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CRONACA : Napoli, confessione choc di un rapinatore: «Un gelato dopo l'omicidio»

Inviato da ADMIN il 20/6/2010 16:01:13 (34 letture) News dello stesso autore

Napoli, confessione choc di un rapinatore: «Un gelato dopo l'omicidio»

di Leandro Del Gaudio
NAPOLI (20 giugno) - Il segreto è tutto lì, nelle ore successive al colpo. È solo allora che si capisce la differenza tra un professionista e un balordo, una testa calda. Anche se le cose vanno male, se magari per sbaglio ammazzi una persona, devi rimanere freddo.

E fare quello che farebbe un professionista delle rapine a mano armata: «Devi tornare sul luogo dell’omicidio, stare lì a cazzeggiare un poco, magari con la fidanzata, meglio se con un gelato da leccare a poco a poco».

Devi tornare sul posto, sangue freddo, lì a due passi dal cadavere, tra poliziotti, giornalisti, parenti della vittima: «L’importante è farsi vedere». A raccontare come si diventa rapinatori di pistole d’ordinanza strappate dalle fondine dei vigilantes, è uno che il mestiere l’ha fatto per davvero. Si chiama Vincenzo De Feo, oggi pentito, di recente ammesso al programma di protezione con tutti i benefici del caso, anche se sulla sua carriera di collaboratore in erba non mancano clamorose stroncature in fase di giudizio.

Ha soli vent’anni ed è stato condannato a vent’anni come concorrente dell’omicidio del vigilantes Gaetano Montanino (piazza Mercato, tre agosto 2009).
Il suo racconto, però, risale al delitto di un’altra guardia giurata, Umberto Concilio (via Tribunali, 18 gennaio 2009), vicenda processuale che si è chiusa pochi giorni fa in primo grado dinanzi al Tribunale dei minorenni: assolto Manuel Brunetti, diciottenne da qualche mese, scagionato da un video che smentisce buona parte della ricostruzione dell’accusa. Eppure, tra decine di omissis, nomi e soprannomi, lo stile di vita del gruppo del Vasto è tutto nero su bianco. È agli atti. Ci sono strategie, affari, modi di colpire. Ma anche, atteggiamenti plateali, tic di gruppo, violenza inutile e improvvisa.

Omicidio di Umberto Concilio, partiamo dalla fine: mercoledì scorso l’assoluzione di Manuel Brunetti, inchiesta al palo. Indagini da rifare, probabilmente vanificate da un video che inquadra un killer sparare all’impiedi, esattamente al contrario della ricostruzione fatta dagli investigatori. Difeso dal penalista Giuseppe Ricciulli, Manuel Brunetti sfugge così a una condanna a trent’anni di reclusione (chiesta dal pm Raffaella Tedesco), ma non lascia il carcere. Già, perché il ragazzo è alle prese con un processo per sequestro di persona, evasione e rapina, dopo essere scappato la scorsa estate dal carcere di Airola.

Eppure, a giudicare dall’attenzione con cui la Procura minorile ha selezionato le accuse di De Feo rese note alle parti, si capisce che c’è un’altra indagine contro giovanissimi rapinatori. Branco armato, molto vicino alla camorra del clan Contini, ma un tempo in rapporti d’affari con i Mazzarella. Parla il pentito Vincenzo De Feo che spiega come ci si comporta dopo un delitto, specie se la rapina sfocia in omicidio. Le sue accuse investono Manuel Brunetti (che, lo ripetiamo, è stato ritenuto innocente dai giudici) ma anche un presunto complice, che finora non è stato neppure coinvolto dalle indagini. Parla De Feo, partendo dai soprannomi: «Ho saputo ogni particolare dell’omicidio Concilio, se ne parlò molto nei giorni successivi al fatto».

Le accuse a questo punto investono un secondo soggetto, a sua volta arrestato nel corso delle indagini sull’omicidio di Gaetano Montanino, il secondo vigilante ucciso più o meno dallo stesso gruppetto di rapinatori: «Poco dopo l’omicidio, i due assassini tornarono sul luogo dell’omicidio, a bordo di due differenti autovetture. Ricordo che ”omissis” era in compagnia della fidanzata, perché voleva farsi vedere in giro, perché non si pensasse che erano stati loro. Rimasero lì a guardare, comunque rimanendo ben in vista in modo da ostentare un comportamento normale. Avviene spesso - aggiunge - che sul luogo dell’omicidio ci sono proprio i diretti responsabili».

Fatto sta che attorno al corpo della malcapitata guardia giurata si ritrovarono in tanti. Non tutti, va detto, erano responsabili del brutale assassinio, ma il gruppetto si ricompattò proprio a due passi dagli investigatori, dai flash della scientifica e dagli scatti dei giornalisti: Sasi, ’o biondo, ’o chicco (soprannome di Brunetti), ’o chiattone. Tutti lì a guardarsi negli occhi, a fare spalle larghe, magari accompagnati dalle rispettive fidanzate. Ma non è tutto. La storia della banda dei baby rapinatori passa attraverso rapporti commerciali con il clan Mazzarella.

È ancora Vincenzo De Feo a raccontare perché sono tanto ricercate le armi impugnate dai vigilantes: «Rapine commesse con il via libera dei Contini, bottino assicurato: le pistole vengono vendute a quelli del clan Mazzarella o ai Rullo delle case nuove». Soldi: maledetti e subito. E poco importa se nel giro di qualche mese sono stati uccisi due agenti di polizia privata. Poco importa se si colpiscono agenti che si limitano a difendere la pistola d’ordinanza, a sentire la ricostruzione messa agli atti. Verbali che fanno luce su uno stile di vita. Notti brave, dopo i colpi, in giro per la città in sella a potenti scooter. È ancora De Feo a fare i nomi: Davide Cella (condannato per l’omicidio di Montanino), Salvatore Panepinto, di cui De Feo parla a proposito di entrambi i delitti, ma anche di gente poi coinvolta in un altro fatto di sangue, accaduto la scorsa estate: nell’omicidio di un diciassettenne, di Ciro Fontanarosa, un ragazzino cresciuto in fretta che da grande sognava di imporsi, neanche a dirlo, sul mercato delle rapine in proprio, nella trama dei colpi notturni contro negozi e guardie giurate. Storia di assalti rapaci, di delitti inutili e violenti, di notti passate in sella a potenti moto, così tanto per conquistare la prima fila davanti a tutti quando a terra c’è un morto ammazzato.

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