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Le applicazioni giurisprudenziali dell'art. 21-octies della legge n. 241/90
Categoria : Leggi & Sentenze
Pubblicato da ADMIN in 1/9/2007
Le applicazioni giurisprudenziali dell'art. 21-octies della legge n. 241/90

L'art. 21-octies, 2°comma si articola in due distinte previsioni: la prima, di carattere generale, dispone che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"; la seconda, dedicata ad una specifica norma sul procedimento amministrativo, cioè l'art. 7 della legge n. 241/90, prevede che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

L'articolo 21-octies della legge n. 241/90 e le sue applicazioni giurisprudenziali

di Marco Lunardelli
(dottore magistrale in scienze giuridiche)

Capitolo IV

Le applicazioni giurisprudenziali dell'art. 21-octies


A questo punto è necessario concentrare la nostra attenzione sulle applicazioni giurisprudenziali dell'art. 21-octies, sottolineando come fino ad oggi non esistono decisioni del Consiglio di Stato in materia, per cui è possibile soltanto una rapida analisi delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali relative alla disposizione in esame e, in particolare, al suo secondo comma.

La sentenza che si è occupata dell'interpretazione dell' art. 21-octies, 2°comma in modo più completo è la sentenza n. 9984/06 del T.A.R. Campania, sezione di Napoli. Nel caso di specie il ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego, emanato dal responsabile dell'area tecnica di un comune, in relazione alla richiesta di un permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente per i lavori eseguiti su un fabbricato di sua proprietà .

Il T.A.R. ha affermato che l'art. 21-octies, 2°comma si articola in due distinte previsioni: la prima, di carattere generale, dispone che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"; la seconda, dedicata ad una specifica norma sul procedimento amministrativo, cioè l'art. 7 della legge n. 241/90, prevede che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Da un confronto tra queste due previsioni, sempre secondo l'opinione del tribunale, emerge che esse sono accomunate dal divieto di annullare i provvedimenti che risultino affetti da vizi di legittimità di natura non sostanziale, ma si distinguono sotto tre profili. Anzitutto, la prima previsione ha carattere generale, avendo ad oggetto ogni possibile violazione delle norme sul procedimento amministrativo o sulla forma degli atti (ad eccezione dei vizi di forma che determinano la nullità del provvedimento ai sensi dell'art. 21-septies della legge n. 241/90), mentre la seconda si riferisce soltanto alla violazione dell'art. 7 della medesima legge. Inoltre, le due previsioni presentano un diverso ambito applicativo, perché la prima riguarda i provvedimenti vincolati, mentre la seconda si riferisce implicitamente ai provvedimenti discrezionali. Infine la non annullabilità opera diversamente nelle due fattispecie; infatti, mentre il secondo alinea è destinato a trovare applicazione solo nel processo e pone espressamente in capo all'Amministrazione l'onere di provare che, se pure fosse stata data comunicazione dell'avvio del procedimento all'interessato, comunque il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, nel primo alinea la non annullabilità risulta genericamente subordinata alla condizione che sia palese che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Il T.A.R. osserva che si deve escludere che un provvedimento difforme dal paradigma normativo, poiché adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, possa essere considerato semplicemente irregolare; infatti, un provvedimento amministrativo deve qualificarsi irregolare quando, sulla base di una valutazione condotta in astratto e a priori, la difformità dal paradigma normativo che lo contraddistingue non può compromettere la migliore individuazione dell'interesse pubblico concreto e la sua soddisfazione; invece, secondo il tenore letterale della disposizione in esame, l'idoneità o meno del provvedimento, adottato in violazione di una norma sul procedimento o sulla forma degli atti, a soddisfare l'interesse pubblico è destinata ad essere evidenziata di volta in volta dal giudice, all'interno del processo, con specifico riferimento ad una determinata fattispecie concreta. Pertanto, in presenza di un vizio di legittimità che, solo a seguito delle valutazioni richieste dalla norma ed effettuate è ex post dal giudice, non comporta l'annullabilità del provvedimento, si deve ritenere che l'art. 21-octies, 2°comma costituisca, in realtà , un'applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, già enunciato dall'art. 156, 3°comma, c.p.c., secondo il quale "la nullità non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato", fermo restando che lo scopo di cui trattasi, a differenza di quanto accade nell'art. 156, 3°comma, c.p.c., non è quello dell'atto endoprocedimentale o della formalità omessi o imperfetti, bensì lo scopo generale dell'azione amministrativa, cioè l'adozione di una decisione il cui contenuto dispositivo sia sostanzialmente conforme al paradigma normativo.

In caso di attività vincolata il giudice può effettivamente verificare la corrispondenza del contenuto dispositivo del provvedimento al contenuto prescritto dalla legge, in quanto tale contenuto è rigidamente predeterminato dalla legge e, quindi, può risultare palese che, nonostante l'esistenza di vizi procedimentali o formali, lo scopo dell'azione amministrativa è stato raggiunto; proprio in ragione della predeterminazione normativa del contenuto del provvedimento il giudice può procedere d'ufficio alla verifica del raggiungimento dello scopo senza che ciò si traduca in un vero e proprio stravolgimento dei rapporti tra giudice amministrativo e pubblica Amministrazione, regolati dal principio della separazione dei poteri. Invece, laddove sussista discrezionalità amministrativa, dato che la legge si è limitata ad indicare obiettivi e criteri lasciando all'Amministrazione il compito di individuare il contenuto dispositivo del provvedimento, si deve escludere in radice che possa emergere in modo palese il raggiungimento dello scopo dell'azione amministrativa, proprio perchè le violazioni di carattere procedimentale o formale sono presumibilmente destinate ad incidere sul contenuto dispositivo del provvedimento; è questa la ragione per cui il legislatore ha previsto, se pure limitatamente alla violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90, che sia la stessa Amministrazione a dimostrare in giudizio che lo scopo dell'azione amministrativa è stato comunque raggiunto.

Dunque, in caso di attività vincolata, per effetto della generalizzata "dequotazione" dei vizi procedimentali e formali prodotta dalla regola del raggiungimento dello scopo, il giudice amministrativo è oggi chiamato conoscere della legittimità complessiva dell'azione amministrativa, ossia l'oggetto del processo amministrativo non è più soltanto la legittimità del provvedimento impugnato, ma il rapporto pubblicistico tout court; invece, in caso di attività discrezionale, l'introduzione della regola del raggiungimento dello scopo si traduce soltanto nella possibilità offerta all'Amministrazione di sanare, attraverso la propria condotta processuale, il vizio derivante dall'omessa comunicazione di avvio del procedimento, per cui si deve escludere, da un lato, che il giudice sia chiamato dalla legge a conoscere del rapporto pubblicistico e, dall'altro lato, che l'Amministrazione si possa avvalere della regola del raggiungimento dello scopo per sanare in giudizio vizi procedimentali diversi dalla violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90.

Il T.A.R. Campania si pone, poi, il problema dell'applicabilità dell'art. 21-octies, 2°comma ai provvedimenti che risultino affetti da vizi inerenti la motivazione; peraltro, tale problema riguarda soltanto i provvedimenti vincolati, come il diniego di permesso di costruire in sanatoria oggetto del presente giudizio, e presuppone che l'art. 3 della legge n. 241/90 possa essere incluso tra le norme sul procedimento e sulla forma degli atti alle quali si riferisce la disposizione in commento. Al riguardo, si osserva che la giurisprudenza ha già avuto modo di occuparsi di tali problemi proprio con riferimento a fattispecie nelle quali il difetto di motivazione è stato dedotto avverso provvedimenti di diniego del permesso di costruire, ma è pervenuta a conclusioni non univoche. In particolare, secondo un primo orientamento, sostenuto dalla sentenza n. 3501/05 del T.A.R. Piemonte, anche dopo l'introduzione dell'art. 21-octies deve essere esclusa la possibilità di una motivazione postuma che consenta all'Amministrazione di esternare nel corso del giudizio le ragioni sottese al provvedimento di diniego impugnato, perchè tale possibilità è incompatibile con la natura demolitoria del processo amministrativo, che impone di fare esclusivo riferimento al contenuto dell'atto e perché anche nel caso di provvedimenti vincolati il venir meno di ogni apprezzamento discrezionale non esonera l'Amministrazione dall'obbligo di rendere conoscibili i presupposti della determinazione adottata, corredandola di un congruo supporto motivazionale, la cui assenza non può essere valutata alla stregua di un mero vizio formale. In direzione opposta muove altra parte della giurisprudenza, soprattutto la sentenza n. 185/05 del T.A.R. Abruzzo, sezione di Pescara, e la sentenza n. 760/05 del T.A.R. Campania, sezione di Salerno, secondo le quali in caso di provvedimenti vincolati il tradizionale principio del divieto di motivazione postuma deve considerarsi definitivamente superato alla luce dell' art. 21-octies, 2°comma; in particolare, secondo tale orientamento, premesso che il difetto di motivazione non si configura, di per sé, come un vizio sostanziale (il quale, ove sussistente, conduce all'annullamento del provvedimento impugnato), bensì come uno dei vizi sulla forma degli atti cui fa riferimento l'art. 21-octies, deve ritenersi che attraverso l'introduzione della regola del raggiungimento dello scopo si sia realizzata una trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull'atto a giudizio sul rapporto, per cui l'Amministrazione intimata può oggi rappresentare in corso di giudizio ogni elemento utile per evidenziare la palese infondatezza della pretesa del ricorrente. Quest'ultimo orientamento, secondo il T.A.R. Campania competente nel caso di specie, è condivisibile sia perchè una lettura congiunta dell'art. 2, 5°comma, e dell'art. 21-octies della legge n. 241/90 induce a ritenere che in caso di attività vincolata l'oggetto del processo amministrativo non sia più la legittimità del provvedimento, ma il rapporto pubblicistico sia perché la "dequotazione" dei vizi formali e procedimentali determinata dal primo alinea della disposizione in esame ha carattere generale e, quindi, non può non essere estesa alla violazione dell'art. 3 della legge sul procedimento. Tuttavia, il tribunale ricorda di aver ribadito in precedenti sentenze che il provvedimento di diniego del permesso di costruire determina una contrazione dello ius aedificandi e quindi, pur essendo frutto di un'attività vincolata, consistente nella verifica della conformità dell'intervento edilizio proposto alla disciplina dettata dalla legge e dagli strumenti urbanistici, necessita di una circostanziata motivazione, esplicativa delle reali ragioni ostative al rilascio del titolo abilitativo, dovendosi consentire all'interessato di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale ovvero di superare, laddove sia possibile, le ragioni impeditive addotte dall'Amministrazione mediante una modifica del progetto originariamente proposto. Ne consegue che, se dalla motivazione del provvedimento di diniego non si desumono chiaramente le effettive ragioni ostative al rilascio del titolo abilitativo, tale provvedimento risulta illegittimo per violazione dell'art. 3 della legge n. 241/90; peraltro, tale violazione, stante la disposizione dell'art. 21-octies, non necessariamente conduce all'annullamento del diniego, poiché il giudice amministrativo può ritenere accertato che attraverso tale provvedimento sia stato comunque raggiunto lo scopo dell'azione amministrativa; a tale conclusione il giudice può pervenire sia grazie ad una integrazione postuma della motivazione del diniego da parte dell'Amministrazione sia grazie alle risultanze di un'attività istruttoria disposta d'ufficio.

