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Mobbing:Chi e come deve Intervenire
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Da VERONA
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Chi e come deve Intervenire
Bisogna tener presente che a seconda delle circostanze i soggetti possono cambiare, per cui sarà diverso se si tratta di intervenire su casi di mobbing in atto o latenti; se in azienda è presente o meno il sindacato; se l’intento di chi interviene è maggiormente orientato alla prevenzione del fenomeno o alla tutela legale o psicologica.
Assistenza/sostegno sindacale
Sono possibili due casi:
In azienda è presente il sindacato. Il delegato sindacale o il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza devono sforzarsi di intraprendere il percorso sindacale di intervento, se è possibile, fino all’esito ottimale: la stipula di accori per la prevenzione e gestione del mobbing e la verifica della loro efficacia. I delegati possono inoltre indirizzare la vittima anche verso l’assistenza psicologica pubblica e verso l’assistenza legale e assicurativa ( con legali di parte o del Patronati sindacali) quando ne valutino la necessità.
In azienda non c’è il sindacato. Il lavoratore o la lavoratrice si possono rivolgere ad alcune specifiche strutture promosse dal sindacato nel territorio per offrire ai lavoratori “scoperti” di tutela sindacale un primo supporto e orientamento: sportelli mobbing, punti d’ascolto, ecc.
La tipologia di queste strutture o funzioni sindacali di orientamento sul fenomeno del mobbing è ancora molto varia e la loro dislocazione territoriale in molti casi ancora lacunosa. È la politica dei mille fiori. Dentro si trovano standard di intervento più strutturati e abbastanza efficaci accanto a tentativi, a volte generosi, ma non ugualmente ricchi di successi concreti.Qualche breve cenno sulle caratteristiche generali di questi sportelli mobbing.- La prima funzione svolta è quella di ascolto (attraverso colloqui. in questa funzione gli standard sono ancora piuttosto disomogenei: si va dall’incarico strutturato ed ufficiale assegnato dal gruppo dirigente locale a funzionari del sindacato, al volontarismo di qualche operatore sindacale, alla delega ad “esperti” (psicologi e/o avvocati) convenzionati o vicini al sindacato.- La seconda funzione è quella di promuovere - tramite il sindacato di categoria di riferimento – un intervento diretto nel posto di lavoro ed un confronto con i responsabili aziendali. In questa fase sorge il “problema” della presenza o meno di delegati sindacali nel posto di lavoro, della loro sensibilità al tema, della possibilità e volontà concreta del sindacato di categoria nelle cui competenze rientra il “caso” di intervenire direttamente o comunque di consentire un intervento “confederale”.- Terza funzione è quella di indirizzare la vittima verso l’assistenza sanitaria/psicologica, legale o assicurativa.
