spese vinte”.<br /><br />-per la parte chiamata in causa – UNIPOL ASSICURAZIONI S.P.A. -: “Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, accertato e dichiarato che l’infortunio provocato dall’attentato terroristico del 21.09.2007 per cui è causa non è avvenuto per fatto e colpa della resistente C.M.C., respingere le conseguenti richieste avanzate. In ogni caso, dato atto della già avvenuta erogazione da parte di UNIPOL ASSICURAZIONI S.P.A. di Euro 71.250,00 al signor D. E. e dell’offerta dalla stessa effettuata di Euro 28.250,00, Voglia ritenere e dichiarare congruo il complessivo importo liquidato a termini di polizza infortuni, respingendo ogni ulteriore e diverse pretese rivolta nei confronti della UNIPOL ASSICURAZIONI S.P.A. Con compensazione di spese”.<br /><br />Svolgimento del processo<br /><br />Con ricorso depositato il 09.11.2011 D. E. adiva questo giudice del lavoro contro la Cooperativa Muratori & Cementisti C.M.C. di Ravenna chiedendo che la convenuta venisse condannata a risarcirgli tutti i danni patiti a seguito di un infortunio subito nel corso della propria attività lavorativa, mentre si trovava su una vettura della CMC, in Algeria presso il cantiere relativo alla realizzazione della diga di Kuodiat Acerdoune, allorchè era stato oggetto di un attentato da parte del gruppo terroristico Al Qaeda essendosi un kamikaze lanciato con una autovettura imbottita di esplosivo contro la vettura sulla quale viaggiava. Chiedeva inoltre che venisse dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimatogli dopo l’infortunio per superamento del periodo di comporto e per fine cantiere. Il tutto in base ai fatti ed alle allegazioni di diritto ampiamente svolti nell’atto, e nei termini di cui alle conclusioni in epigrafe.<br /><br />La Società convenuta si è costituita in giudizio contestando integralmente la fondatezza della domanda sia in fatto che in diritto ed anche nel quantum; e chiedendo il rigetto del ricorso, per tutti i motivi esposti nella memoria di costituzione, con la quale azionava pure in subordine di domanda di manleva nei confronti della compagnia di Assicurazione Milano ed Unipol e Milano. Quest’ultima, dopo la rituale chiamata, si costituiva in giudizio sollevando eccezioni in ordine alla copertura del rischio per il fatto occorso al lavoratore ricorrente in relazione alle tre polizze sottoscritte dalla convenuta datrice di lavoro a copertura della propria responsabilità civile.<br /><br />La causa è stata istruita col deposito di documenti, l’assunzione di prove testimoniali, l’espletamento di una ctu medico legale; quindi è stata discussa e decisa come da dispositivo.<br /><br />Motivi della decisione<br /><br />1. La domanda di risarcimento del danno per infortunio sul lavoro è fondata, alla stregua delle considerazioni che seguono.<br /><br />L’obbligazione di sicurezza del datore<br /><br />1.a Com’è noto, secondo gli approdi consolidati della giurisprudenza, in materia di obbligazione di sicurezza del datore di lavoro (ex artt. 1218 e 2087 c.c.), non basta un danno alla salute (un infortunio o una malattia) del lavoratore per affermare la responsabilità del datore di lavoro sostenendo che non abbia fatto il possibile per evitare il danno; né è sufficiente la constatazione del nesso di causalità tra il lavoro e la lesione alla salute fisica o psichica del lavoratore.<br /><br />Occorre sempre valutare la condotta del datore di lavoro. Solo che questa valutazione - salvo che si discuta di danni differenziali - deve essere introdotta nel processo civile dal datore di lavoro debitore dell’obbligazione di sicurezza, secondo lo schema della responsabilità contrattuale. Egli dovrà allegare e provare di aver rispettato le cautele imposte dalla legge (valutazione dei rischi, apprestamento dei mezzi, informazione, vigilanza, ecc) ovvero quelle suggerite dalla tecnica o dall'esperienza anche del caso, concreto (ex art. 2087 c.c). Una valenza decisiva assume nell’impianto della tutela del lavoratore l’art. 2087 c.c. il quale – con formula che conserva ancora intatta l’originaria vis innovativa – stabilisce che “l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.<br /><br />Secondo la giurisprudenza, la medesima disposizione, "come tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante realtà socio-economica", e pertanto "vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima e di adeguamento di essa al caso concreto" (Corte di Cassazione, sentenza n. 5048/1988).<br /><br />“Tutte le misure” significa intanto che il datore non può ometterne nessuna tra quelle previste dall’ordinamento (siano esse misure oggettive o dispositivi personali di protezione; misure relative all’ambiente o obblighi strumentali riferiti al controllo o alla formazione dei lavoratori); significa, inoltre, che per giudicare della completezza della protezione occorre applicare il criterio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” in base al quale il datore deve adoperarsi per evitare o ridurre l’esposizione al rischio dei dipendenti aldilà delle stesse previsioni specifiche dettate dalla normativa, conformando il proprio operato ad una diligenza particolarmente qualificata, che tenga conto delle caratteristiche del lavoro, dell’esperienza, della tecnica, del caso concreto.<br /><br />1.b.- Pertanto, per configurare la responsabilità penale ed, a maggiore ragione, civile del datore di lavoro, in materia di infortuni e malattie professionali, non occorre che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni “essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure e accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6360 del 26/01/2005).<br /><br />Peraltro, anche se non è possibile sostenere che l’obbligazione in discorso si estenda fino al punto da dover eliminare, sempre e completamente, qualsiasi sorta di rischio alla salute connesso al rapporto di lavoro, è anche vero che il rischio – se non possa essere eliminato alla fonte - deve essere reso comunque insignificante per la salute, alla stregua delle misure di prevenzione in concreto attuabili e disponibili sul mercato in un determinato momento storico, secondo la migliore tecnica ed esperienza; ma senza alcun abbassamento della soglia di prevenzione rispetto agli standard eventualmente non adeguati praticati in una determinata cerchia di imprenditori.<br /><br />Il rapporto tra obbligo di sicurezza ed acquisizioni scientifiche è stato affrontato anche dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 15 novembre 2001 secondo la quale i rischi professionali oggetto di valutazione da parte del datore di lavoro non sono stabiliti una volta per tutte ma si evolvono in funzione dello sviluppo, delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia.<br /><br />1.c- Sui presupposti della responsabilità datoriale è divenuta quindi pacifica, almeno in giurisprudenza, la tesi secondo cui la responsabilità civile del datore non sia di tipo oggettivo, perché il relativo accertamento presuppone la prova della colpa; talchè non è sufficiente dimostrare l’esistenza del nesso di casualità fra il lavoro (l’organizzazione, l’ambiente, il lugo dove esso si svoolge) e la lesione subita dal lavoratore.<br /><br />La Corte di Cassazione ha sempre sostenuto che qualora la responsabilità fatta valere sia quella contrattuale, dalla natura dell'illecito (consistente nel lamentato inadempimento dell'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore) non derivi affatto che si versi in fattispecie di responsabilità oggettiva (fondata sul mero riscontro del danno biologico quale evento legato con nesso di causalità all'espletamento della prestazione lavorativa); occorre pur sempre l'elemento della colpa, ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una regola di esperienza.<br /><br />La necessità della colpa - che accomuna la responsabilità contrattuale a quella aquiliana - va però coordinata con il particolare regime probatorio della responsabilità contrattuale che è quello previsto dall'art. 1218 cod. civ. (diverso da quello di cui all'art. 2043 cod. civ.); cosicché grava sul “datore debitore” l'onere di provare di aver ottemperato all'obbligo di protezione, mentre il lavoratore creditore deve provare sia la lesione all'integrità psico-fisica, sia il nesso di causalità tra tale evento dannoso e l'espletamento della prestazione lavorativa.<br />L’oggetto sostanziale dell’onere della prova a carico del datore è assai ampio, posto che esso attiene, come già si è detto, al rispetto di tutte le prescrizioni specificamente dettate dalla legge, oltre che a quelle suggerite dalla esperienza, dall’evoluzione tecnica e dalla specificità del caso concreto.<br /><br />1-d.- Si tratta anzitutto della valutazione dei rischi, e di conseguenza dell’organizzazione dell’apparato di sicurezza, informazione, formazione, addestramento dei lavoratori, adozione delle misure, vigilanza.<br />Per affermare la responsabilità civile del datore non basta quindi un infortunio o una malattia professionale; dato che la più peculiare caratteristica della responsabilità contrattuale (che vale a distinguerla da quella extracontrattuale ex art. 2043 c.c.) è data, sul piano probatorio, dall'esenzione del creditore dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente (la violazione delle regole di diligenza del debitore).<br /><br />Ai sensi dell'art. 1218 c.c. perciò è sempre il debitore — e quindi nel rapporto di lavoro il datore — a dover provare che l'inadempimento derivi da causa a lui non imputabile.<br /><br />Comunemente si dice che la colpa del debitore si presume fino a prova contraria; e che esista un’inversione dell'onere probatorio, nel senso che il debitore è ammesso a provare l'assenza di colpa, pur sempre elemento essenziale della sua responsabilità contrattuale. Se così è, nel rapporto di lavoro questo assunto si traduce nella facoltà per l’attore di invocare la responsabilità contrattuale del datore semplicemente provando il rapporto di lavoro, l'attività svolta e il danno che ne è derivato. Trattandosi di un concreto infortunio o malattia professionale, allegando e provando il fatto materiale da cui è scaturito il danno (la causa diretta e prossima del danno): ad es. nelle malattie professionali allegando l'esposizione ad uno specifico fattore di rischio: (l'amianto, il fumo, il mobbing, ecc.) presente nell’ambiente di lavoro, essendo ciò necessario ai fini della specificazione degli elementi costitutivi della causa petendi e del regolare contenuto del ricorso (altrimenti non si saprebbe di cosa si discuta in concreto nel giudizio).<br /><br />Non spetta invece al lavoratore provare la colpa del datore danneggiante, ossia individuare le regole (specifiche o generali) violate, né le misure cautelari (nominate o innominate), che avrebbero dovuto essere adottate per evitare l'evento dannoso ( salvo quanto si dirà a proposito del danno differenziale).<br /><br />Non collima con queste premesse sostenere che «il lavoratore debba provare l'inadempimento datoriale oppure la nocività dell'ambiente di lavoro» (come ad es. si afferma in Cass. nn. 14323 del 2002; 1886 del 2000; n. 3234 del 1999; 7362 del 2005); dato che richiedere la prova della nocività dell'ambiente di lavoro nella materia delle malattie professionali (ad es. in relazione all'esposizione al fumo o ad amianto o ad altri fattori nocivi) significa richiedere la prova di una specifica situazione di inadempimento contrattuale; mentre, come già detto, il lavoratore deve essere posto nelle condizioni di lavorare con assoluta sicurezza e non deve essere mai adibito a lavori in un ambiente nocivo.<br /><br />La responsabilità del datore discende, dunque, pur sempre dalla violazione di regole a contenuto cautelare (nessuna responsabilità senza colpa); e non si potrà automaticamente desumere l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate per il solo fatto che si sia verificato il danno. Certamente, il verificarsi dell'infortunio o della malattia non implica necessariamente la violazione dell'art. 2087 c.c., ma semplicemente lo fa presumere; di tale violazione il datore non risponde solo se egli prova di aver adempiuto, ossia adottato tutte le misure prescritte.<br /><br />Gli oneri di allegazione e prova e la differenza tra danno differenziale e danno complementare<br /><br />2 - In realtà, gli oneri di allegazione e prova cambiano a seconda che si discuta di danni differenziali o di danni complementari rispetto alle voci di indennizzo operato dall'Inail.<br /><br />Solo se il lavoratore chiede il danno differenziale sarà lui a dover dedurre e provare l'illiceità penale del fatto; e pertanto dimostrare anche l'esistenza dell'elemento della colpa, con la violazione quantomeno dell'art. 2087 c.c. Il risarcimento del danno differenziale è infatti ancora subordinato alla prova dell'illiceità penale del fatto dall'art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965. Norma speciale intesa a regolare la pretesa del lavoratore di ricevere dal datore, esonerato in virtù dell’assicurazione sociale INAIL, il danno (quantitivamente) differenziale rispetto all’indennizzo INAIL , ma appunto solo in presenza di un fatto che costituisca illecito penale perseguibile d’ufficio (ritenuto oggi in via incidentale anche soltanto nella sede civile, autonomamente azionabile rispetto al giudizio penale; e ciò al termine di un lungo percorso tracciato dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 22/1976 ,102/1981, 118/1986). L’art.10 del dpr 1124 recita. “ L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.<br /><br />Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale (recte che siano stati ritenuti responsabili penalmente in sede civile per effetto delle sentenze della Corte Cost. cit.) per il fatto dal quale l'infortunio è derivato ………<br /><br />Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto…<br /><br />Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti (7).<br /><br />3.- Giova ricordare sul piano sistematico come la legge (artt. 10 e 11 del T.U.), con perfetta simmetria, assoggetti allo stesso regime dell’azione di danno differenziale anche l’azione di regresso dell’INAIL che è pure essa, quindi, subordinata all’esistenza dell’illiceità penale del fatto.<br /><br />A favore di una diversa soluzione si è espressa per due volte la Cassazione (stesso relatore) affermando che l’azione di danno differenziale (sent. 9817/2008) come l’azione di regresso dell’INAIL (sent. 10529/2008 ) siano subordinate soltanto all’onere della prova ex art. 1128 e 2087 c.c. e quindi alla c.d. presunzione della colpa a carico del datore di lavoro.<br /><br />4.- Si tratta di una tesi che non può essere condivisa; perché nei fatti perviene all’abrogazione dell’esonero del datore di lavoro e della stessa pregiudiziale penale ancora scritta nell’art.10 (e 11) del TU 1124/65 , ai limitati effetti sopraindicati. Accontentarsi della fattispecie oggettiva del reato porterebbe ad eliminare in radice l’esonero del datore (non solo per danno non patrimoniale, ma anche per quello patrimoniale), perché in ogni caso di lesioni del lavoratore per infortunio o malattia (con violazione delle norme sulla prevenzione infortuni, fosse anche l’art. 2087 c.c.) esiste sempre una fattispecie oggettiva di un reato; ed anche di un reato procedibile d’ufficio essendo sufficiente ipotizzare ( quando il periodo di inabilità non fosse superiore a 40 giorni) soltanto una violazione di norma antinfortunistica o anche di una cautela non codificata ai sensi dell’art. 2087 c.c.<br /><br />Si tratta inoltre di una tesi che contrasta con quanto osservato sull’azione di regresso dell’INAIL dalla Corte Costituzionale, già con la sentenza 102/1981, allorchè aveva interpretato l’analogo dettato normativo risultante dall’art. 10 (e 11) del T.U. nel senso che il titolo giuridico della responsabilità del datore di lavoro, e il conseguente diritto di regresso dell’INAIL, vada individuato nell’ atto di accertamento (costituito da un sentenza di condanna penale ma anche da un pronuncia incidentale del giudice civile) “che i fatti da cui deriva l’infortunio costituiscano reato sotto il profilo dell’elemento soggettivo e oggettivo”.<br /><br />Analoga pronuncia la Corte Costituzionale rese poi in favore del lavoratore che esercitava l’azione civile nei confronti del datore per ottenere il risarcimento del c.d. danno differenziale (sentenza 118/1986).<br /><br />Del resto se pure si volesse sostenere che la tesi qui respinta tenda ad agevolare il risarcimento del danno non patrimoniale del lavoratore, non si può però dimenticare che, ove si dovesse prescindere dalla graduazione della responsabilità insita nella regola dell’esonero (che commina sul datore conseguenze risarcitorie ulteriori in relazione alla gravità della responsabilità penale), verrebbe pure indebolita la funzione deterrente della pregiudiziale penale ovvero il fatto che essa mira anche ad incentivare il datore ad adempiere all’adozione di ogni misura idonea a prevenire i sinistri (come osservò la Corte Costituzionale n. 134/1971 a proposito dell’azione di regresso). La tesi qui disattesa produce pertanto una eterogenesi di fini dal momento che non va dimenticato che l’obiettivo prioritario della tutela che la Costituzione ci affida riconoscendo la salute come bene fondamentale da proteggere è quello della sua tutela primaria e non la sua monetizzazione. Nell’interpretazione del complesso ordinamento protettivo lavoristico, in ogni sua anche apparentemente lontana diramazione, deve essere sempre preferita la tesi che meglio si impronti a questa finalità e chiave di tutela; che riesca cioè ad attribuire agli istituti una più forte funzione protettiva di natura reale; anche se la stessa interpretazione potrebbe apportare nell’immediato una minore tutela protettiva di natura riparatoria, che va appunto considerata solo secondaria.<br /><br />5.- Del resto la stessa Corte di Cassazione (sentenza 1571OMISSIS012) pronunciandosi sullo stesso impianto normativo (ai fini dell’azione di regresso) ha affermato che ai sensi degli artt.10 e 11 cit. l’INAIL debba farsi carico dell’onere della prova della colpa; smentendo espressamente la precedente sentenza 10529/2008 dove si sosteneva che l’onere dell’INAIL che agisse in regresso fosse regolato dalla presunzione ex artt 1218 e 2087; ed ha anche evidenziato che “tale affermazione non appare coerente con i principi che regolano la materia”.<br /><br />6.- Pertanto la domanda di danno differenziale rispetto a quello assicurato da INAIL (ovvero rispetto al danno patrimoniale per invalidità temporanea, al biologico dal 6%, al patrimoniale dal 16%, alla rendita ai superstiti) richiede una allegazione completa degli elementi costitutivi (oggettivi e soggettivi) del diritto azionato da parte di chi agisce in un giudizio civile di danno.<br /><br />Ai fini dell’illiceità penale, accertabile incidentalmente nel giudizio civile, perché possa affermarsi la responsabilità del datore di lavoro, occorre quindi in ogni caso accertare positivamente la "colpa" del datore di lavoro, la quale è l'ineludibile presupposto dell'addebito contestabile al titolare della posizione di garanzia.<br /><br />7-. Il danno che si dice complementare è invece diverso, in apicibus, da quello rientrante nell'oggetto dell'assicurazione obbligatoria Inail. Mancando l’esonero datoriale da responsabilità civile tale danno sarà risarcibile secondo le regole generali della responsabilità civile. E pertanto, l’accertamento può reggersi sulla presunzione di colpa ex artt. 1218-2087 c.c.<br /><br />In nessuno dei due casi (differenziale o complementare) però è sufficiente il riscontro del nesso di causa ai fini della responsabilità civile che rappresenta però il primo degli elementi di qualsivoglia responsabilità.<br /><br />Il nesso di causa (più che l’occasione di lavoro) nell’attentato di Al Qaeda<br /><br />8.- Alla stregua di queste premesse di carattere generale deve essere affermato in primo luogo che l’infortunio subito dal ricorrente si può ascrivere dal punto di vista causale (anche) a responsabilità della datrice di lavoro.<br /><br />8.-a Esiste invero il nesso di causa tra il fatto che si giudica ed il lavoro. Non soltanto il più lato concetto di “occasione” di lavoro su cui hanno discusso le parti facendo però riferimento al diverso istituto della copertura INAIL per infortunio sul lavoro. L’occasione di lavoro è presupposto della tutela INAIL (che ha peraltro assunto in carico il caso indennizzandolo) e non sarebbe perciò sufficiente ai fini della responsabilità civile (contrattuale o extracontrattuale) del datore di lavoro, che reclama in ogni sua versione un legame di tipo eziologico tra l’infortunio ed il fatto addebitato al responsabile.<br /><br />Qui si tratta proprio di nesso di causa, che va ricostruito ai sensi dell’art.42 c.p. e rapportato all’art. 2087 c.c. il quale nell’imporre l’obbligo di prevenzione del datore lo contorna sul perimetro del rischio concreto del lavoro espletato dall’impresa (esteso all’ambiente, alle condizioni, modalità, luoghi, periodi di svolgimento). Nel caso in esame tale condizione è rappresentata proprio dai modi e luoghi dove l’impresa operava, coinvolgendo la vita intera e l’incolumità fisica di dipendenti e collaboratori, fuori e dentro le mura del cantiere di lavoro.<br /><br />8.b Detto altrimenti il rischio di attentati e di danni all’incolumità personale dei lavoratori CMC in Algeria era una delle condizioni di rischio dell’attività di lavoro che la impresa datrice svolgeva e che avrebbe dovuto fronteggiare e con misure protettive adeguate, rispettando l’art.2087 c.c. Proprio a queste condizioni di rischio prevedibile, il lavoro diventa sul piano obiettivo una delle condizioni o antecedenti causali dell’evento lesivo (ex art. 42, 2 comma c.p.) ancorchè commesso da terzi.<br /><br />8.c Non rileva perciò che al momento del fatto il lavoratore non stesse lavorando, ma si trovasse fuori dal cantiere (su un auto della CMC per necessità di assistenza sanitaria, dovendosi recare da un medico). Il rischio in discorso era così immanente e totalizzante che incombeva in ogni posto ed in ogni luogo. Fuori e dentro il cantiere. E’ per questo che CMC aveva assunto talune misure di salvaguardia per l’incolumità dei propri dipendenti: a) i quali dovevano anzitutto restare sempre nel cantiere (ritenuto luogo maggiormente protetto); b) e dal quale potevano uscire solo a seguito di autorizzazione; c) venendo accompagnati su una vettura di CMC; d) e, previo accordo, affidati alla gendarmeria del Paese. Infatti chi doveva uscire doveva fare una domanda e se autorizzato veniva preso in consegna dalla gendarmeria (test. Moneta); e) la quale istituiva un vero e proprio convoglio militare per proteggerli (un camion con dieci soldati armati ed una auto della polizia davanti alla vettura CMC; un altro convoglio di dietro con un auto ed un secondo camion con dieci uomini armati di kalashnikov dietro la vettura; cfr. test. Mot).<br /><br />Di più è emerso che per fronteggiare lo stesso rischio CMC utilizzasse un elicottero per i trasferimenti dal cantiere all’aeroporto (test. Not) . E che dopo l’infortunio di cui si discute fu usata pure un auto blindata ( test. Del Negro) per il trasferimento dei lavoratori in città.<br /><br />8.d Inoltre va considerato che la CMC aveva pure sottoscritto la polizza in atti per coprire la propria responsabilità civile in caso di rischio guerra, comprensivo di attentati terroristici.<br /><br />Si può dire perciò che CMC riconosceva come sussistente un rischio incombente per l’incolumità fisica dei propri lavoratori che si trovavano in quel cantiere in Algeria per prestare lavoro facendosi carico di fronteggiarlo. Tutto ciò non a caso. Si trattava di un suo preciso obbligo, perché la norma fondamentale in materia, l’art.2087 c.c., impone al datore di lavoro anzitutto di valutare i rischi e di adeguare la condotta cautelare al rischio concreto ed alla situazione di fatto (ovviamente prevedibile e senza alcun senno di poi).<br /><br />9.- D’altra parte se nel caso concreto la CMC aveva adottato le misure prima indicate è perché in Algeria in quel periodo si era verificato un lungo elenco di morti per attentati nei confronti di stranieri. Chi esercitava un’impresa e lavorava in quel Paese aveva perciò un obbligo di protezione dei propri lavoratori conformato sulla base del rischio attentati. Si può dire che il rischio extralavorativo e/o il fatto del terzo diventa rischio lavorativo quando si riflette sul lavoro divenendo intrinseco allo stesso. Ed esso non viene meno per il solo fatto che l’evento sia attribuibile materialmente al dolo del terzo, quando questo sia tale da connotare il rischio del lavoro (nessuno porrebbe più in discussione l’obbligo del datore di fornire il giubbotto antiproiettili alla guardia giurata portavalori o metterebbe in dubbio la responsabilità del datore in caso di omissione cui segue un evento lesivo).<br /><br />Nel caso in esame non sono state poi neppure contestate le circostanze di fatto che il ricorrente ha allegato a tal proposito in ricorso (punti 6-8 del ricorso) a dimostrazione del rischio attentati in Algeria.<br /><br />10.- Pertanto deve ritenersi che in Algeria dal 2000 fosse attivo il gruppo terroristico di Al Qaeda che in particolare dalla fine del 2006, sotto il nome di “al Qaeda per il Maghreb Islamico” aveva intensificato gli attacchi terroristici soprattutto nei confronti di obiettivi stranieri che si erano rivelati tra i più sanguinosi degli ultimi anni, quali ad esempio: 10 dicembre 2006 un autobus con a bordo dipendenti stranieri di una società petrolifera venne investito da una bomba piazzata sul ciglio della strada a 10 chilometri da Algeri, causando due morti e 9 feriti; 13 febbraio 2007 ad Algeri sette bombe sono state fatte esplodere nello stesso giorno alla periferia Est di Algeri e hanno fatto 6 morti e 13 feriti; 26 febbraio 2007: a Cabila una serie di attacchi terroristici simultanei sono stati compiuti contro numerosi posto di blocco militari in Cabilia, a pochi chilometri da Algeri; 4 marzo 2007 ad Algeri in un attentato kamikaze lungo una strada a Sud di Algeri sono rimasti uccisi 3 algerini e 1 russo, più alcuni feriti; 11 aprile 2007: due attentati con autobombe, contemporanei, ad Algeri, hanno causato almeno 30 morti e circa 200 feriti. Il primo attentato era avvenuto nella piazza del palazzo del Governo, il secondo al commissariato di polizia di Bab Ezzouar, 6 settembre 2007 a Batna, una kamikaze si è fatto esplodere tra la folla che attendeva il presidente Bouteflika.<br /><br />L’attentato aveva causato almeno 22 morti e un centinaio di feriti; 8 settembre 2007 un kamikaze al volante di un furgone si era lanciato contro una caserma della Marina militare a Dellys, in Cabilia, causando almeno 32 morti e una quarantina di feriti-<br /><br />Inoltre sin dalla fine del 2006 le autorità italiane e straniere avevano avvertito le società operanti in Algeria, tra le quali la CMC, circa il pericolo di attentati in particolare nei confronti di lavoratori stranieri.<br /><br />Il 20.09.2007 Al Qaeda ha emanato un appello a “ripulire il Maghreb dagli occidentali” invitando a compiere attentati nei confronti dei lavoratori stranieri in Algeria.<br /><br />11.- Sulla scorta di tali elementi di fatto, CMC era ben consapevole quindi del rischio che comportava il proprio lavoro in Algeria ed aveva assunto alcune misure di prevenzione: predisponendo un cantiere protetto ed autosufficiente; imponendo di non uscire dal cantiere senza permesso e solo per motivi improcrastinabili. Ed il ricorrente vi era uscito soltanto per la necessità di fruire di una assistenza medica che non poteva essere prestata dal presidio medico allestito nel cantiere (cfr test. e doc. 13-17 in atti).<br /><br />La giurisprudenza della Cassazione<br /><br />12.- La giurisprudenza consolidata di legittimità supporta la ricostruzione fin qui effettuata in materia di nesso di causa tra obbligo datoriale di tutela della salute dei lavoratori ed attività criminosa di terzi. Essa si è pronunciata reiteratamente in senso affermativo, per l’esistenza dell’obbligo di prevenzione datoriale sostenendo da una parte “che il datore ha il dovere di valutare se l'attività della sua azienda presenta rischi extralavorativi di fronte al cui prevedibile verificarsi insorga il suo obbligo di prevenzione. Obbligo, il contenuto del quale è individuabile "nella realtà alla stregua delle tecniche di sicurezza comunemente adottate". (Cass. 4012/1998).<br /><br />Dall’altra parte la stessa giurisprudenza (Cass. 4012/1998) si è fatto carico di affrontare l’obiezione di apparente buon senso sempre sollevata in questo genere di procedimenti, secondo cui il datore non può rispondere del rischio derivante dal dolo del terzo. “L'argomento contrario, apparentemente insuperabile” secondo cui se è doveroso che l'imprenditore risponda "personalmente" dei rischi alla salute del lavoratore da lui stesso creati (e non eliminati per imprudenza, negligenza, imperizia), non può rispondere di un rischio che esso non "crea" direttamente un pericolo di danno all'integrità fisica del proprio dipendente; così che verrebbe ad esso imputato un danno, pur in assenza di nesso causale con la sua attività, nesso che sussiste invece ad es. tra l'azione del rapinatore ed il ferimento (del dipendente dell'istituto), rispetto al quale l'esercizio del credito sarebbe mera occasione.<br /><br />13.- Ebbene la Corte di Cassazione ha superato questa argomentazione proprio riportando l’obbligo di prevenzione al rischio del lavoro. “Tale “obiezione, a parere della Cassazione, è agevolmente superabile, ove si consideri che l'imprenditore deve valutare i rischi che l'esercizio di un'impresa in sè comporta….”. ….Gli obblighi che l'art. 2087 c.c. impone all'imprenditore in tema di tutela delle condizioni di lavoro non si riferiscono soltanto alle attrezzature, ai macchinari e ai servizi che il datore di lavoro fornisce o deve fornire, ma si estendono, nella fase dinamica dell'espletamento del lavoro, anche "all'ambiente di lavoro, in relazione al quale le misure e le cautele da adottarsi dall'imprenditore devono prevenire sia i rischi insiti in quell'ambiente, sia i rischi derivanti dall'azione di fattori ad esso esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova" (Cass. n. 9401/95).<br /><br />La colpa civile e quella penale. Oneri della prova<br /><br />14.- Non si può dire perciò che CMC non fosse consapevole del rischio. E che non avesse assunto delle misure cautelari per regolare la condotta dei propri lavoratori e proteggerli, mentre stavano fuori e dentro il cantiere. Per il nostro codice però l’obbligo di prevenzione deve essere ispirato alla massima protezione tecnologicamente fattibile.<br /><br />Si deve chiedere perciò cosa potesse fare di più il datore di lavoro convenuto per proteggere i propri lavoratori in Algeria dal rischio di attentati terroristici. Ad avviso di questo giudice è escluso che nelle circostanze concrete potesse utilizzarsi l’impiego di un elicottero (siccome non è contestato che il ricorrente si dovesse recare in città dove non era utilizzabile un elicottero).<br /><br />15.- Si deve invece rimproverare a CMC l’omessa adozione dell’ulteriore cautela costituita dall’impiego dell’auto blindata. Cautela che, come spesso accade negli infortuni sul lavoro, è stata invece introdotta dal datore dopo l’infortunio; e che invece andava utilizzata prima, nella logica della prevenzione del rischio, cui è tenuto il datore nei confronti dei lavoratori in forza di obbligazione legale della massima protezione tecnologicamente fattibile, integrativa del regolamento contrattuale.<br /><br />16.- Vero è però che nel giudizio non è provato che l’adozione di questa ulteriore doverosa cautela – che pur è stata adottata dopo l’infortunio- sarebbe stata efficace in relazione al concreto evento che si giudica: nel senso che non si sa se avesse impedito o (il che è lo stesso sul piano giuridico) attenuato le lesioni patite dal ricorrente.<br /><br />E’ un punto su cui le parti hanno del tutto glissato sul piano probatorio. Nel ricorso si dice che l’auto su cui viaggiava il ricorrente è stata colpita da un Kamikaze “che si è lanciato con una vettura imbottita di esplosivo contro l’auto su cui il ricorrente era trasportato.” Verrebbe da pensare che lo stesso impiego di un’auto blindata ben poco avrebbe potuto fare nelle date circostanze, nel senso che non avrebbe evitato, né attenuato, il traumatismo lesivo. In una direzione opposta spinge però la considerazione delle lesioni subite dal ricorrente.<br /><br />Ed invero per quanto gravi e localizzate in molteplici distretti del corpo, non si tratta di lesioni gravissime. Né risulta che il ricorrente sia stato mai in pericolo di vita.<br /><br />17.- In altre parole, non sappiamo nella causa se l’impiego della cautela generica di cui si discorre avrebbe evitato o attenuato l’evento lesivo concreto che si è verificato. Mentre ai fini della colpa è sempre necessario accertare in concreto l’evitabilità dell’evento (tra le tante Cass. Sez. 4, Sentenza n. 16761 del 11/03/2010) ovvero che il prescritto comportamento alternativo corretto fosse in concreto idoneo ad evitare l'evento dannoso. In mancanza di questo imprescindibile elemento della colpa in questo giudizio non si può tecnicamente sapere se il datore sia in colpa oppure no. E’ questa una situazione di dubbio che ha un rilievo fondamentale nella costruzione della responsabilità civile e penale; e delle conseguenze che ne discendono sulla base della regola di giudizio, degli oneri della prova e dei danni reclamabili (differenziali e complementari), per come prima indicati in relazione alla complessità delle regole con cui l’ordinamento attende alla riparazione del danno del lavoratore (intrecciando il risarcimento civilistico con l’indennizzo assicurativo sociale).<br /><br />18.- Pertanto, considerato che per la speciale azione di danno differenziale (ex art.10 cit.) è necessaria la dimostrazione della colpa con onere della prova a carico dell’attore; nulla è dovuto al ricorrente per danno differenziale (biologico e patrimoniale). Premesso che, in ogni caso, le prestazioni INAIL ricevute per danno biologico (€ 61.010,36) e per danno da invalidità permanente (€ 97.469,68) sarebbero comunque maggiori di quelle sopra indicate (e riportate in ricorso), siccome andrebbero attualizzate con i ratei medio tempore erogati fino al liquidazione del differenziale; in realtà lo stesso quantum differenziale non è dovuto proprio perché non è rispettata la condizione fondamentale posta dall’art. 10 del DPR 1124/65 che subordina il risarcimento dello stesso danno all’esistenza dell’illiceità penale del fatto, a sua volta integrata soltanto dalla prova di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato.<br /><br />A tale proposito va pure evidenziato come lo stesso ricorrente abbia chiesto in ricorso sia il danno biologico sia il danno patrimoniale in termini differenziali (quantitativi) rispetto all’indennizzo ricevuto da INAIL (rispettivamente a pag. 51 ed a pag. 52 del ricorso).<br /><br />Per il danno complementare invece il datore di lavoro può essere condannato sul piano civile anche se non c’è la prova positiva della colpa, di cui proprio il datore avrebbe avuto l’onere di dimostrare la totale mancanza ai sensi dell’art. 1218 e 2087 c.c.<br /><br />19.- Le voci di danno complementare che possono essere considerate in questo procedimento in relazione alla domanda svolta in ricorso sono soltanto il danno morale, gli aspetti di personalizzazione del danno biologico-esistenziale, il danno biologo temporaneo. Tutti pregiudizi estranei alla tutela INAIL, all’esonero del datore ed all’area del danno differenziale, che vengono risarciti, in base alle regole generali, nei seguenti termini.<br /><br />20.- Anzitutto deve essere risarcito il danno biologico temporaneo (che non può confondersi con quello patrimoniale da invalidità temporanea compreso nell’assicurazione INAIL) che il CTU ha accertato in un complessivo periodo di mesi 8 per inabilità temporanea assoluta ed in 30 mesi al 50%.<br /><br />Quindi, applicando le tabelle milanesi aggiornate al 2014, il danno temporaneo risulta in:<br /><br />240 giorni x Euro 100 = 24.000<br />900 giorni x Euro 50 = 45.000<br />______________________<br />per complessivi Euro = 69.000<br /><br />21.- A titolo di danno complementare (morale e personalizzazione biologico-esistenziale) spetta poi, in via equitativa, un importo di Euro 150.000; facendosi riferimento come termine di raffronto ai valori di cui alle tabelle di Milano.<br /><br />Per il calcolo di tale danno si prende a riferimento il danno biologico permanente (teoricamente dovuto), maggiorato di danno morale, che per le tabelle milanesi produrrebbe il risultato di Euro 238.304 ( in considerazione del 42% accertato dal ctu e dell’età al momento del fatto pari a circa 61 anni). Spetterebbe inoltre l’aumento massimo del 25% per personalizzazione. Il punto biologico per la stessa invalidità è pari 5.403,72; ed il biologico permanente puro sarebbe quindi Euro 226.956,24. Il punto di danno non patrimoniale è di 7.804,35 che moltiplicato per 42 porterebbe a 340.433 € . La differenza di Euro 114.000 si aumenta fino a 150.000 € per la personalizzazione biologica.<br /><br />Al ricorrente è liquidabile quindi un danno complementare (per biologico temporaneo, morale, personalizzazione del danno permanente da lesioni all’integrità fisica) pari ad Euro 150.000 + 69.000 = 219.000 euro; che in quanto attualizzati nei valori di riferimento, vanno maggiorati di rivalutazione dalla liquidazione e di interessi legali dal fatto.<br /><br />Spetta inoltre anche il rimborso di 1000 € stimato come dovuto dal ctu per complessivi € 230.000.<br />Da tale quantum va detratto l’importo di Euro 99.750,00 percepito da UNIPOL prima della sentenza. Il ricorrente ha infatti ricevuto una anticipazione in base alla polizza infortuni (rischio guerra) che regola la responsabilità civile del datore di lavoro nei limiti qui accertati. Si tratta di una normale polizza di responsabilità civile onde le somme già percepite dall’infortunato devono essere certamente detratte dal danno che qui è stato accertato come risarcibile.<br /><br />Polizze ed ambito di operatività.<br /><br />23.- Con la propria memoria di costituzione la C.M.C. ha spiegato azione di garanzia chiedendo di essere manlevata in base a tre polizze: (polizza infortuni cumulativa, responsabilità civile verso terzi e lavoratori, rischio guerra) ed ha chiesto di essere tenuta indenne da UNIPOL e Milano (quest’ultima era coassicuratrice per la prima polizza, ma non si è costituita in giudizio). L’UNIPOL ha eccepito (mentre la Milano Ass.ni è rimasta contumace) che le garanzie prestate dalle due polizze infortuni riguardassero il rischio morte ed invalidità permanente. Ha poi eccepito che la polizza cumulativa infortuni non riguardasse il ricorrente in quanto non incluso nell’elenco delle persone assicurate allegato. La polizza rischio guerra riconosciuta operante recava però un limite di Euro 285.000,00 per invalidità permanente totale (perciò è stato erogata al ricorrente la somma di Euro 99.750,00 in relazione alla percentuale di permanente riscontrata).<br /><br />La polizza infortuni cumulativa è stata stipulata da C.M.C. estero S.P.A. (poi incorporata da C.M.C. convenuta) per assicurare il personale C.M.C. estero S.P.A. e il personale C.M.C. Soc. Coop. a r.l. comandato o distaccato per tutti gli infortuni extra professionali. L’estensione della polizza agli infortuni professionali per il personale C.M.C. comandato dipendeva in effetti dalla previa identificazione delle persone assicurate da comunicare a C.M.C. estero ed all’assicurazione.<br /><br />Solo per gli infortuni extraprofessionali, come già detto, la garanzia operava per tutti i dipendenti di C.M.C. o di società collegate, comandati o dislocati, oltre che per tutti i dipendenti di C.M.C. estero S.P.A., a prescindere dalla identificazione. Quindi trattandosi di rischio professionale in questo caso la prima polizza non opera. Nè le parti hanno precisato che nei loro rapporti il fatto in oggetto potesse essere inteso come extra professionale.<br /><br />24.- La seconda delle polizze per responsabilità civile (doc. 7) stipulata da C.M.C. estero assicurava pure la responsabilità civile di entrambe le società in discorso (oltre che di altre collegate pure indicate in polizza) per la responsabilità civile verso i lavoratori dipendenti assunti con contratto estero onde per questa seconda polizza non vi è alcuna limitazione di operatività in relazione all’appartenenza del prestatore o per il tipo di infortuni, secondo le eccezioni sollevate dalla chiamata.<br /><br />La polizza riguardava la responsabilità civile per morte, lesioni gravi e gravissime sicchè risponde pienamente la compagnia di assicurazione convenuta.<br /><br />Come già detto per la specifica commessa della realizzazione della Diga di Koudeat Acerdoune esisteva poi una polizza infortuni (produttivi di morte o invalidità permanente) per il rischio guerra che comprendeva il terrorismo e gli attentati, talchè anche questa polizza opera nei limiti del danno assicurato (Euro 285.000).<br /><br />Va quindi pronunciata condanna per la convenuta nei confronti del ricorrente e dell’UNIPOL a manlevare la convenuta.<br /><br />Il licenziamento<br /><br />25.- Il ricorrente è stato assunto con contratto di lavoro estero ( impiegato di concetto e mansioni di assistente opere civili) ritenuto dalle parti, pacificamente, dopo le iniziali contestazioni di cui al ricorso, a tempo indeterminato.<br /><br />Egli è stato licenziato in data 30.6.2010 per due motivi: superamento del periodo di comporto e per giustificato motivo oggettivo.<br /><br />26.- Il primo motivo di licenziamento sarebbe illegittimo perché esiste responsabilità del datore per l’infortunio; e le assenze per tale causa non possono computarsi in quanto originate dall’inadempimento del datore.<br /><br />27.- Il secondo motivo di licenziamento è invece legittimo. il licenziamento è stato intimato per la fine del cantiere ed impossibilità di adibizione in altri cantieri.<br /><br />Come si legge in ricorso, il ricorrente era stato assunto per l’estero per i lavori da eseguirsi in Algeria, presso il cantiere relativo alla realizzazione della diga di Koudiat Acerdoune, dove ha sempre lavorato fino all’attentato.<br /><br />Deve ritenersi provata, anzitutto, la fine lavori del cantiere per cui era stato assunto il ricorrente (test. Pasi responsabile CMC per il personale estero). Dal momento che le prove acquisite in giudizio attestano che al momento del licenziamento nel 2010 – 2011 CMC avesse sì “altri cantieri, ma in Algeria erano tutti in fase di completamento” (test. Pasi). Un altro cantiere poi, quello della Diga di Jijel, non era ancora partito ed è stato avviato dopo. Lo stesso teste Not (un lavoratore tecnico) indotto dal ricorrente ha pure parlato di “altri cantieri” attivi, ma senza porre in discussione che quello relativo alla realizzazione della diga di Koudiat Acerdoune in Algeria fosse stato concluso all’atto del licenziamento.<br /><br />28.- D’altra parte, a ben vedere, lo stesso motivo di impugnazione allegato in giudizio non ha neppure contestato la fine dei lavori nel cantiere in oggetto, avendo il ricorrente sostenuto in giudizio una diversa tesi ovvero soltanto che il licenziamento fosse illegittimo perché giunto prima della sua naturale scadenza, per essere il cantiere in Algeria attivo: dovendosi però considerare come tale – a giudizio del ricorrente - tutti i diversi cantieri attivi nel Paese (e non lo specifico cantiere relativo alla realizzazione della diga di Koudiat Acerdoune in Algeria dove egli aveva sempre lavorato; e di cui pertanto non veniva contestata la fine lavori).<br /><br />Si tratta di una tesi che non ha però fondamento siccome l’oggetto del contratto a tempo indeterminato di cui si discorre deve essere inteso ( ai sensi degli art.1362 e ss. c.c.) nel senso dell’ equo contemperamento degli interessi tra le parti, e perciò in relazione ai lavori per i quali è stato sempre adibito il ricorrente. La cui fine integra quindi un valido motivo di licenziamento sul piano oggettivo e consente di riconoscere l’effettività della ragione addotta dall’impresa e di respingere la contraria tesi allegata in ricorso dal lavoratore.<br /><br />29.- La disputa residua tra le parti verte poi sulla prova o meno dell’impossibilità di repechage (od obbligo di diverso reimpiego). Sul punto è provato in giudizio (test. Pasi ) che la CMC non abbia assunto dopo il 2010 altri lavoratori addetti allo svolgimento delle mansioni (di impiegato di concetto e mansioni di assistente opere civili) per le quali era stato assunto il D., “neppure nel successivo cantiere della diga di Jijel” .<br /><br />E’ vero che il teste Not, ma anche Pasi, ha sostenuto che ci fossero altri cantieri attivi in Algeria (in fase di completamento) e che lo siano tuttora (ma il cantiere della diga di Jijel non era partito nel 2010). Senonchè, la prova del repechage deve investire non tanto l’esistenza di altri cantieri (che è premessa pacifica del tema probandum), quanto la presenza di un posto disponibile dove ricollocare altrimenti il lavoratore.<br /><br />E la mancanza di tale disponibilità può essere assolta anche indirettamente (attraverso quella di non aver assunto altri lavoratori dopo il licenziamento), nei limiti della ragionevolezza, tenuto conto delle contrapposte deduzioni delle parti e delle circostanze di fatto e di luogo reali proprie della singola vicenda esaminata.<br /><br />30.- Ora va considerato che il lavoratore aveva specificamente sostenuto in giudizio che egli potesse lavorare in Algeria in tutti i cantieri attivi in quel Paese all’atto del licenziamento. E sul punto deve ritenersi che la convenuta abbia assolto la prova della impossibilità di ricollocazione all'interno dell'impresa nei limiti del tema disputato.<br /><br />Il lavoratore, poi, senza indicare alcuna posizione di lavoro, alcun luogo, alcun cantiere, né lavoro, né Paese (né documento) ha pure affermato in ricorso che egli potesse essere assunto in altri cantieri siti in altri Paesi “come dimostra la documentazione in atti”; ma senza richiamare in realtà alcuna circostanza di fatto né preciso documento tra le centinaia depositati in giudizio.<br /><br />Tale doglianza per la sua genericità ed indeterminatezza non può, ad avviso di questo giudice, fondare un ulteriore obbligo di dimostrare l’impossibilità di ricollocazione all'interno di nessun luogo, in quanto fuoriesce dalle questioni realmente disputate in giudizio, dai limiti di ragionevolezza (ed anche di lealtà processuale).<br />Sul licenziamento vanno prese le conclusioni di cui la dispositivo.<br /><br />Le spese vengono regolate secondo soccombenza nei limiti di cui al dispositivo.<br /><br />P.Q.M.<br /><br />Visto l’art. 429 c.p.c. e definitivamente pronunciando sulla domanda ogni diversa domanda, eccezione od istanza disattesa, così decide:<br /><br />Dichiara la corresponsabilità della ricorrente per l’infortunio occorso al lavoratore ricorrente e la condanna al risarcimento dei soli danni complementari subiti che si stimano in complessivi Euro 220.000 (per danni morali, personalizzazione esistenziale, spese) da cui va detratto l’importo corrisposto da UNIPOL, oltre rivalutazione dalla sentenza ed interessi legali dalla data del fatto.<br /><br />Condanna la convenuta alla parziale rifusione delle spese processuali sostenute dal ricorrente che si liquidano in complessivi Euro 9.000,00 oltre I.V.A. e C.P.A.<br /><br />Respinge la domanda di illegittimità di licenziamento ed ogni altra diversa domanda.<br /><br />Condanna UNIPOL a tenere indenne la convenuta di quanto dovuto al ricorrente ed a rifondere le spese del giudizio liquidate in Euro 7.000,00 oltre I.V.A. e C.P.A.<br /><br />Compensa ogni ulteriore spesa.<br /><br />Fissa il termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza.<br /><br />Ravenna, 23.10.2014<br /><br />Il Cancelliere Il Giudice del Lavoro<br /><br />dott. Roberto RIVERSO<br /><br />Depositato in Cancelleria il ..............................<br /><br />Il Cancelliere<br /><br /><br /><a href="http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=26910" title="http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=26910" rel="external">http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=26910</a>
Fri, 20 Mar 2015 22:37:06 +0100
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Critiche eccessive all’azienda: dipendente licenziato [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21570&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Critiche eccessive all’azienda: dipendente licenziato<br />
Critiche eccessive all’azienda: dipendente licenziato<br /><br />12/03/2015<br /><br />E' possibile criticare la propria azienda, ma eccedere, superare i limiti, andare troppo sopra le righe, può costare carissimo... fino ad arrivare al licenziamento. Esemplare la vicenda vissuta da un dipendente di una società operativa nel settore della vigilanza privata: due episodi caratterizzati dalla denigrazione della struttura aziendale e dell’amministratore sono stati sufficienti per dire addio al posto di lavoro (Cassazione, sentenza 3853/15). <br /><br />Punto di svolta, nella battaglia giudiziaria, è la decisione della Corte d’appello, dove, in controtendenza rispetto a quanto stabilito in Tribunale, viene sancita la «legittimità» del «licenziamento» adottato da una società – operativa nel settore della vigilanza privata – nei confronti di un dipendente, resosi colpevole di «comportamenti univocamente tesi a denigrare l’immagine» dell’azienda e del «suo amministratore». Per i giudici di secondo grado è evidente la «conflittualità» del lavoratore nei confronti dei «vertici aziendali», conflittualità «giunta a un punto tale che ogni situazione problematica veniva utilizzata» dal dipendente «come occasione per denigrare l’immagine aziendale». E le «condotte contestate», verificatesi in due occasioni diverse, avevano giustamente, secondo i giudici, fatto venire meno la «fiducia del datore di lavoro». <br /><br />Ora la visione pro azienda viene condivisa e fatta propria anche dai giudici della Cassazione, i quali ritengono inutile il ricorso proposto dal lavoratore, confermando, di conseguenza, il licenziamento. Per i giudici di terzo grado, in sostanza, vi sono tutti i presupposti, in questa vicenda, per parlare di «licenziamento per giusta causa», essendosi verificate, da parte del dipendente, «mancanze» che non consentivano «la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro». In questo quadro, il riferimento decisivo è la «denigrazione dell’immagine aziendale» messa in atto dal lavoratore: tale condotta, concludono i giudici, hanno avuto una «gravità» tale da «giustificare il venire meno della fiducia» della società «nella correttezza del futuro adempimento».<br /><br /> Fonte: <a href="http://www.dirittoegiustizia.it" title="www.dirittoegiustizia.it" rel="external">www.dirittoegiustizia.it</a> <br /><a href="http://www.lastampa.it/2015/03/12/italia/i-tuoi-diritti/lavoro/critiche-eccessive-allazienda-dipendente-licenziato-hM0lB2K6bcMu1lqc6iSQuI/pagina.html" title="http://www.lastampa.it/2015/03/12/italia/i-tuoi-diritti/lavoro/critiche-eccessive-allazienda-dipendente-licenziato-hM0lB2K6bcMu1lqc6iSQuI/pagina.html" rel="external">http://www.lastampa.it/2015/03/12/ita ... cMu1lqc6iSQuI/pagina.html</a>
Thu, 12 Mar 2015 20:58:12 +0100
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21570&forum=22
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Furto di dipendenti: investigazioni lecite da parte del datore di lavoro? [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21254&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Furto di dipendenti: investigazioni lecite da parte del datore di lavoro?<br />
26 dicembre 2014<br /><br />E’ lecito l’impiego di investigatori privati per la tutela del patrimonio aziendale?<br /> <br />La sentenza della Corte di Cassazione n. 25674, del 4 dicembre 2014, si inserisce in un solco tracciato da un orientamento ormai consolidato che ritiene leciti i controlli datoriali effettuati a mezzo di agenzia investigativa per verificare gli illeciti del lavoratore che non riguardino il mero inadempimento della prestazione, ma incidano sul patrimonio aziendale.<br /> <br />E’ quindi legittimo il licenziamento intimato per giusta causa alla cassiera sorpresa da investigatori, appositamente ingaggiati dal datore che nutriva dubbi, a sottrarre somme non contabilizzate.<br /> <br />Nel caso di specie è stata, altresì, ritenuta non sproporzionata la sanzione espulsiva a causa della reiterazione del fatto (le somme erano state sottratte due volte a distanza di sole 48 ore) e delle funzioni particolarmente delicate e di responsabilità dell’addetta alla cassa: elementi che fanno venir meno il legame fiduciario.<br /> <br />Sul punto occorre ricordare che gli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori pongono dei limiti al potere di controllo del datore di lavoro, rispettivamente, per la tutela del patrimonio aziendale effettuato tramite le guardie giurate, al controllo della prestazione lavorativa da parte del personale di vigilanza e al controllo “occulto” ovvero da remoto effettuato tramite impianti audiovisivi o altre apparecchiature. Nella sentenza in commento la Suprema corte, confermando quanto deciso lo scorso marzo con un’altra sentenza in materia di controllo sull’utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/1992* (Cassazione 4 marzo 2014, n. 4984), ha statuito che gli articoli 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori, pur delimitando la sfera d’intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi – e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (articolo 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (articolo 3) – «non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli articoli 2086 e 2104 del codice civile, direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica», atteso che il controllo dell’agenzia investigativa «deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione».<br /> Conseguentemente, la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento sul presupposto che, nel caso in esame, si era «trattato di controlli diretti a verificare eventuali sottrazioni di cassa» e quindi diretti a salvaguardare il patrimonio aziendale.<br /><a href="http://camminodiritto.altervista.org/furto-di-dipendenti-investigazioni-lecite-da-parte-del-datore-di-lavoro/" title="http://camminodiritto.altervista.org/furto-di-dipendenti-investigazioni-lecite-da-parte-del-datore-di-lavoro/" rel="external">http://camminodiritto.altervista.org/ ... rte-del-datore-di-lavoro/</a>
Fri, 26 Dec 2014 23:17:05 +0100
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Piovono bastonate sul Ministero - Non può negare licenze per reati che non indichino carattere viole [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=21152&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Piovono bastonate sul Ministero - Non può negare licenze per reati che non indichino carattere viole<br />
Piovono bastonate sul Ministero - Non può negare licenze per reati che non indichino carattere violento <br />N. 05129/2013REG.PROV.COLL.<br />N. 06775/2013 REG.RIC.<br /><br />REPUBBLICA ITALIANA<br />IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />Il Consiglio di Stato<br />in sede giurisdizionale (Sezione Terza)<br />ha pronunciato la presente<br />SENTENZA<br />sul ricorso numero di registro generale 6775 del 2013, proposto da: <br />***, rappresentato e difeso dagli avv. Federico Casa e Federica Scafarelli, con domicilio eletto presso Federica Scafarelli in Roma, via G.Borsi n.4; <br />contro<br />Questura di Vicenza, Ministero dell'Interno; <br />per la riforma<br />della sentenza breve del T.A.R. VENETO - VENEZIA SEZIONE III° n. 00671/2013<br />Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;<br />Viste le memorie difensive;<br />Visti tutti gli atti della causa;<br />Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Scafarelli;<br />Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.<br /><br />FATTO e DIRITTO<br />1. L’appellante aveva impugnato davanti al Tar Veneto il diniego di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, motivato con il fatto che il medesimo era stato denunciato all’autorità giudiziaria in epoca risalente nonché, nel 2009, per essere stato arrestato in flagranza per concussione, con procedimento penale ancora pendente.<br />Il Tar respingeva il ricorso compensando le spese del giudizio rilevando che seppur alcuni dei reati risultavano risalenti (anche al 1967), quando il ricorrente era minorenne e non erano stati precedentemente considerati ostativi al rilascio del titolo richiesto, l’arresto in flagranza per il reato di concussione doveva considerarsi particolarmente significativo sotto il profilo dell’affidamento del pubblico funzionario e che si configurava, legittimamente, come causa impeditiva al rinnovo richiesto, tanto più nella comparazione di interessi, essendo recessivo quello del privato volto all’utilizzo dell’arma, rispetto a quello pubblico, mirante alla tutela della sicurezza pubblica.<br />Nell’atto di appello il ricorrente sottolinea e deduce che il Tar ha definitivamente statuito che la causa impeditiva al rilascio del porto d’armi risiedeva esclusivamente nell’arresto per concussione non ostando al rilascio altri reati commessi in epoca risalente, ritenuti non ostativi dalla stessa autorità di pubblica sicurezza.<br />Così limitato l’oggetto del giudizio, secondo l’appellante la sentenza sarebbe erronea, dovendosi richiamare il pacifico orientamento giurisprudenziale in materia secondo il quale impedisce il rilascio delle licenze di caccia il fatto che manifesti la pericolosità del soggetto o il pericolo di abuso, non costituendo il diniego una punizione accessoria per chi è accusato di qualsiasi reato.<br />L’amministrazione intimata non si è costituita.<br />Alla camera di consiglio fissata per la discussione della istanza cautelare, previo avviso, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione in forma semplificata.<br />2. L’appello merita accoglimento.<br />Come rilevato da costante giurisprudenza amministrativa sia di primo che di secondo grado, la ratio alla base della normativa che disciplina delle autorizzazioni di polizia, per come risulta dal combinato disposto degli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S., eccettuate le ipotesi in cui il rilascio è tassativamente escluso, risiede nella opportunità di evitare che le autorizzazioni al porto di armi vengano rilasciate a soggetti che, per i loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità sul loro corretto uso, potendo in astratto costituire un pericolo per la incolumità e per l’ordine pubblico.<br />E’ tuttavia necessario che i precedenti comportamenti del richiedente siano sintomatici, idonei quindi ad evidenziare una personalità violenta, incline a risolvere situazioni di conflittualità anche con ricorso alle armi, o, in ipotesi, in grado di attentare all’altrui patrimonio con uso di armi ed in sintesi che, nell’ottica di una prognosi ex ante, non diano garanzia di un corretto uso delle armi senza creare turbativa all’ordine sociale.<br />Come rilevato anche dalla Corte Costituzionale "..alcun carattere immediatamente ostativo, ai fini del rilascio o del rinnovo delle licenze di p.s.," può riconoscersi "al fatto di aver riportato una condanna in sede penale" attesa la necessità "di procedere ad una concreta prognosi" che tenga conto di una serie di circostanze, quali l'epoca a cui risale la condotta contestata, i reiterati rinnovi del titolo di polizia nel frattempo intervenuti, la condotta tenuta successivamente al fatto di reato e fatti eventualmente sintomatici di attualità della pericolosità sociale (Corte Cost. n. 331 del 1996, cfr.anche, ex multis, Cons. Stato, n. 5095 del 2012 e n. 4630 del 2011).<br />Nella specie, la causa impeditiva al rilascio del porto d’armi per attività venatoria per l’autorità di pubblica sicurezza risiedeva esclusivamente nell’arresto in flagranza per concussione, essendo stati valutati come irrilevanti, per la loro risalenza nel tempo, altri comportamenti del ricorrente che non avevano impedito alla amministrazione di rilasciare la autorizzazione in anni pregressi.<br />Il Collegio osserva, a tal riguardo, che detto reato non è significativo perché da esso non si manifesta alcuna personalità violenta dell’interessato, né il provvedimento dà conto di ulteriori fattori che possano aver compromesso l'affidabilità del richiedente in ordine al possibile abuso, tali da indurre l’autorità a negare, nella attualità, il titolo di polizia.<br />3. In conclusione l’appello merita accoglimento e per l’effetto in riforma della sentenza appellata, il ricorso in primo grado deve essere accolto e, l’atto impugnato annullato.<br />4. Spese ed onorari dei due gradi vengono liquidati a favore dell’appellante come in dispositivo.<br />P.Q.M.<br />Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)<br />definitivamente pronunciando accoglie l’appello in epigrafe indicato e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e, annulla l’atto impugnato.<br />Condanna il Ministero dell’Interno alle spese ed onorari dei due gradi di giudizio nella misura di euro 3.000,00 (tremila).<br />Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.<br />Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:<br />Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente<br />Salvatore Cacace, Consigliere<br />Vittorio Stelo, Consigliere<br />Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore<br />Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere<br />NOTA: Al Ministero proprio non vogliono capire quali sono i diritti dei cittadini e che i funzionari sono servi delle Stato e del Cittadino e che il loro compito non è di perserguitare i cittadini, di creare loro danni e spese, di creare lavoro inutile a TAR e Consiglio di Stato, di sprecare i soldi dello Stato per sostenere ingiustizie. Se il Ministro desse una ripassata ai caproni che gestiscono così i propri uffici, farebbe cosa santa! <br />10-XI-2014<br /><a href="http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/bastonate3.html" title="http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/bastonate3.html" rel="external">http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/bastonate3.html</a>
Sun, 23 Nov 2014 15:09:25 +0100
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Re: Uso legittimo dell'arma [da tigre88]
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LEGGI E SENTENZE:: Uso legittimo dell'arma<br />
Citazione:<div class="xoopsQuote"><blockquote><br />Paolo1981 ha scritto:<br />dove nonostante tutto, anche se i fatti di danno ragione, ti ritrovi ad avere torto, questi episodi non riguardano solo i cittadini comuni o GPG, ma anche FF.OO.<br /><br />Arrivederci a tutti Voi.</blockquote></div><br /><br /><br />MMMM non credo che le ff.oo subiscono le stesse procedere di indagine come fanno a noi...come ho scritto al precedente post, noi anche in caso di ragione oltre all'accanimento della stampa che non vede l'ora di additarci e paragonarci a sceriffi e montati, veniamo sospesi, non lavoriamo e dobbiamo pagare un avvocato per tutelarci(e parlo già solo se hai ragione figurati se hai torto) , ed è una cosa veramente vergognosa questa, loro finchè non gli viene data l' effettiva condanna lavorano vengono pagati e casomai l'avvocato lo passa pure lo stato...per risolvere la situazione ed evitare tanti processi e discussioni basterebbe già l'uso legittimo delle armi in servizio(come le ff.oo)e non solo la legittima difesa ,perché quando si porta un'arma al fianco siamo tutti uguali....senza distinzioni.
