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Da VERONA
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Con la Sentenza n. 4477/2006, la Corte di Cassazione ha individuato i connotati della condotta datoriale idonei ad integrare l’illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Anche se la sentenza non è stata favorevole al lavoratore, si tratta di una sentenza importante in quanto definisce quali sono i comportamenti del datore di lavoro che possono essere considerati condotta mobbizzante. Si può definire mobbing la condotta datoriale, protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all´emarginazione del dipendente. Essa può realizzarsi con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall´inadempimento di specifichi obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. Inoltre, la Suprema Corte ha specificato che la sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l´idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell´azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa. Pertanto, per ottenere il risarcimento da mobbing, il lavoratore deve dimostrare che l´intento persecutorio del datore di lavoro è diventato una regola : un comportamento non occasionale, quindi, ma duraturo nel tempo, di natura vessatoria tale da comportare una lesione dell´integrità fisica e della personalità morale del lavoratore
Data invio: 5/12/2009 19:39
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