Il termine mobbing deriva dalla etologia e sta ad indicare il comportamento degli uccelli che per difendere il nido volano attorno all'aggressore, negli ultimi anni si è diffuso sempre di più nel linguaggio comune per indicare una particolare persecuzione psicologica in ufficio o in fabbrica da parte di coloro che esercitano un potere piccolo o grande di comando, un terrorismo psicologico sul posto di lavoro.Negli anni ‘80 il termine è stato ripreso nei paesi scandinavi e applicato alle persecuzioni psicologiche nelle aziende.In Italia il fenomeno sta emergendo in questi ultimi anni, sembra riguardare circa un milione e mezzo di lavoratori, il fenomeno sta evolvendo così velocemente da indurre un gruppo di Parlamentari a presentare un progetto di legge affinchè venga riconosciuto come malattia professionale.Se si guarda ai paesi dell'Unione Europea si rileva che il problema sta assumendo notevoli proporzioni poiché circa 12 milioni di lavoratori sarebbero vittime di questa forma di stress che ha dei riflessi anche sulla produttività delle aziende.In Svezia l'Ente nazionale per la Salute e la Sicurezza ha emanato delle disposizioni anti-mobbing entrate in vigore il 31 marzo 1994.I primi lavori scientifici sono stati realizzati dal dott. Heinz Leymann e successivamente l'interesse si è esteso dalla Svezia alla Norvegia e soprattutto in Germania ove l'argomento è attualmente all'avanguardia.Per cercare di inquadrare questo fenomeno occorre chiarire che per parlare di mobbing dobbiamo avere un lavoratore oggetto di ripetute ingiustizie, vessazioni e violenze morali, attraverso le quali il soggetto viene progressivamente intimorito deriso sminuito e reso inutile fino ad arrivare all'isolamento dalla realtà lavorativa che lo circonda; queste manifestazioni devono essere continue, della durata almeno di sei mesi ed avere come protagonisti in negativo un diretto superiore e/o l'intero gruppo di appartenenza.
Secondo le ricerche di Leymann esistono quattro fasi di sviluppo: nella prima fase sorge un evento che modifica i rapporti all'interno di un gruppo o di una scala gerarchica, nella seconda fase si realizzano i meccanismi di base del mobbing, nella terza fase diventa ufficiale all'interno dell'azienda il caso senza che la vittima possa far valere le proprie ragioni; la conclusione è nella quarta fase, generalmente caratterizzata da turbe psichiche e somatiche che richiedono terapia e lunghi periodi di riposo domiciliare e si concludono frequentemente con il licenziamento o le dimissioni.
Fatte queste premesse presentiamo due casi ritenuti meritevoli di attenzione che sono stati denunciati alla Sede INAIL di Cremona.
Caso 1: O. E. impiegato amministrativo di anni 55 assunto il 1979 presso un'industria meccanica con mansioni anche di impiegato tecnico e di addetto al magazzino.I primi conflitti ambientali avvengono subito dopo l'assunzione allorquando viene affiancato ad un capofficina che ben presto inizia a screditarlo al datore di lavoro.Fra il 1981 ed il 1984 per assistere il figlio affetto da una grave malattia deve assentarsi dal lavoro gli viene rimproverata la scarsa disponibilità ad effettuare ore di lavoro straordinario rispetto agli altri colleghi e rischia il licenziamento. Questo atteggiamento oppositivo prosegue fino al 1998 e si manifesta con ripetute sollecitazioni ad abbandonare il posto di lavoro e con comportamenti finalizzati ad emarginarlo precludendogli l'uso del telefono, escludendolo dall'apprendimento delle procedure informatiche, negandogli ogni relazione con i superiori e relegandolo all'espletamento di mansioni inferiori rispetto a quelle svolte precedentemente.I primi disturbi insorgono nel 1994 con sintomi riferibili ad emicrania con cefalea muscolo-tensiva che si aggravano qualche anno più tardi con la comparsa di una nevrosi d'ansia e manifestazioni fobiche.Il lavoratore nel settembre del 1999 si affida alle cure del servizio di neuropsicologia professionale presso la "Clinica del lavoro" di Milano che inizia una indagine riguardante le sue problematiche occupazionali.Gli accertamenti neurologici evidenziano una integrità delle funzioni elementari ma gli esami psicodiagnostici rilevano la presenza di un grave disagio emozionale con asse timico orientato in senso marcatamente depressivo e coinvolgimento delle vie somatiche.Le conclusioni diagnostiche depongono per un disturbo dell'adattamento da situazione occupazionale di emarginazione e dequalificazione.In attualità il paziente sta praticando un programma integrato di terapia farmacologica e psicoterapia (training assertivo). Caso 2:L. C., impiegato tecnico di anni 52 assunto nel 1996 presso una ditta meccanica con qualifica di capofficina.Anche in questo caso i primi conflitti ambientali si manifestano qualche mese dopo l'assunzione quando il datore di lavoro inizia ad umiliarlo e ad offenderlo davanti ai colleghi, ai clienti ed ai fornitori.Questi comportamenti si attuano con rilievi, anche formali, relativi al non svolgimento delle mansioni (programmazione e coordinamento dell'attività di officina), alla