Mon, 17 Nov 2014 13:03:44 +0100
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Re: ROMA: Importante sentenza tra Securitas Metronotte s.r.l. e Roma Capitale [da tigre88]
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LEGGI E SENTENZE:: ROMA: Importante sentenza tra Securitas Metronotte s.r.l. e Roma Capitale<br />
finalmente ogni tanto una bella notizia...questa frase che Guardie Particolari Giurate che svolgono attività complementare a quella istituzionalmente affidatagli, devono essere qualificate come soggetti incaricati di pubblico servizio, escludendone la responsabilità quando il fatto è commesso “nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima”....mi piacerebbe leggerlo anche in altre sentenze....ma dobbiamo dire sempre che sono sentenze...la legge parla chiaro, cioè il rispetto del codice stradale in tutte le sue forme e regole anche in caso di allarmi...
Sat, 8 Nov 2014 20:40:19 +0100
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Peculato per il dipendente della concessionaria del parcheggio comunale che si appropria del prezzo [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Peculato per il dipendente della concessionaria del parcheggio comunale che si appropria del prezzo<br />
<a href="http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/penale/2014-09-29/peculato-il-dipendente-concessionaria-parcheggio-comunale-che-si-appropria-prezzo-biglietto-122627.php?uuid=ABclUFyB" title="http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/penale/2014-09-29/peculato-il-dipendente-concessionaria-parcheggio-comunale-che-si-appropria-prezzo-biglietto-122627.php?uuid=ABclUFyB" rel="external">http://www.quotidianodiritto.ilsole24 ... -122627.php?uuid=ABclUFyB</a><br />Il dipendente, sia esso guardia giurata o non, di una società concessionaria della gestione di un parcheggio comunale o di altro ente pubblico, che si appropri delle somme versate dai conducenti di automezzi fruitori del parcheggio, in quanto persona incaricata di un pubblico servizio, commette il reato di peculato». Questa è la conclusione cui perviene la sesta sezione penale dellaCassazione con la sentenza 36176/2014 .La vicenda - Una guardia giurata, dipendente della società appaltatrice del servizio di gestione, vigilanza e riscossione di un parcheggio comunale a pagamento, veniva condannato per il reato di peculato di cui all'articolo 314 del codice penale per essersi impossessato del prezzo del biglietto del parcheggio pagato da ogni conducente, alzando la sbarra in uscita con il telecomando in propria dotazione anziché consegnare ad essi il gettone da inserire nella macchina automatica e la relativa ricevuta. In tutti i gradi di giudizio la questione interpretativa sollevata dalla difesa e affrontata dai giudici è stata l'attribuzione al dipendente della qualifica di incaricato di pubblico servizio, ovvero una delle qualifiche soggettive che delimitano l'ambito di applicazione soggettivo dei reati contro la pubblica amministrazione.La qualifica di incaricato di pubblico servizio - In relazione a tale questione, i giudici di merito avevano sottolineato il fatto che il dipendente della società concessionaria del parcheggio non si era limitato a compiere mere mansioni esecutive, ma svolgeva altresì funzioni di riscossione e vigilanza. Considerata la natura di servizio pubblico e la funzione pubblica di tali attività, anche in relazione al contesto nel quale erano esercitate, sia il Tribunale che la Corte d'appello avevano riconosciuto l'esistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al dipendente.La difesa del dipendente riteneva invece che tali argomentazioni fossero errate, in quanto se l'attività di sorveglianza del parcheggio è da considerarsi come pubblico servizio, lo stesso non può dirsi per l'attività di riscossione del pedaggio, attività considerata materiale e meramente esecutiva, seppur connessa a quella di vigilanza. Ciò escludeva la possibilità di attribuire al dipendente la qualifica di incaricato di pubblico servizio e di conseguenza la configurabilità del delitto di peculato.Le parole della Corte - La Cassazione ritiene infondato il motivo di ricorso ed afferma che il dipendente della società concessionaria è a tutti gli effetti un incaricato di pubblico servizio. Secondo infatti la corretta interpretazione dell'articolo 358 c.p. , riveste tale qualifica soggettiva «colui che, a qualunque titolo, presta un servizio pubblico, a prescindere da qualsiasi rapporto di impiego con un determinato ente pubblico», in quanto il criterio oggettivo-funzionale utilizzato nella disposizione codicistica non richiede che l'attività svolta sia imputabile ad un soggetto pubblico, ma che il servizio «anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche». E nel caso particolare del servizio di vigilanza e custodia delle guardie giurate i giudici di legittimità affermano che «la natura pubblica del servizio logicamente si estende, includendole senza soluzione di continuità operativa e soggettiva, alle ulteriori attività complementari e collegate, in rapporto di diretta causalità funzionale allo svolgimento dell'attività in concreto assegnata alla guardia giurata».
Tue, 30 Sep 2014 13:02:24 +0200
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Corte di Cassazione: una serie di sentenze di disciplina del rapporto di lavoro [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Corte di Cassazione: una serie di sentenze di disciplina del rapporto di lavoro<br />
07-09-2014 - Francesca Casile<br /><br /><br /><br />Segui <br />Sentenze, quelle della Corte di Cassazione indicative sia per i giudici che per avvocati.<br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /> Corte di Cassazione: sentenze a cui riferirsi. <br /><br /><br /><br /><br /><br />Le sentenze della Corte di Cassazione sono tenute in gran conto da giudici e avvocati poiché la Corte è il massimo organo interpretativo delle leggi e l'ultimo grado di giudizio, che realizza la corretta applicazione della legge, da cui proviene un giudizio di "legittimità" ma non di merito.<br /><br /><br /><br />Ecco una serie di sentenze indicative di casi che possono tornare utili nel rapporto di lavoro.<br /><br />La Corte ha stabilito come legittimo il licenziamento per assenze di malattia sistematiche prima di fine settimana e festività, respingendo il ricorso di un lavoratore licenziato per troppe assenze per malattia a ridosso di giorni di riposo. Il licenziamento è ritenuto legittimo anche se non superiori al periodo di "comporto", cioè la somma massima consentita, sono state peraltro rilevanti le testimonianze dei colleghi, (sentenza n. 18678/2014).<br /><br />Importante sentenza a tutela del docente, l'insulto é oltraggio a pubblico ufficiale. Il genitore che insulta un docente del figlio, perché in disaccordo con il rendimento scolastico, non compie un'ingiuria ma oltraggio a pubblico ufficiale, che per essere tale deve avvenire in luogo pubblico o aperto al pubblico" e " in un momento in cui il dipendente è nell'esercizio delle sue funzioni o a causa di esse" (sentenza 15367 della V sezione penale).<br /><br />Illegittimo, invece, il licenziamento per uso improprio pc aziendale e email, respinto il ricorso dell'azienda contro la sentenza della Corte di Appello che aveva disposto la reintegrazione del dipendente.(Sentenza n. 6222/2014)<br /><br />Condanna di Trenitalia a risarcire un avvocato che nel 2009 aveva subito un danno dal ritardo non segnalato del treno. Trenitalia non fa appello per avere ragione.<br /><br />La Corte di Cassazione ha riconosciuto poi il diritto al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale del lavoratore privato, di fatto, di ogni compito lavorativo, ad un lavoratore caduto in depressione dopo che trasferito è stato privato degli incarichi di prima. (Sentenza n. 16413/2013)<br /><br />Licenziamento in caso di inadeguatezza, la Cassazione riconosce facoltà al datore di lavoro di giudicare le capacità del dipendente. Una psicologa dell'Asl di Trento venne licenziata per la difficoltà di questa a relazionarsi col pubblico con i colleghi, ostacolando il lavoro degli altri, la Corte ha stabilito che il licenziamento è legittimo perché si è verificata una circostanza che "non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto". (Sentenza n. 12561/2013)<br /><br />Inabilità per sindrome pronatoria con compressione del nervo mediano all'avambraccio causato da un uso prolungato del mouse, l'Inail deve risarcire, secondo una sentenza che "è passata in giudicato". (Corte d'Appello dell'Aquila 14.02. 2013)<br /><br />Licenziamento legittimo se la pausa caffè blocca il lavoro, un impiegato di banca licenziato per essere andato al bar lasciando lo sportello con 15 persone in attesa e la cassa aperta. (Sentenza n. 7819/2013)<br /><br />Non risarcibile il lavoratore infortunato mentre va al lavoro in bicicletta, se il percorso casa-ufficio è coperto da un mezzo pubblico, avendo avvalendosi di esso "maggiore comodità e minore disagio". (Sentenza n. 7970/2012)<br /><br />Questa una serie di sentenze da tenere in considerazione che affrontano casi di dubbio ma su cui la Corte ha dato un parere.<br /><a href="http://it.blastingnews.com/lavoro/2014/09/corte-di-cassazione-una-serie-di-sentenze-di-disciplina-del-rapporto-di-lavoro-00123835.html" title="http://it.blastingnews.com/lavoro/2014/09/corte-di-cassazione-una-serie-di-sentenze-di-disciplina-del-rapporto-di-lavoro-00123835.html" rel="external">http://it.blastingnews.com/lavoro/201 ... o-di-lavoro-00123835.html</a>
Sun, 7 Sep 2014 10:48:10 +0200
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SOMMINISTRAZIONE, NO AL TETTO MASSIMO DEL 20% - PATTO DI PROVA VALIDO ANCHE SENZA ELENCAZIONE SPECIF [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: SOMMINISTRAZIONE, NO AL TETTO MASSIMO DEL 20% - PATTO DI PROVA VALIDO ANCHE SENZA ELENCAZIONE SPECIF<br />
SOMMINISTRAZIONE, NO AL TETTO MASSIMO DEL 20% - PATTO DI PROVA VALIDO ANCHE SENZA ELENCAZIONE SPECIFICA DELLE MANSIONI - BONUS REIMPIEGO LAVORATORI LICENZIATI, C'E' TEMPO FINO AD AGOSTO<br /> <br /> <br /> <br />Data 07/08/2014 <br /> SOMMINISTRAZIONE, NO AL TETTO MASSIMO DEL 20%<br />Come per i contratti a termine per sostituzione di lavoratori assenti (v. newsletter FederSicurezza del 14 luglio 2014), anche agli utilizzatori di somministrati non si applica il tetto massimo del 20% imposto dalla legge (limite legale di contingentamento), in base al quale il numero dei rapporti a termine che possono essere instaurati non deve superare il 20% del personale a tempo indeterminato in forza all’inizio dell’anno in cui si verifica la nuova assunzione.<br /> <br />La somministrazione, quindi, non è soggetta a limiti quantitativi, salvo che le parti sociali non scelgano di introdurne, in ogni caso su base volontaria. <br /> <br />Inoltre, il superamento dell’eventuale tetto imposto dalla contrattazione collettiva non comporta l’applicazione della sanzione prevista per i contratti a tempo determinato (che va dal 20 al 50% della retribuzione, per ciascun mese, o frazione di mese superiore a 15 giorni, di durata del rapporto di lavoro, a seconda che il superamento del tetto riguardi uno o più lavoratori), bensì la sola sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla Legge Biagi, compresa tra i 250 e i 1.250 euro.<br /><br /><br />--------------------------------------------------------------------------------<br /><br />PATTO DI PROVA VALIDO ANCHE SENZA ELENCAZIONE SPECIFICA DELLE MANSIONI<br />La legge (art. 2096 c.c.) prevede che l’assunzione con patto di prova risulti da un atto scritto (richiesto ad substantiam, quindi a pena di nullità), che deve indicare in maniera specifica le mansioni da espletare (o, in alternativa, fare riferimento a quanto previsto dal contratto collettivo di riferimento).<br /> <br />La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17591 del 4 agosto 2014, ha tuttavia affermato che il patto di prova è pienamente valido anche se non contiene un’elencazione specifica delle mansioni da svolgere, essendo al contrario sufficiente che queste siano determinabili in base alla forma adoperata nel contratto.<br /> <br />L’indicazione delle mansioni, secondo la Corte, può inoltre essere operata anche “per relationem” alle declaratorie contenute nel contratto collettivo, che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione (sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico).<br /><br /><br />--------------------------------------------------------------------------------<br /><br /> BONUS REIMPIEGO LAVORATORI LICENZIATI, C'E' TEMPO FINO AD AGOSTO<br />I datori di lavoro che, entro il 12 aprile scorso, abbiano inoltrato all’Inps la richiesta di riconoscimento del bonus di 190 euro mensili per l’assunzione dei lavoratori licenziati (tramite il modulo “LICE”, v. newsletter FederSicurezza del 10 aprile u.s.), potranno accedere al recupero del beneficio fino al periodo di paga di agosto 2014, cioè fino alla scadenza fissata per l’invio della denuncia Uniemens di agosto, fissata per il 30 settembre 2014.<br /> <br />Si ricorda che il bonus (di cui ai decreti del Ministero del Lavoro. nn. 264 e 390 del 2013), che ha sostituito la “piccola mobilità”, è riconosciuto ai datori di lavoro che, nel corso del 2013, abbiano assunto lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo (connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro): l’incentivo è pari a 190 euro mensili per 12 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato (o per un massimo di 6 mesi in caso di tempo determinato).<br /> <br />Si fa presente che l’Inps si riserva di effettuare controlli sulla veridicità delle attestazioni rese e la sussistenza dei requisiti di accesso, nonché sulla durata e sull’importo del beneficio.<br /> <br /> <br />A.G. <br /> <br /><a href="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=426" title="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=426" rel="external">http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=426</a>
Sat, 16 Aug 2014 12:28:05 +0200
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FEDERSICUREZZA: PERMESSI SINDACALI, SOLO PER GLI ISCRITTI ALLE ORGANIZZAZIONI FIRMATARIE [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: FEDERSICUREZZA: PERMESSI SINDACALI, SOLO PER GLI ISCRITTI ALLE ORGANIZZAZIONI FIRMATARIE<br />
Data 31/07/2014 <br /> CONTRATTO A TERMINE E APPRENDISTATO: CIRCOLARE OPERATIVA DEL MINISTERO<br /><br />Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato la Circolare n. 18 del 30 luglio 2014, che fornisce le indicazioni operative (destinate al proprio personale ispettivo) relativamente alla nuova disciplina in materia di contratto a tempo determinato, somministrazione di lavoro e contratto di apprendistato, introdotta dal Decreto Poletti (dl 34/2014, convertito in legge 78/2014).<br /> <br />In allegato la Circolare in oggetto.<br /><br />Allegato<br /><br /><br />--------------------------------------------------------------------------------<br /><br />PERMESSI SINDACALI, SOLO PER GLI ISCRITTI ALLE ORGANIZZAZIONI FIRMATARIE<br /><br />Il diritto al godimento dei permessi sindacali retribuiti per i dirigenti sindacali spetta esclusivamente ai membri delle organizzazioni sindacali firmatarie degli contratti collettivi nazionali.<br /> <br />Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 16637/2014 depositata lo scorso 22 luglio (in una controversia tra Fiat e Usb).<br /> <br />La Corte, partendo dall’analisi dell’art. 30 dello Statuto dei lavoratori (“Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali”), che riconosce appositi permessi retribuiti per la partecipazione alle riunioni ai dirigenti delle associazioni sindacali di cui all'art. 19, ha poi messo in evidenza come, in base alla norma richiamata, il diritto a costituire rappresentanze sindacali in azienda spetti solo alle associazioni firmatarie dei contratti collettivi (oltre che, secondo la Corte Costituzionale, alle organizzazioni, sia pur non firmatarie, che abbiano partecipato alla negoziazione degli stessi contratti).<br /> <br />Nel caso di specie, in cui il sindacato di appartenenza dei dirigenti che si erano visti negare il diritto ai permessi sindacali retribuiti non era né firmatario del contratto né aveva partecipato alla negoziazione dello stesso, la Corte ha di conseguenza ritenuto non sussistente, in capo a questi ultimi, il diritto di cui all’art. 30 dello Statuto dei lavoratori (cioè a godere dei suddetti permessi).<br /> <br /> <br /> <br />A.G.<br /> <a href="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=423" title="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=423" rel="external">http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=423</a>
Sat, 2 Aug 2014 09:13:35 +0200
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2 senzenze(n. 14356/2014 e n.14595/2014)della cassazione sull indennita di vacanza contrattuale [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=20768&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: 2 senzenze(n. 14356/2014 e n.14595/2014)della cassazione sull indennita di vacanza contrattuale<br />
CASSAZIONE SU INDENNITA' DI VACANZA CONTRATTUALE<br /><br />La Corte di Cassazione ha pronunciato due importanti sentenze (n. 14356/2014 e n. 14595/2014, nella sostanza “gemelle”) in tema di efficacia (e legittimità) delle disposizioni contenute nell’Accordo di rinnovo del CCNL a copertura del periodo di vacanza contrattuale.<br /><br /> Per meglio comprendere le decisioni della Suprema Corte è necessario considerare che:<br /> <br />•l’art. 145 del CCNL per i dipendenti da Istituti di Vigilanza Privata del 1° maggio 2004, scaduto il 31 dicembre 2008, prevedeva l’erogazione di un’indennità di vacanza contrattuale, demandando, tuttavia, alle parti collettive, in sede di rinnovo, la definizione di “tempi e modalità di cessazione dell’indennità di vacanza contrattuale eventualmente erogata”;<br />•in data 22 gennaio 2013 le Parti sociali hanno sottoscritto una prima Ipotesi di Accordo di rinnovo del CCNL, integrato con la regolamentazione di ulteriori materie il 19 febbraio 2013. Successivamente, in data 8 aprile 2013, è stato sottoscritto l’Accordo definitivo di rinnovo;<br />•con disposizioni confermate in tutti gli Accordi di cui sopra, le Parti sociali hanno previsto l’erogazione ai lavoratori in forza della somma una tantum di € 450 e di specifici incrementi della retribuzione mensile, “a copertura del periodo di vacanza contrattuale (1 gennaio 2009 – 31 gennaio 2013)”, precisando che i due citati emolumenti “assorbono sino a concorrenza somme eventualmente già erogate, a qualsiasi titolo, in relazione al periodo di vacanza contrattuale e al presente rinnovo”;<br />•al riguardo, il Tribunale di Torino, con sentenze del 14 febbraio 2013, ha statuito: a) che il CCNL 1° maggio 2004 ha continuato a produrre effetti anche dopo la sua scadenza; b) che il periodo coperto dall’indennità di vacanza contrattuale è cessato il 31 gennaio 2013; c) che l’Ipotesi di Accordo del 22 gennaio 2013 (trasfusa poi nell’Accordo definitivo dell’8 aprile 2013) sarebbe illegittima, nella parte in cui prevede la corresponsione di una somma una tantum, a copertura dell’intero periodo di vacanza contrattuale, in misura inferiore rispetto alle differenze retributive maturate dai lavoratori applicando l’indennità di vacanza contrattuale ex art. 145 del CCNL 2004-2008, dal 1° novembre 2009 al gennaio 2013 (secondo il Tribunale l’indennità di vacanza contrattuale sarebbe maturata “mese per mese”, tanto da dover essere considerata come un diritto quesito intangibile);<br />•avverso le suddette sentenze del Tribunale di Torino, è stato proposto ricorso per Cassazione a norma dell’art. 420 bis del codice di procedura civile.<br /><br /> <br />La Suprema Corte ha cassato le due sentenze del Tribunale di Torino, rilevando che: a) effettivamente la vacanza contrattuale decorreva fino al 31 gennaio 2013; b) tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’indennità di vacanza contrattuale ex art. 145 del CCNL scaduto il 31 dicembre 2008 non costituisce un diritto quesito; c) pertanto, le disposizioni pattuite in sede di rinnovo riguardanti l’erogazione dell’una tantum e degli aumenti retributivi sono pienamente legittime e idonee a coprire l’intero periodo di vacanza contrattuale.<br /> <br /> La Suprema Corte ha, infatti, rilevato che:<br /><br />•l’indennità di vacanza contrattuale prevista dal CCNL 2004-2008non costituisce un diritto quesito, in quanto è “insita nella stessa natura provvisoria e contingente dell’indennità di vacanza contrattuale la possibilità per il successivo contratto rinnovato di regolamentare meglio la sorte di tale indennità”;<br />•“se si tratta di un’“anticipazione”, non è possibile neppure porre una comparazione con la successiva disciplina del trattamento economico prevista dal rinnovato contratto collettivo<br />•“in conclusione le parti sociali rimangono libere di regolare diversamente la materia del trattamento economico anche con riferimento al periodo di vacanza contrattuale che precede il rinnovo contrattuale, in ipotesi prevedendo – come nella specie – l’attribuzione di somme una tantum unitamente ad una nuova disciplina del trattamento retributivo; sicché non sussiste la ragione di illegittimità della disposizione contrattuale ritenuta dal Tribunale”.<br /><br />Per completezza segnaliamo che la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso (incidentale) con il quale si contestava l’applicabilità del CCNL al rapporto di lavoro di uno dei ricorrenti, in quanto iscritto ad una Organizzazione Sindacale non stipulante. Al riguardo, la Corte di Cassazione si è limitata a prendere atto che il Tribunale di Torino “ha ritenuto che la normativa contrattuale in questione possa essere applicabile al ricorrente, anche se affiliato ad un’associazione sindacale che non aveva sottoscritto tutti gli accordi di cui si dibatte”.<br /><br />Le due pronunce della Corte di Cassazione risultano di estrema importanza. Pur non essendo rigidamente vincolanti per i Giudici di merito diversi da quello che ha pronunciato le sentenze impugnate, le decisioni della Corte – in tema di “invalidità” e “interpretazione”del CCNL – rappresentano, infatti, come evidenziato dalla stessa Corte, provvedimenti in grado “di orientare (…) tutti i giudici investiti, anche in futuro, della medesima questione”.<br /><br /><a href="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=421" title="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=421" rel="external">http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=421</a><br /><br />in allegato le due sentenze in pdf
Mon, 28 Jul 2014 20:41:56 +0200
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DECRETO EMENDATIVO - DECRETO MINISTERO INTERNO 269/2010 [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: DECRETO EMENDATIVO - DECRETO MINISTERO INTERNO 269/2010<br />
DECRETO EMENDATIVO - DECRETO MINISTERO INTERNO 269/2010 <br /><br /><br />Data 24/06/2014 <br />A seguito della richiesta di emendamenti da apportare al Decreto del Ministero dell’Interno 1 Dicembre 2010, n. 269, avanzata dalla Commissione Europea nell’ambito della procedura di infrazione (EU Pilot 3693/12/MARK – 3694/12/ MARK) in ordine all’esistenza in Italia di restrizioni al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi per le attività di Vigilanza Privata svolte da Imprese stabilite in altri Stati membri, il Ministero dell’Interno provvederà ad emanare un Decreto emendativo accogliendo, nella circostanza, anche talune indicazioni fornite da questa Associazione in occasione della riunione tenutasi in data 10 Settembre 2013, oggetto della News di pari data, ed ulteriori proposte presentate in occasione dell’approvazione del documento da parte della Commissione Consultiva Centrale tenutasi in data 29 maggio 2014. <br /><br />Le modifiche riguardano sostanzialmente i seguenti argomenti: <br /><br /><br />DECRETO MINISTERO INTERNO 269/2010 <br /><br />Art. 3 “Requisiti e qualità dei servizi“ al comma 2, lettera e) le parole “Sono esclusi dall’applicazione delle definizioni del presente Decreto i servizi di localizzazione satellitare di autoveicoli che prevedano l’esclusivo allertamento del proprietario del bene stesso“ sono sostitute dalle seguenti: “Per i servizi di localizzazione satellitare di autoveicoli, che prevedano il solo allertamento del proprietario del bene stesso, svolti esclusivamente, le disposizioni del presente Decreto si applicano con riferimento all’Ambito 3“; <br /><br />Art. 6 “Requisiti professionali e formativi delle GPG“ dopo il comma 2, è aggiunto il seguente comma: 2 bis “Per le finalità di cui all’art. 252 bis comma 3, del Regio Decreto 6 Maggio 1940, n 635, le Guardie Giurate sono munite di un tesserino avente le caratteristiche fissate con Decreto del Ministro dell’Interno“; Art. 8 “Disposizioni transitorie e finali “al comma 3, le parole “le disposizioni del presente Decreto sono immediatamente esecutive “sono sostituite dalle seguenti: “gli Istituti debbono dimostrare la conformità alle disposizioni del presente Decreto. Non possono essere autorizzate estensioni di licenza in caso di comprovate situazioni debitorie relative agli oneri previdenziali, contributivi, assicurativi o tributari“; <br /><br />Art. 8, al comma 4, dopo le parole “Pubblica Sicurezza“ sono aggiunte le seguenti: “rilasciate in nome e per conto della medesima persona giuridica“; <br /><br /><br />ALLEGATO A – “ Requisiti minimi di qualità degli Istituti di Vigilanza“ <br /><br />Comma 4 – al punto 4.1.1 dopo la parola “TULPS“ sono aggiunte le seguenti: “ed un centro di comunicazioni/centrale operativa avente le caratteristiche di cui al successivo punto 4.1.2 verificato dal competente Ispettorato Regionale del Ministero dello Sviluppo Economico“; <br /><br />Comma 4 – al punto 4.1.2., al secondo punto, le parole “presidiata sulle 24 ore da Guardie Giurate“, sono sostituite dalle seguenti: “presidiate da Guardie Giurate per tutto il tempo di effettuazione dei servizi“; <br /><br />Comma 4 – al punto 4.1.2., al quarto e quinto punto, le parole “UNI 11068:2005 “ Centrali di tele sorveglianza – caratteristiche procedurali strutturali e di controllo sono sostitute dalle seguenti: “EN 50518 “Centro di monitoraggio e di ricezione allarme. Parte 1 – Requisiti per il posizionamento e la costruzione“; Parte 2 “Prescrizioni Tecniche“; Parte 3 – “Procedure e requisiti per il funzionamento“; <br /><br />Comma 4 , punto 4.1.3, dopo la parola “una“ sono aggiunte le seguenti “organizzazione della“; <br /><br />Comma 4 – al punto 4.2, le parole “di qualità“ sono sostituite dalle seguenti “di conformità alla norma“ e dopo la parola “aggiornamenti”sono aggiunte le seguenti: “rilasciata da un organismo di valutazione della conformità accreditato“; <br /><br />Comma 6 – il punto 6.1 è stato così sostituito “aver prestato la cauzione di cui all’art. 137 TULPS, per gli importi previsti dall’Allegato F bis del presente Regolamento“; <br /><br />Comma 6, al punto 6.3 sono state eliminate le parole “ad integrazione di quanto previsto al punto 6.1“; Comma 7, al punto 7.1.2, dopo le parole “CCNL di categoria“ sono sostituite dalle seguenti “Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro“; <br /><br /><br />ALLEGATO B – “Requisiti professionali minimi del Titolare della Licenza“ <br /><br />Comma 1 – il terzo punto è stato così sostituito: “ovvero aver superato corsi di perfezionamento in materia di sicurezza privata, erogati da Università riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che prevedano stage operativi presso Istituti di Vigilanza Privata“; <br /><br />Comma 1 - al quarto punto, dopo le parole UNI 10495:1995 “Funzioni e profilo del professionista della security“ sono aggiunte le seguenti “e successive modifiche ed aggiornamenti“; <br /><br /><br />ALLEGATO D – “Requisiti operativi minimi degli Istituti di Vigilanza“ <br /><br />Sezione I^ - comma 1.e, dopo la lettera m) è aggiunto il seguente periodo: “Restano ferme le disposizioni in materia di formazione delle Guardie Giurate previste da regolamenti e leggi speciali“; <br /><br />Sezione I^ - comma 1.a, lettera g) sono eliminate le parole “di categoria“; Sezione II^ - comma 2.b, dopo l’ultimo capoverso, è aggiunto il seguente “Le disposizioni sopra indicate in materia di armi, non si applicano ai servizi disciplinati dal Decreto Interministeriale 28 Dicembre 2012, n. 266 (Servizi Protezione Navi Mercantili); <br /><br />Sezione II^ - comma 2.d, dopo l’ultimo capoverso, è aggiunto il seguente: “Il Titolare della Licenza, il Direttore Tecnico, e/o l’Institore sono sempre abilitati all’accesso alla Centrale Operativa, pur non rivestendo la qualifica di Guardia Giurata, per lo svolgimento delle attività organizzative e di controllo“; <br /><br />Sezione III^ – comma 3.g.2, al primo periodo, dopo le parole “indossato all’occorrenza“, sono aggiunte la seguenti: “nel caso in cui il cliente assicuri la conformità del box alle norme UNI EN 1522 , UNI EN 1523 e UNI EN 1063”; <br /><br />Sezione III^ - Punto 3.i al primo capoverso, dopo le parole “deve essere munito“ sono aggiunte le seguenti: “di impianto di allarme antintrusione e di impianto di videosorveglianza oltre che”; <br /><br />Sezione III^ - comma 3.1.2, al settimo periodo, le parole “rimane in costante ascolto radio verificando“ sono sostituite dalla seguente “monitora“; <br /><br />Sezione III^ - comma 3.l.3, alla voce “Trasporto Valori per somme da Euro 3.000.000,00 e fino ad Euro 8.000.000,00, dopo le parole “per i trasporti relativi alla Banca d’Italia e, “sono aggiunte le seguenti “per i trasporti“; <br /><br />Sezione 3^ - comma 3.m a, alla voce “Scorta valori“, le lettere a), b) e c) sono sostituite dalle seguenti: a) Per la scorta valori fino a Euro 3.000.000,00 il servizio deve essere svolto da due Guardie Giurate in uniforme, armate di pistola, munite di giubbotto antiproiettile che deve essere indossato per tutto il periodo del servizio e sino al rientro in sede, a bordo di automezzo radio collegato e munito di impianto di localizzazione satellitare; b) Per la scorta a valori superiori a 3.000.000,00, fermo restando le modalità previste dalla lettera a), il Questore può imporre misure di protezione aggiuntive, in relazione alla specifica situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica ed alla natura ed al valore del bene scortato; c) La scorta a materiale bellico, parti di armamento ed esplosivi in genere, quando non svolta direttamente dal proprietario del bene con proprie Guardie Giurate, è affidata a Guardie dipendenti da Istituti di Vigilanza Privata, il cui numero deve essere calcolato in funzione della distanza dell’obiettivo e del tempo necessario al raggiungimento dello stesso e del rientro in sede. Qualora la distanza sia superiore ai 400 Km, debbono essere impiegate due Guardie Giurate, a bordo di un automezzo con impianto di localizzazione satellitare e provviste di adeguati strumenti di comunicazione con la Centrale Operativa dell’Istituto di Vigilanza“; <br /><br />Sezione 3^ - comma 3.1.4., alla voce “Tabelle sinottiche per il trasporto del contante“, al punto 5, dopo la parola “attivazione“ sono aggiunte le seguenti: “automatica, anche mediante sensori sparo sui vetri dell’automezzo, nonché“; <br /><br />Sezione III^ - dopo il comma 3.o, è stato aggiunto il seguente comma: <br />Comma 3.p “Trasporti di valori diversi dal contante“ - I trasporti di beni di rilevante valore economico, diversi dal denaro contante, si effettuano con le modalità indicate nei commi 3.l.3 e 3.l.4 del presente Allegato, anche con mezzi diversi da quelli ivi indicati e appositamente allestiti, con i massimali ivi indicati aumentati del doppio. I trasporti di valori per massimali superiori ad euro 16.000.000,00, fino al massimale previsto dall’Assicurazione obbligatoria, dovranno essere autorizzati dal Questore che approva il Regolamento, d’intesa con i Questori delle Province interessate, il quale può imporre misure di protezione aggiuntive, in relazione alla specifica situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla natura ed al valore del bene trasportato nonché all’utilizzo di tecnologie di difesa passiva, anche alternative a quelle di cui ai commi 3.1.3. e 3.1.4 , specifiche per la particolare tipologia di trasporto“; <br /><br />Sezione V^ - comma 5.e, alle parole “n. 1952“ sono aggiunte le seguenti: “e rappresentano le condizioni minime che devono essere riprese dai singoli Regolamenti di Servizio. Tali condizioni possono essere integrate da eventuali regole procedurali interne ritenute necessarie dai soggetti autorizzati, nonché dalle prescrizioni del Questore, in relazione a specifiche esigenze di pubblica sicurezza adeguatamente motivate. Analogamente il Questore di una Provincia diversa da quella ove ha sede l’Istituto, può autorizzare modalità di svolgimento dei servizi diverse da quelle approvate dal Questore di quella sede, dandone comunicazione entro 24 ore“; <br /><br /><br />ALLEGATO E - “Requisiti minimi delle infrastrutture per le telecomunicazioni“ è stato sostituito dall’ALLEGATO 1 con il quale viene previsto che per i “Sistemi di Comunicazione radio“ dei Centri di Comunicazione Tipologia A e delle Centrali Operative Tipologia B le postazioni radio base siano dotate di “antenna diretta od omnidirezionale a seconda dell’orografia del territorio interessato“ e per i Sistemi di comunicazione fonica dei Centri di comunicazione Tipologia A, delle Centrali Operative tipologia B e Centrali Operative avanzate Tipologia C il Centralino telefonico sia dotato anche di “registratore di comunicazione entrambi di adeguata capacità considerando anche gli eventuali collegamenti remotizzati“. Per tutte le tipologie di Centrale Operativa, la gestione del servizio di teleallarme e la comunicazione in fonia debbono essere effettuate tramite canali radio separati. I punti operativi distaccati devono prevedere l’interconnessione fonica diretta ed esclusiva con la sede principale, ma non devono essere dotati di Centrale Operativa. Gli Istituti che svolgono, esclusivamente le attività di cui all’art. 2, comma 2, lett. a), classe B del Decreto (servizi di localizzazione satellitare di autoveicoli, che prevedano l’allertamento del proprietario del bene stesso e/o servizi di telesorveglianza), senza intervento diretto di proprie Guardie Giurate, non sono tenuti alla realizzazione del sistema di comunicazione radio. La verifica dei requisiti previsti dal presente allegato è effettuata dai competenti ispettorati Territoriale del Ministero dello Sviluppo Economico. In particolare gli Ispettorati Territoriali accertano: a) La sussistenza dei requisiti minimi dei sistemi di comunicazione radio e/o telefonica; b) La conformità alla normativa vigente; c) La presenza degli opportuni regimi autorizzatori per l’esercizio dell’impianto e la funzionalità dell’impianto stesso. <br /><br /><br />ALLEGATO F - “Tabelle del capitale sociale (e/o patrimonio) e delle cauzioni degli Istituti di Vigilanza Privata “è stato sostituito dall’ALLEGATO 2, nel quale è stato eliminato il 1° paragrafo, precedentemente contenuto nell’Allegato F, relativo “all’obbligo, per le imprese private, del patrimonio netto e, per le società, di un capitale interamente versato“, mantenendo invece l’obbligo del versamento della cauzione, parametrandola però alle classi funzionali. <br /><br /><br />ALLEGATO G - “Requisiti professionali minimi e di capacità tecnica del Titolare di Licenza di Investigazione Privata e di Informazioni Commerciali“ <br /><br />Comma 1 – lettera a), la parola equiparati è sostituita da “equipollenti“; <br /><br />Comma 1 – lettera b, le parole “con profitto un periodo di pratica“ sono sostituite dalle seguenti “attività lavorativa a carattere operativo“; <br /><br />Comma 1, lettera c), le parole “organizzato da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni e accreditati presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza secondo le procedure da questo individuate “sono sostitute dalle seguenti: “erogati da Università riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca“ e dopo la parola “ovvero“ sono aggiunte le seguenti: “in alternativa ai requisiti di cui alle lettere b) e c)“; <br /><br />Comma 2 – lettera b), le parole “con profitto un periodo di pratica“ sono sostitute dalle seguenti “attività lavorativa a carattere operativo“; Comma 2 – lettera c), le parole “organizzato da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni o accreditati presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, secondo le procedure da questo individuate“ sono sostituite dalle seguenti: “erogati da Università riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca“ e dopo la parola “ovvero“, sono aggiunte le seguenti: “in alternativa ai requisiti di cui alle lettere b) e c)“; <br /><br />Comma 3, lettera a), dopo le parole “Scienze bancarie“, sono aggiunte le seguenti “Scienze dell’Investigazione“ e la parola “equiparati“ è sostituita dalla parola “equipollenti“;<br /><br />Comma 3, alla lettera a) dopo le parole “Registro delle Imprese“, sono aggiunte le seguenti: “per attività classificate ai codici ATECO 63.11.1, 63.11.11 e 63.11.19 (Elaborazione dati- elaborazione elettronica dei dati contabili – altre elaborazioni elettroniche di dati), 63.11.2 e 63.11.20 (Gestione data base – attività delle banche dati), 82.91.1 e 82.91.10 (Attività di Agenzie di Recupero Crediti), 82.91.2 e 82.91.20 (agenzie di informazioni commerciali)“; <br /><br />Comma 4 – lettera b), le parole “con profitto un periodo di pratica“ sono sostituite dalle seguenti: “attività lavorativa a carattere operativo“; <br /><br />Comma 4 – lettera c), le parole “organizzato da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni o accreditati presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, secondo le procedure da questo individuate “sono sostituite dalle seguenti: “erogati da Università riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca“ e dopo la parola “ovvero“, sono aggiunte le seguenti: “in alternativa ai requisiti di cui alle lettere b) e c)“; <br /><br />Comma 5 – al sesto rigo le parole “organizzati da strutture universitarie o da centri di formazione professionale riconosciuti dalle Regioni o accreditati presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, secondo le procedure da questo individuate “sono sostituite dalle seguenti: “erogati da Università riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca“; <br /><br />Comma 6 – al primo rigo, la parola “annuale“ è sostituita con la parola “triennale“, il numero “3“ è sostituito dal numero “2“ ed il numero “5“ è sostituito dal numero “4“; Comma 6 - al quarto rigo la parola “annuale“ è sostituita con la parola “triennale“ e dopo il numero “3“ è aggiunto il numero “4“; Comma 6 – al sesto rigo le parole “il superamento“ sono sostituite dalle seguenti “la partecipazione ad“; <br /><br />Comma 6 – all’ottavo rigo, le parole “e accreditati presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica sicurezza, secondo le procedure da questo individuate “sono sostituite dalle seguenti: “secondo le procedure individuate dal Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza“. <br /><br /><br />ALLEGATO H - Comma 2 – punto 2, al primo paragrafo, le parole “non possono essere attivate presso il domicilio del Titolare della Licenza né nei locali nei quali insistano sedi legali“ sono sostituite dalle seguenti: “dovranno essere idonee ai fini del corretto esercizio della potestà di controllo, ai sensi dell’art. 16del TULPS”. <br /><br />Comma 2 – al secondo punto le parole “dell’impresa (forma societaria, denominazione sociale, rappresentanti legali, etc.) sono sostituite dalle seguenti: “del richiedente la Licenza e la forma giuridica con la quale intende svolgere l’attività“.<br /><br />In allegato l’Allegato F, relativo alle Tabelle delle cauzioni degli Istituti di vigilanza privata.<br /><br />Allegato F <br /><br /><a href="http://www.federsicurezza.it/" title="http://www.federsicurezza.it/" rel="external">http://www.federsicurezza.it/</a>
Fri, 25 Jul 2014 19:11:52 +0200
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Re: Abuso dei permessi legge 104: sì investigatore e licenziamento - [da nottambulo]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=20656&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Abuso dei permessi legge 104: sì investigatore e licenziamento -<br />
Molto interessante, grazie.
