detto,fatto
L'artiglieria durante le guerre Rivoluzionarie e Napoleoniche che insanguinarono l’Europa fra 1792 e 1815, i piccoli eserciti professionali del diciottesimo secolo divennero presto grandi eserciti nazionali formati da soldati di leva. In questo stesso periodo l’artiglieria si trasformÒ da corpo armato formato da specialisti, quasi da meccanici, in una vera e propria branca dell’armata capace di dominare i campi di battaglia. Si pensi, ad esempio, che l’Armata d’Italia aveva, nel 1796, 60 pezzi di artiglieria; sedici anni dopo, alla battaglia di Borodino, l’artiglieria di ambo le parti annoverava poco meno di 1200 cannoni, che sparavano circa 15.000 colpi all’ora… e tutto questo su di un fronte di cinque chilometri! Quali furono, dunque, i fattori che portarono ad un tale, radicale, cambiamento della situazione? Anzitutto, alla base, vi sono dei miglioramenti tecnologici. I pezzi di artiglieria, durante il ’700, erano pesanti, ingombranti e poco maneggevoli, il che rendeva problematico il loro trasporto sulle strade sterrate dell’Europa dell’epoca. Addirittura, alcuni eserciti, fra cui quello Francese, non erano in grado di muovere la loro artiglieria, tanto che il traino era affidato a contrattori civili, tramite regolare contratto, che però – diremmo per natura – evitavano accuratamente ogni esposizione al pericolo: così accadeva che, una volta piazzati, i cannoni – e specie quelli più pesanti – non si muovessero più per tutto il corso della battaglia. Per cercare di risolvere queste problematiche, molte nazioni europee continuarono, per quanto sporadicamente, a migliorare la loro arma di artiglieria. Molti di questi sforzi si focalizzarono attorno specifiche individualità che, utilizzando genio e contatti privilegiati con membri influenti della casa reale, riuscirono effettivamente a cambiare la situazione. A partire dai tardi anni 60 del 1700, in Francia sono i generali d’artiglieria a far muovere i primi passi alla normazione. Prima Jean-Florent de Valliére introduce l’unificazione dei calibri delle bocche da fuoco; dopo Jean-Baptiste Vaquette de Gribevaul stabilisce delle tabelle con i requisiti di costruzione dei principali pezzi d’artiglieria, stabilendo il principio dell’intercambiabilità delle parti meccaniche, ridefinisce lo stesso design dei pezzi, rendendoli più leggeri, grazie all’utilizzo del bronzo, e anche più facili da manovrare sia sulle strade che sul campo, introduce, sotto la canna del cannone, una vite che consente di regolarne l’alzo e dunque la distanza di tiro e disegna i traini in modo tale da permettere agli artiglieri di muoversi assieme ai loro pezzi; inventa la cosiddetta prolonge, prolunga, una corda di circa otto metri attaccata all’affusto del cannone ed al traino che evita l’inconveniente di dover sganciare/agganciare il pezzo ogni volta che, rispettivamente, viene messo in batteria oppure mosso in una nuova posizione sul campo di battaglia. Infine, Gribevaul riduce il numero dei calibri esistenti, portandoli a sole tre misure: 4, 8 e 12 libbre più un obice da 6 (all’epoca la potenza dei cannoni non era calcolata misurando il diametro della bocca da fuoco come facciamo noi oggi, bensì sul peso della palla: una libbra corrisponde a 454 grammi, per cui siamo di fronte a proiettili rispettivamente di gr. 1816, 3632, 5448 e 2724). Vengono anche create apposite scuole di artiglieria, con tanto di esami finali, che vengono frequentate per lo più da non nobili: per questo motivo, questa risulterà l’arma meno colpita dalle epurazioni rivoluzionarie. Il funzionamento di un pezzo di artiglieria è molto simile, se non uguale, a quello dei moschetti. Si inseriva la polvere da sparo, posta all’interno di un involucro di carta, la palla e si pigiava il tutto: mentre si eseguivano queste operazioni, un altro artigliere, opportunamente dotato di un guanto di cuoio, otturava il focone per prevenire – togliendo ossigeno – ogni esplosione prematura della carica causata da residui incandescenti di polvere del colpo precedente. Così caricato, il capo pezzo regolava l’alzo del cannone e – sempre attraverso il focone – forava la cartuccia e metteva una piccola miccia: a questo punto bastava darle fuoco perché il cannone sparasse. L’esplosione era talmente forte che il cannone veniva spinto indietro di qualche metro e questo obbligava gli attendenti a rimettere il pezzo in batteria, spingendolo con corde, bastoni o anche a mano. Prima di procedere al nuovo caricamento, l’artigliere dotato di scovone immergeva l’estremità con la spugna in un secchio pieno d’acqua e quindi puliva la canna, sia per rimuovere i residui della polvere da sparo, sia per prevenire – ancora una volta – combustioni non desiderate, Per quanto riguarda le munizioni, ve ne erano fondamentalmente di tre tipi:
<-Palla: una palla rotonda avente il calibro del cannone. Il proiettile produceva gli stessi effetti che produce una palla da bowling sui birilli: abbatte tutto ciò che si trova sul suo cammino ed è tanto più letale quanto più incontra formazioni profonde e può contare su terreni duri, sui quali può rimbalzare fino a quando esaurisce la propria energia cinetica. Si ricorderà che proprio a Waterloo il terreno fangoso impedì all’artiglieria francese di avere quegli effetti devastanti sulle formazioni nemiche che di solito aveva, obbligando di fatto Napoleone a posticipare l’inizio della battaglia di due ore, decisione che permetterà ai Prussiani di giungere sul fianco destro dell’armata francese.
-Mitraglia: un contenitore riempito con 112 pallottole di moschetto che veniva utilizzato a breve distanza e i cui effetti erano veramente disastrosi.
-Granata esplosiva: si tratta di palle cave riempite di esplosivo, sparate dagli obici, che venivano utilizzate per lo più per distruggere o incendiare case o villaggi o ancora per raggiungere un bersaglio celato dietro una collina.
A queste si aggiungevano munizioni particolari, come palle arroventate su speciali griglie o gli shrapnel inglesi, una palla rotonda cava riempita con un miscuglio di esplosivo e pallottole da moschetto, fatta esplodere da una miccia o anche i razzi che, per quanto veramente molto imprecisi, erano tuttavia utili per spaventare uomini e cavalli o per incendiare case e villaggi. Ma a che distanza sparavano questi pezzi? Un pezzo da 12 libbre francese arrivava teoricamente ai 1800 metri, uno da 8 ai 1500 ed uno da 4 ai1200 metri. Dal momento, tuttavia, che la precisione di queste armi, ad anima liscia proprio come i moschetti e dal rudimentale meccanismo di alzo, lasciava alquanto a desiderare, si preferiva aprire il fuoco ad una distanza nettamente inferiore che garantisse una più alta percentuale di centri. Fra l’altro, anche la cortina fumogena prodotta da una batteria era tale che anche la visibilità non consentiva di effettuare tiri su obiettivi troppo distanti ed indistinti.
La cadenza di fuoco poteva essere di 1 o due colpi al minuto; tuttavia non era possibile mantenere un tale ritmo per tutta la battaglia per la relativa poca disponibilità di munizioni
Facendo due conti, ad un ritmo di fuoco nemmeno tanto alto di 1 colpo al minuto, un pezzo da 12 libbre avrebbe potuto sparare per 78 minuti, uno da 8 per 97 ed uno da 4 per 168. Per avere qualche dato su cui riflettere, si pensi che Waterloo durò circa 10 ore, cioè 600 minuti! "
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