Invece, nella sentenza n. 1626/06 del T.A.R. Liguria, si afferma che è inammissibile che un provvedimento amministrativo, oggetto di impugnazione, possa essere integrato, nel corso del giudizio, con una motivazione postuma; infatti, tale evenienza comporterebbe sia la riapertura del procedimento senza che all'interessato sia data la possibilità di formulare le proprie osservazioni sia un improprio ampliamento dell'oggetto del giudizio volto ad eludere il sindacato sulla legittimità del provvedimento alla stregua dei parametri esistenti al momento della sua adozione, in palese violazione sia del principio della parità delle parti che del generale obbligo motivazionale introdotto dall'art. 3 della legge n. 241/90. La motivazione del provvedimento amministrativo è un elemento essenziale, la cui mancanza o insufficienza non rientra tra i vizi del procedimento o sulla forma degli atti che, ai sensi dell'art 21-octies, non danno luogo all'annullabilità del provvedimento qualora il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Sulla stessa questione, nella sentenza n. 773/06, il T.A.R. Sicilia, sezione di Palermo, statuisce che la previsione dell'art. 21-octies deve essere interpretata con particolare cautela laddove il provvedimento sia viziato da difetto di motivazione: «a prescindere dalla difficoltà di inquadrare la motivazione tra gli aspetti meramente procedimentali o formali, tuttavia, anche ammettendo la qualificazione della motivazione in tali termini, deve ritenersi che sussista il diritto del cittadino ad una motivata incisione nella propria sfera giuridica da parte dei pubblici poteri. Diversamente, ove si consentisse una qualunque motivazione, agganciata ex post ad una concreta determinazione immotivatamente adottata, ciò non sarebbe certo conforme ai principi di imparzialità e trasparenza e si giungerebbe al non auspicabile risultato che detti principi sarebbero sempre destinati a soccombere in nome del principio di efficienza».

Sempre sul medesimo tema, la sentenza n. 4125/06 del T.A.R. Veneto si limita ad affermare che anche ammesso che il disposto dell'art. 21-octies sia applicabile al vizio di motivazione dell'atto, è necessario che sia fornita una prova adeguata quanto all'ineluttabilità del contenuto dispositivo del provvedimento.

Secondo la sentenza n. 476/06 del T.A.R. Sardegna, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 21-octies, il giudice non si limita più a giudicare (secondo la tradizionale visione del processo amministrativo impugnatorio) della legittimità della determinazione amministrativa in relazione ai motivi di censura dedotti, in quanto i principi di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti preservano il provvedimento dall'annullamento quando quest'ultimo è, comunque, idoneo al raggiungimento del suo scopo istituzionale. Il tribunale si è in particolare soffermato sul carattere innovativo della disposizione affermando che essa consente, in taluni casi, al giudice di analizzare anche profili motivazionali non presenti e strutturati nell'originario provvedimento amministrativo, ammettendo, in sede giudiziaria, l'arricchimento di valutazioni (in ordine ad elementi preesistenti) esternate anche in un momento successivo per opera del difensore, il quale, agendo in rappresentanza dell'Amministrazione, viene "abilitato" a svolgere una funzione nuova ed ulteriore rispetto a quella propriamente processuale; egli può, dunque, svolgere, in giudizio, una funzione parzialmente innovativa in ordine agli aspetti motivazionali, i quali sono suscettibili di ampliamento rispetto a quanto emerge dal provvedimento emanato dall'Amministrazione. Dopo l'introduzione legislativa di un'autonoma fase processuale diretta specificamente alla verifica dei presupposti che potrebbero rendere il provvedimento in origine illegittimo non più annullabile perché sanato, la prova che l'Amministrazione è tenuta ad esibire deve essere tale da introdurre nel giudizio elementi di fatto, prevalentemente di natura tecnica ed oggettivamente verificabili, idonei a dimostrare in concreto che in nessun altro modo, non lesivo per la posizione del ricorrente, si sarebbe potuto raggiungere lo scopo; in altri termini, deve risultare provato che, secondo i canoni della logicità e congruità , la pubblica Amministrazione ha comunque operato, nel corso del procedimento, una corretta comparazione degli interessi coinvolti, alla luce dei tratti mutevoli della realtà , in modo che risulti evidente che il provvedimento, anche se divergente dal diritto positivo, è rispettoso dell'assetto degli interessi che le norme impongono, in quanto ogni ulteriore elemento conoscitivo che l'interessato avrebbe potuto evidenziare non avrebbe scongiurato la lesione lamentata, proprio per l'oggettiva impossibilità di un contenuto diverso. Tale fase del procedimento giurisdizionale, avendo il fine di conciliare il criterio dell'efficienza amministrativa con quello della garanzia, impone, inoltre, che al privato sia data la possibilità di controdedurre a sua volta sugli elementi di prova esibiti, in modo da assicurare in giudizio quella tutela che consenta di ritenere sanato il vizio originario.

Secondo la sentenza n. 6693/06 del T.A.R. Lazio, sezione di Roma, l'art. 21-octies, 2°comma figura come un "precetto" rivolto al giudice in quanto offre una serie di indicazioni da osservare nel corso del giudizio, al fine di disporre o meno l'annullamento. àˆ possibile affermare, in base all'opinione del tribunale, che i principi introdotti dalla disposizione in esame sono, in realtà , destinati ad operare sempre e comunque nel giudizio: la nuova norma non comporta alcuna eccezione alla qualificazione sostanziale del provvedimento non conforme alla legge, che è e rimane invalido, ma opera sul piano degli esiti processuali, in seguito all'effettuazione di una valutazione in concreto e non in astratto del caso singolo; dunque, tale previsione può essere ricondotta nell'ambito delle norme di carattere processuale, le quali sono di immediata applicazione, come ripetutamente riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale; in particolare, la disposizione riguarda una fase che non interessa, almeno in termini diretti, l'attività amministrativa perchè attiene all'annullabilità del provvedimento, oggetto di sindacato in sede giurisdizionale. Nel senso dell'immediata applicabilità alle controversie pendenti dell' art. 21-octies, 2°comma si sono già espresse la sentenza n. 483/05 del T.A.R. Sardegna e la sentenza n. 3780/05 del T.A.R. Campania, sezione di Napoli. Secondo il T.A.R. Lazio, con il primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies, da ritenere riferibile anche al caso di inadempimento dell'obbligo di cui all'art. 7 della legge n. 241/90, in quanto "norma sul procedimento", il legislatore ha sostanzialmente recepito l'orientamento giurisprudenziale in base al quale sussiste l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento in caso di attività vincolata; nel contempo, ha dato risalto all'intrinseca meritevolezza della realizzazione dell'interesse materiale sia del cittadino che dell'Amministrazione per mezzo dell'introduzione di tecniche di valorizzazione dell'irrilevanza del vizio denunciato sul contenuto dispositivo del provvedimento. Il legislatore non ha inciso sull'art. 7 della legge n. 241/90, esentando dall'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento i provvedimenti vincolati e, dunque, rendendo legittimi gli atti vincolati non preceduti da detta comunicazione, ma semplicemente ha escluso la possibilità per il giudice di annullare i provvedimenti vincolati nell'ipotesi in cui il contenuto dispositivo "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", rendendo così necessaria una specifica valutazione al riguardo. Il secondo alinea del secondo comma della disposizione in esame introduce un ulteriore limite all'annullabilità del provvedimento con riferimento specifico la mancata comunicazione di avvio del procedimento, escludendola "comunque" nei casi in cui "l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". In tal modo, sempre secondo il T.A.R. Lazio, il legislatore sembra avere condiviso il principio dell'utile partecipazione al procedimento, invertendo, però, l'onere della prova: mentre in precedenza, secondo un orientamento assunto in ambito giurisprudenziale, l'interessato doveva dedurre in giudizio circostanze ed elementi idonei ad un'esatta valutazione sulla rilevanza del provvedimento adottato e capaci, eventualmente, di far recedere l'Amministrazione dal provvedere, con l'introduzione dell'art. 21-octies, invece, grava sull'Amministrazione dimostrare che, anche in caso di partecipazione del privato, essa non avrebbe potuto adottare un provvedimento con contenuti diversi da quelli del provvedimento in concreto adottato.

