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Iscritto il: 21/12/2007 13:07
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«Sta divenendo prassi abituale che agenti delle forze di polizia, quando fanno un accertamento in materia di armi a carico di un cittadino e trovano qualche cosa che non gli quadra (spesso contestazioni dovuta alla ottusa ignoranza di chi procede, come quei forestali che hanno scambiato il numero di catalogo per il numero di matricola o quel carabiniere che ha sostenuto che chi non ha licenza di porto di pistola non può tenere la pistola carica in casa o l’altro che crede fuori legge le canne delle doppiette prive di matricola, ecc. ecc.), oltre a sequestrare l’arma incriminata, si portino via “cautelativamente” tutte le armi de povero cittadino, facendo un verbale di sequestro cautelativo.
Purtroppo non si limitano ad agire sulla base di concreti elementi, come l’accertamento diretto di un reato, ma si scatenano anche per una semplice denunzia di un coniuge litigioso.
È procedura del tutto illegittima, non prevista da nessuna legge, che viola gravemente i diritti del cittadino.
La legge prevede solo il sequestro nell’ambito del processo penale mediante un provvedimento che deve essere trasmesso immediatamente al procuratore della repubblica per la convalida la quale deve avvenire al massimo entro 96 ore dal sequestro. Se manca la convalida il sequestro viene meno. Gli agenti di PS possono sequestrare solo cose che servono alla prova del reato e il cosiddetto corpo del reato, vale a dire l’arma che secondo loro non è in regola.
Il cittadino è tutelato da sequestri illegittimi perché può immediatamente far presente al PM che il sequestro è illegittimo e, se il PM non ci sente, può fare ricorso al Tribunale della libertà. Questi, se il caso è chiaro, restituisce le armi e, di fatto, già spiega perché l’indagato è innocente.
Di fronte ad un “sequestro cautelativo” che non è un atto processuale, ma un atto amministrativo soggetto a precisi requisiti giuridici, ad un preciso obbligo di motivazione, ad un preventivo avviso di inizio procedimento, il cittadino è disarmato perché ha l’unica arma di fare un costoso ricorso al TAR (e se lo facesse potrebbe anche richiedere il risarcimento dei danni, ma “campa cavallo!”) oppure un ricorso gerarchico, se riesce a individuare il superiore competente. Ma è chiaro che non è accettabile che la precisa tutela della proprietà, stabilita dalla legge quando si muove la polizia giudiziaria o il PM, rimanga priva di una adeguata tutela quando ci si trova di fronte ad ufficio di PS di infimo rango! La legge (art. 39 TULPS) prevede che unica autorità competente a emettere un provvedimento di divieto di detenzione di armi è il prefetto; dove sta scritto che carabinieri, commissari, forestali, possono sostituirsi al prefetto?
In genere si obietta che vi sono situazioni tali in cui è necessario intervenire perché vi è il pericolo che il cittadino commetta davvero pazzie. È vero, ma è facile rispondere che:
- il prefetto è una autorità sempre presente e raggiungibile (se non lo è, meglio farne a meno!) la quale, immediatamente informata, può intervenire in tempo reale, o quasi;
- che se un soggetto ha già commesso un reato di solito viene arrestato o comunque condotto negli uffici di polizia o all’ospedale psichiatrico e quindi vi è tutto i tempo di informare il prefetto e di contenere il pericolo.
- che se sussiste una reale urgenza, il ritiro delle armi, magari con la scusa di un controllo, può essere fatta, ma esso non deve durare più di due o tre giorni, e cioè lo stretto tempo necessario al prefetto per svegliarsi. Ed invece è normale che le armi vengano ritirate per mesi, senza cittadino riesca a capire chi sia competente a restituirgliele e a chi possa ricorrere.
- non vi è nessuna norma che preveda esplicitamente che un agente od ufficiale di PS possa adottare provvedimenti di polizia in via di urgenza. L’art. 1 TULPS dice che le autorità di PS “vegliano sulla … sicurezza dei cittadini” e l’art. 5 prevede “l’esecuzione in via di urgenza di provvedimenti” il che è cosa diversa dalla competenza ad emettere il provvedimento; questa comunque non fa capo ad ogni ufficiale od agente di PS, ma solo al “capo dell’ufficio di PS del luogo”.
Ciò che non proprio non si comprende è perché carabinieri ed altri debbano abusare dei proprio poteri, commettere atti illegittimi, assumersi responsabilità che non competono loro, solo perché i prefetti o le altre competenti autorità non sono “disponibili”.
Quanto scrivo trova autorevolmente conferma dal Consiglio di Stato che con sentenza 3150/06 scrive: “nondimeno l’adozione (del provvedimento di ritiro delle armi ex art. 39 TULPS) non può eludere l’obbligo generale sancito dell’art. 7 L. n. 241/1990 di dare comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali è destinato ad esplicare i suoi effetti.”»
Dr. Edoardo Mori, giudice penale; uno tra i maggiori esperti di diritto delle armi; Magistrato di Cassazione; titolare del famoso sito trattante la materia; autore di testi in questione di esposizione enciclopedica,
incaricato dal Ministro Roberto Calderoli di redigere un disegno di legge in previsione di nuovo “Testo unico sulle armi”.
Data invio: 8/6 1:12
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