Donatore GuardieInformate 
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20 La Commissione fa valere che l’obbligo per le guardie particolari di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, di cui all’art. 250 del regolamento di esecuzione, indirettamente basato sulla cittadinanza, costituirebbe, per gli operatori di altri Stati membri attivi nell’ambito della vigilanza privata, un ostacolo ingiustificato tanto all’esercizio del diritto di stabilimento quanto alla libera prestazione dei servizi. 21 Peraltro, secondo la Commissione, l’obbligo in parola non può essere considerato giustificato e proporzionato rispetto allo scopo perseguito, ossia, assicurare una migliore tutela dell’ordine pubblico. 22 La Repubblica italiana afferma che le attività di cui è causa, considerate dal Testo Unico, implicherebbero l’esercizio di pubblici poteri ai sensi degli artt. 45 CE e 55 CE e, di conseguenza, non rientrerebbero nel campo di applicazione delle disposizioni dei capi 2 e 3, titolo III, parte terza, del Trattato. 23 La Repubblica italiana sostiene, quindi, che le imprese attive nel settore della vigilanza privata partecipano, in numerosi casi, in modo diretto e specifico all’esercizio di pubblici poteri. 24 Essa fa valere, a tal proposito, che dette attività di vigilanza forniscono, per loro natura, un contributo rilevante alla sicurezza pubblica, ad esempio per quanto riguarda la vigilanza armata presso istituti di credito e la scorta di furgoni per il trasporto valori. 25 Lo Stato membro di cui trattasi sottolinea altresì che i verbali redatti dalle guardie particolari giurate nello svolgimento delle loro attività hanno un valore probatorio privilegiato rispetto a quello delle dichiarazioni di privati cittadini. Esso aggiunge che le guardie in parola possono procedere ad arresti in flagranza di reato. 26 In risposta a siffatta argomentazione, la Commissione sostiene che gli artt. 45 CE e 55 CE, in quanto disposizioni che derogano a libertà fondamentali, devono essere interpretati in maniera restrittiva, conformemente alla giurisprudenza della Corte. 27 Peraltro, secondo la Commissione, gli elementi prospettati dalla Repubblica italiana non sarebbero idonei a giustificare un’analisi diversa da quella che ha indotto la Corte a dichiarare, in modo costante, che le attività di sorveglianza o di vigilanza privata non costituiscono di regola una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri.28 Indipendentemente dal richiamo dell’applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, la Repubblica italiana fa valere i seguenti motivi di difesa. 29 Essa sostiene che la Commissione potrebbe muovere critiche all’obbligo di prestare giuramento solo relativamente alle limitazioni che da questo obbligo deriverebbero per la libera circolazione dei lavoratori e non in base agli artt. 43 CE e 49 CE, dal momento che le guardie particolari devono necessariamente essere lavoratori subordinati.30 Inoltre, essa fa valere che la prestazione di giuramento, che non costituisce un’operazione obiettivamente gravosa, garantisce il corretto esercizio delle delicate funzioni che le guardie sono chiamate a prestare in materia di sicurezza e che sono disciplinate da leggi dello Stato a carattere imperativo, sottolineando quindi il legame di causa ad effetto che sussisterebbe fra il giuramento ed il rafforzamento della tutela preventiva dell’ordine pubblico. 33 La Corte ha anche dichiarato che l’attività delle imprese di sorveglianza o di vigilanza privata non costituisce di regola una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri (v. citate sentenze Commissione/Belgio, punto 26, e 31 maggio 2001, Commissione/Italia, punto 20). 34 Peraltro, al punto 22 della sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia, cit., la Corte ha dichiarato che la deroga prevista dall’art. 55, primo comma, del Trattato CE (divenuto art. 45, primo comma, CE) non si applicava nel caso di specie. 35 Occorre, pertanto, accertare se gli elementi presentati dalla Repubblica italiana nel ricorso in questione, alla luce della formulazione attuale del Testo Unico e del regolamento di esecuzione, possano indurre ad una valutazione della situazione in Italia diversa rispetto a quelle all’origine della giurisprudenza citata ai punti 33 e 34 della presente sentenza. 36 Secondo l’art. 134 del Testo Unico, i soggetti operanti nell’ambito della vigilanza privata si occupano, in linea di principio, di attività di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari, di investigazioni o ricerche per conto di privati. 37 Anche se le imprese di vigilanza privata possono, come confermato dalla Repubblica italiana all’udienza, in determinate circostanze e in via eccezionale, prestare assistenza agli agenti di pubblica sicurezza, ad esempio nel settore dei trasporti di valori o partecipando alla sorveglianza di taluni luoghi pubblici, detto Stato membro non ha dimostrato che in tali circostanze si tratti di esercizio di pubblici poteri.39 Peraltro, l’art. 134 del Testo Unico pone un limite severo all’esercizio delle attività di sorveglianza, e cioè che queste ultime non possono mai comportare l’esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale. Le imprese di vigilanza privata non hanno dunque alcun potere coercitivo. Pertanto, la Repubblica italiana non può validamente sostenere che le imprese di vigilanza privata, nell’ambito delle loro attività, effettuino operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico, assimilabili ad un esercizio di pubblici poteri. Inoltre, per quanto riguarda l’argomento relativo al valore probatorio dei verbali redatti dalle guardie particolari giurate, si deve rilevare che, come riconosciuto, del resto, dalla Repubblica italiana stessa, tali verbali non fanno pienamente fede, diversamente da quelli redatti nell’esercizio di pubbliche funzioni, segnatamente dagli agenti della polizia giudiziaria. 42 Infine, relativamente all’argomento attinente alla possibilità, per le guardie particolari giurate, di procedere ad arresti in flagranza di reato, esso era stato già avanzato dalla Repubblica italiana nella causa all’origine della citata sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia. In tale occasione, la Corte, al punto 21 della sentenza pronunciata in detta causa, ha dichiarato che nella fattispecie in esame le guardie non avevano un potere maggiore di qualsiasi altro individuo. Questa conclusione va confermata nell’ambito del presente ricorso. 43 Da quanto precede risulta che in Italia, allo stato della normativa vigente, le imprese di vigilanza privata non partecipano in maniera diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, in quanto le attività di vigilanza privata che esse svolgono non possono essere equiparate ai compiti attribuiti alla competenza dei servizi di pubblica sicurezza. 131 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese. La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Data invio: 7/1/2013 17:53
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