La sentenza n. 3611/06 del T.A.R. Campania, sezione di Napoli, ha deciso sul ricorso proposto da un determinato soggetto per l'annullamento di un provvedimento di diniego del permesso di costruire; tale soggetto ha addotto la violazione dell'art. 7 e dell'art. 10 della legge n. 241/90, cioè la mancata comunicazione di avvio del procedimento e la mancata partecipazione allo stesso. Secondo il T.A.R., non possono trovare favorevole considerazione le censure di violazioni procedimentali di cui agli artt. 7 e 10 della legge n. 241/90, in quanto l'Amministrazione in giudizio ha fornito elementi tali da integrare la c.d. "sanatoria dei vizi formali" di cui all'art. 21-octies della medesima legge: la pubblica Amministrazione in giudizio ha evidenziato che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il dettato della disposizione citata assume una valenza particolare, poiché assolve la funzione di impedire che il proliferare delle norme procedimentali nel diritto amministrativo, specie a livello regolamentare, possa portare ad un uso distorto delle stesse e ad una strumentalizzazione delle regole endoprocedimentali al solo fine di ottenere la caducazione del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale. In questa prospettiva, le norme di natura formale assumono ora una veste di cedevolezza rispetto alle norme di natura sostanziale; la natura cedevole delle norme procedimentali si rapporta alla loro valenza finale, essenzialmente strumentale al perseguimento dell'interesse sostanziale fatto valere dall'interessato; la logica della cedevolezza dei vizi di natura formale risale al principio di conservazione degli atti giuridici, che trova applicazione laddove sia assicurato il "raggiungimento dello scopo". Nella fattispecie lo scopo si intende raggiunto attraverso la realizzazione dell'interesse sostanziale che sta alla base del rapporto procedimentale tra privato e pubblica Amministrazione; per tale ragione, riconosciuta la natura formale della violazione contestata, per escludere l'annullamento occorre che sia palese che il provvedimento, pur in assenza del vizio contestato, avrebbe avuto comunque il medesimo contenuto provvedimentale sfavorevole per l'interessato. In tal caso non si fa luogo ad annullamento, poiché l'eventuale pronuncia di annullamento si rivelerebbe "inutiliter data", in quanto l'eventuale caducazione del provvedimento impugnato non produrrebbe l'effetto voluto dall'interessato, dovendo l'Amministrazione, in esecuzione della sentenza, reiterare un provvedimento di contenuto identico a quello annullato. Ciò premesso, ad avviso del tribunale, il vizio prospettato con riferimento all'omessa comunicazione di avvio del procedimento appartiene alla categoria dei vizi emendabili ai sensi dell'art. 21-octies; nella specie, l'applicazione di tale norma impedisce di pervenire all'annullamento del provvedimento impugnato, in quanto, sulla base delle argomentazioni difensive del Comune non contrastate da elementi specifici da parte del ricorrente, deve ritenersi in ogni caso palese che il contenuto del provvedimento con cui l'Amministrazione ha negato il rilascio del permesso di costruire non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; peraltro l'attività della pubblica Amministrazione appare vincolata in quanto normativamente predeterminata sulla base di parametri discendenti dall'applicazione delle previsioni legali e degli strumenti urbanistici vigenti, in assenza di margini di scelta tra più soluzioni astrattamente ammissibili. Dunque l'impugnativa è infondata ed il T.A.R. rigetta il ricorso.

Diversa è, invece, la soluzione adottata dalla sentenza n. 2974/06 del T.A.R. Piemonte; nel caso di specie, la giunta comunale di un comune aveva approvato il progetto definitivo di opere pubbliche, inserendovi tra i terreni interessati al relativo esproprio anche quelli di proprietà dei ricorrenti ed aveva dichiarato l'urgenza delle opere; il responsabile del procedimento ha disposto in favore del Comune l'occupazione d'urgenza, preordinata all'espropriazione dei terreni; con il ricorso i proprietari dei terreni in questione hanno chiesto l'annullamento del decreto di occupazione d'urgenza; i ricorrenti assumono che il Comune non avrebbe correttamente applicato l'art. 11 2°comma del d.p.r. 327 del 2001, avendo pubblicato l'avviso di inizio del procedimento di espropriazione ed occupazione d'urgenza nell'albo pretorio del Comune e su due testate a tiratura locale, ma non su almeno un quotidiano nazionale e sul sito informatico della regione Piemonte, così come richiesto dalla citata disposizione normativa. Il T.A.R. riconosce che nel caso di specie si ha violazione di quest'ultima disposizione e, conseguentemente, l'illegittimità del provvedimento impugnato, non potendo trovare applicazione l'art. 21-octies della legge n. 241/90, in quanto il Comune non ha fornito adeguata dimostrazione che il tenore del provvedimento impugnato non sarebbe mutato in caso di regolare comunicazione di avvio del procedimento, anche considerata la rilevanza delle osservazioni dei ricorrenti (soprattutto in merito alla possibilità di soluzioni alternative, come l'occupazione temporanea non preordinata all'esproprio) che ben avrebbero potuto incidere sulle scelte discrezionali della pubblica Amministrazione. Dunque, il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La sentenza n. 463/06 del T.A.R. Liguria ha deciso sul ricorso con cui un ingegnere ha impugnato la determinazione dirigenziale con la quale il responsabile del servizio tecnico di un comune ha affidato ad una data società i servizi di direzione dei lavori relativi alla realizzazione di un'opera pubblica; avverso il provvedimento impugnato il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del bando di gara attinente l'affidamento del servizio: la commissione giudicatrice avrebbe erroneamente attribuito alla società controinteressata il massimo del punteggio (2 punti) relativo alla certificazione di qualità , assegnabile, in base alla lex specialis, soltanto qualora la certificazione fosse posseduta anche dal mandatario della società ; poiché, in realtà , soltanto i mandanti di quest'ultima erano in possesso della certificazione di qualità , il punteggio da assegnare sarebbe pari a 1,20 con conseguente assottigliamento del già esiguo margine di differenza tra i punteggi finali della società aggiudicataria e della ricorrente. Il Comune convenuto riconosce l'esistenza di un errore nell'attribuzione del punteggio relativo alla certificazione di qualità della società controinteressata, rilevando, peraltro, come, quand'anche si corregga l'errore, non muti la posizione finale della ricorrente e dell'aggiudicataria, soltanto riducendosi la differenza tra le due concorrenti. Il T.A.R. stabilisce che nel contenzioso in materia di gare per l'aggiudicazione di contratti con la pubblica Amministrazione è pacifica l'inammissibilità , per carenza di interesse, dell'impugnazione di un'aggiudicazione quando da una verifica, operata a priori, risulti con certezza che anche nel caso di un suo accoglimento l'impresa ricorrente non risulterebbe comunque aggiudicataria; tali principi, ispirati da esigenze di economicità dell'azione amministrativa, sono alla base anche della recente legge n. 15 del 2005 e, in particolare, della previsione, da essa introdotta, dell'art. 21-octies della legge n. 241/90; nel caso di specie, attesa la natura vincolata del criterio di attribuzione del punteggio relativo alla certificazione di qualità , la rilevata violazione della normativa procedimentale recata dalla lex specialis non influisce sul contenuto dispositivo del provvedimento di aggiudicazione del servizio alla società controinteressata. In conclusione, dunque, il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 405/06 del T.A.R. Liguria ha deciso sul ricorso con cui un determinato soggetto, proprietario di un fabbricato oggetto di lavori di ristrutturazione, ha impugnato l'ordinanza con cui la pubblica Amministrazione, sul presupposto che l'impluvio interessato (un camminamento privato utile per lo scolo delle acque piovane) sarebbe iscritto nell'elenco delle acque pubbliche, ha ingiunto la rimozione di una tubazione e la demolizione di una scala soprastante; il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90 per mancata comunicazione di avvio del procedimento. Il T.A.R. osserva che la natura sanzionatoria dell'ordine di demolizione e rimozione di opere imponeva il previo rispetto delle garanzie partecipative; in generale l'art. 7 della legge n. 241/90 ha natura di principio fondamentale, per cui la comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti per i quali il provvedimento conclusivo produce effetti diretti deve essere effettuata anche per l'irrogazione di misure sanzionatorie; nel caso di specie, sempre secondo il tribunale, non appare invocabile il disposto di cui all'art. 21-octies, in quanto l'Amministrazione non ha dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso; anzi, al contrario, il privato interessato laddove messo in condizione di partecipare avrebbe potuto fornire elementi utili, ad esempio attraverso lo svolgimento di un sopralluogo in contraddittorio. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso in esame appare fondato e, pertanto, il T.A.R. lo accoglie con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La sentenza n. 333/06 del T.A.R. Liguria ha deciso sul ricorso con cui alcune persone hanno impugnato la delibera con cui il direttore generale di un ospedale aveva rideterminato in diminuzione gli incentivi legati allo svolgimento di prestazioni in plus-orario rese dal personale del servizio laboratori analisi, presso il quale i ricorrenti prestavano servizio; egli, contestualmente, aveva disposto il recupero delle somme in eccedenza già liquidate e la redistribuzione di dette somme in favore del personale appartenente ad altre unità operative dell'ospedale. I ricorrenti deducono la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90, in quanto la suddetta delibera non è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento volto alla rideterminazione del plus-orario ed al recupero delle somme indebitamente erogate; la difesa dell'Amministrazione resistente ha eccepito la non annullabilità del provvedimento impugnato, alla stregua di quanto disposto dall'art. 21-octies. Secondo il T.A.R., stabilito che il provvedimento di autotutela avente ad oggetto la rimozione di atti che abbiano comportato un illegittimo esborso di denaro pubblico, nonché il recupero delle relative somme, costituisce atto dovuto e vincolato da parte dell'Amministrazione, l'istruttoria espletata in corso di causa ha confermato l'erroneità della delibera nella parte in cui riconosceva compensi per plus-orario in misura maggiore rispetto a quella spettante al personale assegnato al servizio laboratori analisi: la doverosità dell'intervento in autotutela, a fronte di un'indebita erogazione di denaro, fa sì che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere contenuto dispositivo differente da quello adottato, determinando in tal modo, ai sensi dell'art. 21-octies, l'ininfluenza della denunciata violazione procedimentale ai fini dell'annullabilità del provvedimento. In conclusione il T.A.R. rigetta il ricorso.