Sat, 28 Jun 2014 15:26:36 +0200
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A PROPOSITO DI REGISTRAZIONE DELLE CONVERSAZIONI.... [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=20650&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: A PROPOSITO DI REGISTRAZIONE DELLE CONVERSAZIONI....<br />
12 giugno 2014 · L'AVVOCATO RISPONDE, RUBRICHE<br />....<br /><br /><br />Lia Vigiliano<br /> <br />Prima di tutto grazie all’Ugl per aver messo a disposizione questo servizio. Sono responsabile di produzione e responsabile commerciale in una srl. Soffro di depressione, certificata dallo specialista curante, ma tutto sommato sto bene e svolgo con profitto il mio dovere. Una persona in particolare con cui ho rapporti diretti in ufficio nel rivolgersi a me non usa mai il mio nome, mi apostrofa con termini spiacevoli, usando un tono violento. Ma non lo fa solo con me. In passato sono stato costretto a inviare una email di scuse ad un importante cliente. Non so come dimostrare gli accaduti per poi sporgere regolare denuncia.<br /> La situazione è insostenibile. <br /><br />Anche in mancanza di una norma che espressamente consenta l’utilizzo delle registrazioni, dai principi del nostro Ordinamento giuridico è possibile ricavarne la disciplina.<br /> Mi riferisco, prima di tutto, all’articolo 24 della Costituzione, all’articolo 616, 617 e 617 bis del Codice penale ed all’articolo 94 della Legge sui diritti d’autore.<br /> Risulterebbe da tali disposizioni normative che è possibile rivelare il contenuto di una registrazione se ciò serve alla propria difesa in un processo penale e all’esercizio di un proprio diritto nel processo civile o penale, ossia non solo per far valere una nostra pretesa giuridica, ma anche per opporci a una pretesa giuridica altrui.<br /> Ancora, l’articolo 24 comma 1 lettera f) del D.Lgs 196/03 consente il trattamento dei dati personali senza il consenso dell’interessato qualora lo stesso sia necessario per la tutela del diritto di difesa giudiziale sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale. Il problema, dunque, deve essere scisso in due parti:<br /> 1. la registrazione della conversazione;<br /> 2. il suo utilizzo processuale;<br /> La registrazione della conversazione tra A e B, effettuata da A all’insaputa dell’altra persona, è perfettamente legale in quanto esiste il consenso dell’avente diritto (A) che lo presta semplicemente premendo il tasto REC. Diverso è l’uso che viene fatto delle registrazioni.<br /> Un uso processuale è sicuramente consentito, salvo le eventuali eccezioni relative alla sua natura, come ad esempio registrazioni formate in modo artefatto con operazioni di taglia e cuci.<br /> I problemi nascono per l’eventuale divulgazione delle registrazioni, in quanto si lede la privacy con conseguente obbligo a risarcire il danno se si diffonde la conversazione per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui. Quanto alla valenza probatoria, la registrazione del suono costituisce, al pari della riproduzione fotografica, fotomeccanica o cinematografica, una fonte di prova, che potrà essere ammessa dal giudice secondo il suo “prudente apprezzamento”. Si può, quindi, concludere affermando che è perfettamente possibile registrare conversazioni tra presenti. Tali registrazioni possono certamente fungere da prova sia nel processo penale sia nel processo civile per tutelare un diritto proprio od altrui. Non c’è nessuna illiceità se chi registra prende parte alla conversazione, in quanto chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione. Ne consegue che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra<br /> presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo<br /> secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa. (Cass. Sent. 36747/2003). È legittima l’utilizzazione, nel processo, del contenuto di una conversazione privata registrata su nastro magnetico da parte di uno degli interlocutori. Nell’enunciare tale principio, la S.C., con sentenza n. 7239/99, ha ritenuto che la divulgazione del contenuto della registrazione non incide sulla libertà e segretezza delle comunicazioni, non costituendo un’intromissione dall’esterno in ambiti privati inviolabili, ma riguarda solo l’interesse alla riservatezza, non tutelato costituzionalmente soccombente rispetto all’interesse pubblico all’accertamento della verità.<br /><a href="http://www.lametasociale.it/2014/06/12/criteri-per-la-mobilita-2/" title="http://www.lametasociale.it/2014/06/12/criteri-per-la-mobilita-2/" rel="external">http://www.lametasociale.it/2014/06/12/criteri-per-la-mobilita-2/</a>
Sun, 22 Jun 2014 10:53:57 +0200
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Guida Sicura: il rischio legato guida di un autoveicolo aziendale [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Guida Sicura: il rischio legato guida di un autoveicolo aziendale<br />
La valutazione dei rischi deve comprendere anche il rischio legato alla guida di un autoveicolo aziendale. Le responsabilità del lavoratore e del datore di lavoro, la stanchezza e i doppi turni di lavoro. Di Rolando Dubini, avvocato in Milano.<br /><br /><br /> <br /><br /><br /> <br /><br /><br /><br /> <br /> <br />Milano, 17 Giu – Nella sentenza Cassazione penale, Sezione IV, 8 ottobre 2008, Proc. Gen. Venezia in proc. Da Tio, si mette in evidenza un aspetto fondamentale e preliminare, ovvero che il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza deve operare un controllo costante e pressante, diretto o per interposta persona, per imporre che i lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarvisi, anche instaurando prassi di lavoro non corrette, qual'è la condotta imprudente dei mezzi.<br /> <br /> <br /> <br />Ma quando parliamo di uso dell'auto, o furgone, o autocarro aziendali per lo svolgimento dell'attività lavorativa, che tipo di implicazioni intendiamo dal punto di vista della sicurezza e igiene del lavoro? L’uso di questi mezzi implica la definizione delle modalità corrette di uso dell'auto aziendale sulla base dell'analisi del rischio di cui agli articoli 17 e 28 e 29 e altri del D.Lgs. n. 81/2008, nel contesto più generale di perseguire la massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale imposta dall'articolo 2087 del Codice Civile secondo cui l’imprenditore è tenuto ad attuare tutte “le misure che secondo la particolarità del lavoro, esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro”. La guida, le vibrazioni, la posizione seduta per ore, l'idoneità psico-fisica, sono tutti argomenti che devono essere valutati e gestiti.<br /> <br /><br /> <br /> <br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /> <br /> <br />Va pure ricordato, in linea di principio, che è comunque escluso che il datore vada esente da colpa in presenza di una mera distrazione del lavoratore, atteso che la distrazione non connota di abnormità il comportamento assunto, essendo essa facilmente prevedibile dal datore di lavoro tenuto a fare il possibile per proteggere il lavoratore anche dalla sua stessa imprudenza (v. sentenza Sezione IV, 26 giugno 2007, n. 24869).<br /> <br /> <br /> <br />In un caso accaduto a porto Marghera (Sezione IV, 17 maggio 2006, n. 4676/07, P.G. in proc. Bartalini ed altri) un conducente percorre una strada in senso vietato ed il veicolo da lui guidato va ad urtare un veicolo che procede nel senso di marcia consentito. Il conducente che contravveniva la regola cautelare di legge (rispettare il senso di marcia) risponderà delle lesioni subite dal conducente di quel veicolo perché l’evento era prevedibile (la regola cautelare imponeva il rispetto del senso di marcia) e l’incidente realizza la concretizzazione del rischio (la regola cautelare violata era preordinata proprio ad evitare quel tipo di incidente). <br /><br /> <br /> <br />Per andare esente da responsabilità, il datore di lavoro "in colpa" non potrebbe invocare la "legittima aspettativa" riposta nella doverosa diligenza del lavoratore, ed in tal senso è stato escluso che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore, trattandosi di comportamento "connesso" all'attività lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non imprevedibile (cfr., per utili riferimenti, tra le altre, Sezione IV, 5 dicembre 2007, San Martino).<br /> <br /> <br /> <br />Nel definire il campo di applicazione il D.Lgs. n. 81/2008 al comma 1 dell’articolo 3 testualmente dispone “il presente Decreto Legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio”, e l'articolo 28 comma 1 prevede l'obbligo di valutare “tutti” i rischi, con ciò imponendo l'obbligo di valutare qualunque fattore di rischio, incluso quello derivante dall’utilizzo dei veicoli aziendali. La Circolare Min. Lav. 102/95 sottolinea l'obbligo del datore di lavoro di “individuare tutti i fattori di rischio esistenti e le loro reciproche interazioni, nonché la valutazione della loro entità, effettuata ove necessario mediante metodi analitici o strumentali” e la circostanza normativamente determinata che “il DVR custodito in azienda non può essere parziale o inadeguato, ma deve comprendere tutti i fattori di rischio riscontrabili”, dunque va pure compreso il rischio legato alla guida di un autoveicolo aziendale se questa attività è parte integrante della mansione lavorativa”.<br /> <br />La sentenza Cassazione penale, sez. IV, 23 ottobre 2008, n. 45016 (dep.03 dic. 2008) relativa al decesso di un lavoratore dipendente alla guida di un automezzo aziendale, ha così disposto: “… ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera”.<br /> <br /> <br /> <br />Secondo la sentenza della Corte di Cassazione, n° 3970, aprile 1999 “… il rischio generico della strada può diventare rischio specifico di lavoro, quando a quel rischio si accompagni un elemento aggiuntivo e qualificante, per il quale l’incidente è connesso agli obblighi che derivano dal lavoro..”.<br /> <br />L'art. 18 c. 1 lett. c prevede l'obbligo di affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro condizioni e capacità, in relazione alla sicurezza del lavoro.<br /> <br /> “L’interesse dello Stato alla effettiva assunzione delle misure di salvaguardia della salute del lavoratore non è limitato alla fase che precede l’assegnazione dei compiti ma perdura per l’intero rapporto” (Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539) .<br /> <br /> <br /> <br />Ad esempio secondo la Cassazione penale con sentenza n. 37999 del 3 ottobre 2008, in un caso di incidente stradale occorso al conducente (dipendente poi deceduto) di un autoarticolato fuoriuscito dalla carreggiata, il datore di lavoro è da ritenere responsabile e pertanto è tenuto a rispondere delle conseguenze (delitto di omicidio colposo) per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a condizione che abbia sottoposto il dipendente autista ad un faticoso doppio turno di lavoro e che l'incidente sia causato da stanchezza. Nello specifico “nel percorrere un tratto di strada provinciale a curva in discesa alla guida di un autoarticolato trainante un semirimorchio a cisterna, il conduttore, per cause imprecisate, perse il controllo del veicolo e, alla velocità di 80 chilometri orari, percorse circa 50 metri in frenata e fuoriuscì sul lato destro della carreggiata, finendo la propria corsa, ribaltato, in una scarpata di oltre 70 metri dal piano viabile. Si accertò che “(…) quel giorno, l’autista era stato sottoposto ad un doppio turno di lavoro (aveva preso servizio alle ore 4.05 ed aveva lavorato fino all’ora di pranzo; nel pomeriggio, alle ore 14.00 aveva ripreso servizio e l’incidente si era verificato alle ore 17.45), vietato anche da specifiche disposizioni aziendali”. Il responsabile di quel secondo turno – assolto in primo grado – fu condannato in appello per omicidio colposo, in quanto “(…) la sua condotta colposa era stata ritenuta causa dell’evento”.<br /> <br />La Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 17 gennaio 2014, n. 899 si è pronunciata in relazione all’art. 172 n. 3 lettera c) del codice della strada, che esenta dall’uso di cintura di sicurezza gli appartenenti a servizi di vigilanza privata che effettuano scorte, il quale prevale sull’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c. Difatti l’art. 172 è chiaramente una disposizione di ordine speciale tesa a regolare una specifica attività lavorativa “pericolosa” in ordine al rispetto dell’obbligo di indossare le cinture di sicurezza in una logica di bilanciamento con evidenti interessi di altra natura, come il consentire una più pronta reazione degli addetti alla vigilanza in caso di aggressione criminosa.<br /> <br /> <br /> <br /> <br /> <br /> <br /> <br />Rolando Dubini, avvocato in Milano <br /><br /><a href="http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-rischio-C-5/infortuni-in-itinere-C-96/guida-sicura-il-rischio-legato-guida-di-un-autoveicolo-aziendale-AR-13945/" title="http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-rischio-C-5/infortuni-in-itinere-C-96/guida-sicura-il-rischio-legato-guida-di-un-autoveicolo-aziendale-AR-13945/" rel="external">http://www.puntosicuro.it/sicurezza-s ... icolo-aziendale-AR-13945/</a>
Tue, 17 Jun 2014 20:48:14 +0200
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FEDERSICUREZZA: ORARIO DI LAVORO, FERIE E RIPOSI: ILLEGITTIME LE SANZIONI PERCHE' TROPPO ASPRE [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: FEDERSICUREZZA: ORARIO DI LAVORO, FERIE E RIPOSI: ILLEGITTIME LE SANZIONI PERCHE' TROPPO ASPRE<br />
Data 10/06/2014 <br />La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'inasprimento delle sanzioni in materia di orario di lavoro introdotto con il d.lgs. n. 213/2004<br /><br />La Corte Costituzionale (sentenza n. 153/2014, depositata il 4 giungo scorso) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (in materia di organizzazione dell’orario di lavoro). Nello specifico, i commi dell’art. 18-bis (introdotto con il successivo decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213, che ha modificato e integrato il d.lgs. n. 66/2003 in materia di apparato sanzionatorio dell’orario di lavoro) dichiarati incostituzionali hanno ad oggetto le sanzioni previste in caso di violazione della disciplina in materia di orario di lavoro di cui agli artt. 4 (superamento della durata massima dell’orario di lavoro settimanale), 7 (mancata fruizione del riposo giornaliero) e 9 (mancata concessione del riposo settimanale) del d.lgs. n. 66/2003.<br /><br />La questione, in sintesi, è la seguente:<br /><br />il decreto legislativo n. 66 del 2003 è stato introdotto, nel nostro ordinamento, in attuazione di due direttive comunitarie (nn. 93/104/CE e 2000/34/CE) in materia di organizzazione dell’orario di lavoro. Il decreto, nella sua versione originaria, non prevedeva nulla in materia di regime sanzionatorio, cioè per quanto riguardava le sanzioni da applicare in caso di violazione delle norme in tema di orario di lavoro e di riposo settimanale e festivo.<br />Successivamente, tramite lo strumento della delega correttiva, fu invece inserito, con il d.lgs. n. 213/2004, tra le altre modifiche, l’art. 18-bis, avente ad oggetto il sistema sanzionatorio per la violazione delle suddette norme, prima disciplinato dai regi decreti legge nn. 692/1923 e 370/1934.<br /><br />La questione sollevata trae origine dal fatto che, mentre la legge delega 1 marzo 2002, n. 39 (cioè la legge comunitaria 2001, per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, in base alla quale era stato introdotto il d.lgs. n. 66/2003 e il successivo d.lgs. n. 213/2004), aveva previsto come criterio direttivo, in materia di sanzioni amministrative, che nel passaggio dal vecchio al nuovo regime fossero previste sanzioni identiche a quelle già previste dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi, l’art. 18-bis avrebbe invece previsto sanzioni più rigide rispetto a quelle di cui ai r.d.l. nn. 692/1923 e 370/1934 (che, in precedenza, disciplinavano la materia).<br /><br />Tutto questo avrebbe determinato un’evidente violazione di quanto previsto dalla legge delega e, quindi, l’illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis per violazione dell’art. 76 della Costituzione (in base al quale “l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”).<br /> <br />La Corte, in proposito, è stata chiamata a valutare se le sanzioni introdotte dal “nuovo” apparato normativo (commi 3 e 4 dell’art. 18-bis del d.lgs. n. 213/2004) fossero o meno più pesanti rispetto a quelle già previste per le violazioni omogenee e di pari offensività dal “vecchio” sistema (r.d.l. nn. 692/1923 e 370/1934), e se, ovviamente, sussistesse o meno il requisito della “omogeneità e pari offensività” delle violazioni.<br /> <br />Dal confronto effettuato tra i due sistemi sanzionatori (vecchio e nuovo), la Corte ha ritenuto che, nonostante le indubbie diversità – dovute anche ad una realtà economica e lavorativa passata assai più semplice di quella attuale –, ci sia una chiara coincidenza nella logica di fondo che anima gli stessi: entrambi sanzionano l’eccesso di lavoro e lo sfruttamento del lavoratore che ne consegue, ponendo limiti all’orario di lavoro giornaliero e settimanale ed imponendo periodi di necessario riposo.<br /> <br />Questa “coincidenza” fa sì che, ai fini del rispetto dei criteri fissati dalla legge delega, le sanzioni amministrative di cui ai r.d.l. nn. 692/1923 e 370/1934 corrispondano a violazioni da ritenere omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste dal d.lgs. n. 66/2003 e che, di conseguenza, le sanzioni previste dai commi 3 e 4 dell’art. 18-bis del d.lgs. n. 213/2004 avrebbe dovuto rispettare il requisito della necessaria identità rispetto alle sanzioni precedenti (rialzate già dal d.lgs. n. 758/1994).<br /><br />Da un semplice confronto aritmetico, è risultato evidente come le sanzioni attualmente previste dalla normativa vigente siano ben più elevate di quelle irrogate nel sistema precedente: di conseguenza, i criteri direttivi della legge delega risultano violati, e ciò ha imposto la declaratoria di illegittimità costituzionale dei commi 3 e 4 dell’art. 18-bis del d.lgs. n. 213/2004.<br /><br />Nello specifico, la sentenza in commento ha concluso che:<br />“Ai fini, quindi, del rispetto dei criteri fissati nella legge delega, deve affermarsi che le sanzioni amministrative previste dal r.d.l. n. 692 del 1923 e dalla legge n. 370 del 1934 corrispondono a violazioni da ritenere omogenee rispetto a quelle regolate dal d.lgs. n. 66 del 2003 e che, pertanto, la normativa sanzionatoria oggi in esame era tenuta al rispetto della previsione della delega nel senso della necessaria identità rispetto alle sanzioni precedenti; le quali, come si è già detto, erano state ritoccate al rialzo dal d.lgs. n. 758 del 1994.<br />Risulta in modo evidente, invece, proprio sulla base del confronto sopra compiuto, che le sanzioni amministrative di cui all’art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003 sono più alte di quelle irrogate nel sistema precedente; e, trattandosi di un’operazione di puro confronto aritmetico, non sussistono dubbi interpretativi.<br />Ne discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, perché effettivamente sussiste la violazione del criterio direttivo contenuto nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge di delega n. 39 del 2002, sicché se ne impongono l’accoglimento e la conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale delle censurate disposizioni, per violazione dell’art. 76 Cost.”.<br /><br />La Corte ha infine precisato che, avendo il giudice a quo chiarito che le sanzioni amministrative inflitte nel giudizio davanti a lui pendente riguardano il periodo di tempo che va dall’ottobre 2007 al giugno 2008, lo scrutinio della Corte è limitato, in conformità al principio della domanda, al testo originario dell’art. 18-bis, senza riguardare in alcun modo il testo risultante dalle modifiche successive della norma.<br /><br />A.G. <br /><a href="http://www.federsicurezza.it/" title="http://www.federsicurezza.it/" rel="external">http://www.federsicurezza.it/</a>
Tue, 10 Jun 2014 20:12:19 +0200
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Licenziamento, motivi disciplinari, luogo di lavoro, allontamento, giudice [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento, motivi disciplinari, luogo di lavoro, allontamento, giudice<br />
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE<br /> <br />SEZIONE LAVORO<br /> <br />Sentenza 26 giugno 2013, n. 16095<br /> <br />REPUBBLICA ITALIANA<br /> <br />IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br /> <br />LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE<br /> <br />SEZIONE LAVORO<br /> <br />Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:<br /> <br />Dott. ROSELLI Federico – Presidente -<br /> <br />Dott. VENUTI Pietro – Consigliere -<br /> <br />Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere -<br /> <br />Dott. CURZIO Pietro – Consigliere -<br /> <br />Dott. MANNA Antonio – Consigliere -<br /> <br />ha pronunciato la seguente:<br /> <br />sentenza<br /> <br />sul ricorso 4842-2011 proposto da:<br /> <br />ISTITUTO DI VIGILANZA PRIVATA LA NUOVA LINCE S.R.L. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore sig. M.C.H. elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato VACCARO PAOLA, rappresentata e difesa dagli avvocati GAUDINO GIORGIA, GARZILLI MASSIMO, giusta delega in atti;<br /> <br />- ricorrente -<br /> <br />contro<br /> <br />D.B.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato FEMIA DOMENICO, rappresentato e difeso dall’avvocato RIGITANO Raffaele, giusta delega in atti;<br /> <br />- controricorrente -<br /> <br />avverso la sentenza n. 422/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/02/2010 r.g.n. 11327/08;<br /> <br />udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;<br /> <br />udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.<br /> <br />Svolgimento del processo<br /> <br />Con sentenza del 17 febbraio 2010 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli del 6 ottobre 2008, ha annullato il licenziamento intimato dall’Istituto di vigilanza privata “La Nuova Linee” s.r.l. a D.B.S. in data 27 aprile 2006 ed ha condannato detta società a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni di fatto in misura pari alle mensilità di retribuzione di fatto maturate e non riscosse dal recesso alla reintegra. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia giudicando sproporzionata la sanzione disciplinare espulsiva motivata con l’abbandono del posto di lavoro, essendo risultato provato che il D.B. ha lasciato il servizio mezz’ora prima del termine del suo turno di servizio solo dopo essersi accertato dell’arrivo del suo collega del turno successivo.<br /> <br />L’Istituto di Vigilanza Privata “La Nuova Linee” s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo.<br /> <br />Resiste con controricorso il D.B.<br /> <br />Motivi della decisione<br /> <br />Con l’unico motivo si lamenta violazione delle regole di ermeneutica contrattuale e conseguente violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 140 CCNL vigilanza privata, istituti, consorzi e cooperative del 2 maggio 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare si deduce che l’art. 140 CCNL prevede espressamente l’abbandono del posto di lavoro quale giusta causa di licenziamento per cui la corte territoriale avrebbe interpretato tale norma in modo errato non considerando la legittimità del licenziamento in presenza di un acclarato abbandono del posto di lavoro, a nulla rilevando la mancanza di un danno procurato.<br /> <br />Il ricorso è infondato. In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (per tutte Cass. 26 luglio 2010, n. 17514). In materia di licenziamento per ragioni disciplinari, anche se la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, il giudice investito dell’impugnativa della legittimità del licenziamento deve comunque verificare l’effettiva gravità della condotta addebitata al lavoratore (Cass. 18 gennaio 2007, n. 1095). Infatti la valutazione in ordine alla legittimità del licenziamento, motivato dalla ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, non può conseguire automaticamente dal mero riscontro della corrispondenza del comportamento del lavoratore alla fattispecie tipizzata contrattualmente, ma occorre sempre che quest’ultima sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo (Cass. 4 marzo 2004 n. 4435). Inoltre, in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso, rimesso al giudice di merito, si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (per tutte Cass. 22 marzo 2010, n. 6848).<br /> <br />Nella specie la Corte territoriale ha esattamente definito come illecito il comportamento di abbandono del posto di vigilanza, addebitato al lavoratore. Altrettanto esattamente essa non lo ha però ritenuto degno della sanzione espulsiva, considerando che all’allontanamento mezz’ora prima della fine del turno era corrisposto l’arrivo di un collega mezz’ora prima dell’inizio del turno successivo, sì che il luogo non era rimasto privo di personale di vigilanza.<br /> <br />Pertanto è corretta e logica la valutazione operata dal giudice dell’appello secondo cui la brevità dell’assenza e la conseguente limitatezza del danno procurato non è proporzionato alla massima sanzione espulsiva, anche considerando l’elemento soggettivo del comportamento del dipendente convinto e sicuro della presenza imminente del proprio collega. Tale valutazione, si ripete, è condivisibile e in armonia con i sopra ricordati principi affermati da questa Corte.<br /> <br />La sussistenza dell’illecito disciplinare previsto dalla contrattazione collettiva rende comunque complessa la decisione della controversia di modo che appare equa la compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.<br /> <br />P.Q.M.<br /> <br />La Corte rigetta il ricorso;<br /> <br />Compensa fra le parti le spese di giudizio.<br /> <br />Così deciso in Roma, il 16 aprile 2013.<br /> <br />Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013<br /><a href="http://www.sindacatofsi.it/2014/06/08/licenziamento-motivi-disciplinari-luogo-di-lavoro-allontamento-giudice/" title="http://www.sindacatofsi.it/2014/06/08/licenziamento-motivi-disciplinari-luogo-di-lavoro-allontamento-giudice/" rel="external">http://www.sindacatofsi.it/2014/06/08 ... oro-allontamento-giudice/</a>
Sun, 8 Jun 2014 20:00:50 +0200
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Infarto da superlavoro? Il datore è sempre «colpevole»: lo ha deciso la Cassazione [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Infarto da superlavoro? Il datore è sempre «colpevole»: lo ha deciso la Cassazione<br />
9 maggio 2014 21:19<br /><br /><br /><br /><br /><br />Autore:<br />Ado Antonellini<br /><br />Tags:<br />CassazioneInfarto da superlavoro?<br /><br />ROMA – Era un vero e proprio stakanovista, si portava addirittura il lavoro a casa pur di raggiungere gli obiettivi che il suo datore, una grossa società di telecomunicazioni, gli aveva assegnato. <br /><br />Stefano S. – funzionario della ‘Ericsson tlc’ – non si era mai lamentato per questo stress continuo. Ma un carico di undici ore di lavoro al giorno alla fine lo ha portato all’ infarto. Ora la Cassazione ha stabilito che una morte del genere deve essere risarcita dal datore che non può ignorare «le modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro».<br /> <br />Alla moglie e alla figlia del dipendente morto per infarto dovuto ai «ritmi insostenibili» dell’attività lavorativa, la società deve corrispondere, rispettivamente, 434mila euro e 425mila euro, oltre agli oneri accessori. Senza successo, la ‘Ericsson’ è ricorsa in Cassazione contro la decisione della Corte di Appello di Roma che, nel 2011, aveva accolto la richiesta di risarcimento danni patrimoniali e materiali avanzati dalla vedova di Stefano S. anche in nome della loro unica figlia, ancora minorenne. In primo grado, invece, il Tribunale aveva negato la responsabilità del datore.<br /> <br />Ad avviso della Suprema Corte, «con motivazione logicamente argomentata e giuridicamente corretta», il verdetto di appello ha ritenuto che «la responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro fa carico alla società, la quale non può sottrarsi agli addebiti per gli effetti lesivi della integrità fisica e morale dei lavoratori che possano derivare dalla inadeguatezza del modello adducendo l’assenza di doglianze mosse dai dipendenti». Inoltre, secondo gli ‘ermellinì – sentenza 9945 della Sezione lavoro – il datore non può sostenere «di ignorare le particolari condizioni di lavoro in cui le mansioni affidate ai lavoratori vengano in concreto svolte».<br /> <br />Per la Cassazione, «deve infatti presumersi, salvo prova contraria, la conoscenza, in capo all’azienda, delle modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro, in quanto espressione ed attuazione concreta dell’assetto organizzativo adottato dall’imprenditore con le proprie direttive e disposizioni interne».<br /> <br />Nel caso in questione era emerso che Stefano S. «per evadere il proprio lavoro, era costretto, ancorchè non per sollecitazione diretta, a conformare i propri ritmi di lavoro all’esigenza di realizzare lo smaltimento nei tempi richiesti dalla natura e molteplicità degli incarichi affidatigli dalla ‘Ericsson’». In base alla ctu, l’infarto che lo colpì, un martedì mattina al lavoro, «era correlabile, in via concausale, con indice di probabilità di alto grado, alle trascorse vicende lavorative».<br /> <br />Senza successo la società si è difesa dicendo che i «ritmi serratissimi» adottati da Stefano S. «non erano a lei imputabili ma dipendevano dalla attitudine» del dipendente «a sostenere e a lavorare con grande impegno e al suo coinvolgimento intellettuale ed emotivo nella realizzazione degli obiettivi».<br /> <br />La Fonte Della Notizia :<a href="http://www.ilmattino.it/PRIMOPIANO/CRONACA/infarto-lavoro-datore-colpevole-cassazione/notizie/674371.shtml" title="http://www.ilmattino.it/PRIMOPIANO/CRONACA/infarto-lavoro-datore-colpevole-cassazione/notizie/674371.shtml" rel="external">http://www.ilmattino.it/PRIMOPIANO/CR ... ione/notizie/674371.shtml</a><br /><a href="http://www.uglguardiegiurate.net/infarto-da-superlavoro-il-datore-e-sempre-colpevole-lo-ha-deciso-la-cassazione/" title="http://www.uglguardiegiurate.net/infarto-da-superlavoro-il-datore-e-sempre-colpevole-lo-ha-deciso-la-cassazione/" rel="external">http://www.uglguardiegiurate.net/infa ... -ha-deciso-la-cassazione/</a>
Sat, 10 May 2014 18:09:31 +0200
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IL DATORE DI LAVORO NON HA L'OBBLIGO DI TRATTATIVA CON TUTTE LE OO.SS. [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: IL DATORE DI LAVORO NON HA L'OBBLIGO DI TRATTATIVA CON TUTTE LE OO.SS.<br />
IL DATORE DI LAVORO NON HA L'OBBLIGO DI TRATTATIVA CON TUTTE LE OO.SS. - TAR VENETO: APPALTI E DURC, 15 GIORNI IN PIU' PER METTERSI IN REGOLA - <br /> <br /> <br /> <br />Data 30/04/2014 <br />IL DATORE DI LAVORO NON HA L'OBBLIGO DI TRATTATIVA CON TUTTE LE OO.SS.<br /><br /><br />La Corte di Cassazione, sez. lav., con sentenza n. 14511 del 10 giugno scorso, ha stabilito che non costituisce condotta antisindacale ex art. 38 dello Statuto dei Lavoratori, il comportamento del datore di lavoro che sottoscriva un nuovo contratto collettivo di lavoro, sostituendo il trattamento applicato in precedenza (frutto di accordo con alcune organizzazioni sindacali) con il trattamento concordato con altri sindacati, e imponendo il nuovo trattamento agli iscritti al sindacato non stipulante nonostante un esplicito diniego espresso.<br /><br />Secondo la Corte, infatti, nel nostro ordinamento non vige il principio della necessaria parità di trattamento tra le varie organizzazioni sindacali (ma solo dei lavoratori) e, di conseguenza, neppure un obbligo a carico del datore di lavoro di aprire le trattative e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali: rientra infatti nell’autonomia negoziale del datore di lavoro la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto collettivo con organizzazioni sindacali anche diverse da quelle che hanno trattato e sottoscritto il precedente.<br /><br /><br /><br /><br />--------------------------------------------------------------------------------<br /><br /><br /><br />TAR VENETO: APPALTI E DURC, 15 GIORNI IN PIU' PER METTERSI IN REGOLA<br /><br /><br />Il requisito della regolarità contributiva, necessario per la partecipazione alle gare pubbliche, deve sussistere non al momento della presentazione della domanda di ammissione alla procedura, bensì al momento di scadenza del termine di 15 giorni assegnato dall’Ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva.<br />Lo ha precisato il Tar Veneto, sezione I, con la sentenza 8 aprile 2014, n. 486.<br /><br />L'art. 31, comma 8, del D.l. n. 69/2013, in vigore dal 22 giugno 2013, prevede che, in caso di mancanza dei requisiti per il rilascio del Durc – documento unico di regolarità contributiva che le stazioni appaltanti devono acquisire d’ufficio, attraverso strumenti informatici, ai fini della verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all’art. 38, comma I, lett. “i” del Codice Appalti (assenza di violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali) –, “gli Enti preposti al rilascio, prima dell'emissione del DURC (…) invitano l'interessato (…) a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a quindici giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità”.<br /><br />Questa norma, osserva il Tar Veneto, stabilisce quindi che gli enti previdenziali deputati all’emanazione del Durc devono attivare un procedimento di regolarizzazione mediante il quale i concorrenti ad una procedura concorsuale che fossero privi del requisito della regolarità contributiva possano sanare la loro posizione, prima dell’emissione di un provvedimento negativo, nel termine di 15 giorni.<br /><br /><br />A.G. <br /> <br /><a href="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=402" title="http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=402" rel="external">http://www.federsicurezza.it/winNewsA.asp?id=402</a>
Fri, 2 May 2014 22:46:17 +0200
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Criteri per la mobilità [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Criteri per la mobilità<br />
17 aprile 2014 · L'AVVOCATO RISPONDE, RUBRICHE<br />....<br /><br /><br />Lia Vigiliano<br /> <br />In merito alla normativa sulla mobilità vorrei sapere con quali parametri e criteri vengono scelti i lavoratori da porre in mobilità. In particolare il peso dato all’anzianità rispetto ai vari carichi familiari.<br /> Molte grazie e cordiali saluti.<br /> <br />L’articolo 5 della Legge n. 223 del 1991 descrive i criteri di scelta dei lavoratori da mettere in mobilità, secondo anzianità aziendale, carichi familiari, esigenze tecnico-produttive dell’azienda, e quant’altro. Nello specifico stabilisce: «1. L’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’art. 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative».<br /> In buona sostanza la selezione dei lavoratori da porre in mobilità deve avvenire, in primo luogo, nel rispetto dei criteri concordati con i sindacati (criteri contrattuali), e formalizzati mediante accordo sindacale. Qualora, invece, non fosse stipulato alcun accordo o l’accordo non disciplinasse i criteri di scelta, il datore di lavoro deve applicare quelli previsti appunto all’art. 5 Legge 223/1991 (criteri legali): 1. carichi di famiglia; 2. anzianità; 3. esigenze tecnico-produttive e organizzative.<br /> Per espressa previsione normativa i criteri legali devono essere utilizzati in concorso fra loro: ciò significa che il datore di lavoro non può in alcun modo disapplicare completamente alcuni dei criteri individuati e, nel caso in cui uno prevalesse su un altro, deve essere indicata la ragione di tale prevalenza (Cass. S.U. 13/10/1993 n. 10112, in Lav. nella Giur., 1994, 17, con nota Guarnieri; Pret. Busto Arsizio 16/04/1997, in Dir. Lav. 1997, 532; Pret. Bologna 06/04/1992, in Riv. It. Dir. Lav., 1992, II, 1012, cono nota Guaglione; Cass. 20/06/1991 n. 6953, in Riv. Giur. Lav., 1992, II, 202).<br /> Più nel particolare, circa i singoli criteri di scelta legali:<br /> • le esigenze tecnico-produttive: non possono essere indicate in modo generico o riferite a generici interessi dell’impresa, ma devono essere specifiche e dimostrabili in concreto. In tal senso, ogni volta che l’imprenditore opera la scelta di licenziare un dipendente, è necessario valutare l’esistenza del nesso di causalità fra la scelta di quel singolo dipendente e l’effettiva necessità del suo licenziamento alla stregua delle esigenze tecnico-produttive. È necessario, quindi, far emergere la diretta consequenzialità tra la decisione del datore di lavoro e la riduzione in sé considerata (Trib. Milano 21/01/2000, in Lav. Nella Giur., 2000, 677; Cass. 17/12/1998 n. 12658, in Notiz. Giur. Lav., 1999, 216; Cass. 18/11/1997 n. 11465, in Dir. & Prat. Lav., 1998, 954);<br /> • l’anzianità: per parte della dottrina si deve intendere come anzianità aziendale (o di servizio), ritenendo rilevante nella scelta dei lavoratori da licenziare la professionalità dagli stessi acquisita e la loro “fedeltà”. Per altra parte della dottrina, si intende l’anzianità anagrafica del lavoratore, in quanto si attribuisce alla definizione legislativa un valore sociale di tutela dei lavoratori anziani. Per la giurisprudenza il criterio è da intendere nel primo modo (Cass. 10/047/2000 n. 9169, in Boll. Lav., 2001, 48, 3702; Cass. 27/05/1997 n. 4685, in Dir. & Prat. Lav., 1997, 2563), anche se non mancano pronunce che tendono a contemperare le due interpretazioni del criterio, anche in considerazione della eventuale maggior difficoltà di nuova collocazione del lavoratore anagraficamente più anziano (Trib. Milano 22/12/1993, in Dir. Lav., 1994, 532);<br /> • i carichi di famiglia: il criterio impone di dar rilevanza al fatto di trovarsi in una situazione di maggior bisogno di stabilità economica. Lo strumento utilizzato generalmente dal datore di lavoro per valutare il carico familiare che grava sui singoli lavoratori è rappresentato dalla percezione degli assegni familiari.<br /><a href="http://www.lametasociale.it/2014/04/17/criteri-per-la-mobilita/" title="http://www.lametasociale.it/2014/04/17/criteri-per-la-mobilita/" rel="external">http://www.lametasociale.it/2014/04/17/criteri-per-la-mobilita/</a>
Wed, 30 Apr 2014 20:38:11 +0200
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Socio lavoratore............. [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Socio lavoratore.............<br />
Socio lavoratore<br /> <br />17 aprile 2014 · DIRITTO E LAVORO, RUBRICHE<br />....<br /><br /><br />Giovanni Magliaro *<br /> Con la sentenza Sezione Lavoro, n.1817 del 28 gennaio 2013, la Suprema Corte si pronuncia sul tema dell’associazione in partecipazione e sui caratteri distintivi di questo rapporto rispetto al rapporto di lavoro subordinato. Come è noto, nell’associazione in partecipazione non vi è scambio tra lavoro e retribuzione perché il soggetto associato mette a disposizione le proprie energie lavorative per partecipare ad un’impresa con lo scopo di percepire eventuali utili che ne deriveranno, preferendo correre il rischio di compensi più esigui pur di cogliere la possibilità di un guadagno più elevato in caso di buon andamento dell’impresa. Nel contratto di lavoro subordinato invece il prestatore ha diritto ad una retribuzione certa comunque dovuta a prescindere dall’andamento dell’impresa (articolo 36 Costituzione).<br /> La vertenza nasce dal ricorso promosso davanti al Tribunale di Torino da parte di un lavoratore il quale, premesso di essere stato alle dipendenze di una Società, aveva visto regolarizzare la sua posizione solo sei anni dopo con la sottoscrizione di un contratto di associazione in partecipazione. Chiedeva il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro nonché declaratoria di inefficacia del licenziamento intimatogli verbalmente dopo otto anni. Il Tribunale accoglieva la domanda. La Corte d’Appello di Torino, alla quale aveva proposto appello la Società, confermava la decisione dei giudici di primo grado. In particolare riteneva provata la sussistenza di uno schema lavorativo identico, prima e dopo la stipulazione del contratto di associazione in partecipazione, riproducente perfettamente quello della subordinazione. Da qui il ricorso per Cassazione dal quale è scaturita la sentenza in commento.<br /> La Cassazione, richiamando la precedente giurisprudenza sulla materia, ha sottolineato che in tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa l’elemento differenziale risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio d’impresa dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite.<br /> E’ ben possibile che l’espletamento della prestazione lavorativa in un contratto di associazione in partecipazione assuma caratteri in tutto simili a quelli della prestazione lavorativa svolta nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato. E l’elemento differenziale tra le due fattispecie va individuato attraverso una valutazione complessiva e comparativa dell’assetto negoziale quale voluto dalle parti e quale in concreto posto in essere. Il fulcro dell’indagine deve spostarsi, in questo caso, soprattutto sulla verifica dell’autenticità del rapporto di associazione. Il quale ha come indefettibile elemento essenziale il sinallagma tra la partecipazione al rischio dell’impresa gestita dall’associante a fronte del conferimento dell’apporto (in questo caso lavorativo) dell’associato. Intendendosi in tal caso che l’associato lavoratore deve partecipare sia agli utili che alle perdite. Nel caso in oggetto comunque i giudici di merito hanno escluso la partecipazione dell’associato al rischio d’impresa e quindi la partecipazione sia agli utili che alle perdite. Né è mancata la verifica di ulteriori elementi caratterizzanti il contratto di associazione, quali il controllo della gestione dell’impresa da parte dell’associato ovvero il periodico rendiconto. Una volta verificato che all’assetto contrattuale voluto dalle parti non corrispondeva la concreta attuazione di un rapporto di associazione in partecipazione, i giudici di merito hanno correttamente valutato l’espletamento di una prestazione lavorativa subordinata.<br /> C’è poi da considerare – afferma la Suprema Corte – che laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale favor accordato dall’articolo 35 della Costituzione che tutela il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”. Deve inoltre rimarcarsi che correttamente la Corte d’Appello ha ritenuto non determinante la qualificazione formale che le parti avevano dato al rapporto contrattuale. Infatti, pur a seguito della stipula di un contratto di associazione in partecipazione, le modalità di svolgimento del lavoro non erano cambiate. Il lavoratore era rimasto inserito nella struttura aziendale, legato al rispetto di un preciso orario di ufficio, sottoposto al controllo penetrante sul proprio operato da parte del dominus e dunque sottoposto al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, senza alcuno spazio di autonomia in ordine alle modalità di estrinsecazione del rapporto. Rispetto a tale assetto fattuale la Corte ha sostanzialmente escluso la partecipazione dell’interessato al rischio d’impresa, che caratterizza la causa tipica dell’associazione in partecipazione, nel senso di una partecipazione tanto agli utili quanto alle perdite. Dunque, asserisce la Suprema Corte, accertato che all’assetto contrattuale formalmente voluto dalle parti non corrispondesse la concreta attuazione di un rapporto di associazione in partecipazione, i giudici di merito hanno considerato in questa diversa prospettiva l’espletamento di una prestazione lavorativa da parte di lavoratore e non già di associato in partecipazione.<br /> Va ricordato, in merito alla partecipazione alle perdite che la sentenza sembra considerare requisito necessario ai fini della qualificazione come associazione in partecipazione, che l’articolo 2553 codice civile prevede che “salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto”. Dunque potrà aversi nell’associazione in partecipazione un patto in base al quale l’associato benefici di una percentuale di utili diversa da quella delle perdite a lui imputabili. L’unico limite posto all’autonomia delle parti riguarda l’impossibilità di far gravare sull’associato perdite in misura superiore al suo apporto. <br /><br />* Responsabile Ufficio Giuridico Ugl<br /><a href="http://www.lametasociale.it/2014/04/17/socio-lavoratore/" title="http://www.lametasociale.it/2014/04/17/socio-lavoratore/" rel="external">http://www.lametasociale.it/2014/04/17/socio-lavoratore/</a>
Wed, 30 Apr 2014 20:36:56 +0200
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Obbligo delle cinture di sicurezza [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Obbligo delle cinture di sicurezza<br />
Metronotte viaggia sul furgone blindato addetto al trasporto valori guidato da un collega e rimane coinvolto in un sinistro stradale. E' obbligo o meno, per il datore di lavoro, fare indossare le cinture di sicurezza agli addetti al servizio di vigilanza? <br /><br /><br /><br />Lunedì 20 Gennaio 2014, 22.45 <br /><br /><br /> Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre 2013 – 17 gennaio 2014, n. 899 <br />Presidente Vidiri – Relatore Bronzini <br /><br />Svolgimento del processo <br /><br />G.M. adiva il Tribunale di Genova esponendo di aver subito un incidente stradale mentre, come dipendente della Metronotte Città di Genova Istituto di vigilanza privata spa, viaggiava su un furgone blindato addetto al trasporto valori; l'autista del mezzo - imboccata una galleria ad una sola corsia - si rendeva conto del procedere di autovetture in senso contrario e, per evitare l'impatto, sterzava bruscamente provocando il rovesciamento del mezzo. Sopraggiungeva un'ambulanza chiamata per prestare i dovuti soccorsi che a sua volta finiva con il collidere con il mezzo in cui si trovava il ricorrente. Il ricorrente allegava di aver subito gravi lesioni dall'evento e di aver riportato una invalidità permanente nella misura del 33%. La Metronotte Città di Genova Istituto di vigilanza spa chiamava in giudizio e manleva C.M. conducente del mezzo blindato e la Fondiaria assicurazioni. C.M. a sua volta chiamava in giudizio la società assicuratrice e la società che aveva costruito il mezzo blindato, la società proprietaria dell'autoambulanza, la società assicuratrice della stessa per la responsabilità civile e il conducente di quest'ultima. Il Tribunale di Genova con sentenza n 805/2006 rigettava la domanda. Osservava che non era emersa alcuna responsabilità ex art. 2087 c.c. in quanto l'incidente si era verificato per la condotta di guida dell'autista del furgone; in relazione alle lesioni riportate dal G. il reato non era punibile d'ufficio e quindi il datore di lavoro non rispondeva dei danni cagionati dai dipendenti nell'esercizio delle loro mansioni ex art. 10 TU 1124/1965. <br />La Corte di appello di Genova con sentenza del 22.12.2009 rigettava l'appello del G. . La Corte territoriale osserva che la domanda era stata proposta ex art. 2087 c.c. e che nel caso in esame il ricorrente lamentava di non essere stato munito di cinture di sicurezza, ma che dall'uso di cinture sono esentati gli appartenenti ai servizi di vigilanza privata dallo stesso codice della strada; inoltre il mezzo era stato regolarmente omologato. Ancora osservava che il ricorrente, mentre nel ricorso aveva dedotto che si trovava nel vano chiuso blindato, nel corso delle dichiarazioni rese in giudizio aveva affermato di essersi trovato nel sedile posteriore (e non nello spazio retrostante ove si trovavano i valori). Nel vano posteriore non dovevano esserci persone del servizio di vigilanza e quindi non era necessario munirlo di cinture. Non emergevano altri profili di responsabilità del datore di lavoro, posto che era emerso che il furgone era stato di recente revisionato. Ulteriori profili di responsabilità ex art. 2049 e 2054 c.c. erano stati tardivamente sollevati. <br />Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il G. con un motivo. Resistono la Fidelitas spa con controricorso (che ha depositato anche memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. ed ha proposto ricorso incidentale condizionato con un motivo); la Milano Assicurazioni s.p.a. con controricorso; la Repetti s.r.l. con controricorso la spa Allianz con controricorso; la Compagnia assicurazione Fondiaria spa con controricorso. Le altre parti sono rimaste intimate. <br /><br />Motivi della decisione <br /><br />Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi in quanto proposti avverso la medesima sentenza. <br />Con l'unico motivo proposto il G. allega la violazione dell'art. 2087 c.c.. Il ricorrente aveva precisato nell'interrogatorio che si trovava nella cabina di guida. Per tutti i lavoratori sussiste l'obbligo delle cinture di sicurezza ex art. 2087 c.c. che prevale sul codice della strada e che obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le cautele necessarie per salvaguardare la salute e la sicurezza dei dipendenti, nella fattispecie omesse. <br />Il motivo appare infondato. In primo luogo va osservato che la motivazione sul punto oggetto di doglianza è stata duplice: avendo la Corte territoriale rilevato che non è neppure sicura la posizione in cui si trovava il ricorrente al momento dell'incidente essendosi affermato nel ricorso introduttivo che il G. si trovava nel vano chiuso blindato ove non ci dovevano essere persone e che, quindi, non era stato munito di cinture di sicurezza. Nel motivo si allega che il ricorrente avrebbe poi precisato nel corso del processo la sua esatta situazione, ma non si vede perché tra una versione fornita in ricorso, e quindi frutto di una ricostruzione attenta dei fatti operata dall'interessato con il suo difensore, e quella offerta nel corso del giudizio debba prevalere la seconda, che semmai può essere dipesa da una correzione di rotta alla luce delle difese avanzate dalle numerose controparti. Se si opta, come appare preferibile, per la ricostruzione del ricorso della dinamica dei fatti non emerge alcuna responsabilità del datore di lavoro che non poteva munire di cinture di sicurezza un vano ove non doveva sistemarsi il personale, posto che non è stata offerta alcuna prova che nel sedersi nel vano posteriore il G. abbia ottemperato ad un ordine del datore di lavoro o di suoi superiori visto che, a tutt'oggi, lo stesso G. sostiene al momento dell'incidente si trovava altrove. La Corte di appello ha quindi vagliato anche la responsabilità del datore di lavoro ove si accedesse alla ricostruzione dell'incidente poi prospettata dal G. e cioè che al momento del sinistro si trovasse nel vano guida, ed ha ricordato che l'art. 172 n. 3 lettera c) del codice della strada esenta dall'uso di cintura di sicurezza gli appartenenti a servizi di vigilanza privata che effettuano scorte. La tesi di parte ricorrente secondo cui questa norma avrebbe una incidenza solo nella limitata dimensione della circolazione stradale ma non esenterebbe il datore di lavoro dagli obblighi derivanti dall'art. 2087 c.c. appare infondata posto che l'art. 172 è chiaramente una disposizione di ordine speciale tesa a regolare una specifica attività lavorativa "pericolosa" in ordine al rispetto dell'obbligo di indossare le cinture di sicurezza in una logica di bilanciamento con evidenti interessi di altra natura, come il consentire una più pronta reazione degli addetti alla vigilanza anche nel loro stesso interesse nel caso di attacchi al furgone o al mezzo vigilato. Tale normativa prevale sull'obbligo generale di cui all'art. 2087 c.c. per lo meno circa il punto specifico delle cinture di sicurezza non avendo alcun senso che l'ordinamento da un lato obblighi il datore di lavoro a far indossare ai suoi dipendenti le cinture e contemporaneamente lo esenti da tale obbligo. La motivazione pertanto appare congrua, logicamente coerente e corretta perché al quesito posto a pag. 17 del ricorso si deve dare una riposta positiva nel senso che la disposizione prima ricordata del codice della strada prevale, in ordine al punto dell'esenzione dall'obbligo di indossare le cinture di sicurezza per gli addetti a servizi di vigilanza, sui doveri di cui all'art. 2087 c.c., essendo l'esenzione prevista stata predisposta proprio allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore in connessione con la specifica attività svolta. <br />Il ricorso incidentale della Fidelitas espressamente definito come condizionato all'accoglimento del ricorso principale va dichiarato assorbito. Le spese di lite tra tutte le parti costituite vanno compensate alla luce della complessa problematica affrontata. <br /><br />P.Q.M. <br /><br />La Corte: <br />riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Compensa tra tutte le parti costituite le spese del giudizio di legittimità.<br /><br /><a href="http://www.avvocatocivilista.net/sentenza.php?id=7256" title="http://www.avvocatocivilista.net/sentenza.php?id=7256" rel="external">http://www.avvocatocivilista.net/sentenza.php?id=7256</a>
Sat, 25 Jan 2014 15:01:29 +0100
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Cassazione: no al riconoscimento dell'infortunio in itinere se il lavoratore viaggia durante ore not [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: no al riconoscimento dell'infortunio in itinere se il lavoratore viaggia durante ore not<br />
Cassazione: no al riconoscimento dell'infortunio in itinere se il lavoratore viaggia durante ore notturne e con un mezzo privato<br /><br /><br /><br /><br />La Corte di Cassazione, con sentenza n. 475 del 13 gennaio 2014, ha affermato che non può qualificarsi come in itinere l'incidente verificatosi non lungo il tragitto automobilistico che ordinariamente il lavoratore percorre per recarsi dalla propria abitazione al posto di lavoro.<br />Nel caso di specie il lavoratore affermava la sussistenza della tutela assicurativa per tutti gli infortuni lungo il normale iter di andata e ritorno dalla casa di abitazione al luogo di lavoro, precisando che le ferie sono un diritto irrinunciabile del lavoratore e che l'evento si era verificato al termine delle ferie. <br /><br /> <br />Sottolineava poi che la sua residenza storica era sempre stata a San Giorgio a Cremano e che il tragitto automobilistico era stato autorizzato dal datore di lavoro e la scelta dell'orario notturno era stata operata per evitare il caldo.<br /> La Suprema Corte ha affermato che "correttamente la Corte di appello ha ricostruito la giurisprudenza di legittimità formatasi sul DPR n. 1124/1965 che non conteneva una definizione esplicita dell'infortunio in itinere ed ha accertato che l'evento di cui è processo non può qualificarsi effettivamente come in itinere, posto che si è verificato non lungo il tragitto che ordinariamente il ricorrente percorreva per recarsi dalla propria abitazione al posto di lavoro, visto che lui stesso aveva fissato il proprio domicilio in (...), conservando la sola residenza anagrafica presso San Giorgio a Cremano. L'incidente è avvenuto mentre il ricorrente ritornava da quest'ultima sede e non dalla casa di normale abitazione. La circostanza per cui la residenza anagrafica era rimasta a San Giorgio a Cremano appare irrilevante, visto che non era questa la normale abitazione e che, quindi, il percorso ordinariamente seguito per andare a lavorare era diverso da quello seguito il giorno dell'incidente." <br />Appare non controverso - si legge nella sentenza dei giudici di legittimità - che, tuttavia, il lavoratore stava quel giorno tornando dalle ferie, ma "la Corte territoriale ha accertato che era stata scelta una fascia oraria non giustificata e non razionale per lo spostamento in questione come le ore notturne per cui vi era stato un rischio elettivo, assunto senza alcuna razionalità e necessità dallo stesso lavoratore, che escludeva la copertura antinfortunistica." <br />Alla luce della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 13376/2008) - prosegue la Suprema Corte - l'incidente non rientra, quindi, tra quelli definibili come in itinere perché non occorso nel normale spostamento tra abitazione e luogo di lavoro e perché accaduto in orari non collegabili necessariamente con l'orario di lavoro (l'incidente è delle 0,20 mentre il ricorrente doveva riprendere il lavoro alle ore 8 del giorno successivo), secondo circostanze in cui è evidente l'imprudenza del lavoratore con l'assunzione incontestabile di un rischio elettivo da parte di quest'ultimo.<br />(15/01/2014 - L.S.)<br /><br />Fonte: Cassazione: no al riconoscimento dell'infortunio in itinere se il lavoratore viaggia durante ore notturne e con un mezzo privato <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14985.asp" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14985.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... /news_giuridica_14985.asp</a>
Wed, 22 Jan 2014 20:21:21 +0100
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Re: informazioni chiusura i.p.v. [da Hunter84]
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LEGGI E SENTENZE:: informazioni chiusura i.p.v.<br />
Ti ringrazio collega e spero che le cose vadano per il verso giusto
Mon, 13 Jan 2014 03:16:32 +0100
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Guardia giurata riottiene pistola e lavoro [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19948&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Guardia giurata riottiene pistola e lavoro<br />
Il Tar: non può bastare una denuncia per minacce per giustificare il rischio di perdita dell’impiego<br /><br /><br />08-01-2014<br />di Gian Paolo Coppola<br />PESCARA. Può bastare una denuncia per minacce per privare una guardia giurata dell’arma in dotazione e “trascinarlo” così verso la perdita del posto di lavoro? La sproporzione tra il presunto reato (tutto da dimostrare) e la pesante conseguenza (l’impiego sfumato) è talmente ampia da non poter superare lo sbarramento eretto dal buon senso.<br />Il Tribunale amministrativo adotta la linea della massima cautela, fa proprie le conclusioni degli avvocati Giulio Cerceo e Stefano Corsi e rimette in carreggiata il dipendente di un istituto privato di vigilanza annullando i provvedimenti con cui, a marzo di un anno fa, gli era stata tolta la pistola d’ordinanza e avviata la procedura di revoca della nomina a guardia particolare giurata.<br />La storia di M. affonda le radici in una denuncia per minacce presentata da un investigatore privato incaricato dal datore di lavoro dello stesso M. di controllare se quest’ultimo, nei periodi di malattia, svolgesse attività lavorativa. Il detective aveva scattato delle foto all’interno di un albergo di Montesilvano, dove M. aveva organizzato una festa, e in quel frangente sarebbe stato minacciato.<br />Il fronte penale aperto sul caso ha fatto scattare il decreto del prefetto di Pescara, che ha disposto il sequestro della pistola semiautomatica Beretta calibro 9X21 e delle relative munizioni, con il contestuale ritiro del porto d’armi e del decreto di nomina a guardia giurata. Un provvedimento ritenuto urgente e motivato dal prefetto in base alla «oggettiva forza intimidatrice delle minacce proferite» e al fine di «scongiurare fatti che mettano a rischio l’incolumità delle persone». Decisioni eccessive frutto di un’unilaterale ricostruzione dei fatti, la tesi dei legali di M., che i giudici del Tar hanno sposato in toto.<br />«Il punto che lascia perplessi», scrive il collegio presieduto da Michele Eliantonio e composto anche dai giudici Dino Nazzaro e Massimiliano Balloriani, «oltre alla circostanza che non vi è stata alcuna evoluzione sul piano penale e, quindi, alcun nuovo elemento probatorio sull’effettività di quanto accaduto, è che l’atto di ritiro e sequestro dell’arma viene assunto sul presupposto che l’indagine investigativa avrebbe comportato come “danno effettivo” il licenziamento di M. da parte dell’istituto di vigilanza e, quindi, il divieto di detenzione si porrebbe come misura consequenziale».<br />In realtà, spiega il Tar, gli sviluppi sono stati diversi in quanto l’istituto di vigilanza «prende a presupposto i provvedimenti del prefetto e, applicando l’articolo 120 del contratto nazionale di lavoro, ha sospeso dal servizio il dipendente preavvertendolo che, trascorsi 180 giorni senza rientrare del possesso del titolo, il rapporto di lavoro sarà ritenuto risolto».<br />Cerceo e Corsi hanno quindi ottenuto la sospensiva prima di vedersi accogliere il ricorso nel merito. Scrive ancora il Tar: «Il divieto di detenzione delle armi e delle munizioni, per quanto finalizzato a quella che è un’attività di prevenzione, viene a sacrificare, in relazione a un ipotetico abuso in base a fatti da verificare in sede penale, l’attività lavorativa del soggetto». Alla luce del fatto che i provvedimenti ai danni di M. «comportano la perdita del posto di lavoro e che la questione è passata nella competenza dell’autorità penale, è evidente», conclude la sentenza, «che, in mancanza di un’istruttoria pienamente esaustiva, valorizzata da maggiori certezze, quelli che sono atti essenzialmente cautelari vanno proporzionati con il mantenimento dell’attività lavorativa, fatta salva ogni eventuale autonoma decisione del datore di lavoro». (g.p.c.)<br /><a href="http://ilcentro.gelocal.it/pescara/cronaca/2014/01/08/news/guardia-giurata-riottiene-pistola-e-lavoro-1.8434541" title="http://ilcentro.gelocal.it/pescara/cronaca/2014/01/08/news/guardia-giurata-riottiene-pistola-e-lavoro-1.8434541" rel="external">http://ilcentro.gelocal.it/pescara/cr ... istola-e-lavoro-1.8434541</a>
Sun, 12 Jan 2014 08:20:16 +0100
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Insulta via mail il capo e viene licenziato [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Insulta via mail il capo e viene licenziato<br />
Il lavoratore aveva definito, in una mail, «pazzoide» la legale rappresentante. Per la Cassazione non c’è danno d’immagine<br />licenziamenti insulti<br /><br /><br />06-01-2014<br /><br />TRENTO. Scrivere in una mail che il legale rappresentante dell’azienda per la quale si lavora è un «mentecatto» e un «pazzoide» è causa di licenziamento. Ma se la stessa mail non esce all’esterno dell’azienda, non c’è alcun danno d’immagine da pagare. Così ha deciso la corte di Cassazione che ha accolto uno dei motivi d’appello del lavoratore e in particolare quello contro il riconoscimento, fatto dal tribunale, di un danno all’immagine per la società. Ma andiamo con ordine e ricostruiamo la vicenda che ha portato alla recente sentenza. Tutto ha inizio alla fine del 2004 quando il lavoratore stipula un contratto di lavoro a progetto con una società che poi recede dal contratto stesso nel giugno dello scorso anno. Una decisione contro la quale il lavoratore aveva presentato ricorso al tribunale chiedendo di veder condannata la società a pagargli 68.500 euro cifra ottenuta sommando la retribuzione di giugno e l’indennità sostitutiva del preavviso. E in primo grado era stato quasi interamente soddisfatto visto che l’azienda era stata condannata a pagare poco più di 65 mila euro.<br />La decisione cambia in appello (la sentenza della corte trentina è del 2010) con il risarcimento che si riduceva a 3.425 euro ma con la condanna del lavoratore a pagare altrettanto a titolo di danni non patrimoniali. Insomma pari e patta perché per i giudici il contratto di lavoro poteva estinguersi per giusta causa e non era condivisibile la tesi del lavoratore seconda la quale - anche nell’ipotesi di recesso per giusta causa - fosse dovuta una penale da 41 mila euro. E che era fondata la domanda riconvenzionale della ditta sui danni all’immagine subiti. Sì perché alla base del licenziamento ci sarebbero state delle e-mail. «La corte territoriale esaminando il contenuto delle e-mail indirizzate dal lavoratore al direttore generale e alla legale rappresentante della ditta - si legge nella sentenza della Cassazione - e le espressioni profferite dal lavoratore nei confronti di quest’ultima (tra l’altro il ricorrente l’aveva definito il legale rappresentante«mentecatta e pazzoide» ha apostrofato la stessa dicendole di vergognarsi di lei e che non si sarebbe più fatto vedere in giro con la stessa, accusandola di aver creato un «atmosfera puzzolente», e ha accusato l’azienda di era una «ditta dalla quale tutti i dipendenti fanno a gara per andarsene») ha affermato che «la natura gravemente offensiva delle esternazioni verbali e scritte» appariva «talmente evidente da non richiedere ulteriori commenti». Il comportamento era quindi privo di ogni plausibile giustificazione».<br />Se quindi la Cassazione non ha nulla da dire sulla giusta causa di licenziamento, sul danno all’immagine si discosta da quanto deciso in appello. Per il collegio, infatti, le affermazioni contenute nelle mail «in quanto non esternate al di fuori dell’ambito aziendale, non sono idonee ad incidere sulla reputazione, sul prestigio e sul buon nome della società nè tanto meno a provocarne la caduta dell’immagine. Nè la sentenza fa riferimento ai danni che la società, prima ancora di aver provato, ha dedotto di aver subito per effetto delle affermazioni» contenute nelle mail del lavoratore. Ecco quindi che la sentenza viene cassata solo in relazione a questo punto (rigettati, invece tutti gli altri motivi del ricorso) e le spese compensate<br /><a href="http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/cronaca/2014/01/06/news/insulta-via-mail-il-capo-e-viene-licenziato-1.8423382" title="http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/cronaca/2014/01/06/news/insulta-via-mail-il-capo-e-viene-licenziato-1.8423382" rel="external">http://trentinocorrierealpi.gelocal.i ... iene-licenziato-1.8423382</a>
Tue, 7 Jan 2014 17:41:57 +0100
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Sentenza per il terzo livello per capo macchina sui portavalori [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Sentenza per il terzo livello per capo macchina sui portavalori<br />
Sentenza per il terzo livello per capo macchina sui portavalori
Mon, 6 Jan 2014 09:35:51 +0100
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Attività lavorativa durante l’assenza per malattia [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Attività lavorativa durante l’assenza per malattia<br />