scarsa qualità della produzione e ai ritardi nei tempi di consegna dei prodotti.Le intimidazioni diventano ancor più vessatorie allorquando queste si concretizzano addirittura in una minaccia all'incolumità personale (lancio di un badile da parte del datore di lavoro!). Il disagio del lavoratore si esprime con la stesura di un diario nel quale vengono dettagliatamente annotate, giorno per giorno, tutte le "persecuzioni" (percepite come aggressioni) di cui è divenuto oggetto. Le manifestazioni cliniche si hanno nel novembre del 1999 con l'insorgenza di una condizione ansiosa caratterizzata da episodi di panico e somatizzazioni nevrotiche (insonnia).Anche in questo caso il dipendente si rivolge al servizio di neuropsicologia della "Clinica del lavoro" di Milano ove dal punto di vista neurologico non vengono evidenziati disturbi delle funzioni elementari ma dal lato psicologico emerge un quadro di grave disagio psicofisico tendenzialmente depressivo con manifestazioni di conversione somatica (capogiri, vertigini e stordimenti) e tendenza all'isolamento sociale. Analogamente al caso precedente gli accertamenti evidenziano un disturbo dell'adattamento con instabilità emotiva e penalizzazione dell'immagine del se causata dalla situazione occupazionale di forte aggressività . In attualità il lavoratore sta praticando un trattamento di supporto psicoterapeutico. Dall'esame di questi casi si rilevano alcuni aspetti: attacchi alla persona, attacchi alla situazione lavorativa, azioni punitive.Al termine dei due percorsi sopradescritti la realtà finale è che i due lavoratori hanno riportato una alterazione del proprio stato di salute.Le esperienze che vi sono state hanno dimostrato che agli individui colpiti da mobbing e giunti all'osservazione di specialisti psichiatri viene posta normalmente una diagnosi di disturbo dell'adattamento.Ma tale diagnosi va espressa se sono rispettati alcuni requisiti: i sintomi devono svilupparsi entro tre mesi dall'esordio dei fattori stressanti, il disturbo dell'adattamento si risolve entro sei mesi dalla cessazione dell'evento stressante.Il disturbo dell'adattamento rientra nella classificazione proposta dagli psichiatri americani del DSM-IV accettato a livello internazionale come strumento di standardizzazione per le diverse psicopatologie.Nei casi più gravi e più rari si sviluppa una forma inquadrabile come disturbo post-traumatico da stress ove esiste una maggiore compromissione dell'affettività , maggior disagio della vita di relazione e cronicizzazione dei disturbi anche al cessare dell'evento stressante.Poiché i pazienti che si rivolgono agli psichiatri possono avere delle patologie estranee alle problematiche afferenti al lavoro appare chiaro il ruolo fondamentale di tali specialisti nell'individuare con precisione le alterazioni che possono essere ricondotte al mobbing.Ciò che va valutato per un corretto inquadramento è inanzitutto la distinzione tra mobbing e limiti del soggetto nel suo rapporto con l'ambiente perchè ci si potrebbe trovare di fronte ad un soggetto ipersuscettibile a stress occupazionali generici, oppure a incoerenza tra le aspettative e le capacità del soggetto, incoerenza tra reazioni iniziali e richieste dell'ambiente, carenza di flessibilità .Pertanto non si può prescindere dall'acquisire informazioni sulla vita lavorativa pregressa del soggetto, sulla presenza di fonti di rischio, presenza di malattie pregresse, anamnesi familiare, sociale, motivazioni ed interessi extralavorativi.Le conseguenze di tale patologia hanno delle ricadute sulla situazione occupazionale, sulla famiglia e sulla società .Cosa serve al "mobbizzato": aiuto clinico, lavorativo e legale, la consapevolezza delle risorse di cui può disporre .Quindi il fenomeno non va ignorato ma bisogna operare per inquadrarlo nelle giuste dimensioni; in Italia si studia da pochi anni e solo recentemente sta avendo un certo rilievo, non a caso in questi ultimi anni la realtà sociale e lavorativa attraversano grosse difficoltà che se da un lato possono favorire la comparsa del mobbing dall'altro non favoriscono la presa di coscienza e l'opposizione al fenomeno stesso.La medicina del lavoro ha iniziato a dimostrare interesse e a trattare l'argomento e le sue problematiche nelle sedi ufficiali.Inoltre non bisogna dimenticare che - il Dlg. 626/94 all' art. 3, lettera d – chiama in causa l'organizzazione aziendale per la prevenzione dei rischi. Pertanto cosa può fare il medico INAIL di fronte a casi di denuncia di mobbing? - Esaminare il caso e vedere se è stato diagnosticato presso qualche centro qualificato, altrimenti cercare di avviarlo, ricostruire la situazione lavorativa del soggetto, verficare se esiste una patologia conclamata e/o se la sospensione della attività ha determinato il recupero integrale.
- In futuro, dopo una eventuale pronuncia in merito della Direzione Generale, se ne potrà prospettare anche il riconoscimento come malattia professionale e la valutazione degli postumi permanenti alla luce del Decreto Legislativo n° 38/2000.
G. Alì*, R. Astengo**Dirigente Medico Inail