Assistenza/Tutela legale
La regola che vige nel nostro ordinamento basata sull’onere della prova a carico della vittima che deve provare le accuse che muove nei confronti del soggetto che intende portare in giudizio (imputato), comporta per il soggetto mobbizzato il dover “prevedere” in tempi quanto mai anticipati il possibile epilogo negativo del suo caso. Così, quando i fatti ancora non farebbero ritenere esserci le condizioni per poter parlare a giusto titolo di mobbing, il soggetto deve iniziare a raccogliere le prove che, in un secondo tempo, dimostreranno le sue accuse. Senza rischiare di compiere atti a loro volta illeciti, passando così dalla ragione al torto (come ad es. registrazione di conversazioni telefoniche o in presenza, senza autorizzazione) si consigliano alcune semplici strategie:- la raccolta ordinata e secondo un criterio cronologico ( di successione nel tempo) di tutta la documentazione che, a diverso titolo, è collegata con le persecuzioni che si stanno subendo;- l’annotazione in un diario della successione dei fatti riportando fedelmente data, ora, luogo, soggetti coinvolti, testimoni, mezzi utilizzati, telefonate ricevute o effettuate;- conservare copia di qualsiasi documento, richiesta, ordina di servizio…ricevuto dalla o inviato all’azienda;- documentare mediante visite mediche ( anche dal proprio medico di famiglia) il proprio stato di salute fisico e psichico – meglio, se previsto, chiedere ripetute visite mediche al medico competente interno all’azienda;- non presentare, ne minacciare di farlo, le proprie dimissioni o disponibilità al trasferimento;- agire, parlare, incontrare il potenziale mobber possibilmente in presenza di altre persone;- non nascondere i fatti, anche i più apparentemente non importanti e determinanti;- raccogliere informazioni su casi simili accaduti precedentemente in azienda;- evitare di esprimere opinioni o giudizi sul mobber.Tenuto conto della particolarità della materia, della relativa novità che ancora rappresenta, della complessità delle normative specifiche di tutela, occorre anche, nella scelta del legale che seguirà la pratica, una certa attenzione. Così sarà preferibile non scegliere un avvocato alle prime armi, ma qualcuno che, oltre ad una certa pratica maturata negli anni, possa avere anche una specifica esperienza nel settore o ancor più di casi simili. Decidere per un legale conosciuto, non tanto a livello di fama, ma per la sua sensibilità ai diritti e agli interessi dei lavoratori, oppure orientarsi verso l’avvocato messo a disposizione dall’organizzazione sindacale presente sul territorio di appartenenza. Chiedere sempre un parere al legale prima di intraprendere qualsiasi azione. Determinare fin dall’inizio quali priorità di obiettivi perseguire mediante la causa giudiziale ( indennizzo, reintegrazione, patteggiamento, demansionamento…).Informarsi subito sul volume indicativo delle spese che si dovranno sostenere, anche a fronte di una vittoria legale o, ancor più, di una sconfitta. Assistenza/sostegno psicologico Un buon metodo per poter affrontare i tempi, a volte lunghi, nei quali prende corpo il fenomeno del mobbing, per poter sostenere l’esposizione psicologica alla quale si è sottoposti, per poter far fronte allo stillicidio psicologico al quale si è sacrificati, è senz’altro quello di ricorrere al sostegno delle persone che sono vicine. Così il parlare del problema con altri colleghi, in famiglia, rivolgersi a centri di ascolto, a strutture pubbliche, a centri di aiuto di gruppo, può sicuramente rappresentare un utile metodo per affrontare il disagio.Però occorre fare attenzione a che questo non divenga invece il maggior nemico. Infatti se gestito male, il supporto da parte degli altri potrebbe rivelarsi più nocivo che favorevole.Sarà quindi importante razionalizzare le proprie richieste d’aiuto, considerando sempre prioritariamente il nostro interlocutore anziché il problema che ci affligge. Ricordandosi che se per noi è il primo pensiero, non è così per gli altri che hanno comunque diritto a vivere la loro vita sociale e lavorativa (in particolare se familiari o amici).Nel caso dei familiari, infatti, in particolare, data la frequenza dei casi in cui l’aver portato il proprio problema/disagio all’interno della propria sfera privata di relazioni ed affetti, in modo sempre più ossessivo e ripetuto nel tempo, ha comportato reazioni di rifiuto, di allontanamento e di esclusione, la letteratura scientifica è arrivata ad individuare il fenomeno denominato “doppio mobbing”. Un significativo e professionale aiuto lo si può trovare presso molti centri pubblici che da alcuni anni offrono assistenza a coloro che, a diverso titolo, sono venuti in contatto con il fenomeno del mobbing: Ø ASL ( Aziende sanitarie Locali) – rivolgendosi ai Servizi di Igiene Mentale si possono ottenere informazioni, consigli, assistenza specializzata.Ø Clinica del Lavoro di Milano “Luigi Devoto” – All’interno della clinica, si trova il Centro per la prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione del disadattamento lavorativo diretto dal Prof. Renato Gilioli, esperto di fama internazionale. Altri centri per la diagnosi e terapia degli effetti del mobbing sono stati costituiti in altre città ( Pisa, Roma, Napoli, Taranto).Ø IPSEL (Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro) – Nell’ambito del Dipartimento di medicina del lavoro da molti anni opera un Laboratorio di psicologia del lavoro che, attraverso uno staff di psicologi, si è specializzato sul mobbing. Presso il dipartimento è attivo un centro di “ascolto” attraverso il quale si possono ricevere informazioni, consigli, assistenza specializzata.