Attività lavorativa durante l’assenza per malattia<br />6 DICEMBRE 2013 · DIRITTO E LAVORO, RUBRICHE<br />Giovanni Magliaro *<br /><br />Due sentenze della Cassazione, Sezione Lavoro (n. 16375 del 26 settembre 2012 e n. 17094 dell’8 ottobre 2012) si inseriscono nel dibattito sulla possibilità di svolgimento di attività lavorativa presso terzi da parte del dipendente durante il periodo di assenza per malattia.<br />Nel primo caso si tratta di un’attività di cameriere presso una pizzeria in giornate nelle quali l’interessato era rimasto assente dal lavoro per un episodio di lombosciatalgia acuta da sforzo. Secondo la Corte d’Appello dell’Aquila (competente ad esaminare il ricorso del lavoratore) costituivano dati pacifici in giudizio lo svolgimento della suddetta occupazione per numerosi giorni nel periodo di assenza dal posto di lavoro per inabilità temporanea assoluta e lo spostamento effettuato a bordo di una motocicletta lungo un percorso tortuoso di circa venti chilometri che il lavoratore doveva compiere per raggiungere la pizzeria. Tali circostanze, unitamente alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa di cameriere, richiedente un impegno fisico presumibilmente non inferiore a quello tipico delle mansioni di addetto all’imballaggio svolte alle dipendenze del datore di lavoro principale, erano incompatibili con la dedotta lombosciatalgia con la conseguenza che o la suddetta patologia non era realmente esistente o, se lo era, il lavoratore avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi comportamento che potesse pregiudicare le sue prospettive di guarigione. In entrambi i casi era ravvisabile un comportamento colpevolmente inadempiente, di gravità tale da inficiare radicalmente il rapporto fiduciario e giustificare quindi il licenziamento.<br />Il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione lamentando che la Corte di merito aveva deciso senza ammettere una perizia medico legale sulla gravosità del lavoro effettuato presso la pizzeria. Sosteneva infatti che aveva lavorato solo per alcune ore senza aver aggravato la patologia da cui era affetto e senza aver ritardato la guarigione. La Cassazione ha ritenuto infondato il motivo perché, in sostanza, la Corte d’Appello aveva basato il suo convincimento sul fatto notorio ed aveva evidenziato come anche la percorrenza di una tratta di diversi chilometri a bordo di una motocicletta con fondo stradale difficoltoso costituisse l’altro comportamento pregiudizievole per le possibilità e i tempi della guarigione, in nesso causale diretto con la patologia lombosciatalgica. La sentenza della Corte aveva quindi valutato correttamente e unitariamente le due componenti di sollecitazione dell’apparato osteoarticolare, quella insita nella necessità di percorrere lunghe e non agevoli tratte stradali a bordo di una moto e quella connessa allo svolgimento dell’attività di cameriere.<br />Nel secondo caso si tratta del licenziamento disciplinare comminato ad un dipendente che essendo assente per malattia (“cefalea in sinusite frontale riacutizzata”) svolgeva l’attività di addetto alla sicurezza presso alcune discoteche. Anche in questo caso la Cassazione ha ritenuto pienamente giustificato il licenziamento ritenendo che la malattia da cui risultava affetto non era certamente compatibile con lo svolgimento di un’attività che, come quella di “buttafuori”, richiedeva piena efficienza e prestanza fisica.<br />Nella sentenza la Suprema Corte ha affermato che, come ritenuto dalla prevalente giurisprudenza, in linea di principio non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa a favore di terzi durante il periodo di assenza per malattia. Siffatto comportamento può tuttavia costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove esso integri una violazione dei doveri generali di correttezza e di buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche dell’infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, con violazione di un’obbligazione strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto. Lo svolgimento, da parte del dipendente assente per malattia, di altra attività lavorativa che, valutata in relazione alla natura dell’infermità e delle mansioni svolte, può pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, costituisce violazione dei doveri generali di correttezza a buona fede tale da giustificare il licenziamento.<br />L’onere di provare la compatibilità dell’attività svolta con le proprie condizioni di salute ed in particolare con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa – e conseguentemente l’inidoneità di tale attività a pregiudicare il recupero delle normali energie lavorative – grava sul dipendente che durante l’assenza per malattia sia stato sorpreso a svolgere attività lavorativa a favore di terzi. La Suprema Corte ha precisato che la corretta ripartizione dell’onere probatorio pone in capo al datore di lavoro il compito di dedurre che il lavoratore, pur assente per malattia, è comunque dedito ad altra attività. Viceversa è il dipendente che, una volta vistosi “scoperto”, deve dimostrare che l’attività è compatibile con le proprie condizioni di salute. Del resto è preclusa al datore di lavoro la possibilità di conoscere la diagnosi della patologia che giustifica l’assenza del lavoratore, sicché spetta a quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria circa il fatto che l’eventuale attività da lui espletata nel periodo di malattia non determini pregiudizio o ritardo alla piena ripresa del servizio.<br />Va comunque ricordato che qualche decisione della Cassazione (ad esempio la n. 7467 del 29 luglio 1998) ha anche asserito che il dipendente in malattia inidoneo alle mansioni a cui è addetto e che intenda svolgere attività lavorativa ridotta presso terzi sarebbe tenuto ad offrire tale prestazione parziale al proprio datore di lavoro nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.<br /><br />* Responsabile Ufficio Giuridico Ugl<br /><a href="http://www.lametasociale.it/2013/12/06/attivita-lavorativa-durante-l%E2%80%99assenza-per-malattia/" title="http://www.lametasociale.it/2013/12/06/attivita-lavorativa-durante-l%E2%80%99assenza-per-malattia/" rel="external">http://www.lametasociale.it/2013/12/0 ... 0%99assenza-per-malattia/</a>
Mon, 6 Jan 2014 08:19:20 +0100
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19904&forum=22
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Pagano anche i sindacati se non tutelano bene i lavoratori [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Pagano anche i sindacati se non tutelano bene i lavoratori<br />
2 gennaio 2014<br /><br />È responsabile il sindacato che tarda ad agire in favore dei lavoratori licenziati illegittimamente: a coprire il risarcimento è l’assicurazione.<br /> <br />Così come l’avvocato che sbaglia è responsabile nei confronti del proprio cliente, anche il sindacato che non tuteli adeguatamente gli iscritti è tenuto a risarcirli. A stabilire la piena tutela nei confronti dell’utente della giustizia è una sentenza del tribunale di Torino [1].<br /> <br />Non raramente i lavoratori decidono di affidare le vertenze da avviare nei confronti del loro datore al sindacato. In buona fede, gli operai sentono di essere pienamente tutelati dopo aver interessato le loro rappresentanze; perciò, queste ultime, sono tenute al rispetto del mandato da svolgere secondo diligenza.<br /> <br />Se però il sindacato non difende adeguatamente i propri iscritti, per esempio ritardando la raccolta delle firme per impugnare il licenziamento o errando nel calcolo dei termini per l’azione giudiziale, è tenuto alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Infatti, secondo l’orientamento del tribunale piemontese, i rappresentanti dei lavoratori sono tenuti a risarcire il danno da perdita di chance in favore degli operai che avrebbero ben potuto vincere la causa.<br /> <br />La perdita di chance è una forma di danno che deriva dalla mancata possibilità di conseguire un risultato vantaggioso. Esso va risarcito anche se non viene dimostrata la concreta utilizzazione della chance che avrebbe determinato il vantaggio; risulta infatti sufficiente anche la semplice “possibilità” di conseguire tale risultato.<br /> <br />Se il sindacato è coperto da assicurazione, il lavoratore può richiedere direttamente a quest’ultima il risarcimento del danno [2] in quanto opera l’obbligo di pagamento diretto al danneggiato se lo richiede l’assicurato (ossia il sindacato).<br /> <br /> <br />[1] Trib. Torino, sent. n. 7201/13.<br />[2] Opera l’art. 1917 cod. civ. comma 2.<br /><a href="http://www.laleggepertutti.it/44850_pagano-anche-i-sindacati-se-non-tutelano-bene-i-lavoratori" title="http://www.laleggepertutti.it/44850_pagano-anche-i-sindacati-se-non-tutelano-bene-i-lavoratori" rel="external">http://www.laleggepertutti.it/44850_p ... utelano-bene-i-lavoratori</a>
Sat, 4 Jan 2014 00:31:33 +0100
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Cassazione: illegittimo il licenziamento per assenza ingiustificata del dipendente che in ferie si r [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19778&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: illegittimo il licenziamento per assenza ingiustificata del dipendente che in ferie si r<br />
Pubblicato il 19 Dicembre 2013<br /> Cassazione: illegittimo il licenziamento per assenza ingiustificata del dipendente in ferie che si rende irreperibile <br />La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27057 del 3 dicembre 2013, ha affermato sì il diritto del datore di lavoro di modificare il periodo feriale in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali ma ha al contempo ritenuto che le modifiche debbano essere comunicate al lavoratore con congruo preavviso. "Ciò presuppone all'evidenza una comunicazione tempestiva ed efficace, idonea cioè ad essere conosciuta dal lavoratore prima dell'inizio del godimento delle ferie, tenendo conto che il lavoratore non è tenuto, salvo patti contrari, ad essere reperibile durante il godimento delle ferie (...) Il lavoratore è infatti libero di scegliere le modalità (e località) di godimento delle ferie che ritenga più utili (salva la diversa questione dell'obbligo di preservare la sua idoneità fisica, Cass. sez.un.n.189282), mentre la reperibilità del lavoratore può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio ma non già del lavoratore in ferie, salvo specifiche difformi pattuizioni individuali o collettive." Il caso preso in esame dai giudici di legittimità vede come protagonista un lavoratore licenziato per non aver adempiuto, durante un periodo di ferie, a due ordini di riprendere servizio.<br /><br />Il datore di lavoro sosteneva che il lavoratore era tenuto, da una precisa norma del contratto collettivo, ad essere reperibile ed il fatto che non vi avesse provveduto rendeva automaticamente conosciute tutte le comunicazioni inviategli al domicilio inizialmente dichiarato, benché non ritirate affermando che il datore di lavoro manteneva sempre il potere di revocare le ferie già concesse e il non aver adempiuto all'obbligo di presentarsi al lavoro rendeva illegittima la condotta contestata.<br /><br />Evidenziava il datore che l'art. 23 del c.c.n.l. di comparto prevedeva tra i doveri del dipendente quello di "comunicare all'Amministrazione la propria residenza e, ove non coincidente, la dimora temporanea nonché ogni successivo mutamento delle stesse". Ne conseguiva che il dipendente in ferie fosse tenuto a comunicare la sua dimora temporanea ed i successivi eventuali mutamenti.<br /><br />La norma contrattuale invocata - precisa la Suprema Corte - "tutela il diritto del datore di lavoro di conoscere il luogo ove inviare comunicazioni al dipendente nel corso del rapporto di lavoro e non già, stante la natura costituzionalmente tutelata del bene, ivi comprese le connesse esigenze di privacy, durante il legittimo godimento delle ferie (che il lavoratore è libero, salvo diverse pattuizioni, di godere secondo le modalità e nelle località che ritenga più congeniali al recupero delle sue energie psicofisiche), risolvendosi l'opposta interpretazione in una compressione del diritto alle ferie, costringendo il lavoratore in viaggio non solo a far conoscere al datore di lavoro i luoghi e tempi dei suoi spostamenti, ma anche ad una inammissibile e gravosa attività di comunicazione formale, magari giornaliera, dei suoi spostamenti." In merito, poi, al fatto che il datore aveva il diritto di richiamare dalle ferie il dipendente con ordine per quest'ultimo vincolante, permanendo, anche durante il godimento delle ferie, il potere del datore di lavoro di modificare il periodo feriale anche a seguito di una riconsiderazione delle esigenze aziendali, come previsto dall'art. 18 del c.c.n.I. che prevede la possibilità per il datore di lavoro di interrompere o sospendere il periodo feriale già in godimento, i giudici di Piazza Cavour, evidenziano che non vi è, nell'art. 18 del CCNL invocato dal datore di lavoro, alcuna norma che preveda un potere totalmente discrezionale del datore di lavoro di interrompere o sospendere II periodo feriale già in godimento, risultando allo scopo insufficiente il generico inciso di cui al comma 11 "Qualora le ferie già in godimento siano interrotte o sospese per motivi di servizio", che nulla dice circa le modalità con cui l'interruzione o la sospensione possa essere adottata e debba essere comunicata.<br /><br /><br /><br />Fonte: Cassazione: illegittimo il licenziamento per assenza ingiustificata del dipendente in ferie che si rende irreperibile<br />Scritto da L.S(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>)<br />Con tag #Cassazione
Sat, 21 Dec 2013 21:20:25 +0100
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Cassazione: legittimo il licenziamento del lavoratore in malattia sorpreso a svolgere attività extra [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: legittimo il licenziamento del lavoratore in malattia sorpreso a svolgere attività extra<br />
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26290 del 25 novembre 2013, ha affermato che "non può ritenersi estraneo al giudizio vertente sul corretto adempimento dei doveri di buona fede e correttezza gravanti sul lavoratore un comportamento che, inerente ad attività extralavorativa, denoti l'inosservanza di doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell'inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l'espletamento di un'attività ludica o lavorativa".<br />Il caso preso in esame dai giudici di legittimità vede come protagonista un dipendente che, nei giorni in cui era stato assente per malattia ed infortunio, aveva svolto altra attività lavorativa come attestato da riprese filmate effettuate da una agenzia investigativa privata all'esterno del pubblico esercizio (birreria-pizzeria) ove lavorava sua moglie.<br />La Corte territoriale aveva ritenuto sussistente la giusta causa del licenziamento valutando, a tal fine, corretta la ricostruzione in fatto compiuta nella sentenza di primo grado; il dipendente nel ricorso per Cassazione si duole del fatto che la Corte territoriale abbia omesso di attribuire la giusta rilevanza al fatto di non aveva mai svolto, nel periodo di malattia, attività lavorativa a favore di terzi e che egli si era limitato a dare un aiuto alla moglie in compiti come versare la spazzatura nei cassonetti o raccogliere i mozziconi di sigaretta dal piazzale esterno con la scopa e la paletta che non potevano considerarsi come una "attività lavorativa" e non avevano comportato alcuno sforzo fisico pregiudizievole per la salute. <br /><br /> <br />Si duole anche del giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte di merito evidenziando che non poteva trattarsi di un fatto tanto grave da giustificare la massima sanzione espulsiva essendo lo stesso, al più, ascrivibile a mera impudenza.<br />La Suprema Corte, ricordando che "il lavoratore al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un'assenza per malattia ha l'onere di dimostrare la compatibilità dell'attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, restando peraltro le relative valutazioni riservate al giudice del merito all'esito di un accertamento da svolgersi non in astratto ma in concreto" osserva che, "nella specie, il ricorrente ha incentrato le proprie doglianze sulla sussumibilità (negata) dei compiti dal medesimo svolti presso il locale pizzeria (consistiti, secondo quanto appurato dai giudici di merito, nel versare la spazzatura nei cassonetti, pulire il piazzale esterno utilizzando una scopa o una paletta, caricare sull'autovettura contenitori di rifiuti nonché nella pulizia anche all'interno del locale - dato, quest'ultimo desunto, con accertamento presuntivo, dall'indizio ritenuto significativo dell'utilizzo da parte del R. di guanti) nell'ambito di una vera e propria attività lavorativa mentre non è stata interessata dalla presente impugnazione la ragione di fatto costituente il nucleo centrale della decisione impugnata costituita dalla probabilità, assunta con giudizio di verosimiglianza causale, che il comportamento del R., caratterizzato da un impegno fisico interessante particolarmente gli arti superiori, possa avere avuto un'incidenza peggiorativa sulla malattia (trauma distensivo della spalla destra) per la quale egli si era assentato dal lavoro." Anche il mero pericolo - ribadiscono i giudici del Palazzaccio - di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, può configurare un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all'interesse del datore di lavoro, risultando violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro allorché la natura dell'infermità sia stata giudicata, con valutazione ex ante, incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente.<br />Nel comportamento del lavoratore - si legge nella sentenza - "il quale avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi condotta che potesse pregiudicare le sue prospettive di guarigione, era effettivamente ravvisabile un colpevole inadempimento, di gravità tale da inficiare radicalmente il rapporto fiduciario. Dunque, nella corretta prospettiva della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, il giudice del merito, ai fini della valutazione di proporzionalità, ha esattamente tenuto conto della "prova positiva" della incompatibilità tra l'attività svolta dal R. e la malattia derivante dall'infortunio."<br />(29/11/2013 - L.S.) <br /><br />Fonte: Cassazione: legittimo il licenziamento del lavoratore in malattia sorpreso a svolgere attività extralavorativa <br />(<a href="http://www.StudioCataldi.it" title="www.StudioCataldi.it" rel="external">www.StudioCataldi.it</a>) <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14715.asp" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14715.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... /news_giuridica_14715.asp</a>
Mon, 9 Dec 2013 23:01:47 +0100
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Cassazione: Guardie giurate armate per la "security" di un convegno? Il questore va informato È sua, [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: Guardie giurate armate per la "security" di un convegno? Il questore va informato È sua,<br />
DOMENICA 1 DICEMBRE 2013<br />Cassazione: Guardie giurate armate per la "security" di un convegno? Il questore va informato È sua, infatti, la supervisione. Multa confermata per il titolare di un istituto di vigilanza che aveva "presidiato", senza notificarlo, un avvenimento pubblico cui era presente un uomo politico del quale era consigliere per il settore "guardie private"<br /><br /><br /><br />Nuova pagina 2<br />Guardie giurate armate per la "security" di un convegno? Il questore va informato<br />È sua, infatti, la supervisione. Multa confermata per il titolare di un istituto di vigilanza che aveva "presidiato", senza notificarlo, un avvenimento pubblico cui era presente un uomo politico del quale era consigliere per il settore "guardie private"<br /> <br />Cass. pen. Sez. I, (ud. 08-02-2008) 17-03-2008, n. 11822<br />Fatto Diritto P.Q.M.<br />Svolgimento del processo<br />1. Con sentenza del 2 ottobre 2006 il Tribunale di Arezzo, in composizione monocratica, dichiarava F.M. responsabile del reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 17, in relazione aL R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2144, artt. 1 e 6 e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di Euro centocinquanta di ammenda.<br />A F. era contestato di avere, nella sua qualità di rappresentante della s.p.a. "Telecontrol", contravvenuto al regolamento di servizio per gli istituti di vigilanza privata della provincia di Arezzo, emesso dal Questore di Arezzo, omettendo di comunicare l'ordine di servizio del personale appartenente all'istituto di vigilanza, con la specificazione dei compiti assegnati ad ogni singolo, predisposto in occasione della visita ad Arezzo del Ministro G..<br />Il Tribunale riteneva provata la responsabilità dell'imputato - legale rappresentante della s.p.a. "Telecontrol", nonchè consigliere, per i problemi delle guardie giurate, dell'on.le G.M., all'epoca Ministro delle telecomunicazioni, e responsabile nazionale del dipartimento sicurezza del partito denominato "Alleanza Nazionale" - sulla base della deposizione del dott. S., Vice-Questore in Arezzo, responsabile dell'ordine pubblico in occasione della manifestazione svoltasi presso il teatro Tetrarca alla presenza del Ministro G..<br />Il funzionario riferiva della presenza di personale della predetta società in divisa e armato sia all'interno che all'esterno del teatro al dichiarato scopo di svolgere un servizio di ordine pubblico predisposto da F..<br />Ad avviso del giudice di merito, ai sensi del combinato disposto del R.D. n. 2144 del 1936, artt. 17, 6 e 1 gli istituti di vigilanza privata, costituiti ex R.D. n. 773 del 1973, art. 134, che prestano opera per conto di privati e, come quello in esame, abbiano alle loro dipendenze non meno di venti guardie giurate, dipendono dal Questore che ne vigila pure l'ordinamento e a cui è riservata, in via esclusiva, la tutela dell'ordine pubblico.<br />2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, F., il quale lamenta: 1) contraddittorietà e illogicità della motivazione, tenuto conto: a) delle dichiarazioni rese dall'imputato, dalle quali emergeva lo svolgimento di un semplice servizio di rappresentanza; b) della valutazione solo di una parte della testimonianza del Dott. S., che aveva escluso lo svolgimento di qualsiasi forma effettiva di ordine pubblico da parte dei dipendenti della società privata; c) della circostanza che la disponibilità del porto d'armi consente agli agenti di portare con sè l'arma anche fuori dal servizio; d) del contenuto della deposizione di F.M., il quale riferiva che l'imputato era presente alla manifestazione in qualità di coorganizzatore della stessa; 2) erronea applicazione della legge penale, avuto riguardo alla facoltà dei dipendenti della società di portare armi anche fuori dal servizio e al contenuto dell'art. 15 del regolamento emesso dal Questore di Arezzo in base al quale i responsabili di un istituto di vigilanza hanno solo l'obbligo di comunicare al Questore l'ordine di servizio, ma non di chiedere la preventiva autorizzazione; 3) violazione di legge per omessa assunzione di una prova decisiva, quali le testimonianze degli on.li G. e A..<br />Motivi della decisione<br />Il ricorso è manifestamente infondato.<br />1. Con riferimento al primo motivo e al terzo motivo di doglianza occorre premettere che, alla luce della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;<br />b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, Casula). Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.<br />Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E', invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, Casula).<br />Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi - anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso - in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.<br />Esaminata in quest'ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha illustrato, con puntuale richiamo alle risultanze processuali le ragioni poste a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato. Ha, infatti, evidenziato che dalla testimonianza del vice-Questore dott. S. e dalle stesse ammissioni dell'imputato emerge in maniera indubbia che F., legale rappresentante dell'istituto di vigilanza privata "Telecontrol", composto da più di venti guardie giurate e, in quanto tale, alle dipendenze del Questore per i profili attinenti al servizio soggetto ebbe ad inviare personale in divisa e armato presso il teatro (OMISSIS) di (OMISSIS), allo scopo di ivi svolgere un servizio di ordine pubblico - di cui era stata omessa qualsiasi preventiva comunicazione al Questore - in occasione di una manifestazione pubblica in cui era previsto anche l'intervento del Ministro pro tempore delle telecomunicazioni, on.le G. M..<br />La sentenza ha, altresì, spiegato i motivi per i quali gli accertamenti svolti e la testimonianza resa dal dott. S. non consentono di suffragare, pure alla luce delle dichiarazioni rese da M.M., impiegata amministrativa della s.p.a.<br />"Telecontrol", la versione difensiva fornita dall'imputato, secondo cui il personale dell'istituto, il giorno del fatto, svolgeva funzioni di mera rappresentanza ed era presente presso il teatro (OMISSIS) per ragioni estranee al servizio. In questo contesto appaiono irrilevanti le ulteriori deduzioni difensive circa la legittimità della detenzione e del porto delle armi da parte delle guardie giurate e le plurime motivazioni sottese alla presenza di F., in occasione della manifestazione pubblica.<br />Non sussiste neppure la dedotta violazione di legge per quanto attiene alla revoca dell'ordinanza ammissiva delle prove (testimonianze degli on.li G. e A.) richieste dalla difesa, avendo il giudice illustrato le ragioni per le quali l'escussione dei predetti testi appariva superflua e irrilevante, avuto riguardo alla natura del reato contestato, ai suoi elementi costitutivi e alle risultanze delle numerose altre dichiarazioni rese dai testi M., B., N., Me., No., tutte concernenti i medesimi profili di fatto in ordine ai quali avrebbero dovuto essere sentiti i due parlamentari, peraltro in grado di riferire unicamente de relato in merito alle circostanze apprese da F..<br />2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.<br />Ai sensi del R.D. 12 novembre 1938, n. 2144, art. 1, gli istituti di vigilanza privata, costituiti ai sensi del (T.U.L.P.S.), R.D. n. 773 del 1973, art. 134, costituiti da un numero minimo di venti dipendenti e deputati a svolgere attività di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari o immobiliari per conto di privati, sono posti, per quanto riguarda il servizio, alle dipendenze del Questore, che ne vigila pure l'ordinamento. Il Questore, quando lo ritenga opportuno, ha facoltà di sottoporre alla disciplina di cui al R.D. n. 2144 del 1936 anche gli istituti che abbiano meno di venti guardie giurate.<br />Il citato R.D. n. 2144 del 1936, art. 6, stabilisce che le infrazioni al decreto sono punite ai sensi del R.D. n. 773 del 1973, art. 17 (T.U.L.P.S.), approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773.<br />In attuazione di tale rapporto organico di dipendenza, finalizzato al doveroso coordinamento tra attività istituzionali di ordine pubblico e forme di vigilanza privata, l'art. 15 del regolamento di servizio emanato per gli istituti di vigilanza privata della provincia di Arezzo prevede che i responsabili degli istituti di vigilanza comunichino giornalmente al Questore l'ordine di servizio del personale impiegato nei turni con la specificazione dei compiti assegnati a ciascuno.<br />Ne consegue che integra il reato previsto dal R.D. 12 novembre 1936, n. 2144, artt. 1 e 6 e R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 17 l'omessa comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza; da parte del responsabile di un istituto di vigilanza privata con almeno venti dipendenti, dei turni di servizio del personale e dei rispettivi compiti.<br />Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l'assenza di colpa nella proposizione dell'impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.<br />P.Q.M.<br />Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.<br />Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 8 febbraio 2008.<br />Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2008<br /><a href="http://laboratoriopoliziademocratica.blogspot.it/2013/12/cassazione-guardie-giurate-armate-per.html" title="http://laboratoriopoliziademocratica.blogspot.it/2013/12/cassazione-guardie-giurate-armate-per.html" rel="external">http://laboratoriopoliziademocratica. ... e-giurate-armate-per.html</a>
Sun, 1 Dec 2013 18:28:27 +0100
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INPS: estensione del diritto al congedo a parente o affine entro il terzo grado convivente con la pe [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: INPS: estensione del diritto al congedo a parente o affine entro il terzo grado convivente con la pe<br />
28 Novembre 2013 , Scritto da L.S. (Studio Cataldi) Con tag #Varie<br /><br /> INPS: estensione del diritto al congedo a parente o affine entro il terzo grado convivente con la persona in situazione di disabilità grave <br />Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 3 luglio 2013, che ha esteso il diritto al congedo a parente o affine entro il terzo grado convivente con la persona in situazione di disabilità grave, l'Inps con la circolare n. 159 del 15 novembre 2013 afferma che il congedo sopra menzionato "può essere riconosciuto al familiare o affine entro il terzo grado convivente del disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla norma".<br />L'Istituto elenca -nella circolare- i soggetti aventi diritto, secondo il seguente ordine di priorità:<br /><br />- il coniuge convivente della persona disabile in situazione di gravità;<br /><br />- il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente;<br /><br />- uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;<br /><br />- uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;<br /><br />- un parente o affine di terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.<br /><br />Inoltre l'Inps precisa che la presentazione delle domande di congedo straordinario deve essere effettuata esclusivamente in modalità telematica, attraverso uno dei seguenti tre canali:<br /><br />- Web - servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell'Istituto - servizio di "Invio OnLine di Domande di Prestazioni a Sostegno del Reddito";<br /><br />- Patronati - attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi;<br /><br />- Contact Center Multicanale - attraverso il numero verde 803164.<br /><br />Infine -ricorda l'Istituto- che "le Strutture territoriali dovranno riesaminare le richieste già pervenute relativamente ai rapporti non esauriti" e che "il diritto all'indennità economica connessa alla fruizione del beneficio si prescrive nel termine di un anno decorrente dal giorno successivo alla fine del periodo indennizzabile a titolo di congedo".<br /><br /><br /><br /><br />Fonte: INPS: estensione del diritto al congedo a parente o affine entro il terzo grado convivente con la persona in situazione di disabilità grave<br />(StudioCataldi.it)
Fri, 29 Nov 2013 11:12:09 +0100
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Licenziamento - Insubordinazione - Istituti di vigilanza - Orario di lavoro [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento - Insubordinazione - Istituti di vigilanza - Orario di lavoro<br />
CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 settembre 2013, n. 21361Lavoro subordinato - Licenziamento - Insubordinazione - Istituti di vigilanza - Orario di lavoro <br /><br />Svolgimento del processo<br /><br /> <br /><br />La Corte d'Appello di Firenze ha respinto il ricorso proposto da D.A. ed ha confermato la sentenza del Tribunale di Pistoia che aveva accertato la legittimità del licenziamento intimatogli dalla L. s.r.l. in data 25.9.2006 avendo ritenuto provato, in esito all'esame delle emergenze istruttorie il rifiuto del dipendente di intervenire, a seguito di richiesta formulata dalla centrale operativa, su un allarme scattato poco prima della fine del suo turno di lavoro così violando anche il disposto dell'art. 75 del ccnl che obbliga il personale smontante o già smontato a effettuare il servizio nel ricorso di condizioni oggettive che lo richiedano e ravvisando nella condotta quella insubordinazione che giustifica, a norma dell'art. 127 del ccnl citato, la risoluzione del rapporto.<br /><br />Aggiunge ancora la Corte che tale conclusione sarebbe ulteriormente confermata dalla esistenza di numerose e rilevanti sanzioni disciplinari inflitte nel biennio anteriore al Licenziamento ed anche precedenti tutte idonee a confermare la gravità della contestata infrazione alla luce dell'ormai reiteratamente compromesso rapporto di fiducia.<br /><br />Per la cassazione della sentenza ricorre l'A. che articola sei motivi.<br /><br />Resiste con controricorso la L..<br /><br /> <br /><br />Motivi della decisione<br /><br /> <br /><br />Con il primo morivo di ricorso è censurata la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale, in violazione e falsa applicazione dell'art. 210 c.p.c., omesso di trarre le dovute conclusioni in seguito al mancato adempimento, da parte della società resistente, all'ordine di esibizione di documentazione ritenuta dal Collegio necessaria ai fini della decisione.<br /><br />Sottolinea il ricorrente che, nonostante con ordinanza fosse stata disposta l'esibizione dei tabulati delle comunicazioni radio e telefoniche intercorsi tra le 5,45 e le 6,15 tra la centrale operativa e gli agenti A. e P., ciascuno in servizio sul territorio di propria competenza, la società aveva depositato solo un brogliaccio, neppure firmato, inidoneo a costituire prova attendibile della verità delle trascrizioni ivi riportate.<br /><br />Con il secondo motivo, poi, viene denunciata l'omessa e contraddittoria motivazione in relazione alla erronea valutazione da parte della corte fiorentina delle dichiarazioni rese dai testi C. e P. ritenute dal giudice d'appello tra loro concordanti e, viceversa, totalmente discordanti, in relazione alla circostanza che al P. fosse stato richiesto di intervenire sull'allarme ricevuto dalla centrale prima del rientro a fine turno dell'A., che era competente per la zona, e non, invece, all'atto dell'arrivo di quest'ultimo alla centrale.<br /><br />Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2108 c.c., dell'art. 5 della L. n. 533/1999 e dell'art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 oltre che la violazione e falsa applicazione dell'art. 71 c.c.n.l. per gli addetti alla vigilanza.<br /><br />Sostiene il ricorrente che la richiesta datoriale di protrarre l'orario di lavoro oltre le otto ore notturne avrebbe violato l'art 5 della L. n. 533/1999 e l'art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 e dunque la richiesta di intervento sull'allarme, formulata a soli dieci minuti dalla scadenza dell'orario giornaliero, era arbitraria e poteva essere legittimamente disattesa dal lavoratore.<br /><br />Con il quarto motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2107 e 2108 c.c. e dell'art. 75 del c.c.n.l. per gli addetti alla vigilanza.<br /><br />Sostiene il ricorrente che l'interpretazione data dalla Corte d'Appello alle citate norme configgerebbe con il diritto del lavoratore a godere con modalità programmabile e prevedibile, del dovuto tempo libero, o più correttamente riposo. Inoltre evidenzia l'erroneità del richiamo operato all'art. 75 del ccnl poiché la norma citata nulla prevederebbe circa la possibilità di superare l'orario di otto ore di lavoro notturno.<br /><br />Con le ultime censure, infine, si denuncia che la sentenza in violazione dell'art. 360 n. 6 c.p.c. (rectius n. 5) avrebbe omesso di motivare in ordine alla prova dell'esistenza di precedenti infrazioni disciplinari che avrebbero connotato di particolare gravità la condotta sanzionata posto che la gravità di detti precedenti era stata espressamente contestata dal lavoratore. Inoltre, evidenzia che, le infrazioni antecedenti il biennio dalla commissione del fatto contestato, a norma dell'art. 7 L. n. 300/1970, non potevano essere legittimamente prese in considerazione.<br /><br />Il primo motivo è infondato.<br /><br />Va premesso che ai sensi dell'art. 421 c.p.c., non solo il potere officioso di ordinare l'esibizione di documenti è discrezionale, di tal che il suo esercizio non comporta alcun vincolo per il giudice ma, ugualmente è discrezionale anche il potere di desumere argomenti di prova dall'inosservanza dell'ordine di esibizione sebbene, in questo caso, la discrezionalità sia correlata alla natura dell'argomento di prova e tale correlazione comporti che per l'eventuale valutabilità del rifiuto di esibizione di documenti come ammissione del fatto è necessario che vi siano elementi di prova concorrente (cfr. Cass. 27.8.2004 n. 17076 e 10.7.1998 n. 6769).<br /><br />Nel caso in esame, a parte il fatto che la società datrice ha ampiamente giustificato le ragioni dell'impossibilità di ottemperare all'ordine impartitole per non essere più reperibili presso il gestore di telefonia l'elenco delle comunicazioni intervenute tra la centrale e gli operatori essendo trascorso da tempo il termine per la conservazione obbligatoria dei tabulati, non vi sono altri elementi che concorrano a confortare la tesi del ricorrente.<br /><br />Correttamente, dunque, la corte territoriale ha ritenuto giustificato l'inadempimento all'ordine di esibizione essendone state chiarite le ragioni dell'impossibilità.<br /><br />Ne consegue che correttamente il giudice di appello ha fondato le sue valutazioni, esenti da vizi logici e da contraddizioni sulle acquisizioni testimoniali rapportate ai "rapporti computerizzati" depositati agli atti ed alla relazione di servizio redatta dall'addetto alla centrale operativa, anch'essa depositata.<br /><br />In definitiva, e condivisibilmente, non è stato ritenuto sussistente inadempimento a fronte di un concreto sforzo di adempiere.<br /><br />Quanto alla dedotta contraddittorietà della motivazione si osserva che con la censura si pretende da parte della Corte un nuovo, ed inammissibile, esame delle risultanze probatorie acquisite al processo senza spiegare in che maniera una diversa valutazione delle prove testimoniali potrebbe necessariamente condurre ad una decisione della controversia.<br /><br />Va ribadito che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l'omessa o contraddittoria valutazione di prove testimoniali, ha l'onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione ma, al fine di consentire il vaglio di decisività, è altresì tenuto a specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell'esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata ovvero è stata insufficiente o illogica (cfr. tra le tante Cass. 12.3.2009 n. 6023).<br /><br />Tanto premesso si osserva che nel caso di specie il ricorrente ha sì riprodotto il testo delle testimonianze e dei relativi capitoli di prova inserendo nel ricorso fotocopia dei verbali dì causa e della memoria contenente i capitoli di prova, ma non ha chiarito quali, in tale contesto siano le circostanze decisive acclarate e non adeguatamente valutate.<br /><br />Per quanto concerne poi la pretesa violazione delle disposizioni di legge e di contratto che regolano l'orario di lavoro del personale addetto ai turni di notte, ed in particolare di quello di vigilanza, oggetto delle ulteriori censure si osserva che, se a norma dell'art. 4 comma 1 del d.lgs. n. 532 del 1999 " L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore", è fatta salva, tuttavia, "l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite." Tale disposizione è ribadita dall'art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 ed ha trovato piena attuazione nella contrattazione collettiva di settore (art. 71 del c.c.n.l. del personale degli Istituti di vigilanza privata ratione temporis applicabile) nel quale, stante il ruolo ricoperto dalla Vigilanza Privata quale attività ausiliaria di prevenzione, sicurezza per la tutela del patrimonio pubblico e privato, con le conseguenti necessità di assicurare servizi caratterizzati da straordinarietà non programmabili al fine di evitare pericoli e/o danni ai beni da vigilare, è stato convenuto che in base all'art. 3 d.lg. n. 66/2003 ai fini contrattuali l'orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali e, tuttavia, si è precisato che "tenuto conto delle obiettive necessità di organizzare ì turni di lavoro in maniera da garantire la continuità nei servizi di tutela del patrimonio pubblico e privato affidato agli Istituti di Vigilanza, in attuazione a quanto previsto dall'art. 4 del D.lgs. 66/2003 la durata massima dell'orario di lavoro, comprese le ore di straordinario, non potrà superare le 48 ore ogni periodo di sette giorni, calcolate come media, riferita ad un periodo di mesi 12, decorrenti dal 1° gennaio di ogni anno di applicazione del presente contratto, fermo restando quanto previsto dal punto a) del presente articolo sull'orario settimanale e dagli art. 76 e 77 primo comma. Per il personale assunto durante l'anno il periodo di riferimento sarà riparametrato in relazione ai mesi di effettivo servizio. (..,)" e che "...il lavoratore del turno smontante non può lasciare il posto di lavoro senza prima aver avuto la sostituzione, del lavoratore del turno montante, che dovrà avvenire entro due ore e mezza dal termine del normale orario giornaliero (...)".<br /><br />Si tratta di una modalità dì flessibilizzazione dell'orario che, ragionevolmente, consente il corretto avvicendamento nel servizio assicurando la presenza di personale per fare fronte a esigenze impreviste, e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere concretamente qualificata la necessità di provvedere ad un intervento in prossimità della fine del turno di servizio con, solo eventuale, travalicamento del termine di otto ore.<br /><br />Con riguardo infine alla omessa di motivazione circa la prova dell'esistenza di precedenti infrazioni disciplinari che avrebbero connotato di particolare gravità la condotta sanzionata, fatti mai contestati al lavoratore, oltre che alla pretesa violazione dell'art. 7 L. n. 300/1970 si osserva che, per tale ultimo profilo la censura è sintetica ai limiti della petizione di principio, ed in ogni caso le doglianze non possono comunque trovare accoglimento ove si consideri che la corte territoriale, solo per rafforzate la già completa motivazione in base alla quale ha ritenuto che il fatto contestato integrasse una ipotesi di insubordinazione censurabile con il licenziamento, ha fatto riferimento ad allegati pregressi comportamenti ugualmente espressione dì una condotta configgente con i doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto, ma non li ha considerati tra i fatti da valutare perché posti a base del licenziamento, di tal che la motivazione della sentenza, anche a prescindere dalle osservazioni formulate sui comportamenti pregressi, risulta esaustiva e convincente e non avalla alcun mutamento della contestazione dell'addebito disciplinate.<br /><br />Peraltro si rammenta che il principio dell'immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7 dello statuto lavoratori se preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, non vieta tuttavia di prendere in considerazione fatti che, pur non contestati, e che si collocano a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, costituiscano elementi di contorno confermativi della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, ciò al fine di una valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore, (cfr. Cass. 14.10.2009 n. 21795 e 19.1.2011 n. 1145).<br /><br />In conclusione il ricorso deve essere respinto e le spese, regolate secondo il criterio della soccombenza, vanno poste a suo carico e sono liquidate in dispositivo.<br /><br /> <br /><br />P.Q.M.<br /><br /> <br /><br />Rigetta il ricorso.<br /><br />Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 3000,00 per compensi professionali ed in € 50,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.<br /><br /><a href="http://www.teleconsul.it/leggiArticolo.aspx?id=266349&tip=ul" title="http://www.teleconsul.it/leggiArticolo.aspx?id=266349&tip=ul" rel="external">http://www.teleconsul.it/leggiArticolo.aspx?id=266349&tip=ul</a>
Thu, 28 Nov 2013 20:42:11 +0100
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Cassazione: legittimo il licenziamento di chi registra le conversazioni dei colleghi a loro insaputa [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: legittimo il licenziamento di chi registra le conversazioni dei colleghi a loro insaputa<br />
La Cassazione, con la sentenza del 21 novembre 2013 n. 26143, ha confermato le motivazioni dei giudici di merito ed ha legittimato il licenziamento intimato a un medico dall'azienda ospedaliera " per la grave situazione di sfiducia, sospetto e mancanza di collaborazione venutasi a creare all'interno della 'equipe' medica di chirurgia plastica dovuta al fatto che il medesimo aveva registrato brani di conversazione di numerosi suoi colleghi a loro insaputa, in violazione del loro diritto di riservatezza".<br /><br /> <br />Si legge infatti nella sentenza di un "comportamento tale da integrare una evidente violazione del diritto alla riservatezza dei suoi colleghi, avendo registrato e diffuso le loro conversazioni intrattenute in un ambito strettamente lavorativo alla presenza del primario ed anche nei loro momenti privati svoltisi negli spogliatoi o nei locali di comune frequentazione, utilizzandole strumentalmente per una denunzia di mobbing, rivelatasi, tra l'altro, infondata ".<br /><br />Infine - conclude la Suprema Corte - la stessa Corte d'Appello ha, altresì, messo in risalto la reazione dei medici coinvolti, "che si concretizzò in una richiesta alla Direzione Sanitaria di adozione di provvedimenti necessari per la prosecuzione da parte di ciascuno di loro di un sereno ed efficace rapporto lavorativo, la qual cosa ha consentito ai giudici di merito di prendere atto del clima di mancanza di fiducia che si era venuto a creare nei confronti del ricorrente, fiducia indispensabile per il miglior livello di assistenza e, quindi, funzionale alla qualità del servizio, il tutto con grave ed irreparabile compromissione anche del rapporto fiduciario che avrebbe dovuto permeare il rapporto tra il dipendente e l'Azienda ospedaliera datrice di lavoro".<br />(23/11/2013 - L.S.)<br /><br />Fonte: Cassazione: legittimo il licenziamento di chi registra le conversazioni dei colleghi a loro insaputa <br />(StudioCataldi.it) <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14678.asp" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14678.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... /news_giuridica_14678.asp</a>
Thu, 28 Nov 2013 09:27:50 +0100
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Spiare e perquisire il dipendente si può. E' lecita anche la perquisizione corporale del lavoratore [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Spiare e perquisire il dipendente si può. E' lecita anche la perquisizione corporale del lavoratore<br />
Lavoro<br /><br />23/08/2012 <br />Lo ha stabilito la corte di Cassazione con la sentenza n° 14197/12, depositata il 7 agosto, decidendo sulla legittimità dell'utilizzo di investigatori privati per accertare fatti illeciti del dipendente, ribadendo nella decisione i confini leciti della "curiosità" del datore di lavoro sospettoso o giustamente insospettito. Nel caso in questione la suprema corte, confermando il verdetto della Corte d'appello, ha dichiarato legittimo un licenziamento disciplinare disposto da un'azienda decidendo sul ricorso respinto di un dipendente d'albergo siciliano con il vizio della mano lesta.<br />Secondo gli ermellini, evidenzia Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, al riguardo il dipendente può essere fatto seguire e controllare a distanza da un investigatore privato, ma solo se c'è il sospetto che stia commettendo reati. Il poliziotto privato invece non può spingersi o essere spinto a verificare l'esatto adempimento dell'obbligazione lavorativa, cioè a fare l'esame a distanza di come il dipendente svolge le sue mansioni. Non solo. La perquisizione personale cioè corporale del lavoratore sospetto infedele è lecita, ma non invece quella sulla sua auto o nella sua abitazione. Richiamando una precedente decisione della stessa corte (la sentenza n. 9167/2003) la Cassazione ha ricordato che "le disposizioni (artt. 2 e 3, L. n. 300/70) che delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3), ma non precludono il potere del datore di lavoro di ricorrere a personale esterno ma non guardie giurate per verificare l'onestà del dipendente rispetto all'utilizzo dei beni aziendali, ma senza approfittare del monitoraggio per quantificare o valutare la prestazione di lavoro. E anche nell'ambito dei controlli leciti, il lavoratore "mano lesta" può essere perquisito, ma la legittima curiosità non può arrivare nemmeno all'auto utilizzata dal dipendente. Che, dal canto suo, esce comunque da questo processo soccombente: la Cassazione ha stabilito che il licenziamento, nel caso specifico, era più che giustificato.<br /><a href="http://www.sportellodeidiritti.org/notizie/dettagli.php?id_elemento=1258" title="http://www.sportellodeidiritti.org/notizie/dettagli.php?id_elemento=1258" rel="external">http://www.sportellodeidiritti.org/no ... agli.php?id_elemento=1258</a>
Mon, 25 Nov 2013 11:13:47 +0100
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Accordo in sede sindacale: non valido se il sindacato non informa il lavoratore [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Accordo in sede sindacale: non valido se il sindacato non informa il lavoratore<br />
Pubblicato in Diritto del lavoro il 14/11/2013<br />Autore: 46994 Rinaldi Manuela Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 24024/2013 - 23/10/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br /><br />Ico_a+ Ico_a- <br />Pagina: 1 2 di 2 Dx<br /> <br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Premessa<br />Nella decisione del 24 ottobre 2013 n. 24024 la Corte di Cassazione ha precisato che l’accordo tra lavoratore e datore (1) può essere qualificato come atto di transazione ed assume rilievo, quale conciliazione in sede sindacale (2) ove sia stato raggiunto con una effettiva assistenza del dipendente da parte degli esponenti dell’organizzazione sindacale indicati dallo stesso lavoratore, dovendosi valutare se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata, in maniera corretta, attuata la funzione di supporto che la legge stessa assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa.<br />Con la sentenza che qui si commenta la Corte, intervenendo in materia di transazione in sede stragiudiziale, ha precisato che è legittimo rinunziare, in tutto o in parte, a disporre dei propri diritti, considerati inderogabili, dalla legge o dai contratti collettivi, a patto che l’assistenza prestata al lavoratore dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, consentendo allo stesso di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dallo stesso atto si evinca la res dubia oggetto della lite (potenziale oppure in atti) e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ex art. 1965 c.c.<br /> <br />1.1. La fattispecie <br />La vicenda trae origine dalla richiesta di annullamento della sentenza di corte d’appello che aveva riformato la sentenza del tribunale, dichiarando inammissibili le domande proposte nei confronti della Procura generalizia Congregazione Suore Eucaristiche.<br />Le ricorrenti aveva convenuto in giudizio la Procura chiedendo, previo annullamento della conciliazione in sede sindacale, l’accertamento della natura subordinata del loro rapporto di lavoro, nonché la condanna di somme, e la declaratoria di illegittimità del licenziamento orale che assumevano di aver subito, con ogni conseguenza di legge.<br />La Procura, a propria volta, conveniva in giudizio le ricorrenti, al fine di ottenere la restituzione di somme erogate in attuazione delle conciliazioni in sede sindacale.<br />Il Tribunale accoglieva, in parte, la domanda delle ricorrenti, con la condanna della Procura al pagamento di una parte delle somme richieste e rigetto di ogni altra domanda.<br />La procura proponeva appello; le ricorrenti appello incidentale.<br />In sede di appello la Corte, in accoglimento dell’appello principale, assorbito quello incidentale, riformava la decisione e dichiarava l’inammissibilità delle domande.<br />Il fulcro della decisione è costituito dal fatto che la Corte ritenne valide le conciliazioni sottoscritte tra le parti e quindi inammissibili giudizi che si fondavano sulla loro illegittimità.<br />Le ricorrenti articolano tre motivi di ricorso. La Procura generalizia si è difesa con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato una memoria. <br />Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. e 411 c.p.c..<br />Con il secondo motivo si denunzia violazione dei medesimi articoli di legge in relazione alla mancata assistenza sindacale avuta nel caso concreto.<br />Nel quesito si chiede se ai fini della legittimità della conciliazione "debba essere intervenuto alla stipulazione un rappresentante sindacale munito di specifico mandato a transigere la controversia debitamente sottoscritto dal lavoratore, ovvero se dall’atto di conciliazione debba comunque risultare che il rappresentante sindacale abbia esaurientemente illustrato tutti i necessari elementi al lavoratore affinché questi abbia consapevolmente ridisposto dei propri diritti e se in mancanza, come nel caso dei verbali sottoscritti dalle ricorrenti, debbano ritenersi sottratte al regime di non impugnabili di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c. le conciliazioni sottoscritte in sede sindacale che siano prive di tali requisiti".<br />Con il terzo motivo si denunzia "carenza di motivazione e insufficiente e omesso esame di punto decisivo della controversia", che nel corso del motivo viene identificato nella inimpugnabilità delle conciliazioni e nella sussistenza della "res dubia".<br /> <br />2. Conclusioni<br />I giudici della Corte nella decisione in commento precisano che “per il combinato disposto degli artt. 2113 cod. civ. e 410, 411 cod. proc. civ., le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti ...]<br />collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113, commi 2 e 3, cod.civ., solo a condizione che l’assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto si evinca la "res dubia" oggetto della lite (in atto o potenziale) e le "reciproche concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c.”.<br />La Corte, quindi, accoglie il ricorso, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello in diversa composizione, anche per quanto concerne le spese del giudizio di legittimità.<br /> <br />Manuela Rinaldi <br />Avvocato foro Avezzano Aq - Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti; dal 2013 Tutor di Diritto Civile Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. M. Orlandi<br /> <br /> <br />_________ <br />(1) Ove sia identificata la lite da definire o quella da prevenire e lo scambio tra le parti di reciproche concessioni.<br />(2) Ex art. 411, comma 3, c.p.c. <br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35658-accordo-in-sede-sindacale-non-valido-se-il-sindacato-non-informa-il-lavoratore-cass-n-24024-2013?page=2" title="http://www.diritto.it/docs/35658-accordo-in-sede-sindacale-non-valido-se-il-sindacato-non-informa-il-lavoratore-cass-n-24024-2013?page=2" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35658-acco ... -cass-n-24024-2013?page=2</a>
Thu, 14 Nov 2013 21:59:38 +0100
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19422&forum=22
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Cassazione: non computabilità nel periodo di comporto delle assenze del lavoratore dovute ad infortu [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19421&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: non computabilità nel periodo di comporto delle assenze del lavoratore dovute ad infortu<br />
"L'adempimento dell'obbligo di tutela dell'integrità fisica del lavoratore imposto dall'art. 2087 cod. civ. è un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo d'attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per proteggere il lavoratore dai rischi connessi tanto all'impiego d'attrezzi e macchinari quanto all'ambiente di lavoro, e deve essere verificato, nel caso di malattia derivante dall'attività lavorativa svolta, esaminando le misure in concreto adottate dal datore di lavoro per prevenire l'insorgere della patologia."<br />Ribadendo tale principio di diritto la Corte di Cassazione,con sentenza n. 25072 del 7 novembre 2013, ha precisato che "le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l'infermità sia comunque imputabile a responsabilità dello stesso, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che egli abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza o di specifiche norme, incombendo, peraltro, sul lavoratore l'onere di provare il collegamento causale fra la malattia e il carattere morbigeno delle mansioni espletate".<br />La Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto dalla Società datrice di lavoro, ha affermato che "la non computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto si ispira, infatti, allo stesso principio di tutela dell'integrità fisica del lavoratore, che non consente di valutare secondo i normali criteri il periodo di assenza dal lavoro prolungato oltre i limiti consentiti, nelle ipotesi in cui l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e, comunque, presenti nell'ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell'attività lavorativa, ma, altresì, quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all'obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie - secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica - per la tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l'impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata".<br />La Corte del merito - si legge nella sentenza - ha fatto corretta applicazione di tali principi, non limitandosi a considerare la natura professionale della malattia, ma doverosamente accertando la riconducibilità della stessa a colpa datoriale, verificata anche attraverso la c.t.u. espletata, le cui conclusioni sono state nel senso che la lavorazione cui era addetta il lavoratore era caratterizzata dai rischi specifici costituiti dalla ripetuta movimentazione di pesi sebbene non eccessivi e dalla esposizione a sbalzi di temperatura. <br />In merito alla contestazione dell'accertamento della riconducibilità delle patologie artrosiche a colpa datoriale ai fini della relativa esclusione dal computo del periodo di comporto e dell'accertamento dell'eventuale superamento del relativo periodo, sul rilievo della ritenuta idoneità alle mansioni della lavoratrice all'esito di accertamenti disposti dall'azienda e della mancata comunicazione da parte della prima di patologie di tale tipo, i Giudici di legittimità sottolineano che "In relazione alla responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi di sicurezza, ex art. 2087 cod.civ., l'onere probatorio a carico del lavoratore non è limitato alla prova dell'evento lesivo, ma comprende anche la prova del nesso causale tra tale evento e l'attività svolta; in quest'ambito, peraltro, è possibile la scomposizione del nesso causale in relazione a diversi periodi dell'attività lavorativa, in quanto determinate mansioni (nella specie, sollevamento carichi), in sé faticose ma inizialmente non rischiose né particolarmente usuranti per le modalità con le quali vengono svolte, possono, tuttavia, divenire concausa dell'aggravamento di una malattia preesistente a fronte dell'aggravarsi della situazione fisica del lavoratore, portata a conoscenza del datore, il quale avrebbe dovuto rideterminare il contenuto delle mansioni del lavoratore, e dei propri obblighi di protezione, esentandolo dal compimento dell'attività divenuta rischiosa".<br />(13/11/2013 - L.S.) Lascia un commento • <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14608.asp" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14608.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... /news_giuridica_14608.asp</a>
Thu, 14 Nov 2013 21:42:16 +0100
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legittimo il licenziamento del dipendente che obbedisce ad un ordine illecito del superiore [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: legittimo il licenziamento del dipendente che obbedisce ad un ordine illecito del superiore<br />
01-11-2013<br /><br />Si può licenziare senza preavviso il dipendente che obbedisce a un ordine illecito di un superiore. Parola di Cassazione! La suprema Corte infatti con la sentenza n. 24334 del 29 ottobre 2013 ha ricordato che il dipendente è tenuto a sindacare la legittimità dell'ordine ricevuto e, se questo risulta illegittimo, non deve seguirlo essendo egli consapevole che, altrimenti, andrebbe ad agire contro la legge. <br />Nel caso di specie la Corte territoriale esponeva che, essendo prossimi i termini di prescrizione per la riscossione dell'imposta di bollo, il direttore dell'Ufficio ... dell'Agenzia aveva ordinato agli impiegati di procedere alla notifica dei verbali di accertamento ai sensi dell'articolo 140 c.p.c. senza il preventivo accesso presso la residenza dei notificandi; che il lavoratore si era attenuto a dette istruzioni ed aveva percepito un compenso di lire 750 per ciascuna notifica; che era stato rinviato a giudizio per tali fatti dal GIP e che l'Agenzia delle Entrate aveva avviato il procedimento disciplinare e poi lo aveva sospeso dal servizio.<br /><br />Al lavoratore veniva, dunque, comminato il licenziamento in base all'art. 25, comma 5, lettera d) del CCNL comparto Ministeri secondo il quale il licenziamento senza preavviso è previsto per la "commissione in genere-anche nei confronti di terzi-di atti o fatti, anche dolosi, che, pur costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro."<br />La Suprema Corte ha precisato che il lavoratore ha ammesso di aver provveduto alla notifica dei verbali di accertamento ai sensi dell'art. 140 cpc senza effettuare il previo accesso domiciliare, che ciò è avvenuto in relazione ad un considerevole numero di atti (43.000) ed in ossequio all'ordine del direttore dell'ufficio e che il ricorrente era consapevole delle disposizione di cui all'art. 139 e 140 cpc e della necessità di un infruttuoso accesso al domicilio del notificando.<br />La motivazione della sentenza impugnata - affermano i giudici di legittimità - "appare, da un lato, contraddittoria, in ordine all'affermata esclusione del dolo nel comportamento del lavoratore, perché dopo aver rimarcato che il ricorrente non era tenuto ad osservare l'ordine impartitogli comportante anche la commissione di reati perché illegittimo potendo, quindi, sindacarne il merito, e dopo aver ancora evidenziato che era di certo errata la convinzione del lavoratore di operare nell'interesse dell'amministrazione per evitare che spirassero i termini di prescrizione dei crediti derivanti dai verbali di accertamento di mancato pagamento del bollo, ha poi la decisione in modo contraddittorio ridimensionando la gravità del fatto addebitato affermando che nel caso di specie dovesse tenersi conto dell'esclusione "di qualsiasi personalità e autonomia indipendente dell'azione" dovendosi negare una tendenza dell'agente ad infrangere le regole e dovendosi censurare il comportamento in esame con sanzione meno grave.".<br />La motivazione appare, inoltre, insufficiente anche perché la Corte d'Appello, una volta riconosciuto che il dipendente dell'Agenzia poteva rifiutare di ottemperare ad un ordine illegittimo avrebbe dovuto parametrare la gravità della condotta del lavoratore sulla normativa in materia di sanzioni disciplinari dettata dalla contrattazione collettiva del settore, previa verifica se detta osservanza di disposizioni contra legem venisse da detta contrattazione espressamente prevista e sanzionata e in caso contrario se altre clausole contrattuali regolanti fattispecie di comportamenti da giustificare il licenziamento potessero estendersi in ragione di una gravità in qualche modo assimilabile a quella in oggetto.<br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14530.asp" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14530.asp" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... /news_giuridica_14530.asp</a>
Mon, 11 Nov 2013 19:55:31 +0100
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Re: Chiede l'autorizzazione ad attivare e gestire un istituto di vigilanza privata e trasporto valori, a [da forzista77]
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LEGGI E SENTENZE:: Chiede l'autorizzazione ad attivare e gestire un istituto di vigilanza privata e trasporto valori, a<br />
La legge è questa....
Sat, 9 Nov 2013 09:30:05 +0100
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Cassazione: chi gioca al pc in ufficio rischia il licenziamento [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: chi gioca al pc in ufficio rischia il licenziamento<br />
15:02 07 NOV 2013<br /><br />(AGI) - Roma, 7 nov. - Rischia di essere licenziato il dipendente sorpreso a giocare, anche per ore, al computer in ufficio invece di svolgere il suo lavoro. Lo si evince da una sentenza con cui la Cassazione ha accolto il ricorso di una societa' contro un verdetto della Corte d'appello di Roma che aveva dichiarato la nullita' del licenziamento intimato a un dipendente accusato di "avere utilizzato, durante l'orario di lavoro, il computer dell'ufficio per giochi, con un impiego - si legge nella sentenza depositata oggi - calcolato nel periodo di oltre un anno, di 260-300 ore", provocando cosi' "un danno economico e di immagine all'azienda". I fatti risalgono al 2007: in primo grado, il tribunale di Roma confermo' il licenziamento, mentre la Corte d'appello decise di annullarlo, condannando il datore di lavoro a riassumere entro 3 giorni il dipendente o a risarcirlo con 6 mensilita'. La decisione dei giudici di secondo grado era stata motivata dal fatto che, nella lettera di contestazione, si faceva "riferimento ad un solo episodio concreto", restando cosi' per il resto "generica e tale da non consentire al lavoratore una puntuale difesa". La sezione lavoro della Cassazione ha accolto invece il ricorso dell'azienda sottolineando che "l'addebito mosso al lavoratore di utilizzare il computer in dotazione a fini di gioco non puo' essere ritenuto logicamente generico per la sola circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore". Per la Suprema Corte e' "dunque illogica" la motivazione della sentenza d'appello "che lamenta indicazione specifica delle singole partite giocate, essendo il lavoratore posto in grado di approntare le proprie difese anche con la generica contestazione di utilizzare in continuazione, e non in episodi specifici isolati, il computer aziendale". La Corte d'appello di Roma, dunque, dovra' riaprire il caso "non considerando generica la lettera di contestazione da cui poi e' conseguito il licenziamento", concludono i giudici di 'Palazzaccio'. (AGI) .<br /><a href="http://www.agi.it/cronaca/notizie/201311071502-cro-rt10208-chi_gioca_al_pc_in_ufficio_rischia_il_licenziamento" title="http://www.agi.it/cronaca/notizie/201311071502-cro-rt10208-chi_gioca_al_pc_in_ufficio_rischia_il_licenziamento" rel="external">http://www.agi.it/cronaca/notizie/201 ... _rischia_il_licenziamento</a>
Thu, 7 Nov 2013 22:58:02 +0100
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Re: Licenziamento priorita' [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento priorita'<br />
FIgurati grazie a te, che sei uno dei pochi che ancora RINGRAZIA.....