Per quanto riguarda, poi, la sentenza n. 3077/06 del T.A.R. Puglia, sezione di Bari, nel caso di specie la Giunta Provinciale con delibera aveva approvato il progetto di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi con recupero di materie prime suscettibili di riutilizzo ed aveva autorizzato la società ricorrente all'esercizio dell'impianto; a distanza di due mesi la delibera veniva annullata dalla stessa Giunta Provinciale; l'intervento auto-demolitorio dell'Amministrazione provinciale traeva spunto dall'azione del Prefetto di Bari il quale, ricevuta comunicazione da parte della Provincia dell'approvazione del progetto e persuaso della sua competenza al riguardo, aveva invitato l'ente provinciale ad agire in autotutela sulla propria delibera in ragione di un'ordinanza del Ministero dell'Interno secondo cui le autorizzazioni concernenti le discariche andavano rilasciate dai prefetti. La società ricorrente ha impugnato il provvedimento di annullamento deducendo la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90, stante il mancato rispetto delle formalità partecipative e garantistiche, in quanto la Provincia aveva dato solo un giorno di tempo alla ricorrente per intervenire nella procedura di annullamento.

Il T.A.R. afferma che si tratta di un vizio formale e la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta anche di talune decisioni del Consiglio di Stato, si è già da tempo orientata per una concezione funzionale e non meramente formale dell'art. 7, nel senso di ritenere escluso l'annullamento del provvedimento ogni qual volta l'esito del procedimento non sarebbe stato differente anche se vi fosse stata la partecipazione dell'interessato; peraltro, oggi l' art. 21-octies, 2°comma, della legge n. 241/90, così come introdotto dalla legge n. 15 del 2005, prevede espressamente la c. d. "illegittimità non invalidante". Secondo il tribunale, con tale norma il legislatore ha codificato il depotenziamento dei vizi formali e procedimentali; è vero che l'operatività dell'istituto dell'illegittimità non invalidante è subordinata alla presenza di due elementi, vale a dire la natura vincolata del provvedimento e l'essere palese che il suo contenuto dispositivo non poteva essere diverso da quello adottato, ma queste condizioni, in realtà , non si pongono in termini restrittivi, come una prima lettura potrebbe far ritenere. Sulla prima condizione operativa, va notato che anche i provvedimenti vincolati presentano un apprezzamento discrezionale sul quando e sul quomodo, mentre i provvedimenti discrezionali, a loro volta, presentano anch'essi momenti vincolati, quanto meno con riferimento ai principi generali dell'ordinamento ed in particolare alla soglia massima dell'irrazionalità ; in altri termini, il concetto di provvedimento vincolato, in realtà , è elastico; ne deriva che tale condizione non si pone in termini decisivi ai fini dell'operatività dell'illegittimità non invalidante. Quanto, poi, all'altro presupposto operativo, vale a dire l'essere palese che la determinazione adottata non avrebbe potuto essere diversa, un giudizio del genere non può che essere emesso a posteriori, con apprezzamento caratterizzato da ampio margine di opinabilità in quanto tra l'impossibile e il possibile la graduazione di ipotesi intermedie è infinita e quindi per gli interessati diventerà sempre più difficile valutare a priori se siano dalla parte della ragione o dalla parte del torto. In conclusione il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 1528/06 del T.A.R. Liguria ha deciso sul ricorso con cui un cittadino albanese ha impugnato il provvedimento con il quale il prefetto di Imperia ha rigettato la dichiarazione di emersione di lavoro irregolare per lui presentata dal datore di lavoro con la motivazione che il lavoratore è stato destinatario di un provvedimento di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera, provvedimento che è ostativo alla regolarizzazione ex art. 1 della legge 222 del 2002; il ricorrente deduce la falsa applicazione della norma appena citata ed eccesso di potere per travisamento dei fatti. Il T.A.R. ritiene che il motivo di ricorso sia fondato, in quanto il decreto di espulsione del Prefetto di Genova è stato emanato mediante intimazione piuttosto che, come erroneamente sostenuto nel provvedimento impugnato, con accompagnamento coattivo alla frontiera; il Prefetto di Imperia sollecita in via di eccezione l'applicazione dell'art. 21-octies della legge n. 241/90, ma l'eccezione non merita accoglimento. Afferma, infatti, il T.A.R. che la speciale sanatoria di cui alla disposizione citata concerne i soli vizi concernenti la violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti e non la violazione di norme di carattere sostanziale (qual è sicuramente l'art. 1 della legge 222 del 2002) o il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti; d'altronde, stante la natura eccezionale della norma, che deroga alla regola generale sull'annullabilità dei provvedimenti amministrativi adottati in violazione di legge o viziati da eccesso di potere o da incompetenza, se ne impone un'interpretazione restrittiva. In conclusione, il T.A.R. accoglie il ricorso ed annulla il provvedimento impugnato.

La sentenza n. 2103/06 del T.A.R. Lombardia, sezione di Milano, ha deciso sul ricorso proposto da un determinato soggetto per l'annullamento del decreto del Questore di Pavia con cui è stato ordinato al ricorrente il rimpatrio con foglio di via obbligatorio e con contestuale divieto di far ritorno nel comune di Voghera per un periodo di tre anni; il ricorrente deduce che il provvedimento impugnato non è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, sostenendo che tale lacuna ha impedito al medesimo soggetto di rappresentare all'Amministrazione che la presenza nel comune di Voghera era giustificata dalla frequenza del programma di riabilitazione dalle tossicodipendenze che l'interessato stava seguendo presso la locale ASL, nonché di evidenziare come il divieto di far ritorno nel comune di Voghera avrebbe determinato l'interruzione del programma terapeutico con deleterie ricadute nello stato di tossicodipendenza.

Il T.A.R. afferma che la censura non è fondata, in quanto la giurisprudenza amministrativa maggioritaria, che viene da tale Collegio condivisa, è orientata a ritenere che nel procedimento per l'emanazione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, la comunicazione all'interessato del suo inizio, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 241/90, può essere omessa per ragioni di urgenza, trattandosi di un provvedimento che viene adottato nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica, cioè persone che, se non allontanate immediatamente dal luogo in cui operano, con elevata probabilità possono continuare a delinquere, compromettendo la pacifica convivenza dei cittadini; in simile contesto non v'è dubbio che le garanzie procedimentali partecipative debbano risultare recessive rispetto alle esigenze poste a tutela della collettività . In effetti, poiché nel caso in esame la presenza del ricorrente in Voghera è stata ritenuta dall'autorità di pubblica sicurezza fonte di imminente pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica, l'instaurazione del contraddittorio procedimentale con l'interessato avrebbe potuto svilire le finalità proprie della misura preventiva, per la cui proficua esecuzione ricorrevano nella specie evidenti ragioni di urgenza, come peraltro confermato dagli accadimenti successivi all'adozione del provvedimento impugnato (l'interessato è stato tratto in arresto in flagranza del reato di rapina commesso in Voghera). Sempre secondo il T.A.R. il secondo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies della legge n. 241/90 riguarda le manifestazioni proprie dell'attività discrezionale e segna l'irrilevanza in termini di annullabilità di uno specifico vizio procedurale ove risulti che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; peraltro, è necessario considerare come l'esigenza di non interrompere il programma terapeutico seguito presso l'ASL di Voghera, che secondo il ricorrente avrebbe dovuto ricevere ingresso nel procedimento, trovi già considerazione nell'ordine impugnato; infatti, il provvedimento precisa espressamente che al ricorrente, conformemente alle sua dichiarate aspettative, non è impedita la prosecuzione del programma di riabilitazione presso l'ASL di Voghera, ben potendo lo stesso essere autorizzato a recarsi presso l'indicata struttura sanitaria per fruire delle necessarie prestazioni terapeutiche. Ne deriva che la partecipazione dell'interessato non avrebbe potuto apportare alcun ulteriore utile contributo, il che rende manifesta l'inutilità dell'invocato avviso di avvio del procedimento; quindi il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 430/06 del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa- Sezione Autonoma di Bolzano ha deciso sul ricorso con cui un determinato soggetto ha impugnato il provvedimento del sindaco di un comune che ha respinto la domanda presentata dalla TIM e volta ad ottenere l'autorizzazione alla riconfigurazione dell'impianto per telefonia mobile esistente nel territorio di tale comune. Il Tribunale fa notare come le norme di attuazione del piano provinciale di settore delle infrastrutture delle comunicazioni, già in vigore al momento dell'adozione del provvedimento impugnato, prevedano che presupposto per il rilascio dell'autorizzazione per la modifica degli impianti già esistenti è il parere positivo della Commissione provinciale per le infrastrutture delle comunicazioni, una commissione tecnica di esperti istituita dalle stesse norme di attuazione; quindi, il sindaco, prima di prendere ogni decisione in merito alla domanda di autorizzazione, è tenuto ad assumere, in via preventiva il parere della citata commissione; in altre parole, il procedimento di rilascio dell'autorizzazione prevede il parere obbligatorio di questa commissione. Nel caso in esame, tuttavia, il sindaco ha negato l'autorizzazione alla riconfigurazione dell'impianto esistente senza aver acquisito l'obbligatorio parere tecnico prescritto dalle norme citate.

