REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO SEZIONE I ter ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 12403/2000 Reg. Gen., proposto da RUSSO Arturo , in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro-tempore della Soc. coop. a r.l. Q.R. INVESTIGAZIONI E SICUREZZA , rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Medugno, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Panama n. 12; contro il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, e la Prefettura di Padova, in persona del Prefetto pro-tempore, rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati "ex lege" in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l'annullamento del provvedimento n. 6197-16/B Sett. I del 29 aprile 2000 e del successivo decreto n. 6126 Sett. I dell'8 novembre 2000, impugnato con i motivi aggiunti, con i quali il Prefetto della Provincia di Padova ha respinto la richiesta del ricorrente intesa ad ottenere la licenza per gestire un Istituto di vigilanza; VISTO il ricorso con i relativi allegati; VISTO l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione dell'Interno; VISTI i motivi aggiunti notificati in data 5 gennaio 2001; VISTI tutti gli atti della causa; VISTO l'art. 21, comma nono, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come introdotto dall'art. 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205; Nominato relatore per la Camera di Consiglio dell'11 gennaio 2001 il Consigliere Italo Riggio; Uditi l'avv. Medugno per il ricorrentee l'avv. dello Stato Nicoli per l'Amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO Il Prefetto della Provincia di Padova in sede di riesame del diniego opposto alla richiesta del ricorrente, intesa ad ottenere il rilascio della licenza per la gestione di un Istituto di vigilanza, si è pronunciato nuovamente in senso negativo con provvedimento n. 6197-16/B Sett.I del 29 aprile 2000. Avverso tale atto ha proposto impugnativa l'interessato, deducendo il seguente, articolato motivo: - Violazione e falsa applicazione dell'ordinanza cautelare del T.A.R. del Lazio n. 1501/2000 rimasta a tutt'oggi inoppugnata. Eccesso di potere per insufficienza e contraddittorietà della motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta. A conclusione è chiesto l'annullamento dell'atto impugnato, previa sospensione della sua esecuzione, con ogni conseguenziale effetto di legge anche in ordine alle spese. Si è costituita in giudizio l'amministrazione intimata con il patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato ed ha presentato istanza per regolamento di competenza. Peraltro la difesa erariale, in sede di discussione della causa in Camera di Consiglio, ha dichiarato di rinunciare alla pronuncia sulla medesima istanza, onde non si è reso necessario sospendere il giudizio per la trasmissione degli atti al giudice di appello. La domanda cautelare, presentata in via incidentale dal ricorrente è stata accolta con ordinanza collegiale n. 7322/2000. In pendenza del giudizio il Prefetto della Provincia di Padova ha adottato ulteriore provvedimento n. 6126 Sett. I, in data 8 novembre 2000, con cui ha negato il rilascio dell'autorizzazione di cui si tratta per mancanza nel ricorrente del requisito dell'assenza di condanne per delitto non colposo ai sensi dell'art. 134 T.U.L.P.S. -. L'istante ha impugnato anche il suindicato provvedimento mediante proposizione, ai sensi dell'art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205, dei seguenti motivi aggiunti: 1)- Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 134 T.U.L.P.S. , approvato con R.D. n. 773 del 1931. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, illogicità manifesta. Sviamento; 2)- Violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 11 e 134 T.U.L. P.S. -. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifeste. Conclude l'interessato chiedendo l'annullamento dell'atto in contestazione e la sospensione della sua esecuzione. Alla Camera di Consiglio dell'11 gennaio 2001 il Collegio in applicazione dell'art. 21, comma nono, della legge n. 1034 del 1971 – nel testo introdotto dall'art. 3 della legge n. 205/ 2000 – ha trattenuto la causa per la decisione nel merito. DIRITTO Come esposto brevemente in narrativa il Prefetto della Provincia di Padova con provvedimento n. 6197-16/B Sett. I, del 29 aprile 2000, ha reiterato il diniego opposto alla richiesta dell'istante concernente il rilascio della licenza per la gestione di un Istituto di vigilanza ai sensi dell'art. 