Wed, 6 Nov 2013 10:03:38 +0100
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Licenziamento per superamento del periodo di comporto e assenza per malattia dovuta ad infortunio su [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento per superamento del periodo di comporto e assenza per malattia dovuta ad infortunio su<br />
Licenziamento per superamento del periodo di comporto e assenza per malattia dovuta ad infortunio sul lavoro<br /><br /><br />Pubblicato in Diritto del lavoro il 05/11/2013<br />Autore: 46994 Rinaldi Manuela Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 22606/2013 - 3/10/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br /><br />Ico_a+ Ico_a- <br />Pagina: 1 2 di 2 Dx<br /> <br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Premessa<br />Nella decisione in commento del 3 ottobre 2013 n. 22606 i giudici della Corte di Cassazione hanno precisato che è illegittimo il licenziamento di un lavoratore, con mansione di autista, a causa del superamento del periodo di comporto, nel caso in cui il contratto collettivo nazionale di lavoro escluda il periodo di assenza per malattia da infortunio sul lavoro dal calcolo del periodo di comporto.<br /> <br />1.1. La fattispecie <br />In sede di appello la Corte aveva rigettato l'impugnazione avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale che l'aveva condannato a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro di autista dopo aver dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato a quest'ultimo in conseguenza dell'accertata insussistenza dell'addebito (1).<br />La Corte partenopea ha osservato che la norma collettiva richiamata dal ricorrente, vale a dire l'art. 29 del CCNL per gli autotrasporti, a sua volta menzionata nell'atto di licenziamento, stabiliva che l'assenza per infortunio non doveva essere computata nel periodo di comporto previsto dallo stesso contratto e che nemmeno poteva negarsi il carattere di infortunio sul lavoro all'incidente occorso al M. il 29/9/2003.<br />Inoltre, il datore di lavoro non aveva eccepito alcunché in ordine alla richiesta di tutela reale avanzata dal proprio dipendente, mentre era infondata l'eccezione di inammissibilità del provvedimento di reintegra per l'asserita cessazione dell'azienda, posto che quest'ultima circostanza era stata smentita dalla visura camerale in atti, senza che l'appellante avesse fornito, da parte sua, la prova del suo assunto difensivo. Infine, era infondata la richiesta risarcitoria avanzata dalla parte datoriale in considerazione della genericità della relativa domanda e della mancanza di allegazione e prova dei danni subiti.<br />Due i motivi del ricorso per cassazione.<br />Col primo motivo il ricorrente principale si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro in relazione all'art. 18 L. 300/1970 ed alla legge n. 604/66, deducendo l'inapplicabilità del contratto collettivo richiamato in sentenza, in quanto egli non era associato alle organizzazioni di categoria che lo avevano stipulato, ed aggiunge che, in ogni caso, dopo la cessazione della sua attività d'impresa non poteva essere più disposta la reintegra nei suoi confronti<br />Col secondo motivo del ricorso principale, formulato per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 414 c.p.c., punti 4) e 5), all'art. 18 della legge n. 300/1970 ed alla legge n. 604/1966, il M. si duole della circostanza che il lavoratore aveva chiesto espressamente di provare che la ditta occupava un numero di dipendenti pari a cinque unità, per cui ciò avrebbe comportato un suo esonero dalla necessità di contestare l'assunto della controparte e di dimostrare il requisito dimensionale dell'impresa ai fini dell'inapplicabilità della tutela reale, tanto più che nel ricorso di primo grado il lavoratore non aveva fatto alcun riferimento all'applicazione dell'art. 18 della legge n. 300/70.<br /> <br />2. Conclusioni<br />I giudici della Corte hanno precisato, ricordando importanti precedenti sul tema (2) che " in tema di riparto dell'onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cut sta accertata l'invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l'attività e, sul piano processuale, dell'azione dì impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l'illegittimità dell'atto espulsivo, mentre le dimensioni dell'impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo de! licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. <br />Con l'assolvimento dì quest'onere probatorio il datore dimostra -ai sensi della disposizione generale di cui all'art. 1218 cod. civ. - che l'inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità <br />di ridurre il rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. <br />L'individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l'esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della "disponibilità" dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell'impresa”. <br /> <br />Manuela Rinaldi<br />Avvocato foro Avezzano Aq - Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti; dal 2013 Tutor di Diritto Civile Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. M. Orlandi<br /> <br /> <br />_________ <br />(1) Ovvero il superamento del periodo di morbilità previsto dalla contrattazione collettiva di settore, periodo di malattia che nella fattispecie era dipeso da un infortunio sul lavoro del dipendente.<br />(2) Cfr. Cass. civ., sez. un., 10 gennaio 2006, n. 141.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35620-licenziamento-per-superamento-del-periodo-di-comporto-e-assenza-per-malattia-dovuta-ad-infortunio-sul-lavoro-cass-n-22606-2013?page=2" title="http://www.diritto.it/docs/35620-licenziamento-per-superamento-del-periodo-di-comporto-e-assenza-per-malattia-dovuta-ad-infortunio-sul-lavoro-cass-n-22606-2013?page=2" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35620-lice ... -cass-n-22606-2013?page=2</a>
Tue, 5 Nov 2013 09:16:42 +0100
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Comunicazione preventiva e licenziamento collettivo [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Comunicazione preventiva e licenziamento collettivo<br />
Pubblicato in Diritto del lavoro il 31/10/2013<br />Autore: 46354 Staiano Rocchina Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 24025/2013 - 24/10/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br /><br /><br /><br /><br /><br /> <br />1. Questione<br />Il lavoratore ha chiesto al giudice di primo grado che venisse accertata la nullità, l’inefficacia o l’illegittimità del licenziamento intimatole dalla società per riduzione di personale, con la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni ex art. 18 legge n. 300/70. Ha lamentato in particolare che la comunicazione ex art. 4, commi 2 e 5, della legge n. 223/91 non era stata inviata al sindacato rappresentativo della categoria dei giornalisti, cui essa apparteneva, ma ai sindacati dei metalmeccanici.<br />Il Tribunale ha accolto la domanda; propone appello la<br /><br /> <br />società, che riforma la sentenza di primo, che ha ritenuto che fossero infondate le eccezioni di decadenza e di prescrizione sollevate dalla società ed ha accolto il motivo di impugnazione concernente l’esatta individuazione del soggetto destinatario della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, ritenendo che questo dovesse essere individuato nelle rappresentanze sindacali unitarie dei metalmeccanici, presenti in azienda, e non nella FNSI, come ritenuto dal primo giudice, con conseguente affermazione della regolarità della comunicazione di avvio della procedura, rigetto della domanda della lavoratrice e assorbimento degli altri motivi di gravame.<br />Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il lavoratore, il ricorso è stato rigettato.<br /> <br />2. Comunicazione preventiva e licenziamento collettivo<br />Va premesso che:<br />- la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro da inizio alla procedura di licenziamento collettivo, deve compiutamente adempiere l'obbligo di fornire le informazioni specificate dall’art. 4, comma 3, della L. 223/1991, in maniera tale da consentire all'interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. La inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell'accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art. 4, determina l'inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell'art. 4, comma 12 (Cass. n. 13031/02; Cass. 5770/03; Cass. n. 15479/07; Cass. n. 5034/09);<br />- il giudice dell'impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve verificare - con valutazione di merito non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistita da valutazione sufficiente e non contraddittoria - l'adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (Cass. n. 15479 cit.);<br />- la comunicazione prevista dall’art. 4 della L. 223/1991 è in contrasto con l'obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l'indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. n. 6225/07).<br />In base ai principi sopra richiamati, l’art. 4, comma 3, della L. 223/1991 nel prescrivere che la comunicazione di cui al comma 2 deve, tra l'altro, contenere l'indicazione del numero del personale eccedente, dei tempi di attuazione del programma di mobilità e delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma medesimo, pone a carico dell'impresa un onere di specificazione, nella stessa comunicazione, di ogni altro elemento idoneo ad incidere in maniera non marginale sulla correttezza di tali dati, sull'assetto occupazionale e sulla effettiva necessità della procedura nonchè a garantire la certezza e la trasparenza delle scelte aziendali e la effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una completa e trasparente informazione preventiva che gli consenta di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità lavorative che l'azienda intende concretamente espellere. L'inosservanza del suddetto onere si risolve in un inadempimento essenziale che, da un lato, non può essere sanato nei successivi incontri sindacali e con le informazioni rese in tali contesti; dall'altro invalida la procedura, la quale è finalizzata alla tutela non solo degli interessi delle organizzazioni sindacali, ma anche dell'interesse pubblico, correlato alla occupazione in generale ed ai costi della mobilità, e dell'interesse dei lavoratori alla conservazione<br />[...]del posto di lavoro.<br /> <br />3. Comunicazione del licenziamento collettivo alle RSA/RSU<br />Anche dopo la parziale abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell'art. 19 della L. 300/1970, permane l'obbligo previsto dall'art. 4, comma 2, della L. 223/1991 della preventiva comunicazione per iscritto del licenziamento per riduzione di personale alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'art. 19 parzialmente abrogato, atteso, tra l'altro, che la norma abrogata perde efficacia soltanto del futuro, ma può conservare operatività in relazione a determinati rapporti sorti nel passato e che l'abrogazione referendaria non riguarda l'organo sindacale in sé considerato, ma solo il criterio di costituzione dello stesso.<br />Da ciò si ricava che le <br /><br /> <br />rappresentanze sindacali aziendali già costituite conformemente ai requisiti di maggiore rappresentatività richiesti dalla prima parte dell'art. 19 della L. 300/1970 (poi abrogata a seguito dell'esito referendario e della pubblicazione sulla "Gazzetta ufficiale" del D.P.R. 312/1995) hanno continuato a godere dei diritti e delle prerogative di cui al titolo III della L. 300/1970 anche successivamente al 27 settembre 1995 (data in cui è entrato in vigore il nuovo testo dell'art. 19 cit.) fino a quando non è venuto meno il loro "status-idest": fino all'estinzione di dette r.s.a. per scadenza del mandato sindacale in forza del quale avevano potuto legittimamente operare . A conferma di tale statuizione si rileva che l'art. 19, sia nella precedente che nella nuova formulazione, utilizza l'espressione "costituire" ("le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite"), rimarcando esclusivamente il momento genetico delle r.s.a. Il riferimento al solo momento generatore delle r.s.a. e la irretroattività della norma nel testo risultante dall'abrogazione (con il D.P.R. 312/1995 viene esclusa ogni efficacia retroattiva alla disposizione "subentrante") inducono a ritenere che essa precluda solo per il futuro la costituzione di nuove r.s.a. secondo il vecchio criterio, ma non produca l'immediata estinzione di quelle sorte nel vigore della disciplina precedente nell'ambito di associazioni sindacali in possesso dei relativi requisiti.<br />Pervero, nell'applicazione del principio della irretroattività della legge, quando si tratti di situazioni che non si esauriscano in un determinato istante ma continuino nel tempo, è prevalsa, in giurisprudenza, la "teoria del fatto compiuto" ("facta praeterita") [che si contrappone a quella dei cd. "diritti quesiti" ("iura quaesita")], secondo cui la legge nuova non estende la propria efficacia ai rapporti precedentemente sorti o già esauriti, né a quelli ancora in vita se in tal modo si incida sull'efficacia originaria del fatto che li ha generati. In particolare è stato statuito che il principio della irretroattività della legge preclude l'applicazione della legge nuova non soltanto ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, ma anche a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatisi nel passato e si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di essi: lo stesso principio comporta, invece, che la nuova legge sia applicata ai fatti, agli "status" e alle situazioni esistenti o sopravvenute, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendo dal collegamento col fatto generatore, dal quale resta esclusa la modificazione di disciplina giuridica (Cass. Sezioni Unite n. 4327/1998, Cass. n. 2433/2000).<br />Il "fatto compiuto" deve essere, pertanto, governato dalla legge imperante nel tempo in cui esso avvenne, ancorché del fatto stesso siano pendenti gli effetti.<br /> <br />Rocchina Staiano <br />Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35604-comunicazione-preventiva-e-licenziamento-collettivo-cass-n-24025-2013?page=2" title="http://www.diritto.it/docs/35604-comunicazione-preventiva-e-licenziamento-collettivo-cass-n-24025-2013?page=2" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35604-comu ... -cass-n-24025-2013?page=2</a>
Sat, 2 Nov 2013 14:22:34 +0100
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Re: Cassazione: no al licenziamento per giustificato motivo oggettivo se il fatturato è in crescita [da nardy]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: no al licenziamento per giustificato motivo oggettivo se il fatturato è in crescita<br />
Spieghiamo anche cosa significa: <br /><br />- Giustificato motivo, <br /><br />- Giustificato motivo oggettivo, <br /><br />- Giustificato motivo soggettivo.<br /> <br /><br /><strong>Il giustificato motivo:</strong><br /><br />Il licenziamento per giustificato motivo può riguardare uno o più lavoratori (licenziamento plurimo), ma è ben diverso dal licenziamento collettivo (regolamentato dalla legge 223/1991). E’ necessario un preavviso, in base ai contratti di lavoro, in mancanza del quale il datore di lavoro dovrà pagare al lavoratore la relativa retribuzione. <br /><br /><br /><strong>Giustificato motivo oggettivo:</strong><br /><br />Il diritto di libertà dell'attività economica privata è sancito dall'art. 41 della Costituzione: quando il datore di lavoro ritiene che per attuare delle modifiche sia necessario licenziare un dipendente ha facoltà di farlo, ma in caso di contestazione dovrà dimostrare il giustificato motivo oggettivo (ad esempio, il reale riassetto dell’azienda). <br /><br /><br /><strong>Giustificato motivo soggettivo:</strong><br /><br />Il giustificato motivo soggettivo si differenzia dalla giusta causa in quanto non così grave da consentire il licenziamento in tronco senza preavviso. Ha anch'esso una motivazione disciplinare, legata all'inadempienza del lavoratore rispetto agli obblighi contrattuali (contratto di riferimento). Ad esempio una prolungata assenza che l’azienda dimostri di non poter sopportare, avendo necessità di affidare ad altri quelle determinate mansioni.
Thu, 31 Oct 2013 14:16:40 +0100
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Il licenziamento disciplinare costituisce un’ipotesi di disoccupazione involontaria a fini dell’ASpI [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Il licenziamento disciplinare costituisce un’ipotesi di disoccupazione involontaria a fini dell’ASpI<br />
Il licenziamento disciplinare costituisce un’ipotesi di disoccupazione involontaria a fini dell’ASpI?(Assicurazione sociale per l'impiego) Chiarimenti dal Ministero<br />Pubblicato in Prassi amministrativa il 28/10/2013<br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- <br />Licenziamento_disciplinareBiancamaria Consales<br />Con interpello n. 29 del 23 ottobre 2013, il Ministero del lavoro ha fornito chiarimenti, richiestigli dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, in merito al diritto del lavoratore a percepire l’ASpI ed il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, comma 31, della L. 92/2012, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.<br />In particolare, l’istante chiede se il licenziamento disciplinare possa costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione della predetta indennità.<br />L’art. 2 della L. 92/2012 ha introdotto l’Assicurazione sociale per l’Impiego (ASpI), con l’intento <br /><br /> <br />di fornire un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria, nonché un contributo a carico del datore di lavoro per i casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, dovuto nelle stesse ipotesi che darebbero diritto all’ASpI (art. 2, comma 31, L. 92/2012).<br />Dal dettato della citata normativa, può evincersi che le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.<br />Dunque, non sembra potersi escludere che l’indennità ed il contributo di cui sopra in ipotesi di licenziamento disciplinare. Caso similare, ed estensibile alla fattispecie in oggetto, è quello affrontato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 405/2001, con cui si è stato statuito che, in caso di licenziamento disciplinare, va ugualmente corrisposta l’indennità di maternità, poiché una sua esclusione violerebbe gli artt. 31 e 37 della Costituzione.<br />“La fattispecie in argomento – ha chiarito il Ministero – è suscettibile di essere analizzata con il medesimo metodo di ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale atteso che, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e, pertanto, negare la corresponsione dell’ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti. Sotto altro profilo va evidenziato che il licenziamento disciplinare non possa ex ante essere qualificato come disoccupazione “volontaria”. Ciò in quanto la sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è “automatica”, senza contare l’impugnabilità dello stesso. In tali casi potrebbe risultare, peraltro, iniquo negare la protezione assicurata dall’ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato”.<br />In conclusione, non sembrano esservi margini per negare il contributo a carico del datore di lavoro previsto dall’art. 2, comma 31 della L. 92/2012, in quanto lo stesso è dovuto per le causali che, indipendente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/5090068-il-licenziamento-disciplinare-costituisce-un-ipotesi-di-disoccupazione-involontaria-a-fini-dell-aspi-chiarimenti-dal-ministero?source=1&tipo=news" title="http://www.diritto.it/docs/5090068-il-licenziamento-disciplinare-costituisce-un-ipotesi-di-disoccupazione-involontaria-a-fini-dell-aspi-chiarimenti-dal-ministero?source=1&tipo=news" rel="external">http://www.diritto.it/docs/5090068-il ... istero?source=1&tipo=news</a>
Tue, 29 Oct 2013 00:35:44 +0100
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sospensione della licenza ad una guardia giurata c’è la discrezionalità del Questore [da ADMIN ]
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LEGGI E SENTENZE:: sospensione della licenza ad una guardia giurata c’è la discrezionalità del Questore<br />
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 11 ottobre 2013, n. 4983. In tema di sospensione della licenza ad una guardia giurata c’è la discrezionalità del Questore purché sia motivata in maniera congrua <br /><br /><br />Pubblicato il 25 ottobre 2013 di Avv. Renato D'Isa <br /><br />0 <br /><br /><br /><br /><br />Palazzo-Spada<br /><br />Consiglio di Stato<br /><br />sezione III<br /><br />sentenza 11 ottobre 2013, n. 4983<br /><br />Fatto <br /><br />1. – Con ricorso al TAR Campania – sede di Salerno, notificato il 17 gennaio 2002, il Sig. P. F., guardia giurata alle dipendenze della ditta “L. V”, poi “S. s.r.l.”, impugnava il decreto prefettizio n. 696/2001/6d del 20.12.2001 con cui si disponeva la sospensione del titolo di polizia di guardia giurata e relativa licenza di porto d’armi a tariffa ridotta “fino all’esito del procedimento penale instaurato a suo carico”.<br />2. – Il TAR accoglieva il ricorso dichiarando carente la motivazione del provvedimento.<br /> 3. – Propone appello il Ministero censurando la sentenza che si sarebbe spinta a censurare nel merito il provvedimento sanzionatorio impugnato, ampiamente discrezionale.<br /> In presenza di denuncia della guardia giurata per gravi reati, quali la truffa e il falso, compete all’Amministrazione valutare se sussistono ancora i requisiti di cui all’art. 138, comma 1, R.D.773 del 1931. Correttamente, inoltre, sarebbe stato esercitato il potere di sospensione del decreto di nomina a guardia giurata ex art. 10 T.U.L.P.S. , in presenza di fatti la cui gravità era tale da poter comportare l’applicazione della revoca del titolo, ex art. 11 dello stesso Testo unico e, pertanto, a maggior ragione, la sua sospensione.<br /> 4. – All’udienza del 21 giugno 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.<br /><br />Diritto <br /><br />1 – L’appello non è fondato.<br /> 1.1 – Pur condividendo le pronunce giurisprudenziali invocate dal Ministero appellante, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione di atti amministrativi discrezionali, fondati su apprezzamenti di merito circa la permanenza di requisiti di carattere generale, quale la “buona condotta”, che rappresenta un “concetto giuridico a contenuto indeterminato”, alla cui individuazione contribuisce lo stesso potere ricostruttivo dell’interprete, in difetto di tipizzazioni e tassatività indicate dal legislatore il Collegio ritiene, tuttavia, che, nella fattispecie, il giudice di primo grado abbia correttamente dichiarato il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.<br /> 1.2 – Il provvedimento di sospensione della licenza di guardia giurata, ai sensi dell’art. 10 T.U.L.P.S., è finalizzato a prevenire abusi dell’autorizzazione di polizia e non richiede il venir meno del requisito della buona condotta, così come nell’ipotesi di revoca del titolo, ex art. 11 del medesimo testo unico.<br /> La sospensione ha durata interinale ed un’evidente scopo cautelare, nell’attesa di approfondimento e certezza sui fatti, onde prevenire la commissione di abusi del titolo.<br /> 1.3 – Nel caso in esame, il provvedimento impugnato dal Sig. Pellegrino si fonda sulla sola circostanza che egli è stato deferito per il reato di truffa e falso alla Procura della Repubblica (in data 23.11.2001, con informativa n. 1255/1 della stazione C.C. di Nocera Inferiore); da qui la conseguenza che ne trae il Prefetto, ossia che egli abbia tenuto un comportamento in contrasto con gli obblighi connessi alle funzioni esercitate, che avrebbe fatto venir meno i requisiti di cui all’art. 11 TULPS.<br /> 1.4 – Il primo giudice ha ritenuto che “la mera attribuzione di un fatto penalmente rilevante, in conseguenza di una denuncia dell’interessato per dei presunti reati di truffa e falso non meglio circostanziati, non costituisce, in assenza di univoci e dettagliati indizi ( e prima che sia intervenuta la sentenza di condanna), elemento determinante e sufficiente per ritenere insussistente il requisito della buona condotta di cui al combinato disposto degli artt. 11 e 138, comma 1, R.D. n. 773/1931”.<br />Ritiene, ancora, il primo giudice che la prova della “possibilità di abuso” che ex art. 10 R.D. n. 773/1931 legittima il potere di sospensione del titolo, non può dirsi fornita con il generale riferimento ad una denuncia per reati di truffa e falso non meglio circostanziati e dettagliati.<br /> 1.5 – Il Collegio condivide tali valutazioni nel caso di specie, in cui la motivazione del provvedimento è assolutamente scarna, non riferisce nel dettaglio le circostanze dei fatti posti a base della misura sanzionatoria ed è privo di valutazione con riguardo alla “possibilità di abuso del titolo di polizia”, la cui prevenzione rappresenta la ratio del potere prefettizio esercitato.<br /> Infine, quanto alla specificità del potere cautelare di cui all’art. 10 T.U.L.P.S., rispetto al potere di revoca di cui all’art. 11 dello stesso testo unico, parimenti ritiene il Collegio che non la carenza dei requisiti cui l’autorizzazione è subordinata andava dimostrata dall’Amministrazione, ma la specifica finalità preventiva di abusi del titolo, che sebbene rappresenti un “minus” rispetto al venir meno dei requisiti, come sostiene l’appellante, tuttavia esige una specifica motivazione.<br /> 1.6 – In conclusione, l’appello va respinto.<br /> 1.7 -Nulla spese, non essendosi costituito l’appellato.<br /><br />P.Q.M. <br /><br />Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.<br /> Nulla spese.<br /> Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa<br /><br /><a href="http://renatodisa.com/2013/10/25/consiglio-di-stato-sezione-iii-sentenza-11-ottobre-2013-n-4983-in-tema-di-sospensione-della-licenza-ad-una-guardia-giurata-ce-la-discrezionalita-del-questore-purche-sia-motivata-in-maniera-con/" title="http://renatodisa.com/2013/10/25/consiglio-di-stato-sezione-iii-sentenza-11-ottobre-2013-n-4983-in-tema-di-sospensione-della-licenza-ad-una-guardia-giurata-ce-la-discrezionalita-del-questore-purche-sia-motivata-in-maniera-con/" rel="external">http://renatodisa.com/2013/10/25/cons ... -motivata-in-maniera-con/</a>
Sat, 26 Oct 2013 16:08:52 +0200
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Vigile urbano costretto a lavorare per sette giorni consecutivi una settimana ogni cinque: il Comune [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Vigile urbano costretto a lavorare per sette giorni consecutivi una settimana ogni cinque: il Comune<br />
Presidente: Stile P.<br /><br />Corte di Cassazione Sezione civile, lavoro n. 24180/2013 del 25/10/2013<br /><br />Vigile urbano costretto a lavorare per sette giorni consecutivi una settimana ogni cinque: il Comune dovrà risarcire il danno da usura psico-fisica <br /><br />Ragioni della decisione<br />1. Il Comune di Torino chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Torino, pubblicata il 17 maggio 2010, che ha respinto l'appello contro la decisione del Tribunale che aveva accolto la domanda di G.N.<br />2. Il N., dipendente comunale in servizio nel Corpo di Polizia municipale lavorò per sette giorni consecutivi una settimana ogni cinque. Chiese il riconoscimento, nei limiti della prescrizione decennale, del risarcimento del danno da usura psico-fisica per il lavoro prestato il settimo giorno.<br />3. Il Tribunale riconobbe il diritto e condannò il Comune a pagare al N. la somma di 9.363,90 euro, oltre rivalutazione ed interessi.<br />4. Il Comune propose <br /><br /> <br />un appello articolato in sette motivi. La Corte d'appello di Torino lo rigettò.<br />5. Il ricorso per cassazione è articolato in nove motivi. Il N. si è difeso con controricorso.<br />6. Con il primo motivo si denunzia la violazione degli artt. 15 e 17 della Direttiva 93/104/CE che espressamente prevede "la deroga ai principio del riposo settimanale, in via legislativa, regolamentare, amministrativa o contrattuale" tra l'altro per l'attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione di beni e delle persone". Il ricorrente sottolinea che la turnazione adottata nasceva dall'accordo sindacale del luglio 1986, nell'ambito del quale erano state predeterminate le tabelle di turnazione, e che la Corte d'appello "non ha in alcun modo svolto accertamenti in ordine alla sussistenza nel diritto interno di disposizioni derogatorie alla disciplina ordinaria" e non ha considerato i principi fissati dalla Corte costituzionale 146 del 1971.<br />7. Il motivo è generico ed è distonico rispetto alla motivazione specifica sul punto della Corte d'appello. E' distonico perché la Corte di merito, esaminando il corrispondente motivo di appello ha motivato il suo rigetto in relazione alle caratteristiche della direttiva 93/104/CE ed in particolare sulla sua inidoneità a regolare direttamente i rapporti tra privati e ad essere direttamente applicabile nell'ordinamento interno, dato che lascia ampi spazi di discrezionalità agli Stati membri specificamente con riferimento alla possibilità di introdurre deroghe. Queste affermazioni della Corte non sono oggetto di specifica censura.<br />8. La censura centrale del motivo è che la Corte avrebbe omesso di verificare la presenza nell'ordinamento interno di disposizioni che legittimano le deroghe al specificità quali sarebbero queste "disposizioni". L'unico richiamo è all'accordo sindacale del luglio 1986, ma tale accordo non prevede una deroga al principio legislativo, bensì contiene una regolazione dei turni che prescinde da tale principio.<br />9. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione di una serie di norme che prevedono una compensazione per il disagio: in particolare l'art. 22 del ccnl comparto regioni enti locali del 14 settembre 2000, che ricalca la previsione dell'art. 13 del dpr 268 del 1987. Anche a questo assunto critico la Corte ha risposto in modo articolato, in sede di esame del terzo motivo di appello, spiegando che quella normativa retribuisce la maggiore penosità del lavoro prestato in una giornata festiva, in qualunque giorno del turno essa venga a cadere e non compensa affatto l'usura psico-fìsica per l'attività lavorativa prestata nel settimo giorno", così come gli altri benefici contrattuali riconosciuti ai Vigili urbani sono destinati a compensare altri disagi connessi alla particolare prestazione lavorativa e non già il danno derivante dalla mancata concessione del riposo settimanale. Questa affermazioni della Corte, adeguatamente motivate, non vengono specificamente sottoposte a critiche mirate, oltre che convincenti.<br />10. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell'art. 2087 c.c. perché la Corte avrebbe parlato di "comportamento illecito, senza aggettivare il tipo di responsabilità" e non avrebbe argomentato il perché della antigiuridicità della condotta.<br />11. Anche questo motivo è infondato nel suo presupposto, perché la Corte d'appello ha indicato dal contrasto con quali norme costituzionali e codicistiche deriva la antigiuridicità ed ha qualificato il tipo di responsabilità.<br />Ha infatti spiegato che la scelta del Comune contrasta con l'art. 2109 c.c., oltre che con l'art. 36, terzo comma, Cost. Si è poi riportata alla consolidata giurisprudenza di legittimità, per cui "In relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va tenuto distinto il danno da "usura psico-fisica", conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall'ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in<br />una "infermità" del lavoratore determinata dall'attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali. Nella prima ipotesi, il danno sull'"an" deve ritenersi presunto; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza <br /><br /> <br />e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall'illecito contrattuale" (fra le molte sentenze in tal senso, cfr. Sez. L, n. 16398 del 20/0812004 (Rv. 576013).<br />12. Sono invece diverse le situazioni considerate in altre sentenze, in cui per il lavoro oltre il settimo giorno, in presenza di specifiche previsioni contrattuali giudicate legittime, quindi senza riscontrare la sussistenza di un illecito, si è proceduto ad un mera maggiorazione del compenso commisurata alla maggiore pesantezza della prestazione. In tali casi il trattamento economico non ha natura risarcitoria, ma retributiva con le relative ulteriori conseguenze (cfr. Cass. n. 861 del 2005).<br />13. A valutazioni del tutto analoghe si presta il quarto motivo che pone il problema della insussistenza del comportamento illecito per mancanza dell'elemento i psicologico, senza peraltro spiegare se e come la questione sia stata posta nei motivi di appello, introducendo una serie di questioni di fatto nuove, inammissibili in sede di giudizio di legittimità.<br />14. Con il quinto motivo si prospetta un ulteriore vizio della sentenza costituito dalla "errata applicazione dei principi in materia di oneri probatori", ma in realtà nella esposizione del motivo, non si sviluppa questa impostazione, perché il ragionamento mira a dimostrare e censurare la valutazione della Corte di merito in ordine alla idoneità dei benefici inseriti nel contratto a compensare il mancato recupero delle energie lavorative derivante dalla disciplina dei riposi. Non di onere probatorio si tratta, ma di valutazione della prova, con la conseguenza che il ricorso propone nei fatti una diversa valutazione di merito, inammissibile in sede di legittimità. In ogni caso, in materia di distribuzione dell'onere della prova sono quelli della giurisprudenza prima richiamata.<br />15. Con il quinto motivo si denunzia violazione dell'art. 39 delle 'code contrattuali' del ccnl 14 settembre 2000 in ordine al1'attività lavorativa prostata nel giorno di riposo settimanale in occasione di tornate elettorali.<br />16. La sentenza della Corte sul punto ha compiuto un'affermazione molto precisa affermando che nel giudizio di primo grado non era stata sollevata "eccezione" alcuna con riferimento alle prestazioni rese in periodo elettorale. Per censurare questa affermazione sarebbe bastato riportare il punto della memoria di costituzione in cui, ai sensi dell'art. 416 c.p.c., il Comune resistente formulò tale eccezione. Il ricorso per cassazione del Comune riporta amplissimi brani della memoria di costituzione, ma non vi è un punto dell'atto in cui si dichiari di formulare una eccezione in tal senso. La lettura della memoria compiuta dalla Corte di merito non è pertanto contraddetta.<br />17. Con il sesto motivo si denunzia un "difetto di legittimazione passiva del Comune di Torino con riferimento al TOROC". Una parte della condanna riguarda un periodo di lavoro svolto dal Novarese presso il "Comitato per l'organizzazione dei giochi olimpici invernali Torino 2006". La Corte sulla<br />questione ha specificamente motivato a pag. 15-16 della sentenza, argomentando la sua decisione sulla base della sua interpretazione delle clausole del protocollo d'intesa stipulato tra il Comune e il Comitato.<br />L'interpretazione dell'atto negoziale attiene al merito della controversia e non può essere riformulata in sede di giudizio di legittimità, in assenza di specifiche e puntuali denunzie di violazione di uno o più dei criteri ermeneutici fissati dagli artt. 1362 e ss. c.c., che nel caso specifico mancano. Nel corso della esposizione <br />del motivo si fa poi riferimento ad una eccezione di mancato espletamento dell'attività lavorativa nei giorni 22 gennaio e 28 febbraio, che secondo il Comune sarebbe stata formulata in primo grado e riproposta in appello, ma si omette di riportare il testo di tale eccezione.<br />18. Con il settimo motivo si denunzia violazione dei principi in materia di onere della prova del danno, censurando la sentenza "laddove ha escluso che facesse carico al lavoratore ricorrente la prova del preteso danno da usura psico-fisica".<br />Il motivo è infondato alla luce dei principi fissati dalla giurisprudenza prima richiamata.<br />19. Con l'ottavo motivo si denunzia violazione dell'art. 2087 c.c. per carenza <br /><br /> <br />degli elementi costitutivi de1l'i1lecito, per mancanza di antigiuridicità dell'azione, del nesso eziologico e dell'elemento psicologico. Si tratta della ripetizione di censure già proposte con alcuni dei motivi precedenti, che sono state pertanto già esaminate, tanto con riferimento ai profili oggettivi, che soggettivi.<br />20. Con l'ultimo motivo si denunzia violazione degli artt. 2946 c.c. assumendo che il termine di prescrizione nella specie non sarebbe quello decennale, come affermato dalla Corte, bensì quinquennale.<br />21. Anche questo motivo è infondato. Come si è visto, la giurisprudenza distingue in sostanza tre situazioni.<br />22. Que1la in cui il la fruizione del riposo oltre il settimo giorno è legittima in base alle previsioni normative di vario livello che disciplinano il rapporto e la specifica organizzazione del tempo di lavoro, prevedendo deroghe consentite dalla legge e benefici economici compensativi. In tal caso, la maggiorazione del compenso per la peculiare gravosità del lavoro ha natura retributiva e la prescrizione è quinquennale.<br />23. Vi è poi l'ipotesi, in cui, in assenza di previsioni legittimanti, la scelta datoriale contrasta con gli artt. 36 Cost. e 2109 c.c. ed il lavoratore propone una domanda di risarcimento del danno da usura psico-fisica conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro. Come si è visto, si è ritenuto in questi casi che la sussistenza del danno deve ritenersi presunta, il diritto non ha natura retributiva e si prescrive in dieci anni.<br />24. Se poi il lavoratore sostiene di aver ricevuto un ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una "infermità" determinata dall'attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali, il quadro cambia ancora sotto il profilo dell'onere della prova, perché questo danno ulteriore non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua<br />sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall'illecito contrattuale.<br />25. La Corte d'appello di Torino, con motivazione adeguatamente argomentata, ha inquadrato il caso sottoposto al suo esame nella seconda ipotesi, traendone coerentemente le conseguenze sul piano probatorio, sulla natura del diritto e, da ultimo, sul termine di prescrizione, che è stato correttamente individuato in dieci armi.<br />26. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio e vengono liquidate secondo i parametri previsti dal D.M. Giustizia, 20 luglio 20l2, n. 140 (cfr. Cass. Sez. un. 17405 e 17406 del 2012).<br />P.Q.M.<br />La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 3.000,00 euro per compensi professionali, 50,00 euro per spese borsuali, oltre accessori come per legge.<br />Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 maggio 2013.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/605796-vigile-urbano-costretto-a-lavorare-per-sette-giorni-consecutivi-una-settimana-ogni-cinque-il-comune-dovr-risarcire-il-danno-da-usura-psico-fisica-cass-n-24180-2013?page=3&tipo=content" title="http://www.diritto.it/docs/605796-vigile-urbano-costretto-a-lavorare-per-sette-giorni-consecutivi-una-settimana-ogni-cinque-il-comune-dovr-risarcire-il-danno-da-usura-psico-fisica-cass-n-24180-2013?page=3&tipo=content" rel="external">http://www.diritto.it/docs/605796-vig ... -2013?page=3&tipo=content</a>
Sat, 26 Oct 2013 13:03:45 +0200
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Consiglio di Stato. No alla sospensione del Decreto Guardia Giurata per procedimento penale. [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Consiglio di Stato. No alla sospensione del Decreto Guardia Giurata per procedimento penale.<br />
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 11 ottobre 2013, n. 4983. In tema di sospensione del Decreto ad una guardia giurata c’è la discrezionalità del Questore purché sia motivata in maniera congrua<br />Consiglio di Stato<br />sezione III<br />sentenza 11 ottobre 2013, n. 4983<br /><br />Fatto<br /><br />1. – Con ricorso al TAR Campania – sede di Salerno, notificato il 17 gennaio 2002, il Sig. P. F., guardia giurata alle dipendenze della ditta “L. V”, poi “S. s.r.l.”, impugnava il decreto prefettizio n. 696/2001/6d del 20.12.2001 con cui si disponeva la sospensione del titolo di polizia di guardia giurata e relativa licenza di porto d’armi a tariffa ridotta “fino all’esito del procedimento penale instaurato a suo carico”.<br />2. – Il TAR accoglieva il ricorso dichiarando carente la motivazione del provvedimento.<br />3. – Propone appello il Ministero censurando la sentenza che si sarebbe spinta a censurare nel merito il provvedimento sanzionatorio impugnato, ampiamente discrezionale.<br />In presenza di denuncia della guardia giurata per gravi reati, quali la truffa e il falso, compete all’Amministrazione valutare se sussistono ancora i requisiti di cui all’art. 138, comma 1, R.D.773 del 1931. Correttamente, inoltre, sarebbe stato esercitato il potere di sospensione del decreto di nomina a guardia giurata ex art. 10 T.U.L.P.S. , in presenza di fatti la cui gravità era tale da poter comportare l’applicazione della revoca del titolo, ex art. 11 dello stesso Testo unico e, pertanto, a maggior ragione, la sua sospensione.<br />4. – All’udienza del 21 giugno 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.<br /><br />Diritto<br /><br />1 – L’appello non è fondato.<br />1.1 – Pur condividendo le pronunce giurisprudenziali invocate dal Ministero appellante, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione di atti amministrativi discrezionali, fondati su apprezzamenti di merito circa la permanenza di requisiti di carattere generale, quale la “buona condotta”, che rappresenta un “concetto giuridico a contenuto indeterminato”, alla cui individuazione contribuisce lo stesso potere ricostruttivo dell’interprete, in difetto di tipizzazioni e tassatività indicate dal legislatore il Collegio ritiene, tuttavia, che, nella fattispecie, il giudice di primo grado abbia correttamente dichiarato il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.<br />1.2 – Il provvedimento di sospensione della licenza di guardia giurata, ai sensi dell’art. 10 T.U.L.P.S., è finalizzato a prevenire abusi dell’autorizzazione di polizia e non richiede il venir meno del requisito della buona condotta, così come nell’ipotesi di revoca del titolo, ex art. 11 del medesimo testo unico.<br />La sospensione ha durata interinale ed un’evidente scopo cautelare, nell’attesa di approfondimento e certezza sui fatti, onde prevenire la commissione di abusi del titolo.<br />1.3 – Nel caso in esame, il provvedimento impugnato dal Sig. P. si fonda sulla sola circostanza che egli è stato deferito per il reato di truffa e falso alla Procura della Repubblica (in data 23.11.2001, con informativa n. 1255/1 della stazione C.C. di Nocera Inferiore); da qui la conseguenza che ne trae il Prefetto, ossia che egli abbia tenuto un comportamento in contrasto con gli obblighi connessi alle funzioni esercitate, che avrebbe fatto venir meno i requisiti di cui all’art. 11 TULPS.<br />1.4 – Il primo giudice ha ritenuto che “la mera attribuzione di un fatto penalmente rilevante, in conseguenza di una denuncia dell’interessato per dei presunti reati di truffa e falso non meglio circostanziati, non costituisce, in assenza di univoci e dettagliati indizi ( e prima che sia intervenuta la sentenza di condanna), elemento determinante e sufficiente per ritenere insussistente il requisito della buona condotta di cui al combinato disposto degli artt. 11 e 138, comma 1, R.D. n. 773/1931”.<br />Ritiene, ancora, il primo giudice che la prova della “possibilità di abuso” che ex art. 10 R.D. n. 773/1931 legittima il potere di sospensione del titolo, non può dirsi fornita con il generale riferimento ad una denuncia per reati di truffa e falso non meglio circostanziati e dettagliati.<br />1.5 – Il Collegio condivide tali valutazioni nel caso di specie, in cui la motivazione del provvedimento è assolutamente scarna, non riferisce nel dettaglio le circostanze dei fatti posti a base della misura sanzionatoria ed è privo di valutazione con riguardo alla “possibilità di abuso del titolo di polizia”, la cui prevenzione rappresenta la ratio del potere prefettizio esercitato.<br />Infine, quanto alla specificità del potere cautelare di cui all’art. 10 T.U.L.P.S., rispetto al potere di revoca di cui all’art. 11 dello stesso testo unico, parimenti ritiene il Collegio che non la carenza dei requisiti cui l’autorizzazione è subordinata andava dimostrata dall’Amministrazione, ma la specifica finalità preventiva di abusi del titolo, che sebbene rappresenti un “minus” rispetto al venir meno dei requisiti, come sostiene l’appellante, tuttavia esige una specifica motivazione.<br />1.6 – In conclusione, l’appello va respinto.<br />1.7 -Nulla spese, non essendosi costituito l’appellato.<br /><br />P.Q.M.<br /><br />Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.<br />Nulla spese.<br />Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.<br /><br />fonte: <a href="http://renatodisa.com" title="http://renatodisa.com" rel="external">http://renatodisa.com</a><br /><a href="http://renatodisa.com/2013/10/25/consiglio-di-stato-sezione-iii-sentenza-11-ottobre-2013-n-4983-in-tema-di-sospensione-della-licenza-ad-una-guardia-giurata-ce-la-discrezionalita-del-questore-purche-sia-motivata-in-maniera-con/" title="http://renatodisa.com/2013/10/25/consiglio-di-stato-sezione-iii-sentenza-11-ottobre-2013-n-4983-in-tema-di-sospensione-della-licenza-ad-una-guardia-giurata-ce-la-discrezionalita-del-questore-purche-sia-motivata-in-maniera-con/" rel="external">http://renatodisa.com/2013/10/25/cons ... -motivata-in-maniera-con/</a>
Sat, 26 Oct 2013 08:52:59 +0200
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Datore di lavoro e omissioni di informazioni richieste dall'ispettorato del lavoro [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19208&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Datore di lavoro e omissioni di informazioni richieste dall'ispettorato del lavoro<br />
Qui la sentenza n. 42334/2013 - 15/10/2013 - Corte di Cassazione - Penale, III - Penale<br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- <br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Questione<br />La Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado riguardante la ritenuta responsabilità penale - sostituendo la pena dell'arresto con quella dell'ammenda e revocando la sospensione condizionale della pena -, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui all'art. 4 della legge n. 628 del 1961, per non avere fornito all'Ispettorato del lavoro, nella sua qualità di presidente di una cooperativa, la documentazione relativa al rapporto di lavoro dei dipendenti, benché sollecitata.<br />Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, rilevando la carenza di motivazione <br /><br /> <br />e l'erronea applicazione della norma incriminatrlce. Ad avviso della difesa, la norma in questione non sanziona qualsiasi inottemperanza del datore di lavoro a prescrizioni o richieste dell'Ispettorato del lavoro, ma soltanto le condotte di coloro che, legalmente richiesti, non forniscano le notizie richieste o le forniscano scientemente errate o incomplete. Da tale fattispecie deve ritenersi esclusa - prosegue la difesa - l'omessa esibizione della documentazione eventualmente richiesta dall'ispettore dei lavoro, le cui facoltà dì richiedere l'esibizione di documenti con sanzioni per il relativo rifiuto sono collegate esclusivamente alle indagini di polizia amministrativa previste dall'art. 8 del d.P.R. n. 520 del 1995, senza possibilità di estensione alle generali attività di vigilanza affidate agli ispettori del lavoro dell'art. 4 della legge n. 628 del 1961.<br />La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile,<br /> <br />2. Reato ed omissioni di informazioni e documenti all’ispettorato del lavoro<br />L’art. 4 della L. 628/1961 punisce "coloro che, legalmente richiesti dall'Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errati od incomplete". Si tratta - secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte - delle richieste di notizie concernenti violazioni delle leggi sui rapporti di lavoro, sulle assicurazioni sociali, sulla prevenzione e l'igiene del lavoro, che assumono valore strumentale rispetto alla funzione istituzionale di controllo esercitata dall'Ispettorato del lavoro (ex multis, sez. 3, 7 febbraio 1994, n. 1365, Rv. 196494; sez. 3, 4 luglio 2001, n. 26974, Rv. 219645). Si è più volte specificato, inoltre, che il reato in questione si configura, non soltanto nel caso di richiesta di semplici notizie, ma anche nell'ipotesi di omessa esibizione della documentazione che consenta all'Ispettorato del lavoro la vigilanza sull'osservanza delle disposizioni in materia di lavoro, previdenza sociale e contratti collettivi di categoria, ivi compresa quella sulle assunzioni, necessaria per verificare l'adempimento dei conseguenti obblighi contributivi (sez. 3, 11 dicembre 2007, n. 2272/2008, Rv. 238631; sez. 3, 2 dicembre 2011, n. 6644, Rv. 2523361).<br />Tali principi sono stati correttamente applicate dal Tribunale, il quale ha preso le mosse dai risultati dell'istruttoria, da cui si evince che la documentazione richiesta all'imputata era quella necessaria per l'espletamento dei compiti istituzionali dell'Ispettorato definiti dall’art. 4 della L. 628/1961 e, in particolare, della verifica della sussistenza di irregolarità nelle assunzioni dei dipendenti.<br /> <br />Rocchina Staiano <br />Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35575-datore-di-lavoro-e-omissioni-di-informazioni-richieste-dall-ispettorato-del-lavoro-cass-pen-n-42334-2013" title="http://www.diritto.it/docs/35575-datore-di-lavoro-e-omissioni-di-informazioni-richieste-dall-ispettorato-del-lavoro-cass-pen-n-42334-2013" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35575-dato ... oro-cass-pen-n-42334-2013</a>
Thu, 24 Oct 2013 21:43:34 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19208&forum=22
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Ispezioni sul lavoro: risponde penalmente il datore che non esibisce la documentazione [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19184&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Ispezioni sul lavoro: risponde penalmente il datore che non esibisce la documentazione<br />
Cass., sez. III pen., 15 ottobre 2013, n. 42334<br />La Cassazione penale, con la sentenza n. 42334 del 15 ottobre 2013, ha stabilito che la mancata esibizione della documentazione legalmente richiesta dalla Direzione territoriale del lavoro concretizza una responsabilità penale perseguibile con l'arresto o l'ammenda, come stabilito dall’art. 4 della legge 22 luglio 1961, n. 628.<br />La Suprema corte, nel ricordare che l’articolo 4, all’ultimo comma, punisce «coloro che, legalmente richiesti dall’Ispettorato di fornire notizie a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate od incomplete», precisa che il reato in questione si configura anche nell’ipotesi di omessa esibizione della documentazione che consenta all’Ispettorato del lavoro la vigilanza sull’osservanza delle disposizioni in materia di lavoro, previdenza sociale e contratti collettivi di categoria, ivi compresa quella sulle assunzioni, necessaria per verificare l’adempimento dei conseguenti obblighi.<br /><a href="http://www.lavoro24.ilsole24ore.com/lavoro24/news/documento.print.14345925.11.html" title="http://www.lavoro24.ilsole24ore.com/lavoro24/news/documento.print.14345925.11.html" rel="external">http://www.lavoro24.ilsole24ore.com/l ... to.print.14345925.11.html</a>
Tue, 22 Oct 2013 03:57:32 +0200
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Re: Contratto a tempo determinato - intervalli temporali [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Contratto a tempo determinato - intervalli temporali<br />
<a href="https://docs.google.com/viewer?url=http%3A%2F%2Fwww.diritto.it%2Fcontents%2F605610-contratto-a-tempo-determinato-intervalli-temporali%3Fdownload%3Dtrue&docid=75b91190c690695f241c167700356ac3&a=bi&pagenumber=1&w=600" title="https://docs.google.com/viewer?url=http%3A%2F%2Fwww.diritto.it%2Fcontents%2F605610-contratto-a-tempo-determinato-intervalli-temporali%3Fdownload%3Dtrue&docid=75b91190c690695f241c167700356ac3&a=bi&pagenumber=1&w=600" rel="external">https://docs.google.com/viewer?url=htt ... 3&a=bi&pagenumber=1&w=600</a><br /><br /><br /><a href="https://docs.google.com/viewer?url=http%3A%2F%2Fwww.diritto.it%2Fcontents%2F605610-contratto-a-tempo-determinato-intervalli-temporali%3Fdownload%3Dtrue&docid=75b91190c690695f241c167700356ac3&a=bi&pagenumber=2&w=600" title="https://docs.google.com/viewer?url=http%3A%2F%2Fwww.diritto.it%2Fcontents%2F605610-contratto-a-tempo-determinato-intervalli-temporali%3Fdownload%3Dtrue&docid=75b91190c690695f241c167700356ac3&a=bi&pagenumber=2&w=600" rel="external">https://docs.google.com/viewer?url=htt ... 3&a=bi&pagenumber=2&w=600</a>
Mon, 21 Oct 2013 00:02:56 +0200
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Licenziamento ed abbandono del posto di lavoro [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19142&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento ed abbandono del posto di lavoro<br />