La difesa del Comune afferma che il Tribunale non potrebbe annullare il provvedimento di rigetto dell'autorizzazione per omessa preventiva acquisizione del parere della Commissione provinciale per le infrastrutture delle comunicazioni, poiché nel caso di specie sarebbe applicabile il primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies della legge n. 241/90; infatti, secondo la difesa comunale, anche se il sindaco avesse atteso il parere della commissione prima di pronunciarsi, la decisione non avrebbe potuto essere diversa, come è dimostrato dal fatto che il parere successivamente emesso da tale commissione è negativo, mentre presupposto necessario per l'autorizzazione alla riconfigurazione è il parere positivo della commissione. Il Tribunale afferma che il primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies si applica solo ai provvedimenti vincolati ed il provvedimento autorizzativo di cui si tratta ha natura vincolata solo se il preventivo obbligatorio parere della commissione è negativo; tuttavia, al momento dell'adozione del provvedimento di rigetto che questo Tribunale intende annullare, il sindaco non conosceva il contenuto del parere della commissione, pronunciatasi negativamente solo in seguito. Dunque, dato che la valutazione sulla natura vincolata dell'atto ai sensi della norma citata è riferita al momento dell'emanazione del provvedimento impugnato e non al momento dell'annullamento del provvedimento da parte del giudice, può sicuramente affermarsi che il provvedimento oggetto del ricorso non è un provvedimento vincolato; in conclusione, il Tribunale accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La sentenza n. 527/06 del T.A.R. Basilicata ha deciso sul ricorso con cui un determinato soggetto ha impugnato l'ordinanza con cui il sindaco di un comune ha dichiarato decaduto dall'assegnazione dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica il ricorrente, il quale ha dedotto l'incompetenza dell'organo procedente, sostenendo che la competenza ad adottare il provvedimento impugnato sarebbe del dirigente competente in materia e non del sindaco. Il T.A.R., anzitutto, afferma che non può trovare applicazione, nel caso di specie, l'art. 21-octies della legge n. 241/90: dalla lettura combinata del primo e del secondo comma di tale disposizione si desume che, quando viene accertata l'incompetenza relativa dell'organo procedente (da non confondere con l'incompetenza assoluta, disciplinata dall'art. 21-septies), il provvedimento deve essere necessariamente annullato, non potendo trovare applicazione la disposizione che ne preclude l'annullamento laddove sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; detta norma, infatti, si riferisce ai soli casi in cui provvedimento sia stato adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti e non è possibile includere le norme sulla competenza tra quelle appena citate: nel primo comma dell'art. 21-octies il legislatore ha inteso ribadire la classica tripartizione dei vizi di legittimità del provvedimento amministrativo, in base alla quale la violazione delle norme sulla competenza configura il vizio di incompetenza, mentre la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti rientra nell'ambito più generale della violazione di legge; devono ritenersi norme sul procedimento tutte quelle relative al modus operandi dell'Amministrazione ed alla partecipazione procedimentale dei soggetti indicati dall'art. 9 della legge n. 241/90, mentre devono ritenersi norme sulla forma quelle relative ai requisiti formali degli atti endoprocedimentali e del provvedimento finale. Pertanto, il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento adottato dal sindaco.

Per quanto riguarda la sentenza n. 571/06 del T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, nel caso di specie la ricorrente, una cittadina camerunense, aveva ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato; ha chiesto, successivamente, sempre per motivi di lavoro subordinato, il rinnovo del suddetto permesso, ma la Questura di Gorizia con provvedimento glielo negava sulla base della considerazione che la richiedente non risultava svolgere alcuna attività lavorativa; la ricorrente ha impugnato tale provvedimento deducendo la violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 15 del 2005; tale disposizione, rubricata "comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza", prevede che "nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda; entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti". La ratio della norma è quella di consentire un contraddittorio procedimentale, nel quale possano trovare ingresso le istanze partecipative del privato. Il T.A.R. osserva che non è vero che la mancata comunicazione del preavviso di diniego non inficierebbe comunque il provvedimento impugnato in virtù dell'art. 21-octies; infatti, quest'ultima norma è incentrata sulla natura vincolata del provvedimento, dalla quale discende un contenuto dispositivo prefissato nel caso in cui sia palese che questo contenuto "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"; ciò può avvenire solo nel caso in cui il provvedimento poggi su precisi presupposti di fatto e di diritto incontrovertibilmente corrispondenti a quelli rigidamente predeterminati dalla legge o da un atto amministrativo generale ed incontestati dalle parti proprio per la loro oggettiva impossibilità di venire posti in discussione. La categoria giuridica degli atti di cui stiamo parlando sembra essere, in sostanza, quella dei provvedimenti vincolati quanto all'emanazione, ma subordinati alla accertamento di determinati presupposti; se è palese la sussistenza di questi presupposti, trova applicazione l'art. 21-octies; nel caso in cui, invece, questi presupposti (di fatto e di diritto) non siano incontrovertibili e vengano messi in discussione, in modo che non sia palese che il contenuto dispositivo "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", non è applicabile la disposizione in esame. Diversamente opinando, tutti i provvedimenti vincolati, a prescindere dalla verifica delle condizioni di applicabilità dell'art. 21-octies, 2°comma, sarebbero in buona sostanza sottratti all'applicabilità delle norme sul procedimento e sulla forma degli atti, ma ciò non appare conforme né ai principi generali dell'ordinamento né alla normazione di diritto positivo. La ricorrente ha posto in discussione i presupposti del provvedimento adottato dal Questore di Gorizia, con il quale le è stato rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato: in particolare, essa ha affermato di avere documentalmente dimostrato, in sede di domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, di svolgere un'attività lavorativa, per cui non appare palese che per la sua natura vincolata il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; anzi, il contenuto dispositivo ben avrebbe potuto essere diverso, se l'autorità procedente avesse consentito all'interessata di far valere le proprie ragioni, fondate su una documentazione specifica, ma questo non è stato possibile in sede procedimentale per la mancata comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241/90. Dunque il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La sentenza n. 1435/05 del T.A.R. Sardegna ha deciso sul ricorso proposto da un determinato soggetto contro la Capitaneria di porto di Cagliari per l'annullamento dell'ingiunzione con cui

il Compartimento Marittimo di Cagliari ha ordinato lo sgombero di un'area demaniale marittima. Ad avviso del tribunale, la censura con cui il ricorrente deduce la mancata comunicazione di avvio del procedimento deve ritenersi, nel caso di specie, inidonea a determinare l'annullamento del provvedimento impugnato, in quanto è applicabile alla fattispecie la norma di cui all'art. 21-octies, 2°comma, operante anche in relazione ai giudizi instaurati precedentemente all'entrata in vigore delle intervenute modifiche legislative. Si afferma che, a prima vista, potrebbe ritenersi che l'omessa comunicazione di avvio del procedimento possa non avere conseguenze sulla legittimità del provvedimento adottato solo laddove l'Amministrazione soddisfi in giudizio l'onere probatorio imposto dalla norma, qualunque sia la natura del provvedimento emanato, ma tale interpretazione porterebbe ad attribuire alla violazione della pretesa partecipativa un trattamento differente rispetto a quello riservato agli altri vizi del procedimento, difficilmente giustificabile; ritiene, pertanto, il T.A.R. che l'art. 21-octies, 2°comma, debba essere interpretato nel senso che laddove il provvedimento sia di natura vincolata, la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, ivi inclusa l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, non determini l'annullamento del provvedimento ove appaia palese che il contenuto di quest'ultimo non avrebbe potuto essere diverso, mentre ove il provvedimento sia di natura discrezionale, il mancato invio della suddetta comunicazione, può essere ininfluente sul giudizio di legittimità del provvedimento impugnato, solo ove l'Amministrazione provi quanto stabilito dalla disposizione in esame. Pertanto, solo in presenza di margini di discrezionalità , non è consentito al giudice ricostruire quello che avrebbe potuto essere il contenuto della determinazione amministrativa, ove il privato fosse stato messo in grado di fornire il proprio apporto partecipativo; la violazione della previsione di cui all'art. 7 della legge n. 241/90 è, di per sé, indice della mancata acquisizione al procedimento di alcuni degli interessi (quelli del privato) coinvolti nella vicenda, e il giudice, in base al principio della separazione dei poteri, non è abilitato a valutare la portata della mancata considerazione di questi. Nella fattispecie il provvedimento impugnato ha natura dovuta e vincolata, atteso che in presenza di un' abusiva occupazione di aree demaniali, l'Amministrazione è tenuta a disporre lo sgombero di esse; quindi, non potendo il provvedimento avere contenuto diverso da quello in concreto adottato, la dedotta violazione dell'art. 7 non è idonea determinarne l'annullamento, per cui il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 5458/05 del T.A.R. Campania, sezione di Napoli, ha deciso sul ricorso proposto da un determinato soggetto per l'annullamento dell'ordinanza con la quale è stato ordinato alla ricorrente di demolire le opere abusive realizzate sul suolo condominiale; in esecuzione dell'ordinanza, il Comune ha fatto notare che la domanda di condono presentata dalla ricorrente non è mai stata istruita in quanto la stessa non era corredata dalla documentazione tecnica prevista, ossia dalla descrizione delle opere oggetto della richiesta di sanatoria e dall'apposita dichiarazione corredata da documentazione fotografica relativa allo stato dei lavori. Quanto all'omessa pronuncia del Comune sulla richiesta di sanatoria presentata dalla ricorrente, il tribunale non ignora che, per costante giurisprudenza, è illegittima l'ordinanza di demolizione qualora l'Amministrazione non si sia previamente pronunciata sulla domanda di condono presentata dall'interessato e, quindi, il provvedimento di demolizione non può costituire implicito rigetto della domanda di condono; tuttavia, il T.A.R. ritiene che tale principio non possa valere qualora la domanda di sanatoria risulti palesemente priva dei requisiti minimi necessari affinchè sorga l'obbligo di provvedere sulla stessa; tale situazione sussiste nella fattispecie in esame. Si osserva, poi, che alla luce della nuova disciplina della patologia del provvedimento amministrativo introdotta dalla legge n. 15 del 2005, che risulta immediatamente applicabile alle controversie pendenti, nell'ambito della "violazione di norme sul procedimento" si devono includere non solo i casi in cui risultino violate norme puntuali come, ad esempio, l'art. 7 della legge n. 241/90, ma anche quelli in cui l'azione amministrativa non risulti conforme ai principi di origine giurisprudenziale sui rapporti tra procedimenti, come quello che impone all'Amministrazione di pronunciarsi espressamente sulla domanda di condono prima di disporre la demolizione delle opere abusive: pur trattandosi di due procedimenti amministrativi formalmente distinti tra loro, sia quello avviato a seguito della presentazione della domanda di condono sia quello avviato d'ufficio e finalizzato alla demolizione hanno ad oggetto il medesimo abuso edilizio. àˆ emerso che l'Amministrazione ha agito nell'esercizio di un potere vincolato, poiché l'ordine di demolizione è un atto dovuto in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo; inoltre, risulta palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso se l'Amministrazione si fosse preventivamente pronunciata sulla domanda di condono presentata dalla ricorrente, poiché quest'ultima non ha mosso alcuna contestazione riguardo all'abusività delle opere né riguardo alle affermazioni del Comune sulla mancanza della documentazione che avrebbe dovuto essere allegata alla domanda di condono; pertanto, dovendosi fare applicazione del secondo comma dell'art. 21-octies, l'ordinanza di demolizione comunque non sarebbe stata annullata, per cui il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 1173/06 del T.A.R. Lombardia, sezione di Milano, ha deciso sul ricorso con cui una società ha impugnato il provvedimento del responsabile del servizio tecnico di un comune, recante il diniego di rilascio del permesso di costruire, richiesto dalla ricorrente per la realizzazione della recinzione di un fondo. Ritiene il tribunale che nel caso di specie possa trovare applicazione il primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies della legge n. 241/90; nel caso in esame si tratta chiaramente di un provvedimento vincolato, che nasce dalla mera verifica della conformità o meno del progetto di recinzione proposto alle regole prefissate; quindi, il Comune, che ha emesso un provvedimento negativo sulla domanda di permesso di costruire, ha posto in essere un'attività vincolata di verifica, con esito negativo, circa la sussistenza dei requisiti per il rilascio del suddetto permesso di costruire. Sempre secondo il T.A.R., quanto alla censura in merito al parere emesso dalla commissione edilizia, essa va compresa tra i vizi procedimentali, per avere l'Amministrazione espletato, nel corso dell'istruttoria del procedimento, un passaggio procedimentale contestato dalla società ricorrente, la quale, in realtà , contesta l'esistenza stessa della commissione edilizia e, per questa via, la legittimità del passaggio procedimentale consistito nell'acquisizione del suo parere. Per quanto concerne, poi, il vizio di difetto di motivazione, come ribadito dalla sentenza n. 394/05 del T.A.R. Abruzzo, sezione di Pescara, detto vizio rientra tra quelli sulla forma degli atti e quindi è compreso nell'ambito applicativo del primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies: la riforma introdotta dalla disposizione citata ha sancito la prevalenza della teoria della raggiungimento dello scopo, nel senso che il vizio meramente formale di un provvedimento amministrativo non può condurre all'annullamento di esso ove l'interesse pubblico sia stato in ogni caso soddisfatto; ne deriva che, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 15 del 2005, l'Amministrazione resistente può oggi rappresentare nel corso del giudizio gli elementi utili ad evidenziare la palese infondatezza della pretesa della ricorrente; ciò non si risolve in un vulnus alla tutela giurisdizionale di quest'ultima, data la possibilità di reagire all'integrazione della motivazione proponendo motivi aggiunti di ricorso, volti a contestare la fondatezza degli elementi addotti tramite siffatta integrazione. In conclusione il T.A.R. rigetta il ricorso.