Prevenire è meglio
Questo è il punto cruciale da mettere bene a fuoco: la prevenzione è l’unica vera arma contro il mobbing.E la prevenzione si fa innanzitutto accettando di riconoscere il fenomeno. È molto calzante lo slogan usato per l’Aids: “se lo conosci lo eviti”.Per questo le associazioni imprenditoriali, i singoli datori di lavoro, i sindacati, hanno il dovere di informare e formare, dirigenti, lavoratori, delegati ed Rls sul mobbing e di stipulare accordi o definire “codici di comportamento” che contengono specifiche misure da adottare per prevenire il fenomeno o intervenire in caso di insorgenza. Qualche accordo in tal senso c’è. Ed ora li osserveremo da vicino. Subito dopo occorre solo la volontà di diffonderli.
Contrattazione
In tema di violenze psicologiche in ambito lavorativo molta attesa viene risposta in un intervento del legislatore per il varo di una normativa specifica ritenuta in molti ambienti del mondo scientifico ed in particolare tra le associazioni dei mobbizzati, lo strumento più efficace per contrastare il mobbing. Tenuto conto della diffusione del fenomeno e della sua particolare gravità nonché delle indicazioni fornite recentemente dal Parlamento europeo, la CGIL, la CISL e la UIL non possono che concordare sulla utilità di tale legge anche se ritengono che in generale vi sia una aspettativa eccessiva sugli effetti che la stessa può avere per fermare il fenomeno delle vessazioni morali in ambito lavorativo. In ogni caso, che i tempi siano maturi perché anche nel nostro paese il tema del mobbing trovi adeguata disciplina legislativa, passando dallo stato di materia quasi elitaria a materia di interesse generale, è dimostrato anche dal fatto che orami sono diverse le amministrazioni pubbliche che hanno varato “codici etici” contro le molestie morali nei luoghi di lavoro e che iniziative sul tema sono state prese o sono in via di essere adottate in alcune ragioni. Tutto ciò rafforza l’esigenza che anche il sindacato renda più incisivo il suo ruolo nella lotta al mobbing, passando dalla fase di denuncia e di studio ad una fase di impegno più concreto che rafforzi il suo ruolo insostituibile nella lotta al fenomeno delle violenze psicologiche nei luoghi di lavoro. In questo senso, è necessario rilanciare una forte azione da parte delle strutture per pervenire alla stipula di accordi aziendali sul mobbing sulla falsariga di quanto fatto alla Volkwagen nel 1996 in Germania ed alla ATM/Satti di Torino nel 2001. questi accordi aziendali si qualificano intanto perché affermano il diritto al ricorso da parte della lavoratrice o del lavoratore vittima dei comportamenti mobbizzanti. Inoltre istituiscono Commissioni od organismi paritetici dotati di poteri e della necessaria autorevolezza (la Commissione di Clima della ATM/SATTI è presieduta da un magistrato in pensione). Gli accordi prevedono l’adozione di sanzioni nei confronti di chi attua i comportamenti mobbizzanti. Infine è individuata la strumentazione necessaria – azioni informative e formative – volte alla prevenzione del fenomeno. Sviluppare questo tipo di attività di contrattazione aziendale sul mobbing è importante per tutta una serie di ragioni. Intanto, si fornirebbero i lavoratori di strumenti concreti di tutela ovviando ad uno degli aspetti più avvilenti in cui vengono a trovarsi spesso le vittime: la sensazione di essere abbandonati a se stessi: sapere che in azienda vi sia un organismo, qualcuno cui potersi rivolgere in caso di necessità è senza dubbio importante soprattutto se quell’organismo o quel qualcuno venga percepito come qualcosa al di sopra delle parti. Inoltre, si eviterebbe il rischio di un approccio, spesso formale e burocratico, al fenomeno del mobbing così come emerge dalla lettura dei vari “Codici etici” o dalla esperienza delle norme specifiche inserite, anche da tempo, in alcuni contratti collettivi nazionali e che troppo spesso vengono disattese.Ma dove l’importanza della contrattazione assume particolare rilievo è sul versante culturale. Da un lato, essa potrebbe contribuire non poco a far emergere un sentimento di “condanna sociale” nei confronti degli autori delle azioni mobbizzanti. Dall’altro, consentirebbe di affermare il concetto che un clima di reciproco rispetto e di corrette relazioni interpersonali siano uno dei presupposti su cui fondare lo sviluppo stesso delle aziende.