(Cass. n. 22394/2013)<br /><br />Pubblicato in Diritto del lavoro il 16/10/2013<br />Autore: 46354 Staiano Rocchina Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 22394/2013 - 1/10/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- <br />Pagina: 1 2 3 di 3 Dx<br /> <br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Questione<br />La Corte d'appello ha rigettato l'impugnazione proposta dal lavoratore avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale, che gli aveva respinto la domanda diretta all'annullamento del licenziamento intimatogli dalla società per l'arbitrario abbandono del posto di lavoro. La Corte, dopo aver escluso che potesse ritenersi rilevante nella fattispecie la mancata affissione del codice disciplinare, essendo quella contestata una violazione di un dovere fondamentale del rapporto di lavoro manifestamente contraria all'etica comune, ha spiegato che l'istruttoria aveva consentito di appurare il comportamento fraudolento tenuto nell'occasione dal lavoratore, il quale aveva dapprima ammesso di <br /><br /> <br />aver abbandonato il posto di lavoro, venendo così meno all'obbligo della prestazione, per porsi, poi, in stato di malattia non appena venuto a conoscenza che sarebbe iniziato a suo carico un procedimento disciplinare, minando in tal modo il rapporto fiduciario in guisa tale da far ritenere giustificata la sanzione inflittagli.<br />Il lavoratore ricorre in cassazione, il quale ricorso è stato rigettato.<br /> <br />2. Licenziamento ed abbandono del posto di lavoro: evoluzione giurisprudenziale<br />La giurisprudenza di legittimità ha da sempre sostenuto la legittimità del licenziamento per giusta causa in caso di abbandono ingiustificato del posto di lavoro da parte del dipendente cui sono affidate mansioni di vigilanza e custodia, trattandosi di condotta che mina in radice il rapporto fiduciario. Infatti, la Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 2002, n. 9840 del 06/07/2002 ribadisce che l’abbandono del posto di lavoro da parte di dipendente cui siano affidate mansioni di custodia e sorveglianza configura - a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto - mancanza di rilevante gravità idonea, indipendentemente dall'effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l'elemento fiduciario nel rapporto di lavoro ed a integrare la nozione di giusta causa di licenziamento, anche in difetto di corrispondente previsione del codice disciplinare, atteso che, nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il potere di recesso del datore di lavoro deriva direttamente dagli artt. 1 e 3 della L. 604/1966, norme esprimenti precetti di sufficiente determinatezza. In tale pronuncia, la Suprema Corte, confermando la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad una guardia giurata, ha ribadito il principio secondo cui nelle controversie concernenti l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., solo la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, attraverso la puntuale deduzione dell'errore - sviamento del ragionamento del giudice di merito e ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice di merito che, interpretando le disposizioni contrattuali, aveva ravvisato nella condotta del lavoratore un abbandono del posto di lavoro e non un momentaneamente allontanamento dal posto stesso). Inoltre, nella Cass. civ., sez. lav., n. 8107 del 4 giugno 2002 si è precisato che per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; la valutazione della gravità dell'infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. Nel caso di specie, il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte aveva respinto l'impugnativa di licenziamento di una guardia giurata, dipendente di un istituto di vigilanza privata, allontanatosi dal posto di lavoro senza fornire nell'immedia<br />senza informare i superiori); Sez. L, Sentenza n. 6534 del 03/07/1998: L'abbandono del posto di lavoro da parte di dipendente cui siano affidati mansioni di custodia e sorveglianza configura - a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto - mancanza di rilevante gravità ed idonea, indipendentemente dall'effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l'elemento fiduciario nel rapporto di lavoro; tale mancanza può costituire pertanto giusta causa di licenziamento, anche in difetto di corrispondente previsione del codice disciplinare, atteso che, nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il potere di recesso del datore di lavoro deriva direttamente dagli artt. 1 e 3 della <br /><br /> <br />L. 604/1966, norme esprimenti precetti di sufficiente determinatezza.<br /> <br />3. Rassegna giurisprudenziale (di merito e di legittimità)<br />In ordine al processo del lavoro, l'onere di provare i propri assunti spetta al lavoratore che affermi di essere stato licenziato e non al datore di lavoro che affermi l'avvenuto abbandono del posto di lavoro. Ciò perché il licenziamento rappresenta il fatto costitutivo dei diritti fatti valere in giudizio dal lavoratore (Trib. Perugia, Sez. lavoro, 14/02/2012).<br />L'abbandono del posto di lavoro da parte di un dipendente cui siano affidati mansioni di custodia e sorveglianza configura (a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto) una mancanza di rilevante gravità ed idonea, indipendentemente dall'effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l'elemento fiduciario nel rapporto di lavoro. In particolare, la fattispecie dell'abbandono del posto di lavoro, sanzionabile con il licenziamento in base al C.C.N.L. per i dipendenti degli istituti di vigilanza privata, sussiste, attese la natura e le peculiari caratteristiche del servizio di vigilanza, anche indipendentemente dall'allontanamento dal luogo di lavoro, allorquando risulti in concreto l'idoneità dell'inadempimento del lavoratore ad incidere sulle esigenze di prevenzione, repressione e, più in generale, di controllo proprie del servizio stesso (Trib. Genova, Sez. lavoro, 24/07/2009).<br />Sussiste giusta causa di licenziamento ove il lavoratore abbia abbandonato il posto di lavoro con - si ritiene - circa 45 minuti di anticipo, poiché, anche se in caso di chiamata anche negli ultimi 5 minuti avrebbe dovuto tornare sul luogo della prestazione e pur non essendosi verificati problemi l'essersi allontanato avrebbe reso più difficile un intervento immediato e utile del ricorrente in caso di allarme nella zona di competenza ed essendo l'abbandono aggravato dalla falsa ricostruzione dei fatti fornita dall'interessato (Trib. Firenze, 28/03/2008).<br />Le dimissioni sono un atto a forma libera, per il quale la volontà non equivoca di risolvere il rapporto può dedursi anche da comportamenti concludenti: tali sono stati ritenuti l'abbandono del posto di lavoro accompagnato dalla mancata presentazione in azienda nei giorni successivi. Nel caso di specie, il lavoratore (alle dipendenze di una società esercente attività di soccorso e rimorchio di navi) non ha dimostrato essere stato intimato il licenziamento dedotto, conseguentemente dovendo ritenersi che il rapporto di lavoro si è risolto per dimissioni, desumibili dal mancato imbarcato dopo numerosi solleciti scritti (Trib. Napoli, Sez. lavoro, 31/01/2006).<br />L'abbandono del posto di lavoro da parte di dipendente cui siano affidate mansioni di custodia e sorveglianza configura - a differenza del momentaneo allontanamento dal posto predetto - mancanza di rilevante gravità idonea, indipendentemente dall'effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venir meno l'elemento fiduciario nel rapporto di lavoro ed a integrare la nozione di giusta causa di licenziamento, anche in difetto di corrispondente previsione del codice disciplinare, atteso che, nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il potere di recesso del datore di lavoro deriva direttamente dagli art. 1 e 3 della L. 604/1966, norme esprimenti precetti di sufficiente determinatezza. Nella specie la S.C., confermando la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad una guardia giurata, ha ribadito il principio secondo cui nelle controversie concernenti l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., solo la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, attraverso latezza dei fatti alcuna giustificazione e [...]<br />puntuale deduzione dell'errore - sviamento del ragionamento del giudice di merito e ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice di merito che, interpretando le disposizioni contrattuali, aveva ravvisato nella condotta del lavoratore un abbandono del posto di lavoro e non un momentaneamente allontanamento dal posto stesso (Cass. civ., Sez. lavoro, 06/07/2002, n. 9840).<br /> <br /><br />Rocchina Staiano <br />Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della <br /><br /> <br />Gioventù.<br /><br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35539-licenziamento-ed-abbandono-del-posto-di-lavoro-cass-n-22394-2013?page=3" title="http://www.diritto.it/docs/35539-licenziamento-ed-abbandono-del-posto-di-lavoro-cass-n-22394-2013?page=3" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35539-lice ... -cass-n-22394-2013?page=3</a>
Thu, 17 Oct 2013 09:11:39 +0200
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L’azienda non ha mai affisso le regole comportamentali: illegittimo il licenziamento del lavoratore [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: L’azienda non ha mai affisso le regole comportamentali: illegittimo il licenziamento del lavoratore<br />
L’azienda non ha mai affisso le regole comportamentali: illegittimo il licenziamento del lavoratore per violazione delle regole di condotta nello svolgimento delle mansioni (Cass. n. 22626/2013)<br />Presidente: Lamorgese<br /><br />Corte di Cassazione Sezione civile, lavoro n. 22626/2013 del 3/10/2013<br /><br /><br />Pubblicato<br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- <br />Pagina: 1 2 3 di 3 Dx<br />Svolgimento del processo<br />1. La Corte d'Appello di Ancona, con la sentenza n. 602/11, decidendo sull'impugnazione proposta dalla Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana spa, nei confronti di C.G. , avverso la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 740/10 del 13 ottobre 2010, in riforma della sentenza appellata, rigettava le domande proposte dal C. e condannava quest'ultimo alla restituzione, in favore della suddetta Cassa di Risparmio, di Euro 209.621,03, oltre interessi legali dalla ricezione del pagamento di dette somme. <br />2. Il C. , direttore di filiale, aveva impugnato dinanzi al Tribunale il licenziamento per giusta causa irrogato dalla Cassa di Risparmio. <br />Detta impugnazione era <br /><br /> <br />stata accolta dal Tribunale. <br />3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre C.G. prospettando sei motivi di ricorso. <br />4. Resiste con controricorso la Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana spa. <br />5. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'udienza.<br />Motivi della decisione<br />1. Con la prima censura è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, mancanza o insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul punto determinante del rispetto delle garanzie formali e del diritto di difesa nel procedimento disciplinare, in relazione ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc. <br />2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cpc, degli artt. 2730, 2734 e 2735 cc, erronea ed illegittima valutazione delle risultanze probatorie, motivazione mancante illogica ed errata, omesso esame di punti decisivi della controversia, in relazione ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc.<br />Il motivo verte sul rilievo attribuito dalla Corte d'Appello alle affermazioni contenute nella lettera di giustificazione.<br />3. Con il terzo motivo di ricorso, il C. censura la sentenza per la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 cpc, dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, erronea ed illegittima valutazione delle risultanze probatorie, motivazione mancante, illogica ed errata, omesso esame di punti decisivi della controversia, in relazione ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc. <br />Con la suddetta censura, il ricorrente deduce che gran parte degli elementi di fatto, sui quali la Corte d'Appello fonda il giudizio di gravità del comportamento di esso C. , non risulterebbe dagli atti processuali, di segno diverso. <br />Non risulterebbe il superamento della soglia di competenza per la negoziazione di assegni; non vi sarebbe callidità nell'avere negoziato, nella stessa giornata, più assegni per lo stesso cliente, singolarmente di importo inferiore; esso ricorrente non avrebbe riconosciuto di avere assunto il rischio di illiquidità; non risulterebbe che vi fossero stati specifici richiami al rispetto delle procedure, non risulterebbe la rilevanza anche esterna del comportamento addebitato ad esso C. . <br />4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cc, mancanza o insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine al punto/fatto controverso e decisivo delle ragioni e delle caratteristiche e, quindi, di una gravità del comportamento del C. legittimamente licenziato, in relazione ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc. <br />Il ricorrente censura la sentenza di appello per non aver tenuto conto del fatto essenziale, introdotto nel giudizio sin dal primo grado, costituito dalla sussistenza e rilevanza della buona fede del dipendente e dalla mancanza di danno o grave rischio di danno per l'Istituto bancario. <br />5. Con il quinto motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell'art. 2106 cc, mancanza o insufficienza della motivazione sul punto determinante della congruità della estrema sanzione espulsiva, in relazione ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc. <br />Ad avviso di esso ricorrente, il licenziamento avrebbe costituito sanzione eccessiva, gravemente sproporzionata rispetto alla reale portata delle infrazioni ascritte e commesse dal ricorrente. <br />6. Con il sesto motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 219 cc, mancanza o insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo determinante della ndividuazione della nozione di giusta causa, in relazione ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc. <br />La sentenza di appello, nello specificare la clausola generale della giusta causa di licenziamento, ha ritenuto che possa integrare la stessa il solo consentire l'emissione di assegni di giro; ad avviso del ricorrente, se anche ciò fosse avvenuto, in misura superiore alla soglia deliberativa, lo sforamento sarebbe stato minimo. Una tale specificazione del parametro normativo, sarebbe avulsa dalla realtà sociale e censurabile in sede di legittimità per l'incoerenza di tale nozione astratta con gli standards conformi ai valori dell'ordinamento esistenti nella realtà sociale. <br />7. Così ricapitolate, in sintesi, le censure, <br /><br /> <br />può passarsi all'esame del primo motivo. <br />Espone il C. che, come già dedotto nel ricorso di primo grado e riproposto in appello, non era stato provato che nel luogo di lavoro di esso ricorrente fosse affisso, in luogo accessibile a tutti, il codice disciplinare. <br />Pertanto, censura la statuizione della Corte d'Appello secondo la quale detta affissione sarebbe inconferente, in quanto gli addebiti concernono la violazione dei doveri fondamentali che governano l'operatività della direzione di filiale e la violazione di normative statuali. <br />Il principio a cui va ricondotta tale affermazione, infatti, non sarebbe applicabile nel caso di specie, in cui le violazioni attengono solo a regole interne della banca e non a norme di legge, che la sentenza impugnata non indica, con la conseguenza della necessari affissione del codice di disciplina. <br />La contestazione sarebbe, altresì tardiva, in quanto intervenuta il 1 aprile 2009 per fatti che la Cassa di Risparmio conosceva sin dal 2 marzo 2009. <br />Il licenziamento sarebbe altresì nullo e ingiustificato perché, con lettera A/R del 5/11 maggio 2009, esso ricorrente aveva formulato alla Cassa la richiesta di avere copia di tutti gli atti relativi alla ispezione eseguita a proprio carico il 2 marzo 2009, riservandosi all'esito ogni ulteriore eccezione e contestazione. <br />La Corte d'Appello aveva motivato il rigetto dell'eccezione in ragione della consapevolezza delle risultanze ispettive, come risultante dalle giustificazione, con ciò non considerando che, solo con una compiuta conoscenza degli atti, esso ricorrente avrebbe potuto verificare in modo completo le deduzioni della Cassa. <br />La contestazione sarebbe, altresì nulla, in quanto in più punti generica ed inidonea, pertanto, a consentire al lavoratore di esplicare il proprio diritto di difesa. <br />7.1. Preliminarmente va disattesa l'eccezione formulata dalla Cassa dell'abbandono della domanda di illegittimità del licenziamento per la mancata affissione del codice disciplinare, in quanto tale doglianza non sarebbe stata riproposta nelle conclusioni rese nel giudizio di appello. <br />Ed infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni definitive, soprattutto allorché queste siano prospettate in modo specifico, di domande o eccezioni precedentemente formulate implica normalmente una presunzione di abbandono o di rinuncia alle stesse, detta presunzione, fondandosi sull'interpretazione della volontà della parte, deve essere esclusa qualora il giudice del merito, cui spetta il compito di interpretare nella loro esatta portata le conclusioni, le richieste e le deduzioni delle parti, ravvisi elementi sufficienti, o dalla complessiva condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle specificamente formulate, per ritenere che, nonostante la materiale omissione, la parte abbia inteso insistere nelle istanze già avanzate (Cass., n. 4794 del 2006), circostanza che nella specie è avvenuta avendo il giudice di appello statuito in merito al suddetto motivo di impugnazione del licenziamento, ritenendolo, quindi, non rinunciato. <br />7.2. La prima censura, articolata in più motivi è fondata quanto al primo, relativo alla mancata affissione del codice disciplinare e deve essere accolta. <br />Il giudice di secondo grado, pur a fronte della pluralità e diversità delle contestazioni mosse al C. (cambio assegni, superamento della soglia di competenza deliberativa, operatività su posizioni incagliate con rischio d'illiquidità, reiterazione delle violazioni segnalate nel precedente accertamento ispettivo dell'aprile 2008 su posizioni nominativamente indicate, acquisizione di documentazione e distinte di cassa con firme non conformi allo specimen, forzature per partite illiquide, omessa vigilanza sulla correttezza delle registrazioni "antiriciclaggio" da parte di ben individuati sottoposti), si è limitato ad affermare che gli addebiti concernevano la violazione dei doveri fondamentali che governano l'operatività della direzione di filiale e addirittura la violazione di normative statali. <br />Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione (Cass., n. 14997 del 2010). <br /><br /> <br /><br />Ritiene questa Corte, in applicazione del suddetto principio, al quale si intende dare continuità, che mentre alcune condotte del direttore di filiale, quali l'accettazione distinte e documenti con firme non corrispondenti al c.d. specimen, o la mancata effettuazione delle registrazioni antiriciclaggio, ex sé, contrastano con il c.d. minimo etico o con norme penali, altre, come nel caso di specie, connesse alle possibili modalità di applicazione di alcuni istituti bancari, ad es. con riguardo ai termini di valutazione del rischio di illiquidità, possono integrare o collidere con mere prassi, non integranti usi normativi o negoziali, variabili nel tempo in ragione di congiunture economiche e di mercato, assunte dall'Istituto di credito, con la conseguente necessità della conoscibilità delle relative condotte ritenute illegittime dal datore di lavoro, mediante l'affissione del codice disciplinare. <br />7.3. Attesa la illegittimità delle contestazioni relative a condotte non contrarie al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza pena, mosse pur in assenza dell'affissione del codice disciplinare, spetta, quindi, al giudice di merito qualificare le stesse, e valutare, se le restanti contestazioni integrino o meno, di per sé, per la gravità dell'inadempimento, giusta causa di licenziamento. <br />8. All'accoglimento del primo motivo di ricorso, segue l'assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Bologna.<br />P.Q.M.<br />La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Bologna.<br /><br /><a href="http://www.diritto.it/docs/605639-l-azienda-non-ha-mai-affisso-le-regole-comportamentali-illegittimo-il-licenziamento-del-lavoratore-per-violazione-delle-regole-di-condotta-nello-svolgimento-delle-mansioni-ca?page=3&tipo=content" title="http://www.diritto.it/docs/605639-l-azienda-non-ha-mai-affisso-le-regole-comportamentali-illegittimo-il-licenziamento-del-lavoratore-per-violazione-delle-regole-di-condotta-nello-svolgimento-delle-mansioni-ca?page=3&tipo=content" rel="external">http://www.diritto.it/docs/605639-l-a ... ni-ca?page=3&tipo=content</a>
Mon, 14 Oct 2013 20:20:32 +0200
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Quando è reato protestare contro un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Quando è reato protestare contro un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio<br />
14-10-2013<br /><br />Esprimere il proprio disappunto non è reato, ma se la protesta diventa minacciosa o violenta si rischia di essere denunciati. Ecco i casi in cui il disappunto diventa reato.<br /><br /> Violenza o minaccia - Il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale [1] consiste nel minacciare o costringere con violenza fisica un pubblico ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto d’ufficio. La minaccia deve avere ad oggetto un male ingiusto, non deve essere generica e deve essere di una gravità tale da essere in grado di costringere il pubblico ufficiale a non adempiere al proprio dovere. Ad esempio, dire ad un agente di polizia municipale: “non mi fare la multa altrimenti vengo sotto casa e ti pesto” è minaccia, mentre non lo sarebbe dire “se mi fai la multa poi vedrai”. Sia la minaccia che la violenza sono rilevanti anche se destinate ad un’altra persona diversa dal pubblico ufficiale. Il reato è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se la violenza o la minaccia hanno il fine di costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto o comunque di influire su di esso la pena è della reclusione fino a tre anni.<br /><br />Resistenza - Il reato di resistenza a un pubblico ufficiale [2] si distingue dal primo perché in questo caso il fine della violenza o della minaccia non è quello di costringere il pubblico ufficiale a non fare un atto d’ufficio, ma quella di impedirlo. È punita anche la resistenza nei confronti di chi presta assistenza a un pubblico ufficiale su sua richiesta. È resistenza anche la semplice fuga, a piedi o a bordo di un veicolo, o la resistenza c.d. passiva, come ad esempio rimanere fermi o legati a qualcosa per impedire di essere portati via. La pena prevista è della reclusione da sei mesi a cinque anni.<br /><br />Oltraggio a un pubblico ufficiale. Commette il reato di oltraggio a un pubblico ufficiale [3] chi offende l’onore di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni in un luogo pubblico. L’offesa può essere generica e deve essere tale da arrecare un danno all’onore e al prestigio della persona o dell’istituzione che rappresenta. Essa deve essere pronunciata durante il compimento di una funzione proprio dell’ufficio. Pertanto non è oltraggio l’offesa diretta ad un pubblico ufficiale che non sta esercitando le proprie funzioni. Per luogo pubblico si intende anche uno spazio privato ma aperto al pubblico per la funzione a cui è adibito, come ad esempio un centro commerciale o un campo sportivo. La pena è della reclusione fino a tre anni. Essa è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, ma se si dimostra la veridicità del fatto si evita la condanna. Il reato si estingue se chi ha offeso risarcisce interamente il danno causato alla persona e all’ente di rappresentanza. Questi ultimi si accontentano spesso di una semplice, ma sincera, lettera di scuse.<br /><br />Altri reati - Nel caso in cui dovessero mancare in concreto alcuni elementi dei reati descritti, è bene ricordare che l’offesa, la violenza o la minaccia possono comunque costituire reati come ad esempio ingiuria, diffamazione, percosse, minaccia, lesioni personali ecc. In questi casi tuttavia si può essere processati solo se la persona offesa presenta una valida querela entro tre mesi.<br /><br />Il risarcimento dei danni - È bene ricordare che oltre alle pene previste dal codice penale per ciascun reato, chi viene condannato può essere obbligato altresì a versare nei confronti del pubblico ufficiale una somma a titolo di risarcimento del danno, oltre a dover rimborsare le spese legali.<br /><br />Chi è un pubblico ufficiale? È pubblico ufficiale [4] chiunque svolge una funzione pubblica attribuita dalla legge. Vi rientrano quindi tutti gli appartenenti ad organi di polizia o militari, i magistrati, i funzionari pubblici, ma anche medici, professori universitari, insegnanti, politici, dipendenti delle Poste ecc. quando svolgono una funzione pubblica. I reati qui descritti, ad eccezione dell’oltraggio, possono essere commessi anche nei confronti di incaricati di pubblico servizio<br /><br />[1] Art. 336 cod. pen. [2] Art. 337 cod. pen. [3] Art. 341 bis cod. pen. [4] Art. 348 cod. pen.<br /><br />- laleggepertutti.it
Mon, 14 Oct 2013 10:14:08 +0200
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Mobbing: la Cassazione riconosce anche lo “straining” [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Mobbing: la Cassazione riconosce anche lo “straining”<br />
Commento alla sentenza del 3 luglio 2013 n. 28603 con cui la Cassazione ha riconosciuto una forma più attenuata di mobbing, lo straining, ovvero una situazione di stress forzato sul posto di lavoro<br />15 luglio 2013<br />Qualora nel luogo di lavoro si verifichino situazioni relazionali o organizzative non corrette si parla di disfunzioni nei rapporti di lavoro.<br />Tra tali disfunzioni troviamo il cd. “mobbing”, ovvero ciò che viene comunemente definito come il terrore psicologico sul luogo di lavoro, consistente in comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui relegato da reiterate attività ostili. Queste azioni, che danno spesso luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali per la vittima, rientrano nella definizione di mobbing, qualora siano caratterizzate da un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e da una durata significativa (almeno sei mesi).<br />Una forma più attenuata di mobbing è il cd. “Straining” ovvero una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. Affinché si possa parlare di straining è dunque sufficiente una singola azione stressante cui seguano effetti negativi duraturi nel tempo (come nel caso di gravissimo demansionamento o di svuotamento di mansioni). La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer).<br />La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 28603 del 03 luglio 2013 interviene sul tema del mobbing qualificando i comportamenti ed episodi di emarginazione come straining ossia mobbing attenuato.<br />Questa significativa ed interessante pronuncia della Cassazione, che ha riconosciuto ad un dipendente di banca, “messo all’angolo” fino a essere relegato a lavorare in uno «sgabuzzino, spoglio e sporco», con «mansioni dequalificanti» e «meramente esecutive e ripetitive»: comportamenti complessivamente ritenuti idonei a dequalificarne la professionalità, comportandone il passaggio da mansioni contrassegnate da una marcata autonomia decisionale a ruoli caratterizzati, per contro, da “bassa e/o nessuna autonomia”, e dunque tali da marginalizzarne, in definitiva, l’attività lavorativa, con un reale svuotamento delle mansioni da lui espletate.<br />I giudici di legittimità precisano che nelle grandi aziende è difficile parlare di mobbing: infatti, tale fattispecie è costruita a livello giurisprudenziale (infatti non vi è riscontro nel diritto positivo del fenomeno del mobbing) tramite il rinvio all’articolo 572 del codice penale, norma che incrimina il reato di maltrattamenti in famiglia. Ma ciò non toglie che, escluso il delitto di maltrattamenti, non possano configurarsi comunque altri reati.<br /> <br />Gli Ermellini hanno in maniera innovativa qualificato tali comportamenti non come “mobbing”, bensì come “straining” – ossia una sorta di mobbing attenuato.<br />La Corte puntualizza che, nonostante la situazione del dipendente rappresenti un fatto astrattamente riconducibile alla nozione di “mobbing”, sia pure in una sua forma di manifestazione attenuata, nel caso di specie si tratta di “straining”. Infatti secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. “mobbing”) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, dal formarsi di consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra (rapporto supremazia-soggezione), dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia, e come tale destinatario, quest’ultimo, di obblighi di assistenza verso il primo (Sez. 6, n. 26594 del 06/02/2009, dep. 26/06/2009, Rv. 244457; Sez. 6, n. 685 dei 22/09/2010, dep. 13/01/2011, Rv. 249186; Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, dep. 22/11/2011, Rv. 251368; Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012, dep. 27/04/2012, Rv. 252609).<br />La modulazione di tale rapporto, dunque, avuto riguardo alla ratìo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p., deve comunque essere caratterizzata dal tratto della “familiarità”, poichè è soltanto nel limitato contesto di un tale peculiare rapporto di natura para-familiare che può ipotizzarsi, ove si verifichi l’alterazione della sua funzione attraverso lo svilimento e l’umiliazione della dignità fisica e morale del soggetto passivo, il reato di maltrattamenti: si pensi, in via esemplificativa, al rapporto che lega il collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge la propria opera o a quello che può intercorrere tra il maestro d’arte e l’apprendista.<br />Nel caso di specie i Giudici di merito non ravvisarono la familiarità del rapporto sottolineando come l’ambito lavorativo fosse generalmente connotato dall’instaurazione di un rapporto distaccato e formale, le cui modalità di esecuzione comunque consentivano al dipendente di avvalersi di un complesso di garanzie idonee a reagire alle ingiuste offese subite, e che, per le dimensioni stesse della multinazionale ed in ragione della sua complessa articolazione strutturale, non potevano propriamente ricollegarsi al contenuto della nozione cui fa riferimento la contestata fattispecie incriminatrice.<br />La Corte ha ribadito quanto sancito dai Giudici di merito ovvero l’esclusione nel caso in esame, del mobbing, considerato che la posizione lavorativa del ricorrente, era inquadrata all’interno di una realtà aziendale complessa la cui articolata organizzazione – attraverso la previsione di “quadri intermedi” – non implicava certo l’instaurarsi di quella stretta ed intensa relazione diretta tra il datore di lavoro ed il dipendente, che appare in grado di determinarne una comunanza di vita assimilabile a quella caratterizzante il consorzio familiare.<br />Secondo l’accusa, da questi episodi era «derivata la grave lesione» del lavoratore «consistita nella causazione di un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 40 giorni».<br />Su tale punto la Corte sulla base di una costante linea interpretativa ha rilevato come, nella materialità del delitto di cui all’art. 572 cod. pen. rientrino non soltanto percosse, minacce, ingiurie, privazioni imposte alla vittima, ma anche atti di scherno, disprezzo, umiliazione ed asservimento idonei a cagionare durevoli sofferenze fisiche e morali alla vittima. Ne consegue che deve essere il giudice di merito ad accertare se i singoli episodi vessatori rimangano assorbiti nel reato di maltrattamenti (ad esempio, lesioni non volute), oppure integrino ipotesi criminose autonomamente volute dall’agente e, pertanto, concorrenti con il delitto di cui all’art. 572 cod. pen (Sez. 6, n. 16661 dei 29/05/1990, dep. 19/12/1990, Rv. 186109).<br />Entro tale prospettiva, infatti, il delitto di lesioni personali volontarie non può ritenersi assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia, trattandosi di illeciti che concorrono materialmente tra loro per la diversa obiettività giuridica così da configurare un reato autonomo in concorso materiale con quello di maltrattamenti.<br />Per tali motivi gli Ermellini hanno, per quel che attiene al reato di lesioni personali, annullato la sentenza impugnata ai soli effetti civili, con il rinvio al giudice civile ex art. 622, seconda parte, cod. proc. Pen..<br /><a href="http://www.ailf.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=354%3Amobbing-la-cassazione-riconosce-anche-lo-straining&catid=35%3Asentenze&Itemid=2" title="http://www.ailf.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=354%3Amobbing-la-cassazione-riconosce-anche-lo-straining&catid=35%3Asentenze&Itemid=2" rel="external">http://www.ailf.eu/index.php?option=c ... id=35%3Asentenze&Itemid=2</a>
Sun, 13 Oct 2013 10:10:15 +0200
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Vigilanza Privata: confermato il recupero dell'IVC [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Vigilanza Privata: confermato il recupero dell'IVC<br />
11-10 2013<br /><br />Un'altra sentenza favorevole del Tribunale di Genova per il recupero dell'indennità di vacanza contrattuale nel settore della Vigilanza Privata.<br />La sentenza, riafferma i diritti acquisiti, purché l'interessato non vi abbia esplicitamente rinunciato; gli stessi diritti che è possibile richiedere fino all'entrata in vigore del contratto non sottoscritto dalla UILTuCS.<br /><br /><a href="http://www.uiltucs.it/interna.php?id_news=371" title="http://www.uiltucs.it/interna.php?id_news=371" rel="external">http://www.uiltucs.it/interna.php?id_news=371</a><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br />Scarica la sentenza<br /><br /><a href="http://www.uiltucs.it/admin/images/documenti/n371/sentenza%20Genova.pdf" title="http://www.uiltucs.it/admin/images/documenti/n371/sentenza%20Genova.pdf" rel="external">http://www.uiltucs.it/admin/images/do ... 371/sentenza%20Genova.pdf</a>
Sun, 13 Oct 2013 06:14:38 +0200
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Cassazione: legittimo il provvedimento disciplinare per il lavoratore che ha una condotta non collab [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: legittimo il provvedimento disciplinare per il lavoratore che ha una condotta non collab<br />
"L'obbligo di collaborazione è insito nel dovere di diligenza ex art. 2104 codice civile. Esso trova fondamento anche nel dovere di esecuzione secondo buona fede (art 1375 cod. civ.), poiché il lavoratore non adempie i doveri nascenti dal contratto di lavoro mettendo formalmente a disposizione dell'imprenditore le sue energie lavorative, ma è necessario ed indispensabile che il suo comportamento sia tale da rendere possibile al datore di lavoro l'uso effettivo e proficuo di queste, il che si realizza anche mediante l'integrazione tra gli apporti dei singoli operatori nel contesto unitario della funzione e/o del servizio cui la prestazione lavorativa inerisce."<br />E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 22076 del 26 settembre 2013, ha dichiarato la legittimità del provvedimento sospensivo nei confronti del dipendente che, venendo meno all'obbligo di diligenza, si rifiuta di collaborare con la collega incitandola a non produrre.<br /><br />Fonte: Cassazione: legittimo il provvedimento disciplinare per il lavoratore che ha una condotta non collaborativa <br />(StudioCataldi.it)
Wed, 9 Oct 2013 23:58:58 +0200
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Obbligatorio risarcire il lavoratore per le ferie non godute [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Obbligatorio risarcire il lavoratore per le ferie non godute<br />
30 Luglio 2013 , Scritto da Lucia Nacciarone (<a href="http://www.diritto.it" title="www.diritto.it" rel="external">www.diritto.it</a>) Con tag #Cassazione<br /><br /> Obbligatorio risarcire il lavoratore per le ferie non godute<br />Anche se il contratto collettivo di categoria esclude la monetizzazione.<br />A prevalere, secondo quanto affermano i giudici della Cassazione (sent. n. 18168 del 26 luglio 2013) sono i principi UE, secondo cui le ferie sono irrinunciabili, e rappresentano il riposo cui ha diritto il lavoratore, vale a dire il recupero delle energie psicofisiche, ma anche la possibilità di dedicarsi di più a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere attività sportive o ricreative, o di viaggiare.<br />Il rilievo secondo cui il contratto collettivo applicabile al dipendente esclude che siano monetizzabili le ferie non godute non è importante ai fini della risoluzione della controversia, dal momento che lo stesso deve essere reinterpretato alla luce dei principi europei.Pertanto, l’indennità sostitutiva scatta anche se la mancata fruizione non dipende dal datore e il contratto collettivo applicabile in azienda prevede invece il pagamento soltanto quando la mancata fruizione è dipesa da motivi di servizio (purchè ovviamente il mancato riposo non sia dipeso da colpa del lavoratore).L’indennità sostitutiva, avvisano i giudici, ha una doppia natura: risarcitoria, appunto perché compensa il lavoratore per la perdita del bene-riposo; retributiva, in quanto costituisce un’erogazione che risulta connessa al sinallagma che caratterizza il rapporto di lavoro, come rapporto a prestazioni corrispettive: più specificamente essa rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sé retribuito, non sarebbe dovuto invece essere lavorato perché destinato al godimento delle ferie annual
Tue, 8 Oct 2013 11:30:43 +0200
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Re: Cassazione: illegittimo il licenziamento del dipendente che pretende un ordine scritto per l'assegna [da FFS]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=19030&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: illegittimo il licenziamento del dipendente che pretende un ordine scritto per l'assegna<br />
Chissà quante controversie (come questa descritta) sfocerebbero nelle aule di tribunale se i colleghi si facessero rispettare di più?!<br />Il riconoscimento di questi servizi nuovi (dove c'è l'uso massiccio di terminali per procedure tecniche e anche contabili) con mansioni diverse a carattere tecnico/impiegatizio ad alta responsabilità, creerebbe l'occasione per un riconoscimento retributivo diverso dal generico CCNL delle gpg.<br />Non solo..., si otterrebbero altri benefici, come una seria formazione e gli ambienti idonei a tali compiti.
Sun, 6 Oct 2013 11:54:40 +0200
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Il licenziamento collettivo illegittimo non può essere convertito in licenziamento individuale plur [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Il licenziamento collettivo illegittimo non può essere convertito in licenziamento individuale plur<br />
Pubblicato in Sentenze il 04/10/2013<br /><br />Se nell’espletamento delle procedure di licenziamento collettivo di cui alla L. 223/1991 il datore di lavoro non rispetta le indicazioni di sostanza e di forma nonché motivazionali, lo stesso non potrà chiederne la conversione in licenziamento individuale plurimo, al solo fine di evitare il reintegro dei dipendenti e validare cosi l’intera procedura espulsiva.<br />È quanto si evince dalla sentenza n. 22395 del 1° ottobre 2013 pronunciata dalla Corte di cassazione. Nella fattispecie all’esame del Supremo Collegio è stato constatato che la datrice di lavoro, nel ricorrere al licenziamento dei prestatori intimati, si era avvalsa della procedura del licenziamento collettivo, di cui alla precitata legge n. 223/1991, <br /><br /> <br />senza osservarne, tuttavia, i rigidi requisiti di sostanza e di forma ivi prescritti. Per di più il provvedimento espulsivo adottato possedeva il solo requisito della scrittura e non anche quello, altrettanto essenziale, della motivazione, per cui non poteva che esserne declarata l’illegittimità.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/5089990-il-licenziamento-collettivo-illegittimo-non-pu-essere-convertito-in-licenziamento-individuale-plurimo?source=1&tipo=news" title="http://www.diritto.it/docs/5089990-il-licenziamento-collettivo-illegittimo-non-pu-essere-convertito-in-licenziamento-individuale-plurimo?source=1&tipo=news" rel="external">http://www.diritto.it/docs/5089990-il ... lurimo?source=1&tipo=news</a>
Sat, 5 Oct 2013 11:09:24 +0200
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Sul licenziamento per giusta causa: risarcimento danni a carico del lavoratore e compensazione tecni [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18998&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Sul licenziamento per giusta causa: risarcimento danni a carico del lavoratore e compensazione tecni<br />
Sul licenziamento per giusta causa: risarcimento danni a carico del lavoratore e compensazione tecnica (Cass. n. 18526/2013)<br /><br /><br />Pubblicato in Diritto del lavoro il 01/10/2013<br />Autore: 46994 Rinaldi Manuela Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 18526/2013 - 2/8/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br />0 commenti<br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- Stampa Invia<br />Pagina: 1 2 di 2 Dx<br /> <br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Premessa<br />Nella decisione in commento del 2 agosto 2013 n. 18526 i giudici della Suprema Corte di Cassazione, nella sezione lavoro, hanno precisato che è configurabile la compensazione tecnica quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico e solo rapporto (1).<br />In tal caso la valutazione delle pretese reciproche comporta un accertamento che ha la funzione di individuare il reciproco dare ed avere; senza che sia, peraltro, necessaria la proposizione di una domanda riconvenzionale o eccezione di compensazione.<br /> <br /> 1.1. La fattispecie <br />La vicenda origina dal licenziamento di un <br /><br /> <br />funzionario di banca (per giusta causa) e dalla relativa e conseguente impugnazione del recesso ad opera del lavoratore, dinanzi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro.<br />Il giudice di prime cure riteneva non fondato il ricorso; il funzionario, pertanto propone appello avverso le sentenze con cui erano state respinte le domande dallo stesso proposte nei confronti della banca – datore di lavoro – volte alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa.<br />Deduceva, nel proprio ricorso, l’erroneità delle gravate sentenze, insistendo per la declaratoria di illegittimità del licenziamento con tutte le conseguenze anche di carattere economico.<br />Si costituiva la società appellata.<br />La Corte, in parziale accoglimento dell’appello, condannava il ricorrente al pagamento di una ingente somma di denaro, confermando nel resto l’impugnata sentenza.<br />Per la cassazione della decisione proponeva ricorso il funzionario con sei motivi; resisteva con controricorso l’istituto di credito.<br />Entrambe le parti depositano memorie ex art. 278 c.p.c.<br />“Con il primo motivo di ricorso il R., denunciando violazione del principio sulla immediatezza della contestazione nonché sulla tempestività del licenziamento nonché omessa, contraddittoria ed inadeguata motivazione, lamenta che, nonostante l'eccezione fosse stata formulata sia in primo grado che in appello, entrambi i giudici di merito avevano omesso la pronuncia e la motivazione in proposito. Il motivo non può trovare accoglimento”.<br />Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. nonché motivazione carente, lacunosa e contraddittoria, lamenta l'erroneità della valutazione operata dal Giudice a quo delle consulenze tecniche acquisite nel corso del giudizio. Anche questo motivo non può trovare accoglimento.<br />…………..Tale motivazione, priva di vizi logici e giuridici, vale anche ad evidenziare l'infondatezza del terzo motivo, con cui il ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e ss. , 2697 c.c. nonché vizio di motivazione, lamenta l'erronea determinazione del danno che la Banca avrebbe subito…………<br />Così come conforme a diritto appare la valutazione equitativa del danno, oggetto del quarto motivo, fatta dal la Corte d'appello di Roma -in applicazione dell'art. 1226 c.c.,…<br />Non è di ostacolo a questa conclusione la natura del credito del R. (art. 1246 cc), - come si sostiene invece con il quinto motivo- giacché il divieto di compensazione oltre il limite del quinto del credito del lavoro presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, non configurabile allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto……<br />Inammissibile è, infine, il sesto motivo con cui - a quanto risulta - per la prima volta il ricorrente lamenta che il Giudice abbia omesso di rilevare la discriminatorietà dell'intimato licenziamento. Per quanto esposto il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccembenza”.<br /> <br />2. Conclusioni<br />Gli Ermellini ritengono inammissibili i motivi di ricorso presentati dal lavoratore.<br />I giudici della Corte, nella sentenza che si commenta, decidendo in merito alla legittimità del licenziamento per giusta causa ha precisato che “non appare meritevole di censure la decisione del Giudice di secondo grado che, valutata la totale illiceità della condotta del R. ed accertata l'esistenza di gravi danni patrimoniali derivati dalla stessa, ha affermato, sulla scorta delle disposte consulenze, la conseguente responsabilità da parte del ricorrente condannandolo al risarcimento dei danni a riguardo ed operando un conteggio di dare avere, nell'ambito del medesimo rapporto giuridico (2) tra voci a credito (3) e voci a debito (4).<br />Alla luce di concordi e reiterati accertamenti cui la Corte aveva ritenuto di aderire, in quanto fondati su una attenta e compiuta valutazione tecnico-contabile delle circostanze del caso, non poteva che ritenersi la fondatezza degli addebiti mossi al lavoratore, che, per la loro gravità e le gravissime conseguenze economiche per la stessa datrice di lavoro, erano da ritenersi certamente idonei a ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario”. <br /> <br />Manuela Rinaldi <br />Avvocato foro Avezzano Aq - Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di <br /><br /> <br />Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.<br /> <br />_________ <br />(1) L’identità di tale rapporto non viene esclusa dal fatto che uno dei crediti abbia natura risarcitoria derivando la stessa da inadempimento.<br />(2) Il rapporto di lavoro.<br />(3) Spettanze di fine lavoro.<br />(4) Danni derivanti dalla violazione degli obblighi posti in capo del prestatore di lavoro.<br /><br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35491-sul-licenziamento-per-giusta-causa-risarcimento-danni-a-carico-del-lavoratore-e-compensazione-tecnica-cass-n-18526-2013?page=2" title="http://www.diritto.it/docs/35491-sul-licenziamento-per-giusta-causa-risarcimento-danni-a-carico-del-lavoratore-e-compensazione-tecnica-cass-n-18526-2013?page=2" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35491-sul- ... -cass-n-18526-2013?page=2</a>
Thu, 3 Oct 2013 09:27:08 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18998&forum=22
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Guardia giurata malmenata, il datore di lavoro non è responsabile [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18977&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Guardia giurata malmenata, il datore di lavoro non è responsabile<br />
urante il servizio notturno, un lavoratore (una guardia giurata) veniva aggredita e malmenata da alcuni giovani dopo che avevano speronato la sua auto di servizio costringendolo a fermarsi. A seguito delle percosse subite, la guardia deduceva di aver riportato lesioni permanenti nella misura del 20% per danno biologico, con 30 giorni di invalidità totale e 15 di invalidità parziale, e si rivolgeva al Tribunale per vedersi risarcire i danni dal proprio datore di lavoro. Risarcimento che, però, non viene riconosciuto né dai giudici di primo grado né da i giudici di appello. Al lavoratore, dunque, non resta che rivolgersi alla Cassazione (sentenza 12089/13). Ma, anche qui, senza ottenere risarcimento. Infatti, se da un lato è vero che il dipendente deve dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro, il danno subito ed il nesso causale con le mansioni svolte e, dall’altro lato, il datore deve dimostrare – per evitare di essere ritenuto responsabile delle lesioni subite dal dipendente – di aver adottato le misure idonee, in caso di aggressioni ai dipendenti conseguenti ad attività criminosa di terzi, la questione è differente. Non tutti i danni subiti dal lavoratore possono rientrare nell’ambito della tutela delle condizioni di lavoro. L’ampio ambito applicativo dell’art. 2087 c.c. (tutela delle condizioni di lavoro) non può essere dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno, sull’assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto. Anche perché, così – chiarisce la S.C. – il verificarsi dell’evento costituirebbe «circostanza che assurge in ogni caso ad in equivoca riprova del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento, atteso il superamento criminoso di quelli in concreto apprestati dal datore di lavoro». Nel caso di specie, poi, il lavoratore non ha in alcun modo rilevato in cosa fosse consistita la colpa del datore di lavoro, pertanto il suo ricorso non può essere accolto.<br /><br />Fonte: <a href="http://www.dirittoegiustizia.it" title="www.dirittoegiustizia.it" rel="external">www.dirittoegiustizia.it</a>
Tue, 1 Oct 2013 13:37:19 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18977&forum=22
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Cassazione: La disciplina dell'orario di lavoro e le regole per lo svolgimento di lavoro straordinar [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18976&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: La disciplina dell'orario di lavoro e le regole per lo svolgimento di lavoro straordinar<br />
di Marco Massavelli - Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza n. 21361 del 18 settembre 2013. Il disposto dell'art. 75 del Ccnl obbliga il personale smontante o già smontato a effettuare il servizio nel ricorso di condizioni oggettive che lo richiedano e ravvisando nella condotta quella insubordinazione che giustifica la risoluzione del rapporto. L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore; è fatta salva, tuttavia, l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite. Tale disposizione è ribadita dall'art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 che ha trovato piena attuazione nella contrattazione collettiva di settore (art. 71 del c.c.n.l. del personale degli Istituti di vigilanza privata ratione temporis applicabile) nel quale, stante il ruolo ricoperto dalla Vigilanza Privata quale attività ausiliaria di prevenzione, sicurezza per la tutela del patrimonio pubblico e privato, con le conseguenti necessità di assicurare servizi caratterizzati da straordinarietà non programmabili al fine di evitare pericoli e/o danni ai beni da vigilare, è stato convenuto che in base all'art. 3 d. lgs. n. 66/2003 ai fini contrattuali l'orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali e, tuttavia, si è precisato che tenuto conto delle obiettive necessità di organizzare i turni di lavoro in maniera da garantire la continuità nei servizi di tutela del patrimonio pubblico e privato affidato agli Istituti di Vigilanza. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza 18 settembre 2013, n. 21361.<br />Il lavoratore del turno smontante non può lasciare il posto di lavoro senza prima aver avuto la sostituzione del lavoratore del turno montante, che dovrà avvenire entro due ore e mezza dal termine del normale orario giornaliero: si tratta di una modalità di flessibilizzazione dell'orario che, ragionevolmente, consente il corretto avvicendamento nel servizio assicurando la presenza di personale per fare fronte a esigenze impreviste, e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere concretamente qualificata la necessità di provvedere ad un intervento in prossimità della fine del turno di servizio con eventuale superamento dell'orario di servizio fissato nelle otto ore.<br /><br /><br />Fonte: Cassazione: La disciplina dell’orario di lavoro e le regole per lo svolgimento di lavoro straordinario <br />(StudioCataldi.it) <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14297.asp#.UkdqF9GhJmE.facebook" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14297.asp#.UkdqF9GhJmE.facebook" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... asp#.UkdqF9GhJmE.facebook</a>
Tue, 1 Oct 2013 13:27:37 +0200
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Multa all’auto aziendale: ora si notifica anche alla società [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18919&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Multa all’auto aziendale: ora si notifica anche alla società<br />
E' di qualche anno fa' , ho pensato di metterla cmq lo stesso.....<br /><br /><br />Articoli > Multe e ricorsi > Multa all’auto aziendale: ora si notifica anche alla società<br /><br />La Corte di Cassazione si pronuncia sul caso delle infrazioni al codice della strada commesse dal dipendente con l’auto aziendale. La sentenza è recente, risale allo scorso 30 Marzo 2009, ed è la n. 7666. Da adesso in poi i verbali delle infrazioni al codice della strada commesse dai dipendenti mentre guidano la macchina di [...]<br /><br /><br /> <br /><br /> <br /><br /><br />La Corte di Cassazione si pronuncia sul caso delle infrazioni al codice della strada commesse dal dipendente con l’auto aziendale. La sentenza è recente, risale allo scorso 30 Marzo 2009, ed è la n. 7666.<br /><br />Da adesso in poi i verbali delle infrazioni al codice della strada commesse dai dipendenti mentre guidano la macchina di proprietà dell’azienda per la quale lavorano, potranno essere notificati anche alla società. Prima della pronuncia della Suprema Corte in merito, la questione era controversa.<br /><br />Ci si basava, infatti, sul principio di responsabilità personale di colui che aveva commesso le infrazioni, o del rappresentante legale dell’azienda. Nel caso di specie il giudice di pace di Milazzo, un paese in provincia di Palermo, aveva annullato un verbale perché appunto notificato alla società, e non al dipendente in persona o al rappresentante legale.<br /><br />La Corte di Cassazione ha bocciato tale decisione del giudice, in base all’assunto che non si può far leva sulla responsabilità personale di chi ha commesso materialmente l’infrazione. La legge n. 689 del 1981 sancisce infatti un altro tipo di responsabilità per l’illecito amministrativo, ed è quella “solidale” della persona giuridica, che si verifica appunto quando la violazione viene commessa da un dipendente o rappresentante legale.<br /><br />La responsabilità solidale interviene in tutti i casi (come questo, appunto), in cui una persona agisce nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze per conto della società. Questo tipo di responsabilità prescinde dall’identificazione di chi ha commesso l’illecito in senso materiale. In conclusione, l’amministrazione può decidere di notificare due verbali, uno all’azienda (in quanto responsabile solidale), l’altro al conducente della vettura.<br /><br />L’azienda, essendo una persona giuridica, è tenuta al pagamento “in solido” con chi ha commesso l’illecito amministrativo. Questa decisione della Suprema Corte elimina le incertezze precedenti riguardo alle notifiche, e riporta chiarezza in un ambito un po’ confuso e contraddittorio.<br /><a href="http://www.guidaconsulenzalegale.com/00118_multa-all%E2%80%99auto-aziendale-ora-si-notifica-anche-alla-societa/" title="http://www.guidaconsulenzalegale.com/00118_multa-all%E2%80%99auto-aziendale-ora-si-notifica-anche-alla-societa/" rel="external">http://www.guidaconsulenzalegale.com/ ... ifica-anche-alla-societa/</a>
Wed, 18 Sep 2013 09:50:14 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18919&forum=22
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Cassazione: è a carico del datore di lavoro la spesa relativa alla pulizia della divisa del dipenden [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18917&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: è a carico del datore di lavoro la spesa relativa alla pulizia della divisa del dipenden<br />
5 Settembre 2013 , Scritto da L.S. (Studio Cataldi) Con tag #Cassazione<br /><br />Cassazione: è a carico del datore di lavoro la spesa relativa alla pulizia della divisa del dipendente <br />E' obbligo del datore di lavoro sostenere le spese di lavaggio della divisa ovvero rimborsare al lavoratore quelle personalmente sostenute a tale scopo.<br />E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 19759 del 26 agosto 2013, ha rigettato il ricorso di un'Azienda condannata dalla Corte d'Appello a corrispondere ai propri dipendenti il costo del lavaggio degli abiti da lavoro di addetti al servizio mensa.<br /><br /><br />La Suprema Corte, sottolineando che nella specie era pacifico che nel contratto di appalto la società di servizi si fosse obbligata a dotare il personale “di cuffie, grembiuli e divise sempre pulite", ha affermato come da ciò "discende, pienamente, che l'azienda è tenuta a dotare il personale di divise sempre pulite, e dunque di sopportarne il relativo costo, sicché (...) dal suo inadempimento consegue l’obbligo di risarcire il danno ai sensi dell’art. 1218 c.c.”.<br /><br />I giudici di legittimità hanno altresì precisato che " l’art. 1411 cod. civ. stabilisce che è sempre valida la stipulazione di un contratto a favore di terzi, purché lo stipulante vi abbia interesse. Nella specie è indubbio che la società appaltante, che risulta aver esplicitamente inserito nel contratto di appalto che l’appaltatrice era obbligata a far indossare ai lavoratori una divisa di lavoro (cuffie, grembiuli e divise) ‘sempre pulita’, ha evidentemente interesse a ciò, sicché non contrasta col principio di cui alla citata norma codicistica, l’obbligo della datrice di lavoro dl sostenere le spese di lavaggio (o di rimborsare al lavoratore quelle a tal scopo personalmente sostenute)".