Per quanto riguarda la sentenza n. 45/06 del T.A.R. Emilia-Romagna, sezione di Parma, nel caso di specie la società ricorrente ha impugnato il decreto prefettizio di proroga del termine di occupazione d'urgenza di un'area di sua proprietà , rientrante tra quelle interessate dai lavori di realizzazione di un'opera pubblica; la società ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90 per mancata comunicazione di avvio del procedimento. Il T.A.R. afferma che la recente introduzione dell'art. 21-octies, ad opera dell'art. 14 della legge n. 15 del 2005, impone di tener conto della ridotta incidenza che nell'attuale ordinamento assumono ormai i vizi formali e, anche in presenza di un'attività amministrativa di natura discrezionale, la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento comporta l'annullabilità del provvedimento finale solo se, alla luce degli elementi di chiarificazione forniti nel processo dall'Amministrazione, non emerge dal giudizio che "il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"; il che induce ad escludere che l'omissione della comunicazione ex art. 7 della legge n. 241/90 giustifichi nel caso di specie l'annullamento del provvedimento impugnato; infatti, del tutto ininfluente sarebbe stato l'apporto della ricorrente, ove avesse ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento, apparendo evidente che la proroga dei termini rappresentava l'unica possibile via per non porre nel nulla l'approvazione del progetto (in tal senso appaiono decisivi gli elementi probatori in prodotti in giudizio dall'Amministrazione); l'interessato, d'altronde, non ha fornito alcuna indicazione utile ad ipotizzare, anche solo astrattamente, altre conclusioni, per cui si deve escludere che l'esito del procedimento non avrebbe potuto essere diverso. Dunque, il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 51/06 del T.A.R. Liguria ha deciso sul ricorso con cui un determinato soggetto ha impugnato il decreto prefettizio di occupazione d'urgenza di un terreno di sua proprietà , interessato da conseguente procedura espropriativa per lo spostamento del tracciato di una strada, deducendo la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90, cioè la mancata comunicazione di avvio del procedimento. Il T.A.R. riconosce che nel caso di specie l'analisi degli elementi acquisiti nel corso del giudizio comporta l'applicabilità dell'art. 21-octies, norma di natura processuale; al riguardo, una lettura del principio partecipativo cristallizzato dall'art. 7, attenta al significato sostanziale delle guarentigie stabilite dal legislatore, quale emerge dalle modifiche apportate dalla legge n. 15 del 2005, deve condurre ad escludere che la violazione formale possa sortire effetto invalidante quando il provvedimento si appalesi quale esito sostanzialmente vincolato; ne deriva, in omaggio alla prospettata esigenza di non riconoscere rilievo invalidante a vizi formali incapaci di denotare una disfunzionalità reale dell'agire dei pubblici poteri, l'inidoneità della partecipazione del privato ad incidere su uno sbocco ineluttabile della procedura e, quindi, la valenza non invalidante dell'omissione in parola. Nel caso in esame il provvedimento impugnato, sulla scorta degli atti di approvazione a monte, aveva carattere sostanzialmente vincolato; il diretto interessato ha avuto modo di partecipare e formulare le proprie osservazioni, le quali risultano essere state prese in considerazione dall'Amministrazione procedente, la quale ha fornito prova in giudizio di tale considerazione e delle esigenze tecniche sottese alla necessità di procedere comunque nel senso già approvato, anche attraverso l'esplicazione delle ragioni tecniche sottese alla scelta del tracciato; al fine di superare tale localizzazione il soggetto avrebbe dovuto fornire un'adeguata motivazione tecnica nella specie insussistente e l'apporto fornito in via sostanziale dal ricorrente non avrebbe potuto sortire alcun effetto in senso contrario. In conclusione, il T.A.R. rigetta il ricorso.

Per quanto concerne la sentenza n. 667/05 del T.A.R. Abruzzo, sezione de L'Aquila, nel caso di specie in un comune si è determinata nell'ambito del Consiglio Comunale la particolare situazione per cui, a seguito delle dimissioni di un consigliere della maggioranza, si è verificata una condizione paritaria tra i consiglieri dei due schieramenti di maggioranza e opposizione con la conseguenza che quest'ultima ha impedito per quattro volte la surroga del dimissionario, pur non essendo il consigliere subentrante né ineleggibile né incompatibile e ciò anche dopo l'invito a provvedere rivolto dal Difensore Civico Regionale, il quale, a fronte di tale situazione di stallo, ha nominato un commissario ad acta che ha provveduto alla surroga del consigliere dimissionario con deliberazione impugnata dai consiglieri dell'opposizione. Secondo il T.A.R., oggetto dell'impugnativa è un provvedimento non annullabile ai sensi dell'art. 21-octies della legge n. 241/90; è fuori dubbio che la deliberazione di surroga sia un atto necessario e dovuto, tanto che, secondo la giurisprudenza, la sua natura di atto obbligatorio e vincolato lo sottrae a margini di discrezionalità sull'an e sul quid con l'effetto che l'obbligo di restituire all'organo consiliare comunale la sua integrità consente solo di verificare nei surrogandi la sussistenza o meno delle cause ostative previste dalla legge. La circostanza, poi, che il termine di dieci giorni previsto per la surrogazione dei consiglieri dimissionari non abbia natura perentoria, non essendo ricollegato alla sua inosservanza alcun effetto sanzionatorio, non significa che l'adozione di quell'atto perda la sua natura obbligatoria tanto che, secondo la giurisprudenza, dal mancato rispetto del termine può discendere unicamente l'attivazione dei poteri sostitutivi nei confronti dell'ente inadempiente; se anche si volesse condividere la tesi dell'illegittimità del procedimento sostitutivo che ha dato luogo all'atto di surroga impugnato, è del tutto evidente, tuttavia, che il provvedimento contestato, per il suo carattere vincolato, corrisponde nel suo contenuto dispositivo a quello che avrebbe dovuto adottare il competente organo consiliare, posto che chi deve subentrare non è né incompatibile né in eleggibile, per cui si è di fronte ad un provvedimento non caducabile; pertanto, se anche si fosse fatta un'indebita applicazione del potere sostitutivo, il provvedimento cui esso ha dato luogo non sarebbe in ogni caso annullabile in forza del principio innovatore introdotto dall'art. 21-octies. Dunque il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 26/06 del T.A.R. Campania, sezione di Salerno, ha deciso sul ricorso proposto da un determinato soggetto contro il Ministero dell'Interno per l'annullamento del provvedimento dell'Ufficio Territoriale del Governo di Salerno con cui veniva predisposto l'elenco delle ditte autorizzate alla custodia degli autoveicoli sottoposti a sequestro amministrativo; il ricorrente ha impugnato il provvedimento con cui, all'atto di predisporre l'elenco dei soggetti incaricati della custodia dei veicoli sottoposti a sequestro e amministrativo, è stata sancita l'esclusione della sua ditta sul presupposto che "dall'istruttoria svolta sono emersi elementi ostativi a causa della mancanza dei requisiti soggettivi prescritti per l'attività da svolgere"; il ricorrente lamenta la carenza di adeguata ed esaustiva istruttoria con difetto del doveroso supporto motivazionale. Il T.A.R. osserva che non appare revocabile in dubbio che il provvedimento impugnato sia privo di motivazione, non essendo certamente sufficiente il mero riferimento alla non meglio specificata mancanza di requisiti per dare adeguato conto delle ragioni di fatto e di diritto ritenute ostative all'accoglimento dell'articolata istanza presentata dal ricorrente e supportata da una rilevante documentazione; tuttavia, nella prospettiva sanante di cui all' art. 21-octies, 2°comma, e per la sua natura processuale prima ancora che sostanziale, l'Amministrazione ha esaustivamente integrato in corso di giudizio la motivazione, prospettando, a carico del ricorrente, l'esistenza di precedenti penali per ricettazione; secondo il T.A.R., la sintesi giustificativa si appalesa sufficiente a supportare l'esclusione della ditta del ricorrente dall'elenco dei soggetti abilitati alla custodia degli autoveicoli sottoposti a sequestro amministrativo; dunque il T.A.R. rigetta il ricorso.