Interventi normativi
Tenuto conto delle significative dimensioni del problema, del suo trend in crescita, delle indicazioni forti provenienti dall’Unione Europea che esorta i paesi membri a regolare in forma chiara e definitiva il fenomeno del mobbing, anche in Italia da alcuni anni ha avviato i lavori per poter giungere ad un testo di legge nazionale.Quanto alle regioni, molte si stanno attrezzando con proprie iniziative legislative locali. La regione Lazio è la prima ad aver già legiferato. Solo nella XII legislatura sono state presentate 6 propose di legge (decadute a seguito dello scioglimento delle Camere nel Marzo del 2001), mentre nell’attuale XIV Legislatura sono già ben 11.Tutte di scarsa efficacia dal punto di vista sindacale, data la mancanza diffusa di interventi e provvedimenti volti alla prevenzione, al monitoraggio ed assistenza specializzata interna alle aziende per evitare il verificarsi del fenomeno, al coinvolgimento attivo delle parti sociali, dei soggetti e degli organismi previsti dallo stesso D.Lgs. 626/94. Non assenti ed inefficaci sono invece diverse sentenze sul tema del mobbing da parte dei tribunali e della Cassazione che, seppur in assenza di normativa specifica, hanno utilmente utilizzato i diversi riferimenti normativi già presenti nel nostro ordinamento giuridico a sostegno e tutela dei diritti del lavoratore. Non va infatti dimenticato che, seppur in questi ultimi anni si parla in maniera puntuale del mobbing, da sempre le sentenze che hanno trattato temi come sovraccarico di lavoro ingiustificato, trasferimento di sede immotivato, dequalificazione o demansionamento, perpetuate minacce di licenziamento, isolamento dalla vita e dalle informazioni aziendali, si sono mosse nell’aria delle tutele del lavoratore da comportamenti vessatori, violenti e illegittimi perpetrati sul luogo di lavoro. Prime fra tutte però, in specifico, sul tema del mobbing, le due decisioni del Tribunale di Torino (1999), divenute un “simbolo giurisprudenziale” dell’azione legale nei confronti del fenomeno, per le novità introdotte dalle due pronunce.In primo luogo, la considerazione, da parte del giudice, del mobbing come un “fatto notorio”, cioè un fatto che essendo conosciuto dalla collettività non ha più necessità di essere dimostrato ( da non confondere con la necessità di fornire le prove che si è stati vittime di azioni mobbizzanti).Ancora, il riconoscimento del nesso di casualità tra il danno biologico di natura psichica e i comportamenti lesivi subiti sul luogo di lavoro, partendo da una documentazione medica e da prove testimoniali, arrivando a richiedere la piena liquidazione del danno.
FONTE: Pericolo mobbing

Data invio: 5/12/2009 19:24
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