Tue, 17 Sep 2013 21:57:16 +0200
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Servizi di vigilanza resi da persone fisiche? Scatta l’esenzione d’imposta [da ADMIN ]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18906&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Servizi di vigilanza resi da persone fisiche? Scatta l’esenzione d’imposta<br />
Servizi di vigilanza resi da persone fisiche? Scatta l’esenzione d’imposta <br /><br /><br /> 16 Settembre 2013 <br /><br />Il caso di specie<br /><br />Il titolare di un Istituto di Vigilanza notturna, diurna e campestre presentava istanza di rimborso IVA assumendo l’operatività dell’art. 10, n. 26, del D.P.R. n. 633/72 quanto all’attività di vigilanza privata.<br /><br />La C.T.P. e la C.T.R., adite sulla questione, rigettavano l’istanza dell’uomo alla luce del mutamento del quadro normativo di riferimento attuato attraverso la modifica del D.L. n. 953/82, con il quale il legislatore aveva reintrodotto l’esenzione limitandola alle prestazioni di servizi di vigilanza e custodia di cui al R.D. n. 1952/1953 relativo al servizio delle guardie giurate particolari quali lavoratori autonomi.<br /><br />L’uomo ricorreva, pertanto, in Cassazione ponendo il seguente quesito: “la esenzione Iva prevista dal D.P.R. n. 633/72, art. 10, n. 26, nel testo vigente nel periodo 1986-1993 ricomprende - anche od esclusivamente – le prestazioni di servizi di vigilanza e custodia erogate dagli istituti di vigilanza (di cui al R.D.L. n. 2144/1936)?”.<br /><br />I Giudici di legittimità hanno ritenuto che l’esenzione dall’imposta prevista in materia di servizi di vigilanza (D.P.R. n. 633/72, art. 10, n. 26, modificato dal D.L. 953/82) deve intendersi limitata alle sole prestazioni rese direttamente dalle guardie particolari giurate ai privati ed agli enti, in qualità di lavoratori autonomi, mentre non spetta in relazione alle prestazioni fornite, quand’anche a mezzo di guardie giurate, dagli Istituti di vigilanza previsti dal R.D.L. n. 2144/1936. La ratio legis appare, infatti, quella di limitare la esenzione alle sole prestazioni di vigilanza e custodia effettuate da persone fisiche a favore di enti pubblici, altri enti collettivi e privati.<br /><br /><a href="http://fiscopiu.it/news/servizi-di-vigilanza-resi-da-persone-fisiche-scatta-l-esenzione-d-imposta" title="http://fiscopiu.it/news/servizi-di-vigilanza-resi-da-persone-fisiche-scatta-l-esenzione-d-imposta" rel="external">http://fiscopiu.it/news/servizi-di-vi ... tta-l-esenzione-d-imposta</a><br /><br /><br />Cassazione Civile, sentenza 13 settembre 2013, n. 20979<br />Svolgimento del processo<br />D’A.G., n.q. di titolare dell’I.V.N.D.C. e dell’I.H.I.V., presentava istanza di rimborso IVA per il periodo 1983/1993 assumendo l’operatività dell’art. 10 n. 26 d.p.r. n. 633/72 quanto all’attività di vigilanza privata.<br />Avverso il silenzio rifiuto il D’A. ha proposto separati ricorsi che la CTP di Vibo Valenzia, previa riunione dei ricorsi, rigettava.<br />La CTR della Calabria, con sentenza pubblicata il 15 settembre 2008, confermava la sentenza impugnata rigettando, previa riunione, i due appelli proposti dalla parte contribuente.<br />Osservava il giudice di appello che all’esito del mutamento del quadro normativo di riferimento attuato attraverso la modifica del d.l. n. 953/82, il legislatore aveva reintrodotto l’esenzione limitandola alle prestazioni di servizi di vigilanza e custodia di cui al r.d. n. 1952/1935 relativo al servizio delle guardie giurate particolari quali lavoratori autonomi. Da ciò conseguiva che, fino all’abrogazione dell’art. 10 n. 26 cit. operata dall’art. 2 comma 1 lett. b) del d.l. n. 557/93, conv. nella l. n. 133/94 - non operante nel caso di specie -, erano escluse dall’esenzione le prestazioni rese dagli istituti di vigilanza disciplinati dal RDL 12.11.1936 n. 2144 aventi carattere di impresa, come aveva pacificamente riconosciuto la giurisprudenza di questa Corte.<br />Il contribuente, con due distinti ricorsi, proposti nella qualità di titolare dell’I.V.N.D.C. e dell’I.H.I.V. ha impugnato innanzi a codesta Corte la sentenza di appello, affidandoli a due motivi, ai quali ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.<br />Motivi della decisione<br />Il procedimento recante il n. 24206/09 va riunito, ex art. 335 c.p.c., a quello recante il n. 24200/09, avendo gli stessi ad oggetto i due ricorsi proposti dal D’A. n.q. di titolare dell’I.V.N.D.C. e dell’I.H.I.V. avverso la medesima sentenza n. 160/1/08 resa dalla CTR della Calabria.<br />Con il primo complesso motivo di ricorso il D’A. ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 n. 2 dpr n. 633/72, come modificato dall’art. 5 del d.1. n. 953/1982 conv. nell’art. 5 c. l della l. n. 53/83, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e tenuto conto degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del r.d.l. n. 1952/35. Lamenta che la CTR aveva fondato il proprio assunto sulla reintroduzione dell’esenzione per le prestazioni di vigilanza regolate dal R.D.L. n. 1952/1935, ritenendo che la mancata estensione alle prestazioni regolate dal RDL n. 1952/1935 dimostrerebbe la netta diversità, ontologica, fra le tipologie di prelazioni. Evidenzia che tale assunto era errato, ciò risultando dall’esame degli articoli del RDL n. 1952, riferibili non solo alle singole guardia giurata, ma anche agli istituti. Ciò, peraltro, risultava confermato dal tenore testuale dell’art. 10 n. 19 dpr n. 633/72 che, anteriormente all’entrata in vigore del d.l. n. 953/82, esentava dall’IVA “i servizi di vigilanza direttamente effettuati da istituti autorizzati esclusivamente a tale attività”. Doveva pertanto ritenevi, ad onta di quanto postulato dalla CTR, che le discipline di cui ai RR.DD.LL. del 1935 e del 1936 non si ponevano affatto in rapporto di alternatività, ciò peraltro trovando conferma anche negli artt. 133-141 del R.D. n. 773/1931 (TULPS) ove non si rinveniva alcuna distinzione fra attività esercitate da guardie particolari e da istituti di vigilanza.<br />D’altra parte, lo stesso contenuto del RDL n. 1952, riferendosi anche alla disciplina dell’attività degli istituti di vigilanza, confermava il carattere unitario dello stesso e del RDL n. 2144 del 1936.<br />Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotte il vizio della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. Lamenta che la CTR non aveva risposto a tutti gli argomenti difensivi esposti dalla parte contribuente, ritenendoli assorbiti e confutati nella propria pronuncia.<br />L’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, ha dedotto l’infondatezza delle due censure, richiamando, quanto alla prima, i lavori preparatori della l. n. 53/83 di conversione del d.l. n. 953/82, nei quali era stata nettamente diversificata la posizione degli istituti di vigilanza da quella delle prestazioni rese dalle guardie giurate operanti quali lavoratori autonomi ed il parere del<br />Giuffrè Editore © Copyright Giuffrè 2013. Tutti i diritti riservati<br />2<br /><a href="http://www.fiscopiu.it" title="www.fiscopiu.it" rel="external">www.fiscopiu.it</a><br />Consiglio di Stato n. 247/96. Aggiungeva che la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 7811/2000, si era orientata nel senso condiviso dalla CTR.<br />Il primo motivo di ricorso è infondato.<br />La questione sottoposta all’esame del Collegio (se la esenzione IVA prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 26 nel testo vigente nel periodo 1986-1993 ricomprenda - anche ed esclusivamente - le prestazioni di servizi di vigilanza e custodia erogate dagli Istituti di vigilanza di cui all’art. 134, cit. TULPS) va risolta alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, non avendo fornito la parte ricorrente argomenti giuridici diversi da quelli già esaminati nei precedenti ai quali il Collegio intende conformarsi ed in particolare da Cass. n. 16101/11, la quale ha confermato la piena correttezza delle tesi espresse dall’Ufficio negli avvisi di accertamento impugnati, nel caso di specie parimenti condivise dalla CTR.<br />In tale occasione la Corte, rispondendo alle doglianze analoghe a quelle proposte in questa sede dalla parte contribuente, dando continuità all’indirizzo inaugurato - come puntualmente ricordato dalla controricorrente - da Cass. n. 7811/2000 (e poi seguito da Cass. n. 4254/2002, Cass. 1998/2003 n. 1998 e Cass. n. 19696/2004), ha ritenuto che l’esenzione dall’imposta prevista in materia di servizi di vigilanza dall’art. 10, primo comma, n. 26, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dall’art. 5 del d.l. 30 dicembre 1982, n. 953 (conv. In legge 28 febbraio 1983, n. 53) deve intendersi limitata alle sole prestazioni rese direttamente dalle guardie particolari giurate ai privati ed agli enti, in qualità di lavoratori autonomi, mentre non spetta relativamente alle prestazioni fornite, quand’anche a mezzo di guardie giurate, dagli istituti di vigilanza privata previsti dal r.d.l. 12 novembre 1936, n. 2144.<br />In tale occasione si è ritenuto che l’esplicita soppressione, nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 26) del precedente riferimento alle prestazioni effettuale dagli “Istituti” autorizzati ad esercitare l’attività di vigilanza ed il richiamo esclusivo al R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952 conv. in L. 19 marzo 1936, n. 508 recante “disciplina del servizio delle guardie particolari giurate” (e non anche al R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2144, conv. in L. 3 aprile 1937, n. 526 recante “disciplina degli istituti di vigilanza privata”) assume carattere dirimente, dimostrando la “ratio legis” tesa a limitare la esenzione alle sole prestazioni di vigilanza e custodia effettuate da persone fisiche (guardie particolari giurate) a favore di “enti pubblici, altri enti collettivi e privati” (R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 133, TULPS).<br />Deve pertanto qui riaffermarsi che le norme di attuazione dei due regi decreti leggi si pongono in rapporto di esclusione (e non di complementarietà od unitarietà), tanto risultando dal R.D.L. n. 2144 del 1936, art. 5 concernente gli Istituti di vigilanza privata, a cui tenore “... il presente decreto non riguarda le guardie particolari giurate destinate da enti pubblici, altri enti collettivi e privati alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari, le quali rimangono sottoposte alle disposizioni del R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952”.<br />Né a diverso avviso può condurre il richiamo, operato dalla parte ricorrente, alle disposizioni del TULPS, bastando all’uopo ricordare che l’art. 133, comma 1, cit., nel prevedere che “enti pubblici, altri enti collettivi e privati” possano avvalersi di guardie particolari per la vigilanza e custodia delle loro proprietà, non dispone in alcun modo sul contenuto del rapporto avente ad oggetto la prestazione di servizi - così sent. n.16101/11, cit. -.<br />D’altra parte, è stato parimenti sottolineato che la diversità di trattamento ai fini fiscale fra guardie giurate particolari ed istituti di vigilanza trova parimenti conferma nel Bollettino delle Commissioni della Camera, relativo ai lavori del 19 gennaio 1983, ove “...risulta che l’intendimento del<br />legislatore era quello di sopprimere totalmente, l’art. 10, n. 26 per eliminare l’esenzione dall’iva delle prestazioni di servizi ivi indicate, ma che, poi, era sembrato “opportuno non gravare” le attività svolte dalle guardie giurate (di cui al decreto 1952/1935), operanti in veste di lavoratori autonomi”)” - cfr. Cass. n. 7811/2000, cit. -.<br />Resta soltanto da dire che la diversità fra il più gravoso trattamento fiscale riservato dall’ordinamento agli istituti di vigilanza, rispetto a quanto previsto per lo svolgimento del medesimo servizio da parte delle guardie particolari giurate, trova piena giustificazione, sotto il profilo della ragionevolezza e della compatibilità con l’art. 53 Cost., con la necessaria presenza, nel primo caso, di un’organizzazione di apprezzabile dimensione economica - cfr. Cass. n. 19489/2004 -.<br />Giuffrè Editore © Copyright Giuffrè 2013. Tutti i diritti riservati<br />3<br /><a href="http://www.fiscopiu.it" title="www.fiscopiu.it" rel="external">www.fiscopiu.it</a><br />Sulla base di tali argomentazioni la censura va disattesa.<br />Passando al secondo motivo di ricorso lo stesso è infondato.<br />Ed invero, è pacifico l’insegnamento di questa Corte nel senso che ricorre il vizio di omessa pronunzia, solo quando il giudice di merito abbia omesso di pronunziarsi sulla domanda ed eccezione proposta da una delle parti, non potendosi qualificare nel vizio di cui all’art. 112 c.p.c. correlato all’art. 360 coma 1 n. 4 c.p.c. - l’omesso esame di argomentazioni giuridiche e difese proposte dalla parte, che potrebbe semmai dare luogo al vizio previsto dall’art. 350, n. 5, cod. proc. civ. - cfr. Cass. n. 6858/2004, Cass. n. 7268/2012, Cass. n. 7871/2012 -.<br />Sulla base di tali argomentazioni il motivo è inammissibile.<br />Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese della parte ricorrente.<br />P.Q.M.<br />La Corte riunisce il procedimento recante il n. 24206/09 a quello recante il n. 24200/09.<br />Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 25.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.<br /><br /><a href="http://fiscopiu.it/sites/default/files/Cass.%20civ%2C%20sentenza%2013%20settembre%202013%2C%20n.%2020979.pdf" title="http://fiscopiu.it/sites/default/files/Cass.%20civ%2C%20sentenza%2013%20settembre%202013%2C%20n.%2020979.pdf" rel="external">http://fiscopiu.it/sites/default/file ... 02013%2C%20n.%2020979.pdf</a>
Mon, 16 Sep 2013 21:31:10 +0200
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Omessa custodia di parti di armi - non è reato [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Omessa custodia di parti di armi - non è reato<br />
Omessa custodia di parti di armi - non è reato<br /><br />Cass. Sez. 1, 21/12/2004 nr. 4659 <br />In forza del principio di tassatività, non è configurabile il reato di inosservanza del dovere di diligenza nella custodia di armi ed esplosivi, previsto dall'art. 20 della legge 18 aprile 1975 n. 110, nella negligente custodia di parte di un'arma (nella specie, caricatori muniti di proiettili).<br /><br />Importante sentenza della Cassazione che stabilisce un principio di assoluta ovvietà. L'importanza consiste nelle ulteriori conclusioni che si possono trarre. Ad esempio per custodire adeguatamente armi non sarà più necessario metterle in grandi armadi blindati, ma sarà sufficiente mettere in una piccola cassafortina una parte essenziale di esse. Infatti un'arma così divisa viene ad essere costituita da due serie di parti autonome, ciascuna non soggetta a particolare diligenza di custodia; vi è solo il dovere di impedirne la riunione in un'arma funzionante. Egualmente chi viaggia portando armi potrà lasciarle in auto o in albergo purché ne asporti una parte essenziale. Non è sufficiente comunque asportare solo il caricatore perché è la parte più facilmente sostituibile; meglio asportare la canna della pistola o la bascula del fucile.<br /><br />Omessa custodia di munizioni - non è reato<br /><br />Cass. Sez. 1, 27-1-2005 nr. 5112 <br />L'omessa custodia di munizioni non rientra nella previsione dell'art. 20, primo comma, della legge n. 110 del 1975, in quanto la condotta punibile deve intendersi riferita solo all'omessa custodia di armi ed esplosivi e non anche delle munizioni. <br /><br />Principio nuovo che dà una soluzione ragionevole al problema, non potendosi equiparare , ai fini della condotta e della pena, una cartuccia da caccia, che talvolta non deve neppure essere essere denunziata, con un chilo di dinamite. Per non custodire bene un chilo di dinamite bisogna essere incoscienti; il ritrovarsi in tasca o in auto una cartuccia che non si sa come ci è arrivata è abbastanza normale.<br /><a href="http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/giurisprudenza.htm#tsn" title="http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/giurisprudenza.htm#tsn" rel="external">http://www.earmi.it/diritto/giurisprudenza/giurisprudenza.htm#tsn</a>
Sat, 14 Sep 2013 22:18:50 +0200
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Infortunio dopo il lavoro? Paga l'Inail [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Infortunio dopo il lavoro? Paga l'Inail<br />
La Suprema Corte di Cassazione - Sezione lavoro, con la sentenza n° 27831 del 2009, ha espresso un importante giudizio in tema di infortunio sul lavoro e di nesso causale esistente tra lo sforzo e l'evento che ha causato l'infortunio. Il caso esaminato dalla Corte ha a oggetto la morte di un lavoratore occorsa dopo la cessazione della prestazione lavorativa ma entro le 24 ore dalla fine del turno lavorativo.<br /><br />In questo caso, secondo i Supremi giudici, non può essere escluso il nesso causale tra lo sforzo legato alla prestazione lavorativa e l'evento che ha causato la morte. Il lavoratore era infatti adibito a un'attività, a parere dei giudici, che richiedeva un intenso dispendio energetico. La morte del lavoratore è quindi riconducibile ad un infortunio lavorativo.<br />Tutto ciò rende quindi legittimo, da parte degli eredi, formulare una richiesta di pagamento di rendita indiretta a carico dell'Inail.<br /><br />La normativa che tutela la sicurezza dei lavoratori, infatti, non deve riguardare esclusivamente sforzi "eccezionali" o lavori che esulino le mansioni previste dal contratto ma anche gli infortuni - o peggio in questo caso la morte - durante lo svolgimento di mansioni tipiche. La sentenza recita:<br />"Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che la causa violenta richiesta dall'art.2 del Dpr n. 1124 del 1965 per l'indennizzabilità dell'infortunio, che agisce dall'esterno verso l'interno dell'organismo del lavoratore è ravvisabile anche in uno sforzo fisico che non esuli dalle condizioni tipiche del lavoro cui l'infortunato sia addetto, purché lo sforzo stesso, ancorché non straordinario o eccezionale, sia diretto a vincere dinamicamente una resistenza, ossia una forza antagonista, peculiare della prestazione di lavoro o del suo ambiente, e abbia determinato, con azione rapida ed intensa, una lesione".<br /><br />La sentenza, inoltre, precisa che "che la predisposizione morbosa del lavoratore non esclude il nesso causale fra lo sforzo fisico (o le situazioni di stress emotivo ed ambientale) e l'evento infortunistico, anche in relazione al principio dell'equivalenza causale di cui all'art.41 cp, che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro, dovendosi riconoscere un ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia e ben potendo, anzi preesistenti fattori patologici rendere più gravose e rischiose per il lavoratore attività in genere non comportanti conseguenze negative, provocando la brusca rottura del preesistente, precario equilibrio organico, con conseguenze invalidanti".<br /><br />(13 gennaio 2010)<br /><a href="http://www.conquistedellavoro.it/cdl/it/Giurisprudenza/Sentenze_lavoro/info-711279957.htm" title="http://www.conquistedellavoro.it/cdl/it/Giurisprudenza/Sentenze_lavoro/info-711279957.htm" rel="external">http://www.conquistedellavoro.it/cdl/ ... lavoro/info-711279957.htm</a>
Sun, 8 Sep 2013 13:02:20 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18836&forum=22
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Cassazione: nullo il licenziamento del dipendente se sono disattesi i criteri contenuti nell'accordo [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: nullo il licenziamento del dipendente se sono disattesi i criteri contenuti nell'accordo<br />
Ai sensi dell'art. 5 della L. 23 luglio 1991, n. 223, la individuazione dei lavoratori da porre in mobilità deve avvenire - nel rispetto delle finalità sottese all'istituto della cassa integrazione - sempre tenendo presente le "esigenze tecnico-produttive ed organizzative" del complesso aziendale. Nello stesso tempo va rimarcato come "la stretta connessione tra l'interesse del singolo lavoratore alla conservazione del posto di lavoro con quello del recupero della produttività delle imprese - da perseguire con ricadute sul piano occupazionale di minore impatto possibile - giustifica il ruolo delle organizzazioni sindacali volto a cercare un equilibrato bilanciamento tra tali distinti interessi".<br /><br />Affermando tali principi la Corte di Cassazione, con sentenza n. 19177 del 19 agosto 2013, ha rigettato il ricorso di una Società avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello aveva osservato che "nel caso di specie l'utilizzo del criterio di individuazione del lavoratore risultava arbitrario ed illegittimo in quanto estraneo al contenuto dell'accordo sindacale.."<br /><br />La Società - si legge nella sentenza - con l'Accordo, dopo aver quantificato il numero dei dipendenti in esubero presso ogni singola unità produttiva, aveva concordato con effetto vincolante quali unici criteri di individuazione dei lavoratori " la maturazione ... del diritto a pensione e la non opposizione a mobilità" ed aveva anche precisato che tali criteri erano "alternativi e sostitutivi" di quelli indicati nell'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991.<br /><br />La Società aveva però disatteso tali criteri nel momento in cui non aveva proceduto ad una comparazione della posizione del lavoratore con quella di altri dipendenti della Società ritenendo che nessuna comparazione era possibile tra tutti i lavoratori aventi diritto alla pensione di anzianità ai fini della determinazione della messa in mobilità, dal momento che la posizione del lavoratore "scelto" era l'unica in esubero nell'area in cui operava.<br />(23/08/2013 - L.S.)<br /><br />Fonte: Cassazione: nullo il licenziamento del dipendente se sono disattesi i criteri contenuti nell'accordo sindacale <br />(StudioCataldi.it)
Sat, 31 Aug 2013 19:51:14 +0200
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Cassazione: l'orario necessario a recarsi sul luogo di lavoro deve essere considerato come tempo di [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18708&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: l'orario necessario a recarsi sul luogo di lavoro deve essere considerato come tempo di<br />
Cassazione: l'orario necessario a recarsi sul luogo di lavoro deve essere considerato come tempo di lavoro se funzionale alla prestazione<br /><br />Fonte: Cassazione: l'orario necessario a recarsi sul luogo di lavoro deve essere considerato come tempo di lavoro se funzionale alla prestazione <br />(StudioCataldi.it) <br /><br /><br />La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18237 del 29 luglio 2013, decidendo in merito all'assoggettamento a contribuzione Inps e premi lnail nella misura del 50% delle somme corrisposte come indennità di trasferta sia ai dipendenti inquadrati nel settore edile, sia ai dipendenti del settore impiantistico metalmeccanico, ha ribadito che "Il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria (e va, quindi, sommato al normale orario di lavoro come straordinario) allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa". La Corte di merito aveva rilevato che la Società esercitava attività di edilizia stradale e che i dipendenti operavano tutti con le stesse modalità, essendo tenuti a svolgere ordinariamente la propria attività fuori sede. Costoro si trovavano ogni mattina presso il deposito automezzi, prelevavano il materiale occorrente e si recavano, con i mezzi aziendali presso i vari cantieri, rientravano quindi nella categoria dei cd. trasfertisti, essendo tenuti a svolgere l'attività lavorativa sempre in luoghi variabili e diversi rispetto alla sede aziendale. Il relativo compenso, secondo il giudice d'Appello, non trattandosi di indennità di trasferta, doveva essere sottoposto a contribuzione nella misura del 50%. La Società proponeva ricorso sostenendo che, secondo la sentenza impugnata, per gli operai tenuti a svolgere l'attività fuori della sede di lavoro non sarebbe mai configurabile l'istituto della trasferta, che invece non potrebbe essere esclusa, invocando le norme di carattere fiscale di cui al TUIR ed alle circolari ministeriali. La Suprema Corte, rigettando tale motivo di ricorso, ritiene che l'unica disposizione applicabile al caso de quo sia il D.lgs. 314/1997 in base al quale le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto a compiere l'attività lavorativa in luoghi sempre diversi, anche se corrisposte con continuità le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare.<br />(02/08/2013 - L.S.)<br /><br />Fonte: Cassazione: l'orario necessario a recarsi sul luogo di lavoro deve essere considerato come tempo di lavoro se funzionale alla prestazione <br />(StudioCataldi.it) <br /><a href="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14042.asp#ixzz2cPc4Uh4O" title="http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_14042.asp#ixzz2cPc4Uh4O" rel="external">http://www.studiocataldi.it/news_giur ... a_14042.asp#ixzz2cPc4Uh4O</a>
Tue, 20 Aug 2013 11:04:32 +0200
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Motivi del licenziamento collettivo [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18693&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Motivi del licenziamento collettivo<br />
Pubblicato in Diritto del lavoro il 30/07/2013<br />Autore: 46354 Staiano Rocchina Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 18094/2013 - 25/7/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br />0 commenti<br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- Stampa Invia<br />Pagina: 1 2 di 2 Dx<br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Questione<br />Il lavoratore ha chiesto al giudice di primo grado che venisse accertata la nullità, l'inefficacia o l'illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società per riduzione di personale, con la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni ex art. 18 legge n. 300/70.<br />Il Tribunale ha accolto la domanda con sentenza che, sull'appello della società, è stata confermata dalla Corte d'appello, che ha ritenuto, per quanto qui interessa, che, pur richiamando i criteri di scelta di cui all'art. 5 della legge n. 223/91, la società, nella comunicazione di chiusura <br /><br /> <br />della procedura, avesse introdotto una rilevante deroga a tali criteri, dando "priorità assoluta" al possesso di uno specifico titolo di studio (laurea in giurisprudenza, scienze politiche, economia e commercio), e adottando così un criterio non previsto dalla legge e tale da consentire di prescindere del tutto dalla posizione in graduatoria e di determinare, appunto "in via di priorità assoluta", i dipendenti da mantenere in servizio nell'ambito di una determinata categoria - la categoria D - del personale amministrativo, alla quale apparteneva pure l'appellato. Peraltro, secondo il giudice del merito, l'illegittimità del licenziamento derivava anche dalla incompletezza e dalla inadeguatezza delle indicazioni contenute nella comunicazione di avvio della procedura, sia in ordine alla impossibilità del ricorso a rimedi alternativi al licenziamento sia in ordine alla compiuta enunciazione delle ragioni che determinavano la situazione di eccedenza.<br />Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società, che è stato rigettato.<br /> <br />2. Licenziamento collettivo: ipotesi e normativa di riferimento<br />Devono essere, in primo luogo, richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza nella Corte nell'interpretazione della L. 223/1991, e successive modificazioni (Legge emanata sullo schema della direttiva Cee 1975/129, così come modificata dalla più recente direttiva 1992/56):<br />a) come precisato da Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455 e dalle conformi decisioni successive, la fattispecie del licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell'operazione imprenditoriale di "riduzione o trasformazione di attività o di lavoro" (art. 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l'altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorchè plurimi, qualora non sia siano presenti i requisiti di rilevanza sociale collegati agli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell'art. 24, comma 1; oppure, indipendentemente dal numero, dalla circostanza che a licenziare sia un'impresa che ha ottenuto l'intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell'art. 4, comma 1);<br />b) la fattispecie di riduzione del personale regolata dalla L. 223/1991 non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell'attività produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l'organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell'azienda (Cass. 27 aprile 1992, n. 5010; 5 maggio 1995, n. 4874; 21 ottobre 1999, n. 117940);<br />c) nel disegno legislativo, la fattispecie di licenziamento collettivo per riduzione di personale è assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale, controllo di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post ed a dimensione individuale, restando escluso che la legittimità del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal giudice (tanto è vero che la riduzione di personale "ingiustificata" non è prevista dalla legge tra i motivi di annullamento dei singolo licenziamento);<br />d) la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell’art. 41, commi 2 e 3, Cost., che l'imprenditore sia vincolato non nell'an della decisione ma soltanto nel quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all'art. 4, che realizza così lo scopo Qui la sentenza n. 18094/2013 - 25/7/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br />0 commenti<br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- Stampa Invia<br />Sx Pagina: 1 2 di 2<br />[...]<br />di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede; l'operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l'organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal "nesso di causalità", ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (arg. ex art. 5, comma 1, primo periodo);<br />e) ai due livelli descritti, l'uno collettivo-procedurale, l'altro individuale-causale, corrisponde l'ambito del controllo giudiziale, cui è estraneo, come <br /><br /> <br />detto, la verifica dell'effettività e ragionevolezza dei motivi che giustificano, nelle enunciazioni dell'imprenditore, la riduzione di personale (cfr. ex plurimis, Cass. 4970/1999; 11455/1999; 2463/2000; 9045/2000; 6385/03; 13182/2003; 9134/2004; 10590/2005; 528/2008), ed il sistema sanzionatorio di cui all'art. 5, cosicchè il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l'inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad un scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall'accordo sindacale (annullamento del licenziamento).<br /> <br /><br />Rocchina Staiano <br />Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35320-motivi-del-licenziamento-collettivo-cass-n-18094-2013?page=2" title="http://www.diritto.it/docs/35320-motivi-del-licenziamento-collettivo-cass-n-18094-2013?page=2" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35320-moti ... -cass-n-18094-2013?page=2</a>
Fri, 16 Aug 2013 19:12:05 +0200
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Cassazione: Guardie giurate private, la regolamentazione italiana blocca la concorrenza Ue Ingiustif [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: Guardie giurate private, la regolamentazione italiana blocca la concorrenza Ue Ingiustif<br />
MERCOLEDÌ 14 AGOSTO 2013<br />Cassazione: Guardie giurate private, la regolamentazione italiana blocca la concorrenza Ue Ingiustificati e troppo restrittivi i requisiti imposti dal Tulps per l'esercizio della professione. Roma condannata per il mancato rispetto dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi<br /><br /><br /><br />Nuova pagina 1<br />Guardie giurate private, la regolamentazione italiana blocca la concorrenza Ue<br />Ingiustificati e troppo restrittivi i requisiti imposti dal Tulps per l'esercizio della professione. Roma condannata per il mancato rispetto dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi<br />SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)<br />13 dicembre 2007 (*)<br />«Inadempimento di uno Stato – Libera prestazione dei servizi – Diritto di stabilimento – Professione di operatore della vigilanza – Servizi di vigilanza privata – Giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana – Autorizzazione prefettizia – Sede operativa – Numero minimo di personale – Versamento di una cauzione – Controllo amministrativo dei prezzi dei servizi forniti»<br />Nella causa C‑465/05,<br />avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 23 dicembre 2005,<br />Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. E. Traversa e dalla sig.ra E. Montaguti, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,<br />ricorrente,<br />contro<br />Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,<br />convenuta,<br />LA CORTE (Seconda Sezione),<br />composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. L. Bay Larsen, K. Schiemann, J. Makarczyk (relatore) e dalla sig.ra C. Toader, giudici,<br />avvocato generale: sig.ra J. Kokott<br />cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale<br />vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 giugno 2007,<br />vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,<br />ha pronunciato la seguente<br />Sentenza<br />1 Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo disposto che:<br />– l’attività di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana;<br />– l’attività di vigilanza privata possa essere esercitata solamente dopo il rilascio di un’autorizzazione del Prefetto;<br />– la suddetta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell’importanza delle imprese di vigilanza già operanti nel medesimo territorio;<br />– le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attività;<br />– il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza;<br />– le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate;<br />– le imprese di vigilanza privata debbano versare una cauzione presso la locale Cassa depositi e prestiti;<br />– i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine d’oscillazione,<br />è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE.<br /> Contesto normativo<br />2 L’art. 134 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), così come modificato (in prosieguo: «il Testo Unico»), recita:<br />«Senza licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati.<br />Salvo il disposto dell’art. 11, la licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell’Unione europea o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo.<br />I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani.<br />La licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale».<br />3 Ai sensi dell’art. 135, dal quarto al sesto comma, del Testo Unico:<br />«I direttori suindicati devono (…) tenere nei locali del loro ufficio permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.<br />Essi non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa o compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia, proveniente dall’amministrazione dello Stato.<br />La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto».<br />4 Ai sensi del secondo comma dell’art. 136 del Testo Unico, la licenza può essere negata in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti.<br />5 L’art. 137 del Testo Unico prevede quanto segue:<br />«Il rilascio della licenza è subordinato al versamento nella Cassa depositi e prestiti di una cauzione nella misura da stabilirsi dal Prefetto.<br />(…)<br />Il Prefetto, nel caso di inosservanza, dispone con decreto che la cauzione, in tutto o in parte, sia devoluta all’erario dello Stato.<br />(…)».<br />6 L’art. 138 del Testo Unico è così formulato:<br />«Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti:<br />1° essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea;<br />2° avere raggiunto la maggiore età ed avere adempiuto agli obblighi di leva;<br />3° sapere leggere e scrivere;<br />4° non avere riportato condanna per delitto;<br />5° essere persona di ottima condotta politica e morale;<br />6° essere munito della carta di identità;<br />7° essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro.<br />La nomina delle guardie particolari deve essere approvata dal prefetto.<br />Le guardie particolari giurate, cittadini di Stati membri dell’Unione europea, possono conseguire la licenza di porto d’armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di cui al D.M. 30 ottobre 1996, n. 635 del Ministro dell’interno (…)».<br />7 L’art. 250 del Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante regolamento per l’esecuzione del Testo Unico, così come modificato dall’art. 5 della legge 23 dicembre 1946, n. 478 (in prosieguo: il «regolamento di esecuzione»), dispone quanto segue:<br />«Constatato il possesso dei requisiti prescritti dall’art. 138 della legge, il Prefetto rilascia alle guardie particolari il decreto di approvazione.<br />Ottenuta l’approvazione, le guardie particolari prestano innanzi al Pretore giuramento con la seguente formula:<br />“Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana ed al suo Capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere le funzioni affidatemi con coscienza e diligenza e con l’unico intento di perseguire il pubblico interesse”.<br />Il Pretore attesta, in calce al decreto del Prefetto, del prestato giuramento.<br />La guardia particolare è ammessa all’esercizio delle sue funzioni dopo la prestazione del giuramento».<br />8 L’art. 252 del regolamento di esecuzione stabilisce che:<br />«Salvo quanto disposto da leggi speciali, quando i beni, che le guardie particolari sono chiamate a custodire, siano posti nel territorio di province diverse, è necessario il decreto di approvazione da parte del Prefetto di ciascuna provincia.<br />Il giuramento è prestato presso uno dei Pretori, nei cui mandamenti siano i beni da custodire».<br />9 L’art. 257 dello stesso regolamento così prevede:<br />«La domanda per ottenere la licenza prescritta dall’art. 134 della legge deve contenere l’indicazione del Comune o dei Comuni in cui l’istituto intende svolgere la propria azione, della tariffa per le operazioni singole o per l’abbonamento, dell’organico delle guardie adibitevi, delle mercedi a queste assegnate, del turno di riposo settimanale, dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia, dell’orario e di tutte le modalità con cui il servizio deve essere eseguito.<br />Alla domanda deve essere allegato il documento comprovante l’assicurazione delle guardie, tanto per gli infortuni sul lavoro che per l’invalidità e la vecchiaia.<br />Se trattasi di istituto che intende eseguire investigazioni o ricerche per conto di privati, occorre specificare, nella domanda, anche le operazioni all’esercizio delle quali si chiede di essere autorizzati, ed allegare i documenti comprovanti la propria idoneità.<br />L’atto di autorizzazione deve contenere le indicazioni prescritte per la domanda e l’approvazione delle tariffe, dell’organico, delle mercedi, dell’orario e dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia.<br />Ogni variazione o modificazione nel funzionamento dell’istituto deve essere autorizzata dal Prefetto».<br />10 Per quanto riguarda gli atti amministrativi adottati in applicazione della normativa nazionale, si deve rilevare che numerose autorizzazioni dei Prefetti all’esercizio di attività di vigilanza privata stabiliscono che le imprese del ramo debbano avere un numero minimo e/o massimo di dipendenti.<br />11 Peraltro, da una circolare del Ministero dell’Interno risulta che le imprese non possono esercitare le loro attività al di fuori della giurisdizione di competenza della Prefettura che ha emesso il provvedimento autorizzatorio.<br /> Fase precontenziosa del procedimento<br />12 Con lettera di costituzione in mora del 5 aprile 2002 la Commissione ha intimato alla Repubblica italiana di presentare le proprie osservazioni sulla compatibilità della normativa nazionale di cui trattasi con libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento.<br />13 In seguito alle risposte fornite dalla Repubblica italiana il 6 giugno 2002, la Commissione ha inviato a detto Stato membro un parere motivato il 14 dicembre 2004, invitandolo ad adottare le misure necessarie per conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica. Una proroga di tale termine, richiesta dalla Repubblica italiana, è stata rifiutata dalla Commissione.<br />14 La Commissione, non soddisfatta delle risposte fornite dalla Repubblica italiana, ha deciso di proporre il presente ricorso.<br /> Sul ricorso<br />15 A sostegno del suo ricorso, la Commissione deduce otto censure relative, in sostanza, ai requisiti stabiliti dalla normativa italiana per l’esercizio di un’attività di vigilanza privata in Italia.<br />16 In via preliminare, occorre ricordare che, se è pur vero che, in un settore non assoggettato ad un’armonizzazione completa a livello comunitario, come accade nel caso dei servizi di vigilanza privata, come del resto ammesso sia dalla Repubblica italiana sia dalla Commissione in udienza, gli Stati membri restano, in linea di principio, competenti a definire le condizioni di esercizio delle attività nel detto settore, ciò non toglie che essi devono esercitare i loro poteri nel settore medesimo nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE (v., in particolare, sentenze 26 gennaio 2006, causa C‑514/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑963, punto 23, e 14 dicembre 2006).<br />17 A tale riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte, gli artt. 43 CE e 49 CE impongono l’abolizione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Devono essere considerate come tali tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio di tali libertà (v. sentenze 15 gennaio 2002, causa C‑439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑305, punto 22; 5 ottobre 2004, causa C‑442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I‑8961, punto 11; 30 marzo 2006, causa C‑451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, Racc. pag. I‑2941, punto 31, e 26 ottobre 2006, causa C‑65/05, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑10341, punto 48).<br />18 La Corte ha anche dichiarato che i provvedimenti nazionali restrittivi dell’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni per poter risultare giustificati: applicarsi in modo non discriminatorio, rispondere a motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (v. sentenze 4 luglio 2000, causa C‑424/97, Haim, Racc. pag. I‑5123, punto 57 e giurisprudenza ivi citata, nonché Commissione/Grecia, cit., punto 49).<br />19 Alla luce di tali principi si deve procedere all’esame delle censure presentate dalla Commissione.<br /> Sulla prima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell’obbligo di prestare giuramento<br /> Argomenti delle parti<br />20 La Commissione fa valere che l’obbligo per le guardie particolari di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, di cui all’art. 250 del regolamento di esecuzione, indirettamente basato sulla cittadinanza, costituirebbe, per gli operatori di altri Stati membri attivi nell’ambito della vigilanza privata, un ostacolo ingiustificato tanto all’esercizio del diritto di stabilimento quanto alla libera prestazione dei servizi.<br />21 Peraltro, secondo la Commissione, l’obbligo in parola non può essere considerato giustificato e proporzionato rispetto allo scopo perseguito, ossia, assicurare una migliore tutela dell’ordine pubblico.<br />22 La Repubblica italiana afferma che le attività di cui è causa, considerate dal Testo Unico, implicherebbero l’esercizio di pubblici poteri ai sensi degli artt. 45 CE e 55 CE e, di conseguenza, non rientrerebbero nel campo di applicazione delle disposizioni dei capi 2 e 3, titolo III, parte terza, del Trattato.<br />23 La Repubblica italiana sostiene, quindi, che le imprese attive nel settore della vigilanza privata partecipano, in numerosi casi, in modo diretto e specifico all’esercizio di pubblici poteri.<br />24 Essa fa valere, a tal proposito, che dette attività di vigilanza forniscono, per loro natura, un contributo rilevante alla sicurezza pubblica, ad esempio per quanto riguarda la vigilanza armata presso istituti di credito e la scorta di furgoni per il trasporto valori.<br />25 Lo Stato membro di cui trattasi sottolinea altresì che i verbali redatti dalle guardie particolari giurate nello svolgimento delle loro attività hanno un valore probatorio privilegiato rispetto a quello delle dichiarazioni di privati cittadini. Esso aggiunge che le guardie in parola possono procedere ad arresti in flagranza di reato.<br />26 In risposta a siffatta argomentazione, la Commissione sostiene che gli artt. 45 CE e 55 CE, in quanto disposizioni che derogano a libertà fondamentali, devono essere interpretati in maniera restrittiva, conformemente alla giurisprudenza della Corte.<br />27 Peraltro, secondo la Commissione, gli elementi prospettati dalla Repubblica italiana non sarebbero idonei a giustificare un’analisi diversa da quella che ha indotto la Corte a dichiarare, in modo costante, che le attività di sorveglianza o di vigilanza privata non costituiscono di regola una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri.<br />28 Indipendentemente dal richiamo dell’applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, la Repubblica italiana fa valere i seguenti motivi di difesa.<br />29 Essa sostiene che la Commissione potrebbe muovere critiche all’obbligo di prestare giuramento solo relativamente alle limitazioni che da questo obbligo deriverebbero per la libera circolazione dei lavoratori e non in base agli artt. 43 CE e 49 CE, dal momento che le guardie particolari devono necessariamente essere lavoratori subordinati.<br />30 Inoltre, essa fa valere che la prestazione di giuramento, che non costituisce un’operazione obiettivamente gravosa, garantisce il corretto esercizio delle delicate funzioni che le guardie sono chiamate a prestare in materia di sicurezza e che sono disciplinate da leggi dello Stato a carattere imperativo, sottolineando quindi il legame di causa ad effetto che sussisterebbe fra il giuramento ed il rafforzamento della tutela preventiva dell’ordine pubblico.<br /> Giudizio della Corte<br />31 Considerate le conseguenze derivanti dall’applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, occorre innanzitutto verificare se tali disposizioni siano effettivamente da applicare nel caso di specie.<br />32 Dalla giurisprudenza della Corte emerge che la deroga di cui agli artt. 45, primo comma, CE e 55 CE va limitata alle attività che, considerate di per sé, costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri (v. sentenze 29 ottobre 1998, causa C‑114/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑6717, punto 35; 9 marzo 2000, causa C‑355/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑1221, punto 25, e 31 maggio 2001, causa C‑283/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4363, punto 20).<br />33 La Corte ha anche dichiarato che l’attività delle imprese di sorveglianza o di vigilanza privata non costituisce di regola una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri (v. citate sentenze Commissione/Belgio, punto 26, e 31 maggio 2001, Commissione/Italia, punto 20).<br />34 Peraltro, al punto 22 della sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia, cit., la Corte ha dichiarato che la deroga prevista dall’art. 55, primo comma, del Trattato CE (divenuto art. 45, primo comma, CE) non si applicava nel caso di specie.<br />35 Occorre, pertanto, accertare se gli elementi presentati dalla Repubblica italiana nel ricorso in questione, alla luce della formulazione attuale del Testo Unico e del regolamento di esecuzione, possano indurre ad una valutazione della situazione in Italia diversa rispetto a quelle all’origine della giurisprudenza citata ai punti 33 e 34 della presente sentenza.<br />36 Secondo l’art. 134 del Testo Unico, i soggetti operanti nell’ambito della vigilanza privata si occupano, in linea di principio, di attività di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari, di investigazioni o ricerche per conto di privati.<br />37 Anche se le imprese di vigilanza privata possono, come confermato dalla Repubblica italiana all’udienza, in determinate circostanze e in via eccezionale, prestare assistenza agli agenti di pubblica sicurezza, ad esempio nel settore dei trasporti di valori o partecipando alla sorveglianza di taluni luoghi pubblici, detto Stato membro non ha dimostrato che in tali circostanze si tratti di esercizio di pubblici poteri.<br />38 La Corte, del resto, ha già dichiarato che il mero contributo al mantenimento della pubblica sicurezza, che chiunque può essere chiamato a offrire, non costituisce un tale esercizio (v. sentenza 29 ottobre 1998, Commissione/Spagna, cit., punto 37).<br />39 Peraltro, l’art. 134 del Testo Unico pone un limite severo all’esercizio delle attività di sorveglianza, e cioè che queste ultime non possono mai comportare l’esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale. Le imprese di vigilanza privata non hanno dunque alcun potere coercitivo.<br />40 Pertanto, la Repubblica italiana non può validamente sostenere che le imprese di vigilanza privata, nell’ambito delle loro attività, effettuino operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico, assimilabili ad un esercizio di pubblici poteri.<br />41 Inoltre, per quanto riguarda l’argomento relativo al valore probatorio dei verbali redatti dalle guardie particolari giurate, si deve rilevare che, come riconosciuto, del resto, dalla Repubblica italiana stessa, tali verbali non fanno pienamente fede, diversamente da quelli redatti nell’esercizio di pubbliche funzioni, segnatamente dagli agenti della polizia giudiziaria.<br />42 Infine, relativamente all’argomento attinente alla possibilità, per le guardie particolari giurate, di procedere ad arresti in flagranza di reato, esso era stato già avanzato dalla Repubblica italiana nella causa all’origine della citata sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia. In tale occasione, la Corte, al punto 21 della sentenza pronunciata in detta causa, ha dichiarato che nella fattispecie in esame le guardie non avevano un potere maggiore di qualsiasi altro individuo. Questa conclusione va confermata nell’ambito del presente ricorso.<br />43 Da quanto precede risulta che in Italia, allo stato della normativa vigente, le imprese di vigilanza privata non partecipano in maniera diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, in quanto le attività di vigilanza privata che esse svolgono non possono essere equiparate ai compiti attribuiti alla competenza dei servizi di pubblica sicurezza.<br />44 Pertanto, le deroghe di cui agli artt 45 CE e 55 CE non sono applicabili nel caso di specie.<br />45 Per quanto concerne, poi, specificamente i requisiti di cui all’art. 250 del regolamento di esecuzione, dalla normativa italiana risulta che, per fornire servizi di vigilanza privata, le imprese possono impiegare unicamente guardie che abbiano prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, dinanzi al Prefetto, in italiano.<br />46 A tale proposito, benché tale norma si applichi in modo identico sia agli operatori stabiliti in Italia sia a quelli provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attività nel territorio italiano, essa ciò non di meno costituisce per qualsiasi operatore non stabilito in Italia un ostacolo all’esercizio della sua attività in questo Stato membro che pregiudica il suo accesso al mercato.<br />47 Infatti, rispetto agli operatori provenienti da altri Stati membri che intendono svolgere la loro attività in Italia, quelli insediati in una provincia italiana possono disporre con maggiore facilità di personale che accetti di prestare il giuramento richiesto dalla normativa italiana. È quindi palese che siffatta promessa solenne di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, data la sua portata simbolica, sarà pronunciata più agevolmente da cittadini di tale Stato membro o da soggetti già stabiliti in detto Stato. Di conseguenza, gli operatori stranieri sono posti in una situazione svantaggiosa rispetto agli operatori italiani insediati in Italia.<br />48 Pertanto, il giuramento controverso, così imposto ai dipendenti delle imprese di vigilanza privata, costituisce, per gli operatori non stabiliti in Italia, un ostacolo alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.<br />49 Per quanto riguarda il motivo dedotto in subordine dalla Repubblica italiana per giustificare l’ostacolo così constatato alle libertà garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE e relativo alla tutela dell’ordine pubblico, si deve ricordare che la nozione di ordine pubblico può essere richiamata in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività. Come tutte le deroghe ad un principio fondamentale del Trattato, l’eccezione di ordine pubblico va interpretata in modo restrittivo (v. sentenza Commissione/Belgio, cit., punto 28 e giurisprudenza ivi citata).<br />50 Orbene, non si può ritenere che le imprese di vigilanza privata stabilite in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potrebbero realizzare, esercitando il loro diritto alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi e assumendo personale che non ha prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, una minaccia effettiva e grave ad un interesse fondamentale della collettività.<br />51 Da quanto precede emerge che il requisito del giuramento che risulta dalla normativa italiana è contrario agli artt. 43 CE e 49 CE.<br />52 La prima censura dedotta dalla Commissione a sostegno del suo ricorso è quindi fondata.<br /> Sulla seconda censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’obbligo di detenere una licenza con validità territoriale<br /> Argomenti delle parti<br />53 Secondo la Commissione, l’obbligo di ottenere una previa autorizzazione valida su una data parte del territorio italiano, di cui all’art. 134 del Testo Unico, per mere prestazioni occasionali di servizi di vigilanza privata, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE.<br />54 Siffatte restrizioni sono giustificabili soltanto nella misura in cui esse rispondano a motivi imperativi di interesse generale e, in particolare, tale interesse generale non sia garantito dagli obblighi cui il prestatore di servizi è già soggetto nello Stato membro in cui è stabilito.<br />55 La Repubblica italiana fa valere, in via principale, l’applicazione delle deroghe di cui agli artt. 45 CE e 55 CE.<br />56 In subordine, essa sostiene che, dal momento che il settore dell’attività in questione non è armonizzato e non vige in esso alcun regime di mutuo riconoscimento, persiste il potere dell’amministrazione dello Stato membro ospitante di sottoporre ad autorizzazione interna i soggetti provenienti da altri Stati membri.<br />57 Infine, la Repubblica italiana aggiunge che, in ogni caso, per valutare se l’autorizzazione possa essere concessa, l’amministrazione competente tiene conto, nella sua prassi, degli obblighi cui i prestatori sono già soggetti nello Stato di origine.<br /> Giudizio della Corte<br />58 Secondo una giurisprudenza costante, una normativa nazionale che subordina l’esercizio di talune prestazioni di servizi sul territorio nazionale, da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro, al rilascio di un’autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE (v., in particolare, sentenze 9 agosto 1994, causa C‑43/93, Vander Elst, Racc. pag. I‑3803, punto 15; Commissione/Belgio, cit., punto 35; 7 ottobre 2004, causa C‑189/03, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑9289, punto 17, e 18 luglio 2007, causa C‑134/05, Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).<br />59 Inoltre, la limitazione dell’ambito di applicazione territoriale dell’autorizzazione che obbliga il prestatore, ai sensi dell’art. 136 del Testo Unico, a chiedere un’autorizzazione in ognuna delle province ove intende esercitare la sua attività, tenendo presente la suddivisione dell’Italia in 103 province, rende ancora più complicato l’esercizio della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza 21 marzo 2002, causa C‑298/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3129, punto 64).<br />60 Pertanto, una normativa quale quella in discussione nella presente causa è contraria, in via di principio, all’art. 49 CE e, di conseguenza, vietata da tale articolo, salvo essa sia giustificata da motivi imperativi d’interesse generale e a condizione, peraltro, di essere proporzionata rispetto allo scopo perseguito (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 24).<br />61 Occorre in primo luogo rilevare che il requisito di un’autorizzazione amministrativa o di una licenza preventive per l’esercizio di un’attività di vigilanza privata appare in sé idoneo a rispondere all’esigenza di tutela dell’ordine pubblico, tenuto conto della natura specifica dell’attività di cui trattasi.<br />62 Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, una restrizione può essere giustificata solo qualora l’interesse generale dedotto non sia già tutelato dalle norme cui il prestatore è assoggettato nello Stato membro in cui è stabilito (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 43).<br />63 Non si può dunque considerare necessaria per raggiungere lo scopo perseguito una misura adottata da uno Stato membro la quale, in sostanza, si sovrappone ai controlli già effettuati nello Stato membro in cui il prestatore è stabilito.<br />64 Nel caso di specie, la normativa italiana, non prevedendo che, ai fini del rilascio di una licenza, si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore di servizi transfrontaliero è già assoggettato nello Stato membro nel quale è stabilito, eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito dal legislatore nazionale, che è quello di garantire uno stretto controllo sulle attività di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 38; 29 aprile 2004, causa C‑171/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑5645, punto 60; Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 18, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit. supra, punto 25).<br />65 Quanto all’argomento della Repubblica italiana secondo cui vigerebbe una prassi amministrativa applicando la quale, al momento della decisione circa le richieste di autorizzazione, l’autorità competente terrebbe conto degli obblighi posti dallo Stato membro di origine, si deve rilevare che non è stata fornita prova di tale prassi. In ogni caso, per giurisprudenza costante, semplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dall’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non possono essere considerate valido adempimento degli obblighi del Trattato (v., in particolare, sentenza Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 19).<br />66 Infine, come osservato al punto 44 della presente sentenza, le deroghe di cui agli artt. 45 CE e 55 CE non sono applicabili nella fattispecie in esame.<br />67 Pertanto, la seconda censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’obbligo di licenza con validità territoriale, è fondata, mancando nella normativa italiana una disposizione che imponga espressamente di prendere in considerazione i requisiti previsti nello Stato membro di stabilimento.<br /> Sulla terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialità della licenza e della rilevanza, ai fini del rilascio di tale licenza, del numero e dell’importanza delle imprese già operanti nel medesimo territorio<br />68 Come osservato al punto 59 della presente sentenza, dall’art. 136 del Testo Unico risulta che il fatto di disporre di una licenza consente di esercitare l’attività di vigilanza privata solo nel territorio per il quale essa è stata rilasciata.<br />69 Spetta peraltro al Prefetto valutare l’opportunità di rilasciare le licenze in considerazione del numero e dell’importanza delle imprese già attive nel territorio interessato.<br /> Argomenti delle parti<br />70 Secondo la Commissione le disposizioni in parola rappresentano una restrizione ingiustificata e sproporzionata della libertà di stabilimento e, per il fatto stesso della licenza, della libera prestazione dei servizi.<br />71 Inoltre, essa sottolinea che il Prefetto, nel valutare il rischio per l’ordine pubblico costituito dalla presenza di un numero eccessivo di imprese attive nel settore della vigilanza privata su un dato territorio, determinerebbe une situazione di incertezza giuridica per gli operatori provenienti da un altro Stato membro, aggiungendo che non è stata peraltro fornita la prova di una minaccia grave ed effettiva all’ordine e alla sicurezza pubblica.<br />72 La Repubblica italiana afferma che tale limitazione territoriale non è contraria all’art. 43 CE e che essa è direttamente connessa alla valutazione relativa alla tutela dell’ordine pubblico cui il Prefetto subordina il rilascio della licenza. Detta valutazione si fonderebbe necessariamente su circostanze di natura puramente territoriale, come la conoscenza della criminalità organizzata su un dato territorio.<br />73 Essa fa infine valere che è opportuno vegliare a che tali imprese di vigilanza privata non si sostituiscano alla pubblica autorità.<br /> Giudizio della Corte<br />74 La Repubblica italiana non contesta il fatto che la limitazione territoriale della licenza costituisca una restrizione sia alla libertà di stabilimento sia alla libera prestazione dei servizi, ai sensi della giurisprudenza della Corte citata al punto 17 della presente sentenza. In via principale, a sua difesa, essa richiama la tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, sottolineando, a tale riguardo, che l’attività di vigilanza privata deve svolgersi al riparo da infiltrazioni criminali di stampo locale.<br />75 Per quanto riguarda i motivi di ordine pubblico fatti valere dalla Repubblica italiana per giustificare siffatta restrizione, e alla luce della giurisprudenza costante della Corte quale ricordata al punto 49 della presente sentenza, anche ammettendo che il rischio di infiltrazioni di dette organizzazioni possa essere ritenuto esistente, la Repubblica italiana non asserisce né dimostra che il sistema delle licenze territoriali sarebbe l’unico idoneo ad eliminare tale rischio ed a garantire il mantenimento dell’ordine pubblico.<br />76 La Repubblica italiana non ha dimostrato che, al fine di non pregiudicare l’attuazione di un efficace controllo dell’attività di vigilanza privata, sia necessario rilasciare un’autorizzazione per ogni ambito territoriale provinciale in cui un’impresa di un altro Stato membro intende svolgere l’attività di cui trattasi a titolo della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi; va tenuto presente al riguardo che l’attività in parola, di per sé, non è tale da creare turbative per l’ordine pubblico.<br />77 A questo proposito, misure meno restrittive di quelle adottate dalla Repubblica italiana, ad esempio l’introduzione di controlli amministrativi regolari, potrebbero, in aggiunta al requisito di un’autorizzazione preventiva non limitata territorialmente, assicurare un risultato analogo e garantire il controllo dell’attività di vigilanza privata, in quanto l’autorizzazione in questione potrebbe essere del resto sospesa o revocata in caso di inadempienza degli obblighi incombenti alle imprese di vigilanza privata o di turbative all’ordine pubblico.<br />78 Infine, non può essere accolto nemmeno l’argomento secondo cui sarebbe necessario non consentire ad un numero eccessivo di imprese straniere di stabilirsi per esercitare attività di vigilanza privata o di offrire i loro servizi sul mercato italiano della vigilanza privata affinché dette imprese non si sostituiscano all’autorità di pubblica sicurezza, segnatamente in mancanza di identità fra l’attività di cui è causa e quella rientrante nell’esercizio di pubblici poteri, come esposto al punto 40 della presente sentenza.<br />79 Di conseguenza, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi che risultano dalla normativa controversa non sono giustificate.<br />80 Pertanto, la terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialità della licenza, è fondata.<br /> Sulla quarta censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’obbligo di avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l’attività di vigilanza privata<br />81 Dall’applicazione del Testo Unico e del regolamento di esecuzione risulta che le imprese di vigilanza privata sono tenute ad avere una sede operativa in ogni provincia in cui intendono esercitare la loro attività.<br /> Argomenti delle parti<br />82 La Commissione sostiene che l’obbligo menzionato è una restrizione alla libera prestazione dei servizi non giustificata da alcuna ragione imperativa di interesse generale.<br />83 La Repubblica italiana, che non contesta la prassi prefettizia in questione né la restrizione alla libera prestazione dei servizi che essa comporta, fa valere che l’obbligo di disporre di una tale sede operativa o di locali è diretto ad assicurare, in particolare, un ragionevole livello di prossimità fra l’area di operatività delle guardie particolari giurate e l’esercizio delle responsabilità direttive, di comando e controllo del titolare della licenza.<br /> Giudizio della Corte<br />84 Occorre, innanzi tutto, ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la condizione in base alla quale un’impresa di sorveglianza deve avere la sua sede di attività nello Stato membro in cui è fornito il servizio è direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri (v., in particolare, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 27, nonché 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 43 e giurisprudenza ivi citata).<br />85 È pacifico che la prassi di cui trattasi nella fattispecie costituisce un ostacolo, in via di principio vietato, alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE, come del resto ammesso dalla la Repubblica italiana.<br />86 Orbene, una tale restrizione alla libera prestazione dei servizi non può ritenersi giustificata, qualora non siano soddisfatte le condizioni ricordate al punto 18 della presente sentenza, e ciò in quanto la condizione relativa alla sede operativa eccede quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che è quello di assicurare un efficace controllo dell’attività di vigilanza privata.<br />87 Il controllo dell’attività di vigilanza privata, infatti, non è assolutamente condizionato dall’esistenza di una sede operativa in ogni provincia di detto Stato nell’ambito della quale le imprese intendono esercitare la loro attività a titolo della libera prestazione dei servizi. Un regime di autorizzazioni e gli obblighi che ne discendono, purché, come osservato al punto 62 della presente sentenza, le condizioni da rispettare per ottenere tale autorizzazione non si sovrappongano alle condizioni equivalenti già soddisfatte dal prestatore di servizi transfrontaliero nello Stato membro di stabilimento, sono sotto quest’aspetto sufficienti per conseguire lo scopo di controllo dell’attività di vigilanza privata (v., in tal senso, sentenza 11 marzo 2004, causa C‑496/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑2351, punto 71).<br />88 Si deve quindi constatare che, obbligando i prestatori di servizi ad avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l’attività di vigilanza privata, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art. 49 CE.<br />89 Di conseguenza, la quarta censura dev’essere accolta.<br /> Sulla quinta censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’esigenza di autorizzazione del personale delle imprese di vigilanza privata<br />90 In applicazione dell’art. 138 del Testo Unico, l’esercizio dell’attività di guardia particolare giurata è soggetto ad un certo numero di requisiti. Peraltro, la nomina delle guardie giurate dev’essere approvata dal Prefetto.<br /> Argomenti delle parti<br />91 Secondo la Commissione, l’instaurazione di tale autorizzazione per il personale delle imprese di vigilanza privata insediate in altri Stati membri è contraria all’art. 49 CE poiché la legislazione nazionale non tiene conto dei controlli ai quali ogni guardia particolare giurata è soggetta nello Stato membro d’origine.<br />92 La Repubblica italiana afferma che tale censura dovrebbe essere esaminata solo sotto il profilo della libera circolazione dei lavoratori. Inoltre, essa ribadisce la difesa già prospettata in base all’art. 55 CE relativamente alla partecipazione degli interessati all’esercizio di pubblici poteri.<br /> Giudizio della Corte<br />93 La Corte ha già dichiarato che il requisito secondo il quale gli appartenenti al personale di un’impresa di vigilanza privata devono ottenere una nuova autorizzazione specifica nello Stato membro ospitante costituisce una restrizione non giustificata alla libera prestazione dei servizi di tali imprese ai sensi dell’art. 49 CE, in quanto non tiene conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine (citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 66; Commissione/Paesi Bassi, punto 30, e 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, punto 55).<br />94 Orbene, ciò si verifica nel caso del Testo Unico. Pertanto, dal momento che l’argomento della Repubblica italiana relativo all’applicazione dell’art. 55 CE non è pertinente, come già dimostrato in precedenza, anche la quinta censura è fondata.<br /> Sulla sesta censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della fissazione di requisiti relativi al numero dei dipendenti<br /> Argomenti delle parti<br />95 Secondo la Commissione, l’art. 257 del regolamento di esecuzione prevede il requisito di un numero minimo e/o massimo come organico di guardie particolari giurate per ogni impresa di vigilanza privata.<br />96 Essa cita, peraltro, tre autorizzazioni prefettizie, rilasciate da Prefetti di province diverse, in cui è menzionato il numero di guardie particolari assunte da imprese di vigilanza privata.<br />97 La Commissione ritiene che sulla gestione delle imprese di vigilanza gravi un vincolo assai pesante, poiché, da un lato, il numero esatto dei dipendenti impiegati in ciascuna sede provinciale è un elemento indefettibile della domanda di licenza e, dall’altro, ogni modifica dell’organico del personale dipendente deve essere autorizzata dal Prefetto. Un obbligo siffatto costituirebbe un ostacolo ingiustificato e sproporzionato sia all’esercizio del diritto di stabilimento sia alla libera prestazione dei servizi.<br />98 La Repubblica italiana fa valere che l’unico obbligo imposto dalla lettera della legge riguarda la necessità di comunicare al Prefetto la composizione dell’organico del personale dipendente, al fine di porre l’autorità di pubblica sicurezza in condizione di sapere quante persone in armi prestano servizio in un dato territorio, e ciò per l’espletamento dei necessari controlli.<br />99 Essa aggiunge che le autorizzazioni prefettizie, citate a titolo esemplificativo dalla Commissione, considerano solamente i dipendenti dichiarati dai responsabili stessi delle imprese di vigilanza privata e, di per sé, non impongono alcun obbligo.<br /> Giudizio della Corte<br />100 È pacifico che, in applicazione dell’art. 257 del regolamento di esecuzione, qualsiasi variazione o modifica nel funzionamento dell’impresa, segnatamente una modifica del numero delle [32703mguardie impiegate, deve essere comunicata al Prefetto e da questo autorizzata. L’autorizzazione prefettizia necessaria per l’esercizio dell’attività di vigilanza privata viene quindi concessa tenuto conto, in particolare, dell’organico del personale dipendente.<br />101 Una tale condizione può indirettamente indurre a vietare un aumento o una diminuzione del numero di persone assunte dalle imprese di vigilanza privata.<br />102 Detta circostanza è tale da incidere sull’accesso degli operatori stranieri al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata. Tenuto conto, infatti, delle limitazioni così imposte al potere di organizzazione e direzione dell’operatore economico e delle relative conseguenze in termini di costi, le imprese straniere di vigilanza privata possono essere dissuase dal costituire stabilimenti secondari o filiali in Italia o dall’offrire i loro servizi sul mercato italiano.<br />103 Per quanto riguarda il motivo dedotto dalla Repubblica italiana per giustificare l’ostacolo alle libertà garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE, è giocoforza constatare che l’obbligo di assoggettare ad autorizzazione del Prefetto qualsiasi modifica nel funzionamento dell’impresa non può essere immediatamente qualificato inidoneo a conseguire lo scopo ad esso attribuito di realizzare un controllo efficace sull’attività di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 59).<br />104 Tuttavia, la Repubblica italiana non ha sufficientemente dimostrato in diritto che il controllo della fissazione del numero dei dipendenti richiesto dalla legislazione in vigore è necessario per raggiungere lo scopo perseguito.<br />105 Di conseguenza la sesta censura dev’essere accolta.<br /> Sulla settima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell’obbligo di versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti<br />106 Ai sensi dell’art. 137 del Testo Unico, le imprese di vigilanza privata sono tenute a versare una cauzione, nella misura da stabilirsi dal Prefetto, presso la sezione della Tesoreria provinciale dello Stato, a favore della Cassa depositi e prestiti, in ciascuna provincia in cui sono autorizzate ad esercitare la loro attività. Detta cauzione è diretta a garantire il pagamento di eventuali sanzioni amministrative in caso di inosservanza delle condizioni che disciplinano il rilascio della licenza.<br /> Argomenti delle parti<br />107 Secondo la Commissione, tale requisito impone un onere economico supplementare alle imprese che non hanno la loro sede principale in Italia, in quanto la norma di legge italiana non tiene conto dell’eventuale identico obbligo che può già esistere nello Stato membro di origine.<br />108 La Repubblica italiana osserva che, non essendo l’attività di vigilanza privata soggetta ad armonizzazione comunitaria, non si può che tener conto caso per caso della possibilità che l’impresa stabilita in altro Stato membro abbia già potuto prestare nello Stato membro di origine idonee garanzie presso istituti di credito analoghi alla Cassa depositi e prestiti italiana.<br /> Giudizio della Corte<br />109 La Corte ha già dichiarato, in materia di vigilanza privata, che l’obbligo di provvedere ad un deposito cauzionale presso una cassa depositi e prestiti può ostacolare o scoraggiare l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE, nella misura in cui essa rende la fornitura di prestazioni di servizi o la costituzione di una filiale o di uno stabilimento secondario più onerosa per le imprese di vigilanza privata stabilite in altri Stati membri rispetto a quelle stabilite nello Stato membro di destinazione (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 41).<br />110 Si deve osservare che, nel caso di specie, l’obbligo di versare una cauzione va adempiuto in ciascuna delle province in cui l’impresa intende esercitare la sua attività.<br />111 Una restrizione siffatta può essere giustificata solo in quanto l’interesse generale dedotto, vale a dire porre a disposizione delle autorità italiane somme che garantiscano l’assolvimento di tutti gli obblighi di diritto pubblico sanciti dalla dalla normativa nazionale vigente, non sia già tutelato dalle norme cui il prestatore è assoggettato nello Stato membro in cui è stabilito.<br />112 A tale riguardo, la normativa italiana richiede il deposito di cauzioni senza tenere conto di eventuali garanzie già prestate nello Stato membro di origine.<br />113 Orbene, dalle osservazioni della Repubblica italiana risulta che le autorità prefettizie competenti, nelle loro prassi, prenderebbero in considerazione, caso per caso, le cauzioni versate presso istituti di credito di altri Stati membri analoghi alla Cassa depositi e prestiti.<br />114 Con questa prassi, la Repubblica italiana stessa riconosce che il deposito di una nuova cauzione in ciascuna delle province in cui l’operatore, proveniente da altri Stati membri, intende esercitare la sua attività in base alla libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi non è necessario per raggiungere lo scopo perseguito.<br />115 In tale contesto, la settima censura è fondata.<br /> Sull’ottava censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo dell’imposizione di un controllo amministrativo dei prezzi<br />116 In base all’art. 257 del regolamento di esecuzione, il Prefetto è incaricato di approvare le tariffe applicate dalle imprese a ogni prestazione di sicurezza privata. Qualsiasi modifica di tali tariffe deve essere autorizzata alle stesse condizioni.<br />117 Peraltro, dalla circolare del Ministero dell’Interno dell’8 novembre 1999, n. 559/C. 4770.10089. D, risulta che i Prefetti fissano una tariffa legale per ciascun tipo di servizio, nonché un’oscillazione percentuale della citata tariffa all’interno della quale ogni impresa è libera di scegliere la propria tariffa per ciascun servizio.<br />118 I Prefetti devono verificare che le tariffe proposte rientrino nell’ambito della citata fascia di oscillazione prima di approvarle. Nel caso in cui quest’ultima non sia osservata, i titolari delle imprese devono giustificare la fissazione di tariffe non conformi, spettando ai Prefetti accertare se le imprese possano operare su tale base. Se detta ultima condizione non può essere dimostrata in maniera inequivocabile, le tariffe non vengono approvate e, di conseguenza, la licenza non può essere rilasciata.<br /> Argomenti delle parti<br />119 La Commissione ritiene che tale disciplina non sia compatibile con la libera prestazione dei servizi. Considerato il controllo dei prezzi così realizzato, le tariffe praticate in Italia impedirebbero ad un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di presentarsi sul mercato italiano o di offrire i suoi servizi a prezzi più vantaggiosi di quelli praticati dai suoi concorrenti in Italia, o di proporre servizi più costosi ma ad elevato valore aggiunto, e dunque più concorrenziali.<br />120 Una tale disciplina costituirebbe una misura idonea ad ostacolare l’accesso al mercato dei servizi di vigilanza privata, per il fatto di impedire un’efficace concorrenza sul piano dei prezzi.<br />121 La Repubblica italiana fa valere che la regolamentazione controversa risulta giustificata dalla necessità di evitare la fornitura di servizi a prezzi eccessivamente bassi, che determinerebbero inevitabilmente uno scadimento del servizio, compromettendo quindi, in particolare, la tutela di interessi fondamentali riguardanti la sicurezza pubblica.<br /> Giudizio della Corte<br />122 Secondo una costante giurisprudenza, l’art. 49 CE osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra gli Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. citata sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, punto 70).<br />123 Per quanto riguarda le tariffe minime obbligatorie, la Corte ha già dichiarato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e riservate agli avvocati, costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE (sentenza 5 dicembre 2006, cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I‑11421, punto 70, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 71).<br />124 Nella controversia in esame, la circolare n. 559/C. 4770.10089. D, menzionata al punto 117 della presente sentenza, riconosce ai Prefetti un potere decisionale relativo alla fissazione di una tariffa di riferimento e all’approvazione delle tariffe proposte dagli operatori, con conseguente diniego dell’autorizzazione qualora le dette tariffe non siano state approvate.<br />125 La restrizione così apportata alla libera fissazione delle tariffe è idonea a restringere l’accesso al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata di operatori, stabiliti in altri Stati membri, che intendano offrire i loro servizi nello Stato in questione. Tale limitazione, infatti, ha, da un lato, l’effetto di privare gli operatori in parola della possibilità di porre in essere, offrendo tariffe inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza più efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente in Italia e ai quali, pertanto, risulta più facile che agli operatori economici stabiliti all’estero fidelizzare la clientela (v., in tal senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 72 e giurisprudenza ivi citata). Dall’altro, questa stessa limitazione è idonea ad impedire ad operatori stabiliti in altri Stati membri di inserire nelle tariffe delle loro prestazioni taluni costi che non devono sopportare gli operatori stabiliti in Italia.<br />126 Infine, il margine d’oscillazione concesso agli operatori non è tale da compensare gli effetti della limitazione così apportata alla libera fissazione delle tariffe.<br />127 Si realizza pertanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE.<br />128 Per quanto riguarda i motivi dedotti dalla Repubblica italiana per giustificare la restrizione di cui trattasi, detto Stato membro non ha fornito elementi idonei a dimostrare le conseguenze positive del regime di fissazione dei prezzi né in relazione alla qualità dei servizi prestati ai consumatori, né in relazione alla sicurezza pubblica.<br />129 In tale contesto, occorre concludere che l’ottava censura è fondata.<br />130 Alla luce di quanto precede, si deve constatare che, avendo disposto, nell’ambito del Testo Unico, che:<br />– l’attività di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;<br />– l’attività di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un’autorizzazione del Prefetto con validità territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono già assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;<br />– la detta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell’importanza delle imprese di vigilanza privata già operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;<br />– le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attività, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;<br />– il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;<br />– le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;<br />– le imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e<br />– i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine d’oscillazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE.<br /> Sulle spese<br />131 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.<br />Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:<br />1) Avendo disposto, nell’ambito del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, così come modificato, che:<br />– l’attività di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;<br />– l’attività di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un’autorizzazione del Prefetto con validità territoriale, senza tenere conto degli obblighi cui tali prestatori sono già assoggettati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;<br />– la detta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e dell’importanza delle imprese di vigilanza privata già operanti nel territorio in questione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;<br />– le imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse esercitano la propria attività, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;<br />– il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza privata, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;<br />– le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;<br />– le imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e<br />– i prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine d’oscillazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE.<br />2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.<br />Firme<br /><br /><a href="http://laboratoriopoliziademocratica.blogspot.it/2013/08/cassazione-guardie-giurate-private-la.html#more" title="http://laboratoriopoliziademocratica.blogspot.it/2013/08/cassazione-guardie-giurate-private-la.html#more" rel="external">http://laboratoriopoliziademocratica. ... rate-private-la.html#more</a>
Wed, 14 Aug 2013 19:11:28 +0200
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Re: Le guardie giurate possono essere destinate, previa autorizzazione prefettizia, soltanto alla vigila [da Giorgio90]
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LEGGI E SENTENZE:: Le guardie giurate possono essere destinate, previa autorizzazione prefettizia, soltanto alla vigila<br />
Bho... secondo me andrebbe riformato tutto troppa confusione,e sopratutto vogliamo diritti per la sicurezza del nostro paese non per far del male a qualche duno.<br />A me fa proprio arrabiare questa legge sembra quasi ti debba dar aiuto mentre invece non cambia proprio nulla.<br />E un contentino che ci hanno dato nulla di piu nulla di meno. <br />Ci serve una riforma e il prima possibile,perchè si ostinano a non darci quello che meritiamo..<br />Con tutte le leggi a sfavore della sicurezza e con tutta la criminalità in Italia gioverebbe a tutti aver della gente di cui nemmeno pagata direttamente dallo stato al servizio di tutti.<br />Siamo proprio una bella nazione va...