La sentenza n. 93/06 del T.A.R. Liguria ha deciso sul ricorso con cui un cittadino giordano di nazionalità palestinese ha impugnato il decreto del Ministro dell'Interno che ha disposto il rigetto della sua istanza volta ad ottenere la cittadinanza italiana, con la motivazione che «emergono elementi, sotto il profilo della sicurezza della Repubblica, tali da non ritenere opportuna la concessione della cittadinanza»; il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241/90 sul preavviso di diniego, per non avere l'Amministrazione procedente previamente portato alla sua attenzione i motivi ostativi contenuti nella nota del Dipartimento della pubblica sicurezza, consentendogli di presentare al riguardo memorie scritte e documenti; tale preventiva comunicazione è mancata, per cui il provvedimento è illegittimo per violazione dell'art. 10-bis. Il T.A.R. afferma che trattandosi di un provvedimento di natura discrezionale viene in rilievo la dibattuta questione circa l'applicabilità del secondo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies anche alla diversa ipotesi di mancata comunicazione del preavviso di rigetto. Infatti, parte della dottrina sul presupposto che la mancanza della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza sia assimilabile alla mancata comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge n. 241/90 e che entrambe le norme siano sorrette dalla medesima ratio ispiratrice, ammette che, anche in questo caso, il provvedimento non sia annullabile qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; tuttavia, il T.A.R. dissente da tale impostazione; infatti, non v'è dubbio che la disposizione di cui all' art. 21-octies, 2°comma, rechi una norma eccezionale, che deroga alla regola generale dell'annullabilità dei provvedimenti amministrativi adottati in violazione di legge, limitando di fatto la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica Amministrazione ex art. 113 Cost. In applicazione del precetto di cui all'art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, si impone, dunque, un'interpretazione restrittiva, che limiti l'applicazione della norma in esame all'unico caso ivi specificamente considerato (la mancata comunicazione di avvio del procedimento); pertanto, deve escludersi che, in caso di omessa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10-bis della legge n. 241/90, l'Amministrazione possa essere ammessa a dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In conclusione, il provvedimento impugnato è illegittimo per violazione dell'art. 10-bis e quindi il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Per quanto riguarda la sentenza n. 2553/06 del TAR Lazio, sezione di Roma, nel caso di specie la società ricorrente gestisce un istituto di vigilanza privata nella provincia di Livorno ed ha partecipato alla gara ufficiosa per l'affidamento del servizio di sicurezza dell'Interporto toscano di Livorno; la ricorrente ha presentato la sua offerta, ma le è stato eccepito che la tariffa applicata non rispettava i limiti previsti dal decreto prefettizio; a questo punto, la ricorrente ha proposto al Prefetto di Livorno un'istanza per l'approvazione della tariffa da essa indicata in sede di gara ufficiosa; tuttavia, il Prefetto di Livorno ha emanato un decreto di diniego di approvazione della tariffa proposta, il quale costituisce l'oggetto della presente impugnativa; la ricorrente ha dedotto, in particolare, la violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241/90. Secondo il T.A.R., quest'ultima disposizione introduce nel nostro sistema un nuovo elemento procedurale, nei procedimenti ad istanza di parte, analogo per funzioni e finalità rispetto alla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della medesima legge; si tratta la di un atto privo di contenuto provvedimentale, con cui l'Amministrazione rende noto all'interessato il suo intendimento, del tutto provvisorio, di procedere a un diniego della sua domanda; quindi, si tratta di un atto endoprocedimentale, una specie di preavviso di diniego al fine di consentire all'interessato, nei tempi scanditi dalla norma, di presentare le proprie osservazioni o integrazioni documentali, al fine di far mutare avviso all'Amministrazione. Peraltro, la natura endoprocedimentale del preavviso di diniego, la sua non autonoma impugnabilità e la sua ratio diretta a consentire la partecipazione del privato comporta la possibilità che tale preavviso non corrisponda in ogni suo dettagliato elemento a quanto contenuto nel diniego, ma ne costituisca uno schema, evidenziandone i punti salienti. Risulta evidente la finalità di deflazione del contenzioso giurisdizionale perseguita dalla norma, attraverso l'introduzione nel procedimento amministrativo di uno specifico contraddittorio tra privato e pubblica Amministrazione circa le ragioni che ostano all'accoglimento della domanda, affinché nel procedimento stesso tali ragioni possano essere superate o composte ovvero affinché il provvedimento finale, pur negativo, tenga conto anche delle osservazioni formulate dall'istante. Nel caso di specie, il Prefetto di Livorno, non ritenendo dimostrata dalla ricorrente in maniera inequivoca la compatibilità della tariffa proposta con l'attività di impresa senza che ne risulti compromessa l'esigenza di tutela della sicurezza pubblica, non ha accolto la proposta di approvazione della tariffa. Secondo il T.A.R., è di tutta evidenza l'intervenuta violazione dell'art. 10-bis in ragione della mancata previa comunicazione alla società istante delle ragioni che ad avviso dell'Amministrazione procedente ostavano all'accoglimento dell'istanza medesima; proprio la ragione del diniego, cioè la ritenuta non dimostrata congruità della tariffa, conferma come ben avrebbe potuto essere utile, per la completezza istruttoria della procedura, la partecipazione dell'impresa istante. La difesa dell'Amministrazione ritiene infondata la censura in esame richiamando il disposto del secondo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies, inteso come norma che deve essere applicata non soltanto nell'ipotesi di omessa comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 della legge n. 241/90, ma anche nell'ambito dell'omessa comunicazione di avvio di quella particolare sequenza procedimentale che avrebbe dovuto trarre origine dalla non ancora formalizzata determinazione amministrativa di non accogliere la domanda presentata dall'interessato; tuttavia, il tribunale ritiene che non possa condividersi la prospettazione fornita dall'Amministrazione ed inoltre, oggettivamente, non può dirsi prodotto in giudizio da quest'ultima un complesso di elementi tale da far ritenere con sufficiente sicurezza l'irrilevanza del (mancato) contributo della società istante, avuto riguardo ai profili anche di carattere tecnico ed aziendalistico caratterizzanti la fattispecie in esame; inoltre, non può soccorrere il primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies, trattandosi di disposizione con operatività ristretta ai soli casi di esercizio di un potere vincolato, con esclusione, quindi, delle ipotesi in cui l'adozione di una determinazione consegua, come nel caso di specie, allo svolgimento di apprezzamenti connotati da discrezionalità . Dunque, data la fondatezza della censura con cui è dedotta la violazione dell'art 10-bis della legge n. 241/90, il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del decreto del Prefetto di Livorno.