Thu, 1 Aug 2013 01:57:44 +0200
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Re: Legittimo il licenziamento della guardia giurata che si addormenta [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Legittimo il licenziamento della guardia giurata che si addormenta<br />
CASSAZIONE RIGETTA RICORSO GUARDIA GIURATA LICENZIATA TROVATA A DORMIRE DURANTE ORARIO SERVIZIO<br />La decisione in questione è stata presa dalla Corte di cassazione con la sottostante sentenza Sentenza 30 luglio 2013, n. 18268,respingendo l’impugnazione proposta dal lavoratore interessato , in quanto tutti i motivi esposti sono stati dichiarati infondati.<br /><br />——————————————————————————<br /><br />Svolgimento del processo<br /><br />1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Cosenza, M. F., premesso di essere stato dipendente con qualifica di guardia giurata di La T. s.r.l., titolare di un istituto di vigilanza privata, impugnava il licenziamento disciplinare dalla stessa irrogatogli in data 13.01.05 perché sorpreso mentre era addormentato durante un servizio notturno di piantonamento fisso e per altre precedenti contestazioni disciplinari.<br /><br />2.- Rigettata la domanda e proposto appello dal lavoratore, la Corte d’appello di Catanzaro con sentenza in data 26.01.09 rigettava l’impugnazione.<br /><br />3.- La Corte, premesso che l’irrogazione della sanzione disciplinare competeva al datore di lavoro e non al questore, non trovando applicazione il r.d.l. 12.11.36 n. 2144 sulla disciplina degli istituti di vigilanza privata, rilevava che il protocollo interno di qualità prevedeva che tutti i servizi erogati dalla società fossero sottoposti ad ispezioni mensili senza preavviso e che, nel caso di specie, l’accertamento ispettivo era stato compiuto da personale dell’Istituto, nel rispetto degli artt 2 e 3 dello statuto dei lavoratori. Esclusa ogni discordanza tra i fatti contestati e quelli su cui era basato il licenziamento, ritenute attendibili le testimonianze dei componenti della squadra ispettiva che aveva riscontrato la mancanza disciplinare, la Corte accertava la veridicità dei fatti contestati, rilevando inoltre che dopo il riscontro della violazione, il M. aveva tenuto nei confronti degli agenti ispettori un atteggiamento irriguardoso e minaccioso. Considerata la gravità del complesso dei comportamenti contestati, aggravati dal fatto che il predetto aveva fornito a sua volta una versione degli eventi ritenuta non credibile, il giudice riteneva irrimediabilmente minato il rapporto fiduciario tra il datore ed il lavoratore e giustificata l’irrogazione della sanzione espulsiva.<br /><br />4.- Avverso questa sentenza il M. propone ricorso, contrastato con controricorso dal datore di lavoro.<br /><br />Motivi della decisione<br /><br />5.- I motivi di impugnazione del M. possono essere sintetizzati come segue.<br /><br />5. 1.- Violazione degli artt. 2 e 3 della l. 20.05.70 n. 300, con conseguente inutilizzabilità del verbale ispettivo redatto dai componenti la squadra di ispezione. Parte ricorrente contesta la preminenza assegnata dal giudice alle disposizioni del protocollo di qualità aziendale rispetto all’obbligo del datore di non adibire guardie giurate alla vigilanza sull’attività lavorativa e di comunicare, in ogni caso, preventivamente il nominativo dei soggetti incaricati di questo compito. Ritiene altresì insoddisfacente l’argomentazione che le guardie giurate cui erano stati demandati i controlli erano comunque colleghi di lavoro del M., atteso che per l’espletamento del controllo avrebbe potuto essere incaricato personale non munito della qualifica di guardia giurata.<br /><br />5.2.- Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, avendo il giudice ritenuto attendibili le testimonianze dei componenti della squadra ispettiva nonostante gli stessi avessero querelato il M. per l’atteggiamento da lui tenuto all’atto dell’accertamento. La circostanza addotta a motivazione, che la querela era stata rimessa e la rimessione accettata, si era melata insussistente in quanto al momento della testimonianza la rimessione non era stata ancora effettuata, di modo che i testi erano da ritenere a tutti gli effetti inattendibili, avendo un interesse in causa.<br /><br />5.3.- Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, avendo il giudice omesso di esaminare le sue doglianze a proposito dell’insussistenza dei requisiti della giusta causa, come desumibili tanto dall’art. 2119 cc. che dall’art. 127 del ccnl di categoria.<br /><br />5.4.- Insufficiente motivazione in punto di proporzionalità della sanzione irrogata in relazione al comportamento tenuto.<br /><br />5.5.- Violazione dell’art. 4 del r.d.l. 12.11.36 n. 2144, avendo ritenuto il giudice che l’irrogazione della sanzione competesse al datore di lavoro e non al questore, essendo questi titolare del potere disciplinare sulle guardie giurate.<br /><br />5.6.- Carenza di motivazione, in quanto il giudice non avrebbe motivato in ordine alla violazione dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori perpetrata dal datore di lavoro all’atto del licenziamento, atteso che questa avrebbe irrogato il licenziamento per motivi diversi da quelli contestati.<br /><br />6.- Il quinto motivo (n. 5.5) deve essere esaminato m via prioritaria, ponendo esso in discussione la titolarità in capo al datore di lavoro del potere disciplinare ed assumendo che il potere disciplinare sugli addetti ai servizi di vigilanza privata competerebbe esclusivamente al questore.<br /><br />Al riguardo deve rilevarsi che il tu. sulle leggi di p.s. 18.06.31 n. 773 assoggetta a licenza prefettizia l’esercizio dell’attività di vigilanza privata (artt. 133-134) e dispone che la nomina delle guardie sia approvata con decreto prefettizio (art, 138). La vigilanza sul servizio reso da tali istituti è, invece, rimessa al questore (r.d.l. 26.09.35 n. 1952 e r.d.l. 12.11.36 n. 2144), prevedendosi che “fermo restando il rapporto di impiego tra guardie e titolari della licenza di polizia” gli istituti che impiegano non meno di venti guardie sono posti “per quanto riguarda il servizio” alle dipendenze del questore, rimettendo a quest’ultimo anche la vigilanza sul loro ordinamento (art. 1 del r.d.l. 2144).<br /><br />Fatta questa premessa, ad avviso del Collegio, deve rilevarsi che la disciplina del rapporto di lavoro delle guardie dipendenti degli istituti di vigilanza privata è sottoposta ad un duplice regime, di carattere privato per quanto riguarda la disciplina del rapporto di impiego, di carattere pubblicistico per quanto riguarda le prerogative di ordine pubblico alle stesse conferite. Pertanto, l’art. 4 del r.d.l. 2144, per il quale “è attribuito al questore il potere disciplinare sulle guardie particolari in servizio … con facoltà di sospenderle immediatamente e ritirare loro le armi di cui fossero in possesso, salvo il provvedimento di revoca del prefetto” , deve essere interpretato nel senso che i poteri disciplinari del questore, nonostante la loro ampiezza, non escludono quelli propri del datore di lavoro, che sono limitati al più ristretto ambito della regolazione privatistica del rapporto di lavoro.<br /><br />Conseguentemente, deve ritenersi il datore di lavoro legittimato all’irrogazione delle sanzioni disciplinari conseguenti alle violazioni delle modalità di espletamento della prestazione fissate dai regolamenti interni, dai contratti collettivi e da quelli individuali. Avendo il giudice di merito accertato che la condotta del dipendente aveva ad oggetto esclusivamente le modalità di esecuzione della prestazione, deve ritenersi correttamente assegnato al datore il potere disciplinare, con conseguente rigetto del primo motivo.<br /><br />7.- Con il primo motivo (5.1) si lamenta la violazione degli art. 2 e 3 dello statuto dei lavoratori, sostenendosi l’illegittimità dell’utilizzo di guardie giurate per l’espletamento di compiti di vigilanza sull’attività lavorativa, diversi da quelli consentiti di esclusiva tutela del patrimonio aziendale (art. 2), nonché per la mancata previa comunicazione dei soggetti incaricati della sorveglianza sull’attività lavorativa (art. 3).<br /><br />Al riguardo deve ritenersi soddisfacente la motivazione del giudice di merito, in quanto, in ragione dell’accertamento di fatto dallo stesso compiuto, emerge che l’attività ispettiva compiuta è frutto di un preciso piano di verifica della qualità del servizio reso, previsto dall’apposito “manuale” vigente presso la società La T.. Per le disposizioni ivi vigenti ed in ragione della natura dell’attività aziendale detta verifica di qualità doveva necessariamente essere svolta sul servizio svolto dalle guardie dipendenti dell’istituto.<br /><br />Il compito ispettivo assegnato ai tre dipendenti che rilevarono l’inadempienza del M. prescindeva, tuttavia, dalla circostanza che essi rivestissero la qualifica di guardia giurata, atteso che la funzione ad essi assegnata era quella della mera vigilanza, secondo il ruolo assegnato direttamente dal regolamento dell’istituto. Le disposizioni dell’art. 2 dello statuto invocate dal ricorrente, pertanto, sono estranee alla presente controversia in quanto i dipendenti investiti del ruolo ispettivo avevano la qualità di semplice personale di sorveglianza, ex art. 3 dello statuto, essendo irrilevante la circostanza che essi avessero anche la qualità di guardia giurata.<br /><br />Circa la pretesa violazione di quest’ultima norma, per mancata preventiva indicazione ai lavoratori dei dipendenti incaricati della sorveglianza, il giudice di merito all’esito di un articolato e concludente accertamento di fatto ha concluso che i nominativi (ed a maggior ragione la qualità) dei componenti del gruppo di ispezione erano noti al M.. In ogni caso, il giudice di appello correttamente ha richiamato il principio di diritto, ripetutamente affermato da questa Corte, che la disposizione di detto art. 3 non ha fatto venire meno il potere dell’imprenditore, derivante dagli artt. 2086 e 2104 c.c., di contrattare, direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti al fine di accertare eventuali mancanze, già commesse o in corso di esecuzione (Cass. 10.07.09 n. 16196, 12.06.02, n. 8388, 2.03.02 n. 3039 e 3.07.01 n. 8998).<br /><br />Escluso ogni riferimento all’art. 2, ritenuti adempiuti gli oneri prescritti dall’art. 3 e riscontrata la persistenza della titolarità del potere di controllo diretto del datore di lavoro, il primo motivo deve ritenersi<br /><br />infondato.<br /><br />8.- Infondati sono anche i motivi secondo (5.2), terzo (5.3) e quarto (5.4), atteso che attraverso la denunzia dell’insufficienza e della contraddittorietà della motivazione il ricorrente non intende altro che contestare le valutazioni di merito compiute dal Collegio di appello, deducendo in sede di legittimità inammissibili questioni di fatto, aventi il solo scopo di capovolgere il giudizio formulato dal giudice, in questa sede incensurabile perché frutto di procedimento logico congruamente<br /><br />articolato.<br /><br />9.- Il sesto motivo è infine inammissibile, in quanto parte ricorrente, nel sostenere che i motivi posti a base del licenziamento non troverebbero riscontro nei fatti indicati nella lettera di contestazione e che il dipendente sarebbe stato licenziato “per una imprecisata condotta complessiva che lo stesso ricorrente avrebbe posto in essere tanto da compromettere il rapporto di fiducia” (pag. 27 ricorso), omette di illustrare adeguatamente la denunziata discrasia. E’ omesso il confronto tra le contestazioni mosse dal datore ai sensi dell’art. 7 dello statuto e le motivazioni adottate nella lettera di licenziamento e, in particolare, non sono forniti al Collegio di legittimità gli clementi essenziali per la valutazione della correttezza logica della pronunzia adottata al riguardo dal giudice di appello, il quale ha escluso ogni difformità tra contestazione e motivi del recesso proprio mettendo a confronto la lettera di contestazione del 6.01.05 e l’atto di recesso del successivo 13.01.05.<br /><br />10.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, come dì seguito liquidate.<br /><br />I compensi professionali vanno liquidati in € 3.000 sulla base del d.m. 20.07.12 n. 140, tab. A-Avvocati, con riferimento alle tre fasi (studio, introduzione, decisione) previste per il giudizio di cassazione ed allo scaglione del valore indeterminato.<br /><br />P.Q.M.<br /><br />Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 50 (cinquanta) per esborsi ed in € 3.000 (tremila) per compensi, oltre Iva e Cpa.<br /><a href="http://francescocolaci.wordpress.com/2013/07/31/cassazione-rigetta-ricorso-guardia-giurata-licenziata-trovata-a-dormire-durante-orario-servizio/" title="http://francescocolaci.wordpress.com/2013/07/31/cassazione-rigetta-ricorso-guardia-giurata-licenziata-trovata-a-dormire-durante-orario-servizio/" rel="external">http://francescocolaci.wordpress.com/ ... -durante-orario-servizio/</a>
Wed, 31 Jul 2013 22:50:42 +0200
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Cassazione: no al licenziamento per insubordinazione del lavoratore che rifiuta di svolgere mansioni [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: no al licenziamento per insubordinazione del lavoratore che rifiuta di svolgere mansioni<br />
30 Luglio 2013 , Scritto da L.S. Con tag #Cassazione<br /><br /> <br />"Il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di essere addetto allo svolgimento di mansioni non spettanti può essere legittimo e quindi non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall'art. 1460 cod. civ., sempre che il rifiuto sia proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede." Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 17713 del 19 luglio 2013, ha altresì precisato che "deve considerarsi legittimo il rifiuto opposto da un dipendente di una società che si occupa del commercio e della vendita di alimenti e bevande, e che è articolata sul territorio in più punti vendita, di svolgere il "servizio di permanenza di direzione" di uno di questi punti vendita - servizio che comporta l'assunzione del ruolo di responsabile del punto vendita stesso, nei suoi riflessi anche penalistici - se non è dimostrato che si tratta di un compito rientrante nella qualifica di competenza del lavoratore e che questi ha conoscenze adeguate per il relativo svolgimento." La Suprema Corte ha evidenziato che la Corte territoriale per giungere ad affermare che "il suddetto rifiuto - comunque da valutare nell'ambito del complessivo comportamento del lavoratore, in tutti i suoi elementi soggettivi ed oggettivi, cosa che non risulta essere stata fatta in modo adeguato - era tale da costituire una giusta causa di licenziamento, avrebbe dovuto: a) stabilire se - sulla base della pacifica premessa che il lavoratore non aveva rifiutato lo svolgimento di qualsiasi prestazione lavorativa, ma solo quello di una specifica mansione - tale ultima prestazione era o meno conforme alla qualifica di appartenenza; b) precisare il contenuto della prestazione del "servizio di permanenza di direzione" nell'ambito dell'Ipermercato e le ragioni per le quali ad essa si collega l'eventualità di essere esposti a responsabilità penale; c) verificare se la motivazione del rifiuto - pacificamente non consistente, di per sé, del carattere dequalificante della mansione, ma nel desiderio di evitare il rischio di subire eventuali procedimenti penali, come già accaduto in passato - era da ricercare nell'inadempimento del datore di lavoro, salvo il limite della buona fede e salva la doverosa osservanza delle disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartite dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod. civ., da applicare alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost.". Cassata dunque la sentenza della Corte d'Appello la cui motivazione - secondo i giudici di legittimità - in merito alla sussistenza della giusta causa del licenziamento poggia su lacune e imprecisioni e risulta complessivamente del tutto apodittica e priva della doverosa analisi del comportamento del lavoratore in tutti i suoi aspetti oggettivi e soggettivi, finalizzata a dimostrarne l'idoneità a fare venire meno in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro.<br /><br />Fonte: Cassazione: no al licenziamento per insubordinazione del lavoratore che rifiuta di svolgere mansioni a lui non spettanti<br />(StudioCataldi.it)
Wed, 31 Jul 2013 03:14:53 +0200
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Risponde di diffamazione chi offende qualcuno su un sito web [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18569&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Risponde di diffamazione chi offende qualcuno su un sito web<br />
Presidente: Oldi P.<br />Corte di Cassazione Penale n. 32444/2013, sez. V del 25/7/2013<br /><br /><br /><br /> <br />Ico_a+ Ico_a- Stampa Invia<br />Pagina: 1 2 di 2 Dx<br />Fatto e diritto<br />Propone personalmente ricorso per cassazione B. A. avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova in data 22 marzo 2012, con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna in ordine al reato di diffamazione ex articolo 595 c.p., commesso il 28 marzo 2007.<br />L'imputato è stato accusato di avere offeso la reputazione di P. I. scrivendo, su un sito Web, un comunicato nel quale si firmava con il nome di tale soggetto, tra l'altro attribuendosi implicitamente tendenze omosessuali. <br />Deduce l'impugnante la violazione dell'articolo 62 c.p.p., essendo costituita, la prova della riconducibilità del reato all'imputato, dalle dichiarazioni di tale C. il<br /><br /> <br />quale ha riferito di avere ricevuto confidenze, in tal senso, da parte del ricorrente durante il dibattimento.<br />Il ricorrente aggiunge che non vi è prova della lettura del messaggio da parte di altri utenti del Web.<br />In terzo luogo si contesta che vi sia contenuto diffamatorio nella inserzione sul sito Web, tenuto conto, in particolare, che il termine "gay" non ha valenza di per sé offensiva;<br />2) la nullità del processo dl primo grado, già eccepita anche in appello, per non essere stato "notificato al difensore dell'imputato il decreto di citazione diretta al giudizio", nonostante la regolare nomina effettuata fin dal 9 dicembre 2008.<br />Sostiene l'impugnante di avere in origine nominato due difensori di fiducia (avvocati B. e G.) i quali avevano successivamente rinunciato al mandato difensivo con una dichiarazione depositata presso la Procura della Repubblica.<br />All'imputato era stato nominato un difensore di ufficio ritenendosi poi, da parte dei giudici dell'appello, che le successive nomine di altri due difensori di fiducia (avvocati M. M. e C.) non potevano ritenersi valide in mancanza della revoca dei precedenti.<br />Ed invece, ritiene l'impugnante che la nomina dei nuovi difensori di fiducia doveva ritenersi valida a partire dal momento della formalizzazione della rinuncia da parte dei precedenti: come del resto si era implicitamente ritenuto con la scelta di notificare la citazione per l'appello proprio a tali avvocati.<br />Ne conseguiva che la nomina del difensore di ufficio era del tutto illegittima.<br />A sostegno di tale assunto l'impugnante fa notare che anche l'appello è stato sottoscritto da uno di tali legali (l'avvocato C.);<br />3) L'incompetenza territoriale del giudice che ha proceduto.<br />Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.<br />Con il primo motivo si pone la questione della violazione dell'articolo 62 c.p.p., peraltro senza che risulti che la stessa fosse stata formulata nei motivi d'appello, nel rispetto dei dovere di specificazione delle circostanze di fatto e di diritto a sostegno della questione.<br />A ciò va aggiunto che il divieto dì testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato, sancito dall'art. 62 cod. proc. pen. - essendo diretto ad assicurare l'inutilizzabilità di quanto dichiarato al di fuori degli atti garantiti dalla presenza del difensore, attraverso la testimonianza di chi tali dichiarazioni abbia ricevuto in qualsivoglia maniera - presuppone che le dichiarazioni stesse siano state rese "nel corso del procedimento" e non anteriormente o al di fuori del medesimo. Il divieto in quest'ultima ipotesi non può infatti operare, assumendo la testimonianza, nel suo contenuto specifico, valore di fatto storico percepito dal teste e, come tale, valutabile dal giudice alla stregua degli ordinari criteri applicabili a detto mezzo di prova (Sez. 1, Sentenza n. 7745 del 15/05/1996 Ud. (dep. 07/08/1996) Rv. 205524).<br />E in tale prospettiva deve ritenersi che eventuali confidenze fatte dall'imputato ad un conoscente non rientrino nel divieto di testimonianza di cui all'articolo 62 c.p.p. neppure se effettuate, come sostenuto nel ricorso, durante il processo (in tal senso Rv. 208648; Rv. 228642).<br />Il divieto di testimonianza previsto dall'art. 62 cod. proc. pen. opera, invero, solo in relazione alle dichiarazioni rese nel corso dei procedimento, intendendosi con tale espressione un collegamento funzionale tra le dichiarazioni ed un atto del procedimento e pertanto opera solo per quelle dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e al difensore nell'ambito dell'attività investigativa (vedasi sentenza Corte<br />[...]]<br />Costituzionale n. 237 del 1993) (Sez. 6, Sentenza n. 6085 del 09/12/2003 Ud. (dep. 16/02/2004) Rv. 227599).<br />La seconda questione posta nel primo motivo di ricorso è parimenti infondata.<br />In tema di consumazione del reato di diffamazione tramite Internet si è posto in evidenza come esso debba intendersi consumata nei momento in cui il collegamento web sia attivato, e la dimostrazione del contrario deve essere data dall'interessato, tenuto conto dell'ordinario ricorso, nella pratica web, a comunicazioni aperte all'accesso di un numero indeterminato di persone o comunque destinate, per la loro stessa natura, a tal genere di immediata diffusione. (Rv. 234528; rv 239832).<br />Nel caso di specie, la espressione <br /><br /> <br />offensiva è stata pubblicata su un "blog" ossia su un sito web che tiene traccia (log) degli interventi dei partecipanti e che può essere, si, personale, ma costantemente aggiornato on line e tale che tutti possono leggere in esso, oppure uno spazio sul web attorno al quale, comunque, si aggregano navigatori che condividono interessi comuni, con la conseguente diffusività dei contenuti del blog stesso.<br />La terza parte del primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità.<br />Si sostiene, come un unico ed apodittico argomento, che la attribuzione, a taluno, della omosessualità non sia di per se lesiva della reputazione, senza dare conto delle circostanze di fatto che hanno caratterizzato la vicenda in esame e, in particolar modo, delle questioni poste dalla persona offesa e dell'interesse pubblico alla materia.<br />Il secondo motivo è manifestamente infondato.<br />Il giudice dell'appello ha ricostruito le vicende dei mandati difensivi nel senso che la nomina degli originari difensori di fiducia, avvocati B. e G aveva fatto si che il pubblico,di "ministero avesse disposto la notifica dell'avviso della citazione diretta agli stessi legali quando aveva emesso il relativo decreto, ossia il 22 settembre 2010.<br />In quella circostanza, la nomina di altri due difensori di fiducia avvenuta sin dal 9 dicembre 2008 in riferimento alle persone degli avvocati C. e M. M., è stata correttamente ritenuta priva di effetto, in ragione del disposto dell'articolo 24 delle disposizioni di attuazione dei codice di rito, secondo cui la nomina di ulteriori difensori si considera senza effetto finche la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza.<br />D'altra parte, l'applicazione della diversa regola secondo cui la rinuncia ai mandato difensivo ha effetto da quando la parte risulti assistita da un nuovo difensore (articolo 107 cpp), poteva comportare soltanto che, a far data dalla comunicazione della rinuncia all'autorità giudiziaria- e cioè dal 13 ottobre 2010 - potesse divenire valida ed efficace la nomina dei nuovi difensori di fiducia.<br />In conclusione, il condivisibile assunto della Corte d'appello è quello secondo cui, all'atto della notifica del decreto di citazione ai difensori di fiducia, la nomina ancora valida era soltanto quella degli avvocati B. e G. i quali hanno perso tale qualità in favore dei nuovi legali di fiducia soltanto con la rinuncia al mandato e quindi successivamente alla disposizione della notifica della citazione per il giudizio di primo grado.<br />Costituisce, infatti, un principio: fermo della giurisprudenza quello secondo cui gli avvisi e le comunicazioni devono essere dati al difensore che riveste tale qualità nel momento processuale nel quale vengono disposti ed eseguiti cfr. fra le molte, Rv. 169603; Rv. 180065).<br />È da escludere, d'altra parte, cita la sentenza delle Sezioni unite numero 12164 del 2011, citata nel ricorso, possa portare argomenti nuovi re utili alla tesi dell'imputato ove si consideri che i principi in essa espressi riguardano la nomina del difensore in eccedenza per la proposizione dell'atto d'impugnazione, mentre, nella specie, il tema sollevato dall'impugnante riguarda una situazione verificatasi all'atto della instaurazione del giudizio di primo grado.<br />Il terzo motivo è inammissibile, posto che le segnalazioni sulla incompetenza territoriale debbono essere poste come questioni preliminari del giudizio di primo grado (quando, come nella specie, manchi l'udienza preliminare) e non possono essere formulate per la prima volta in Cassazione.<br />P.Q.M.<br />Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.<br />Roma 14 marzo 2013<br /><br /><a href="http://www.diritto.it/docs/605117-risponde-di-diffamazione-chi-offende-qualcuno-su-un-sito-web-cass-pen-n-32444-2013?page=2&tipo=content" title="http://www.diritto.it/docs/605117-risponde-di-diffamazione-chi-offende-qualcuno-su-un-sito-web-cass-pen-n-32444-2013?page=2&tipo=content" rel="external">http://www.diritto.it/docs/605117-ris ... -2013?page=2&tipo=content</a>
Sun, 28 Jul 2013 13:48:51 +0200
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Licenziamento collettivo e comunicazione [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18568&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento collettivo e comunicazione<br />
Pubblicato in Diritto del lavoro il 25/07/2013<br />Autore: 46354 Staiano Rocchina Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 17119/2013 - 10/7/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br />0 commenti<br /><br /> 3<br />Ico_a+ Ico_a- Stampa Invia<br />Pagina: 1 2 di 2 Dx<br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Questione<br />Il giudice del lavoro del Tribunale ha accolto l'impugnativa del licenziamento collettivo promossa dal lavoratore nei confronti della società e con sentenza non definitiva, accertata l'illegittimità del licenziamento per l'inadeguatezza della comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, l. n. 223/91, condannò la resistente alla reintegra del lavoratore e dispose la prosecuzione del giudizio in merito alle richieste risarcitorie formulate per il lamentato demansionamento, per la perdita di "chances", per danno biologico ed altro. Con sentenza definitiva la resistente venne, poi, condannata per il danno provocato al dipendente per il mancato conseguimento del premio, <br /><br /> <br />al versamento della retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quella della reintegra, dedotto quanto eventualmente fruito dal lavoratore ai sensi dell'art. 8, comma 2, D.Lgs. 468/9197, al versamento della somma per danno biologico permanente nella misura del 15% e alla corresponsione di € 1500,00 per danno biologico temporaneo. L'impugnazione di entrambe le decisioni da parte della società soccombente è stata in seguito respinta dalla Corte d'appello.<br />La Corte territoriale è pervenuta alla decisione di rigetto del gravame dopo aver rilevato che nella comunicazione trasmessa alle organizzazioni sindacali ed alla Direzione del lavoro la società appellante non aveva indicato le concrete modalità di applicazione dei criteri stabiliti per l'attribuzione dei punteggi dei lavoratori collocati in mobilità, per cui non era stato consentito a questi ultimi di verificare se l'applicazione di quei criteri era avvenuta in conformità alle clausole ed alle condizioni consacrate nell'accordo sindacale, con la conseguenza che tale vizio procedimentale determinava l'inefficacia del licenziamento impugnato.<br />Un ulteriore profilo di illegittimità del licenziamento derivava, secondo la Corte, anche dalla violazione, nella fase applicativa dei criteri di scelta, dell'accordo sindacale aziendale del 28/6/2006 per effetto del quale i criteri selettivi in concorso tra loro avrebbero dovuto essere verificati nell'ambito del complesso aziendale, in sintonia col criterio di graduazione legale di cui all'art. 5 della legge n. 223/91 mai derogato, e non sulla base di cinque graduatorie per ognuno dei cinque reparti di lavorazione, come verificatosi, invece, nella fattispecie, con conseguente lesione dei principi di correttezza e buona fede che avrebbero dovuto presidiare la procedura del licenziamento collettivo per riduzione del personale.<br />Quanto alle conseguenze risarcitone la Corte ha osservato che la mancata accettazione da parte del lavoratore del patto di dequalificazione, non concordato in sede sindacale, non poteva essergli opposta in compensazione con l'indennità spettategli ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300/70, dal momento che nessun vincolo poteva in tal senso sussistere in capo al dipendente; in ogni caso gli effetti della mancata accettazione si erano già manifestati attraverso l'attribuzione a suo danno di un minor punteggio ai fini della graduatoria di mobilità. Inoltre, era risultata provata la responsabilità della società, sia in ordine al demansionamento perpetrato in danno del lavoratore, con gli inevitabili riflessi sul procurato danno biologico nella misura accertata dal primo giudice, sia in merito alla mancata definizione preventiva degli obiettivi costituenti il punto di riferimento per il calcolo della indennità contrattuale denominata "MBO" della quale il lavoratore non aveva più beneficiato.<br />La società contro la sentenza in appello ricorre alla Corte di Cassazione, che rigetta il ricorso.<br /> <br />2. Comunicazione del licenziamento collettivo<br />Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 9 agosto 2004 n. 15377), in tema di procedura di mobilità, la previsione di cui all’art. 4, comma 9, della L. 223/1991, secondo cui il datore di lavoro, nella comunicazione ivi prevista deve dare una "puntuale indicazione" dei criteri di scelta e delle modalità applicative, comporta che, anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione le sue modalità applicative, in modo che la stessa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perchè lui - e non altri dipendenti - sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l'illegittimità della misura espulsiva, sostenendo che, sulla base del comunicato criterio di selezione, altri lavoratori - e non lui - avrebbero dovuto essere collocati in mobilità o licenziati. Discende dal suddetto principio che, poichè la specificità dell'indicazione delle modalità di applicazione del criterio di scelta adottato è funzionale a garantire al lavoratore destinatario del provvedimento espulsivo la piena consapevolezza delle ragioni per cui la scelta è caduta su di lui, in modo da consentirgli una puntuale contestazione della misura espulsiva, il parametro per valutare la conformità della comunicazione al dettato di cui all'art. 4, comma 9, <br /><br /> <br />deve essere individuato nell'idoneità della comunicazione, con riferimento al caso concreto, di garantire al lavoratore la suddetta consapevolezza. <br />Sul punto, si rinvia a:<br />In ordine alla procedura di mobilità, la specificità dell'indicazione delle modalità di applicazione del criterio di scelta adottato, così come richiesta dall'art. 4, comma 9, della L. 223/1991, è funzionale a garantire al lavoratore destinatario del provvedimento espulsivo la piena consapevolezza delle ragioni per cui la scelta è caduta su di lui, sì da consentirgli una puntuale contestazione della misura espulsiva. Ne deriva che anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione le sue modalità applicative, in modo che la stessa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire il perché lui, e non altri dipendenti, sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo. Ciò detto, il parametro per valutare la conformità della comunicazione de qua al dettato di cui all'art. 4, comma 9, della citata legge, deve essere individuato nell'idoneità della comunicazione, con riferimento al caso concreto, di garantire al lavoratore la suddetta consapevolezza (Cass. civ., Sez. lavoro, 25/02/2013, n. 4667).<br />In tema di procedura di mobilità, la previsione, di cui all'art. 4, comma 9, della L. 223/1991, secondo cui il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva con la quale dà inizio alla procedura, deve dare una "puntuale indicazione" dei criteri di scelta e delle modalità applicative, comporta che, anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione le sue modalità applicative, in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui - e non altri dipendenti - sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l'illegittimità della misura espulsiva. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato l'illegittimità della procedura sulla base del mero rilievo formale che la comunicazione conteneva l'elenco dei soli lavoratori destinatari del provvedimento espulsivo e non di tutti i dipendenti fra i quali era stata operata la scelta, senza considerare che la comunicazione indicava specificamente il criterio di scelta, individuato in sede di accordo sindacale, del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione di anzianità o vecchiaia, la cui natura oggettiva rendeva superflua la comparazione con i lavoratori privi del requisito stesso (Cass. civ., Sez. lavoro, 06/06/2011, n. 12196).<br /> <br /> <br />Rocchina Staiano<br />Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35299-licenziamento-collettivo-e-comunicazione-cass-n-17119-2013?page=1" title="http://www.diritto.it/docs/35299-licenziamento-collettivo-e-comunicazione-cass-n-17119-2013?page=1" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35299-lice ... -cass-n-17119-2013?page=1</a>
Sun, 28 Jul 2013 13:45:18 +0200
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Riduzione della capacità lavorativa e danno [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18439&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Riduzione della capacità lavorativa e danno<br />
Pubblicato in Diritto del lavoro il 10/07/2013<br />Autore: Staiano Rocchina Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 16213/2013 - 27/6/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br />0 commenti<br /><br /> <br /> Stampa Invia<br />Pagina: 1 2 di 2 <br /> <br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Questione<br />E’ stato rigettato l’appello promosso dal lavoratore, volto ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale, contro la sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro, che aveva condannato, in solido, l’assicurazione ed il proprietario e conducente del veicolo.<br />La Corte d'Appello, dopo aver ritenuto inammissibile nel merito la prova per testi capitolata dall'appellante, dichiarava, alla luce delle risultanze probatorie, l'infondatezza della domanda di risarcimento del danno patrimoniale quale pregiudizio all'attitudine al lavoro idonea a comportare una riduzione della capacità di guadagno, ritenendo non sussistente la prova del nesso di causalità tra la riduzione della capacità <br /><br /> <br />lavorativa specifica e la diminuita produzione del reddito, conseguentemente non riconoscendo alcun danno da lucro cessante.<br />Ricorre per Cassazione il lavoratore, con due motivi:<br />a) omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c), sulla omessa liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, ritenendo che la Corte Territoriale avrebbe dovuto esporre le ragioni per le quali ha ritenuto non provato il nesso causale tra riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore, la messa in mobilità dello stesso e il successivo espletamento di diversa attività lavorativa e non limitarsi ad affermare che tale prova non è stata data;<br />b) omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c), sulla declaratoria d'inammissibilità della prova testimoniale articolata dal B. nell'atto d'appello, in quanto i giudici avrebbero dovuto motivare le ragioni per le quali hanno ritenuto che le suddette circostanze fossero da provare documentalmente e non con prova testimoniale.<br />La Cassazione ha rigettato il ricorso, in quanto la decisione si rivela improntata a corretti canoni logici e giuridici ed è in armonia con la giurisprudenza che espressamente afferma che il lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa in tanto è risarcibile quale danno patrimoniale in quanto il danneggiato provi la sussistenza di elementi idonei per ritenere che a causa dei postumi egli effettivamente riceverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico. Si deve ribadire, che tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo, per cui in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misurala capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno (Cass. n. 10031/2006).<br /><br /><br />2. Orientamenti giurisprudenziali<br />La presente pronuncia risponde a consolidato principio in giurisprudenza di legittimità che il grado di invalidità di una persona, determinato dai postumi permanenti di una lesione all'integrità psico-fisica dalla medesima subita, non si riflette automaticamente nella stessa misura sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e quindi di guadagno della stessa, spettando al Giudice del merito valutarne in concreto l'incidenza (v. in particolare Cass., 14/10/2005, n. 19981).<br />Detto danno patrimoniale da invalidità deve essere pertanto accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgeva (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente avrebbe svolto) un'attività produttiva di reddito (v. Cass., 20/1/2006, n. 1120; Cass., 14/10/2005, n. 19981; Cass., 5/7/2004, n. 12293).<br />Allorchè la persona che ha subito una lesione dell'integrità fisica come nella specie già eserciti un'attività lavorativa, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (c.d. micropermanente) un danno da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa è configurabile solamente in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale (cfr. Cass., 9/1/2001, n. 239), e cioè biologico, morale ed esistenziale (cfr. Cass., 6/2/2007, n. 2546; Cass., 2/2/2007, n. 2311; Cass., 12/6/2006, n. 13546; Cass., Sez. Un., 24/3/2006,<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35242-riduzione-della-capacit-lavorativa-e-danno-cass-n-16213-2013" title="http://www.diritto.it/docs/35242-riduzione-della-capacit-lavorativa-e-danno-cass-n-16213-2013" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35242-ridu ... e-danno-cass-n-16213-2013</a>
Wed, 10 Jul 2013 10:29:21 +0200
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Fallimento dell’impresa e reintegra del lavoratore [da nicola74]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18438&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Fallimento dell’impresa e reintegra del lavoratore<br />
Pubblicato in Diritto del lavoro il 09/07/2013<br />Autore: Staiano Rocchina Vai alla scheda dell'autore<br /><br />Qui la sentenza n. 16264/2013 - 27/6/2013 - Corte di Cassazione - Sezione civile, lavoro - Civile<br />0 commenti<br /><br /> <br /> Stampa Invia<br /> <br /><br /><br />Visualizza la tabella n.1<br /><br /><br /> <br />1. Questione<br />Il lavoratore ha proposto regolamento di competenza avverso la sentenza del tribunale di Messina, in funzione di giudice del lavoro, con la quale è stata dichiarata l'incompetenza e la competenza del tribunale fallimentare di Roma sulla sua domanda diretta a far dichiarare la nullità del licenziamento intimatogli dalla società dichiarata fallita con sentenza n. 27 del 2010 e a ottenere la condanna della convenuta al conseguente pagamento di somme di denaro. Sulla competenza, è stato chiesto che sia dichiarata la competenza del tribunale di Messina. La Cassazione ha accolto il ricorso.<br /> <br />2. <br /><br /> <br />Reintegra del lavoratore e fallimento dell’azienda<br />Il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità (in particolare, Cass. 18 ottobre 2005 n. 20131), deve considerarsi questione di rito quella sulla possibilità o meno, dopo la dichiarazione di fallimento dell'impresa, della tutela dei diritti nei confronti di tale impresa nelle forme ordinarie, piuttosto che in quelle dello speciale procedimento di accertamento del passivo di cui agli artt. 52 e 92 della Legge Fallimentare (R.D. 267/1942), essendo evidente che siffatta questione non implica una pronuncia sulla competenza del tribunale ordinario piuttosto che di quello fallimentare (o viceversa) con gli effetti della "translatio iudicii" propri della eventuale pronuncia di incompetenza, bensì un accertamento dell'ammissibilità o meno della domanda proposta nell'una invece che nell'altra forma, la quale costituisce, appunto, questione di rito. Da ciò consegue (cfr. Cass. 1 marzo 2005 n. 4281) che qualora una pretesa creditoria venga fatta valere davanti al tribunale in sede ordinaria nei confronti del curatore del fallimento dell'obbligato e il tribunale dichiari la propria incompetenza, dovendo essere la domanda decisa dal tribunale fallimentare, la relativa pronuncia, ancorchè formalmente espressa in termini di declinatoria di competenza del giudice adito in favore del giudice fallimentare, non integra nella sua sostanza una statuizione sulla competenza, ma soltanto una statuizione sul rito che la parte deve seguire, e non è pertanto impugnabile con il regolamento di competenza.<br />Con riferimento al dichiarare la nullità, inefficacia e/o illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente e per l'effetto ordinare la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 della L. 300/1970, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, la competenza del giudice del lavoro. Basterà ricordare in proposito il principio di diritto enunciato da Cass. 27 febbraio 2004 n. 4051 secondo cui, ove il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile come mero strumento di diritti patrimoniali da far valere su patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull'interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all'interno della impresa fallita, sia per l'eventualità della ripresa dell'attività lavorativa (conseguente all'esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell'azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all'esigenza della par condicio creditorum. (In senso conforme, cfr., da ultimo, Cass. 2 febbraio 2010 n. 2411).<br /> <br /> <br />Rocchina Staiano<br />Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/35239-fallimento-dell-impresa-e-reintegra-del-lavoratore-cass-n-16264-2013" title="http://www.diritto.it/docs/35239-fallimento-dell-impresa-e-reintegra-del-lavoratore-cass-n-16264-2013" rel="external">http://www.diritto.it/docs/35239-fall ... oratore-cass-n-16264-2013</a>
Wed, 10 Jul 2013 10:22:44 +0200
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18438&forum=22
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Re: Le guardie giurate non sono pubblici ufficiali (Cass. pen. n. 25152/2013) [da Giorgio90]
http://www.guardieinformate.net/modules/newbb/viewtopic.php?topic_id=18188&forum=22
LEGGI E SENTENZE:: Le guardie giurate non sono pubblici ufficiali (Cass. pen. n. 25152/2013)<br />
Concordo BAFOMETTO...<br />Qui dimostra che le guardie particolari giurate spesso e volentieri non sono,ne preparate giuridicamente ne addestrate fisicamente...<br />Per non dire addirittura " IO COSA SONO ? "<br />Bè io ho dato la mia,il mio ragionamento nell'agire in determinate situazioni.<br />Ogni singolo individuo è libero di affrontare il proprio futuro come meglio crede...<br />Ma ora come ora,per come siamo inquadrati legittimamente è meglio star ben ben lontano dai guai,fatta eccezione l'inevitabile..
Wed, 10 Jul 2013 03:13:40 +0200
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Cassazione: anche se è escluso il mobbing può esserci il reato di lesioni personali a carico del dat [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Cassazione: anche se è escluso il mobbing può esserci il reato di lesioni personali a carico del dat<br />
Pubblicato in Sentenze il 05/07/2013<br />0 commenti<br /><br /> 8<br /> Stampa Invia<br />Lucia Nacciarone<br />Con la sentenza n. 28603 del 3 luglio 2013 i giudici di legittimità hanno confermato la responsabilità penale del datore, con conseguente obbligo a risarcire il danno patito dal lavoratore, per avere il primo dequalificato e sottoposto a trattamenti degradanti la vittima.<br />Nelle grandi aziende, precisano i giudici di legittimità, è difficile parlare di mobbing: infatti, tale fattispecie è costruita a livello di giurisprudenza (infatti non vi è riscontro nel diritto positivo del fenomeno del mobbing) tramite il rinvio all’articolo 572 del codice penale, norma che incrimina il reato di maltrattamenti in famiglia.<br />Per definizione, i maltrattamenti in famiglia possono esservi solo in luoghi caratterizzati dal <br /><br /> <br />tratto della familiarità, che ricorre solo nei piccoli contesti lavorativi, per esempio nel rapporto che lega il collaboratore domestico alla famiglia presso cui è impiegato.<br />Ma ciò non toglie che, escluso il delitto di maltrattamenti, non possano configurarsi comunque altri reati: nel caso di specie il lavoratore era stato messo nell’angolo dai superiori: in un primo momento aveva un incarico di responsabilità, poi era stato preso di mira ed emarginato progressivamente fino ad essere confinato in uno sgabuzzino spoglio e sporco.<br />La vittima aveva patito la situazione a tal punto da ammalarsi, e gli era stato diagnosticato un disturbo dell’adattamento.<br />I giudici hanno ritenuto che l’accaduto integrasse una ipotesi di straining, una particolare forma di persecuzione sul lavoro che si risolve nel mettere sempre in condizione di inferiorità il dipendente.<br />Una volta escluso il reato ex art. 572 del codice penale viene configurato il reato di lesioni personali volontarie e il datore condannato a risarcire il danno patito.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/5089776-cassazione-anche-se-escluso-il-mobbing-pu-esserci-il-reato-di-lesioni-personali-a-carico-del-datore-di-lavoro?source=1&tipo=news" title="http://www.diritto.it/docs/5089776-cassazione-anche-se-escluso-il-mobbing-pu-esserci-il-reato-di-lesioni-personali-a-carico-del-datore-di-lavoro?source=1&tipo=news" rel="external">http://www.diritto.it/docs/5089776-ca ... lavoro?source=1&tipo=news</a>
Tue, 9 Jul 2013 19:25:35 +0200
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Licenziamento disciplinare e immediatezza della contestazione [da nicola74]
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LEGGI E SENTENZE:: Licenziamento disciplinare e immediatezza della contestazione<br />
Presidente: Stile<br />Corte di Cassazione Sezione civile, lavoro n. 16227/2013 del 27/6/2013<br /><br /><br /><br /> <br /> Stampa Invia<br />Pagina: 1 2 di 2 <br />Svolgimento del processo<br />La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di T.P., proposta nei confronti della società Poste Italiane di cui era dipendente, avente ad oggetto l'impugnazione del licenziamento intimatogli in data 7 luglio 2004. <br />La Corte del merito poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale il licenziamento era stato intimato tardivamente rispetto all'epoca della conoscenza da parte della società della sentenza, comunicatale in data 16 febbraio 2004, di condanna per i fatti posti a base del licenziamento. <br />Avverso questa decisione la società Poste italiane ricorre in cassazione sulla base di un unico motivo,<br /><br /> <br />illustrato da memoria. <br />Resiste con controricorso la parte intimata che deposita memoria illustrativa.<br /><br />Motivi della decisione<br />Con l'unico motivo la società, deducendo vizio di motivazione, sostiene che i giudici di appello omettono di motivare sulle ragioni in base alle quali ritengono che il trascorrere di quattro mesi tra il deposito della sentenza penale e la contestazione disciplinare ha leso il diritto di difesa del lavoratore. <br />Né, aggiunge la società ricorrente, la Corte del merito fornisce valide argomentazioni atte a sostenere che la complessità della struttura aziendale, la sua articolazione gerarchica ed il conseguente riparto delle funzioni e dei poteri tra i diversi organi che la compongono non erano idonee a giustificare il decorso di soli quattro mesi. <br />Preliminarmente va rilevata l'ammissibilità del motivo consentendo lo stesso l’identificazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine al quale si deduce il vizio di motivazione di cui all'art. 360 n. 5 cpc. <br />Nel merito la censura è infondata. <br />Invero la Corte del merito rileva che, nel caso in esame, non vi è alcuna ragione tale da giustificare l'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro a distanza di oltre quattro mesi dalla comunicazione della sentenza di condanna con la quale sono stati accertati i fatti che hanno, poi, costituito l'oggetto della contestazione degli addebiti posti a base della risoluzione del rapporto. Peraltro, sottolinea la predetta Corte, una prima valutazione della gravità dei fatti era stata già effettuata dalla società datrice quando, successivamente all'arresto del dipendente ed alla sua rimessione in libertà, aveva ritenuto opportuno di sospenderlo dal servizio. <br />La Corte del merito, quindi, contrariamente a quanto assunto dalla società ricorrente, non omette affatto di motivare sulla ritenuta non tempestività ritenendo non sussistere alcuna valida ragione - evidentemente con riferimento alle circostanze dedotte dalla stessa società - atta a giustificare il ritardo della contestazione disciplinare, sul presupposto che i fatti relativi erano già conosciuti nella loro gravità dal datore di lavoro sin dall'epoca della sospensione cautelare dal servizio, sì che i quattro mesi trascorsi dalla comunicazione della sentenza penale di condanna non possono trovare alcuna giustificazione in ragione della complessità dell'organizzazione aziendale. <br />Né, e vale la pena di sottolinearlo, la società ricorrente denuncia circostanze specifiche, oltre a quelle generiche concernenti la complessità dell'organizzazione, non valutate dalla Corte del merito. <br />D'altro canto, non può non venire in considerazione che la valutazione relativa alla tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove, come nella specie, adeguatamente motivato (Cass. 1 luglio 2010 n. 15649 nonché Cass. 6 settembre 2006 n. 19159 e, fra le numerose altre, V. pure Cass. 29 marzo 2004 n. 6228, Cass. 11 maggio 2004 n. 8914, Cass. 23 aprile 2004 n. 7724, Cass. 19 agosto 2003 n. 12141). <br />Neppure può sottacersi che questa Corte ha già affermato che, in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell'immediatezza della contestazione, che trova fondamento nell'art. 7, terzo e quarto comma, della Legge 20 maggio 1970 n. 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione,]<br />a tutelare il legittimo affidamento del prestatore - in relazione al carattere facoltativo dell'esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede - sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all'esercizio del relativo potere e l'invalidità della sanzione irrogata. D'altro canto non può ritenersi che l'applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l'interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva ragione e il diritto del <br /><br /> <br />lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest'ultimo, tutelata ex lege, senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell'organizzazione aziendale (Cass. 8 giugno 2009 n. 13167). <br />Peraltro la mera complessità dell'organizzazione aziendale, non può di per sé giustificare il procrastinarsi della contestazione, in quanto a tal fine è sempre necessario che il datore di lavoro, pur avendo dimensioni considerevoli, alleghi e provi le ragioni che, nel concreto,hanno determinato la dilazione dei tempi di comunicazione rispetto al momento in cui egli è venuto a conoscenza degli eventi nella loro materialità non essendo a tal fine necessario che sia acquisita l'assoluta certezza della colpevolezza essendo sufficiente, ai fini di cui trattasi, la ragionevole ricorrenza della stessa (Cfr. Cass. 13 febbraio 2013 n. 3532). <br />Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, in conclusione, rigettato. <br />Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.<br />P.Q.M.<br />La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi oltre accessori di legge.<br /><a href="http://www.diritto.it/docs/604890-licenziamento-disciplinare-e-immediatezza-della-contestazione-cass-n-16227-2013?page=2&tipo=content" title="http://www.diritto.it/docs/604890-licenziamento-disciplinare-e-immediatezza-della-contestazione-cass-n-16227-2013?page=2&tipo=content" rel="external">http://www.diritto.it/docs/604890-lic ... -2013?page=2&tipo=content</a>
Tue, 9 Jul 2013 19:23:27 +0200
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