La sentenza n. 283/06 del TAR Calabria, sezione di Catanzaro, ha deciso sul ricorso con cui un determinato soggetto, titolare di una pizzeria, ha impugnato l'ordinanza con la quale il responsabile del Comando di Polizia Municipale di un comune ha disposto la revoca dell'autorizzazione sanitaria e la chiusura del predetto esercizio; il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 7 della legge n. legge n. 241/90. Il T.A.R. osserva che, per giurisprudenza consolidata, l'obbligo di cui alla norma citata trova applicazione anche relativamente ai procedimenti vincolati e, in particolare, nei riguardi dei procedimenti di natura sanzionatoria; tra questi procedimenti devono farsi rientrare quelli aventi ad oggetto la revoca di un'autorizzazione commerciale. Quindi, è indiscutibile che il Comune resistente, omettendo di comunicare all'interessato l'avvio del procedimento, definito con il provvedimento di revoca dell'autorizzazione sanitaria e di chiusura dell'esercizio commerciale, abbia violato l'art. 7 della legge n. 241/90; nella presente controversia, venendo in rilievo un provvedimento vincolato di chiara matrice sanzionatoria, può applicarsi il primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies. Continua il T.A.R. affermando che l'accertamento in merito al fatto che risulti palese che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato non può richiedere alcuna indagine particolare al giudice né tanto meno alcun approfondimento istruttorio, in quanto il legislatore, fuori dall'obiettivo di appesantire il giudizio con il rischio di allungamento dei tempi della sua definizione, ha soltanto inteso trasformare talune violazioni del paradigma normativo in meri vizi non invalidanti, laddove risulti con assoluta evidenza la correttezza del contenuto dispositivo del provvedimento adottato dall'Amministrazione. Poiché tra le possibili interpretazioni della norma deve essere preferita quella più aderente ai principi costituzionali, in particolare a quelli scolpiti negli artt. 24, 1°comma, Cost. e 113 Cost., la tendenza antiformalista che ispira la disposizione legislativa non ha prodotto l'eliminazione dei vizi formali e procedimentali, riqualificandoli come mere irregolarità , bensì ha posto un ostacolo all'annullamento del provvedimento, che rimane pur sempre illegittimo. In altri termini, l' art. 21-octies, 2°comma, non elimina il vizio formale o procedimentale dal panorama delle invalidità e nemmeno lo degrada a mera irregolarità (intendendosi per tale una violazione di rilievo minore, accertabile ex ante ed in astratto: ad esempio, la mancata indicazione dei termini e dell'autorità a cui ricorrere), ma impedisce soltanto l'annullamento del provvedimento viziato in presenza di elementi che inducano il convincimento della sua correttezza sostanziale. Ciò in quanto il legislatore, recependo orientamenti giurisprudenziali piuttosto consolidati emersi anche con riferimento al vizio di omessa comunicazione di avvio del procedimento, ha inteso codificare la regola del "raggiungimento del risultato", intervenendo non sul vizio ma sulle sue conseguenze, riservando il provvedimento dalla caducazione ogni qual volta il vizio non abbia in concreto impedito il raggiungimento del risultato perseguito dalla norma attributiva del potere. Peraltro, tale regola non è perfettamente assimilabile a quella del "raggiungimento dello scopo" cristallizzata nell'art. 156, 3°comma, c.p.c., in quanto ciò che impedisce l'annullamento del provvedimento non è la circostanza che la norma formale o procedimentale violata abbia comunque raggiunto il proprio scopo (ad esempio violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90, ma, in ogni caso, effettiva partecipazione del destinatario al procedimento), bensì che il contenuto dispositivo del provvedimento sia sostanzialmente conforme al paradigma normativo. Il T.A.R. ritiene che, nel caso di specie, fuori dall'apparire evidente la correttezza del provvedimento adottato dall'Amministrazione, l'obbligo procedimentale imposto dalla legge avrebbe potuto sollecitare un maggiore approfondimento istruttorio e conseguentemente evitare l'adozione della massima misura sanzionatoria della chiusura definitiva dell'esercizio commerciale. In base agli argomenti che precedono, dunque, il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La sentenza n. 483/05 del T.A.R. Sardegna ha deciso sul ricorso proposto da due determinati soggetti per l'annullamento del decreto del responsabile del settore lavori pubblici di un comune con il quale è stata disposta l'occupazione d'urgenza del fondo di proprietà dei ricorrenti; più specificamente, i ricorrenti sono comproprietari di due fondi contigui e ad essi è stato notificato un provvedimento di occupazione d'urgenza di detti fondi; con tale provvedimento l'Amministrazione, vista la deliberazione che aveva proceduto all'approvazione del progetto definitivo ed esecutivo dei lavori di sistemazione di alcune strade ed aveva dichiarato i relativi lavori di pubblica utilità , urgenti ed indifferibili, decretava l'occupazione d'urgenza dei fondi in questione; la deliberazione citata non è stata mai notificata ai ricorrenti, i quali ne apprendevano l'esistenza soltanto a seguito della comunicazione del provvedimento di occupazione d'urgenza. Il T.A.R. osserva che l'art. 21-octies, 2°comma, di immediata applicazione alle controversie pendenti, introduce dei limiti al potere di annullamento in sede giurisdizionale; tuttavia, nel caso di specie la previsione del primo alinea della disposizione in esame non è applicabile, poiché il provvedimento direttamente lesivo della posizione soggettiva fatta valere dai ricorrenti, avente ad oggetto la scelta dell'assetto viario, ha natura discrezionale, pur essendo stati impugnati anche gli atti di occupazione che, rispetto all'approvazione del progetto, hanno natura vincolata. La seconda parte della norma, per un certo verso di portata più ampia, essendo riferita a tutti i provvedimenti, di natura discrezionale o vincolata, e per altro verso di portata più limitata, in quanto avente ad oggetto un solo e ben preciso vizio procedimentale, disciplina le conseguenze dell'omissione della comunicazione di avvio del procedimento, che continua ad essere regolata dall'art. 7 della legge n. 241/90 e dispone che non si deve procedere all' annullamento giurisdizionale, per tale motivo, ove "l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"; ciò in ossequio a una visione sostanzialistica e non meramente formale dell'adempimento imposto, in via generale, dal legislatore del 1990. Tuttavia, nel caso di specie, sulla base degli atti depositati dall'Amministrazione e degli elementi di diversa natura acquisiti in giudizio non può ritenersi raggiunta la prova richiesta dalla norma, mentre le soluzioni difformi prospettate dal privato, anche in considerazione dello stato dei luoghi, non prive di ragionevolezza, non sono state mai concretamente esaminate dall'Amministrazione comunale. Dunque il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

Per quanto riguarda la sentenza n. 3501/05 del T.A.R. Piemonte, nel caso di specie il ricorrente aveva presentato al Comune un'istanza di rilascio del permesso di costruire per la sopraelevazione del tetto di un immobile di proprietà ; l'Amministrazione con provvedimento respingeva l'istanza con la seguente motivazione: «non vengono rispettati gli indici relativi alla superficie permeabile»; l'interessato contesta la legittimità di tale provvedimento e ne chiede l'annullamento deducendo l'insufficienza di motivazione del provvedimento di diniego che, a suo avviso, non consentirebbe di conoscere con precisione le ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza. Anzitutto, il T.A.R. precisa che è quasi un'osservazione superflua quella secondo cui la motivazione costituisce un elemento essenziale del provvedimento di diniego del permesso di costruire; si può, anzi, rimarcare come il generale onere motivazionale a carico dell'Amministrazione si manifesti in modo più intenso nel caso di specie, avendo riguardo alla contrazione dello ius aedificandi del proprietario che il diniego comporta; pertanto, il provvedimento negativo non può prescindere da un corredo motivazionale circostanziato che indichi con precisione le disposizioni urbanistiche che si oppongono alla realizzazione del progetto. Ciò premesso, è agevole rilevare come il Comune, limitandosi ad affermare il mancato rispetto di alcuni indici urbanistici, abbia platealmente disatteso l'onere motivazionale posto a suo carico. Peraltro, non possono essere valorizzate ai fini del decidere le ampie giustificazioni del diniego offerte dall'Amministrazione in sede giudiziale, stante l'inammissibilità di una regolarizzazione successiva del vizio di difetto di motivazione; infatti, ritiene il tribunale che, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 15 del 2005, la possibilità di una motivazione postuma che consenta all'Amministrazione di precisare, nel corso del giudizio, le ragioni sottese al provvedimento impugnato risulti incompatibile con la natura demolitoria del processo amministrativo che impone di fare esclusivo riferimento al contenuto dell'atto che racchiude la statuizione amministrativa. Inoltre, l'Amministrazione resistente sostiene che nel caso di specie dovrebbe comunque trovare applicazione, trattandosi di provvedimento vincolato, la previsione del primo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies della legge n. 241/90; ritiene, tuttavia, il T.A.R. che tale eccezione non possa essere condivisa, poiché la natura vincolata del provvedimento in questione, facendo venir meno ogni margine di apprezzamento discrezionale, non esonera comunque l'Amministrazione dall'obbligo di esplicitare i presupposti del diniego, corredando il provvedimento di un congruo supporto motivazionale la cui assenza non può essere valutata alla stregua di un mero vizio formale. Dunque, il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La sentenza n. 534/05 del TAR Lazio, sezione di Latina, ha deciso sul ricorso proposto da un determinato soggetto contro il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali per l'annullamento del decreto con il quale il ricorrente è stato trasferito per esigenze di servizio; egli ha dedotto la violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90; l'Amministrazione resistente invoca l'applicazione del secondo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies. Il T.A.R. osserva che a fronte di un'attività discrezionale di cui si contestino le modalità di esercizio, con deduzione di vizi essenzialmente formali, il giudice è vincolato dal petitum di annullamento e dalla causa pretendi (ragioni e motivi di ricorso); egli non potrebbe mai, d'ufficio, andare a verificare il contenuto del dispositivo né prescindere, ai fini del decidere, dall'intermediazione dei vizi di gravame; se ciò accadesse, infatti, ne risulterebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; ecco perché occorre, affinché la suddetta verifica da parte del giudice sia possibile, una specifica richiesta in tal senso da parte dell'Amministrazione convenuta; quella della pubblica Amministrazione si prospetta, quindi, come una vera e propria domanda processuale in quanto il giudice viene investito della potestà di verificare in concreto, nel merito, il contenuto del provvedimento restando vincolato al petitum cui deve dare risposta. In pratica, l'Amministrazione che, costituitasi in giudizio, abbia invocato l'applicazione della norma in commento, finisce per proporre al giudice un'istanza che assume caratteristiche molto simili a quelle di una domanda di tipo riconvenzionale con la quale si amplia il thema decidendum del giudizio impugnatorio che, nato come giudizio sull'atto, si trasforma in un giudizio di merito sul contenuto dispositivo del provvedimento; il giudice, investito del relativo petitum, dovrà trattare prioritariamente, con un'inversione processuale, la domanda del convenuto rispetto ai dedotti motivi di ricorso. Ne consegue che, ove l'istanza processuale sia accolta, il ricorrente, rispetto al vizio dedotto, cioè alla violazione dell'art. 7 della legge n. 241/90, appalesa un difetto di interesse, atteso che il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato: non è che il vizio non rileva, come per il caso di attività vincolata, ma, semplicemente, l'inversione processuale di trattazione dei petita finisce, in caso di accoglimento dell'istanza della parte resistente, con l'incidere negativamente sull'interesse ad agire del ricorrente. Ricostruita in questi termini la vicenda, sembra pertanto superabile, da un punto di vista processuale, quello che altrimenti sarebbe stato un problema di coesistenza della norma in commento con il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. La domanda ex secondo alinea del secondo comma dell'art. 21-octies, in quanto istanza giudiziale nuova, dovrà essere, presumibilmente, anche notificata alle controparti costituite in giudizio per consentire che si formi un corretto contraddittorio; notifica che, in assenza di specifica norma processuale, dovrebbe scontare il termine ordinario dei dieci giorni precedenti la chiamata in udienza pubblica della causa. Il T.A.R., nel caso di specie, ritiene che la prova in ordine alla circostanza che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato non è stata fornita dall'Amministrazione; ne è riprova l'ampia documentazione acquisita in giudizio dalla quale emergono aspetti controversi inerenti le modalità di svolgimento del servizio che avrebbero meritato maggiore considerazione in sede istruttoria e che la partecipazione ben avrebbe potuto fare emergere, così indirizzando in altro senso il procedimento. La domanda riconvenzionale, pertanto, è infondata, per cui il T.A.R. accoglie il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

In conclusione, possiamo notare come i tribunali amministrativi regionali, lungi dal procedere ad interpretazioni "rivoluzionarie" dell'art. 21-octies della legge n. 241/90, pur con alcune significative divergenze su aspetti specifici della norma,si sono sempre e comunque limitati ad una "canonica" applicazione della disposizione in esame, aderendo alle opinioni dottrinarie prevalenti; potremmo addirittura arrivare a sostenere che i giudici amministrativi di primo grado hanno fino ad oggi applicato la predetta norma senza fughe in avanti o sacche di arretratezza, esercitando, in un certo qual modo, una sorta di funzione di nomofilachia, in attesa delle ben più autorevoli decisioni del Consiglio di Stato.











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