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.) approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773. L'avviso sfavorevole dell'autorità amministrativa trova fondamento nei seguenti rilievi: - in ambito provinciale operano già sette Istituti di vigilanza, i quali sarebbero dotati di strumenti tecnico-operativi moderni ed efficienti con possibilità di impiegare fino a 480 guardie giurate, delle quali risultano attualmente in servizio solo 377 unità ; - non risulta che le istanze di sicurezza privata siano in aumento né che le stesse siano inevase per l'impossibilità di essere soddisfatte dagli Istituti autorizzati; - negli anni 1998 e 1999 il numero dei reati contro il patrimonio è rimasto sostanzialmente invariato, sicchè un aumento dell'offerta di servizi di vigilanza non sostenuto da un corrispondente incremento della domanda potrebbe dare luogo a forme di concorrenza esasperate, le quali comporterebbero riduzione degli standard di qualità , con possibile sovraesposizione al rischio degli operatori e potenziali effetti pregiudizievoli per la sicurezza pubblica; - il rapporto tra il numero delle guardie particolari giurate e quello delle forze dell'ordine è allo stato equilibrato. In proposito osserva il Collegio che le determinazioni prefettizie non possono essere condivise. Nella materia di che trattasi l'amministrazione gode indubbiamente di una discrezionalità ampia che,tuttavia, non la esonera dal fornire adeguate giustificazioni in relazione alle scelte effettuate, spiegando in particolare le ragioni in base alle quali il rilascio dell' autorizzazione contrasterebbe con l'interesse pubblico. La giurisprudenza amministrativa ha invero chiarito che i provvedimenti di diniego dell'autorizzazione all'esercizio di attività di vigilanza privata di cui al citato art. 134 T.U. 18 giugno 1931, n. 773 devono dare ragione di come il rilascio della nuova licenza verrebbe a creare un a situazione di sovraffollamento del mercato dell'offerta, tale da mettere in pericolo l'ordine e la sicurezza pubblica (C.d.S., Sez. IV, 20-5-1987, n. 307; 27-9-1991, n. 737; 3-10-1994, n. 776). In particolare questa Sezione ha avuto modo di precisare con ripetute decisioni (Cfr., ad es., Sent. n. 321 del 4-3-1996; n. 1610 del 14-5-1998) che le autorizzazioni di polizia relative alla gestione di Istituti di vigilanza privati incidono sulla libertà di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41 della Costituzione, per cui la relativa attività deve essere di regola autorizzata a meno che non venga ravvisato contrasto con l'interesse pubblico, da comprovarsi attraverso la puntuale comparazione tra l'andamento e la qualità del servizio da un lato e le necessità accertate dell'utenza dall'altro. Nella specie il Prefetto della Provincia di Padova si è limitato ad affermare apoditticamente che i sette Istituti operanti risultano dotati di mezzi efficienti ed utilizzano un numero di guardie giurate inferiore a quello massimo autorizzato, con ciò significando che la domanda di sicurezza privata sarebbe completamente soddisfatta dalle esistenti strutture. Premesso che sul punto, al di là di generiche enunciazioni, nessun dato concreto di riferimento viene evidenziato nell'atto impugnato, non può trascurarsi che l'analisi della situazione effettuata dal Prefetto è assolutamente astratta, nel senso che non procede ad alcuna specifica comparazione tra i servizi offerti dai sette Istituti esistenti e quelli per i quali è stata chiesta la nuova autorizzazione. Occorre considerare che la richiesta di licenza riguarda in particolare le seguenti attività : - servizi antitaccheggio - vigilanza con unità cinofila; - vigilanza armata e piantonamento interno ed esterno con auto e servizi antirapina. Ora secondo le affermazioni del ricorrente, non contraddette dall'amministrazione, nessun Istituto di vigilanza operante nella Provincia svolge il servizio antitaccheggio ed uno solo di questi è autorizzato alla vigilanza con unità cinofila., onde almeno per tali comparti operativi non sussiste alcuna situazione di concorrenza che, in ipotesi, potrebbe rivelarsi pregiudizievole per l'interesse pubblico. Per quanto concerne il terzo settore di attività (vigilanza armata, piantonamento e servizi antirapina) l'eventuale aspetto concorrenziale con gli altri Istituti, ove pure potesse profilarsi, sarebbe certamente trascurabile, atteso che la richiesta di personale da parte del ricorrente è limitata ad appena venti unità . L'analisi del Prefetto, poi, si rivela carente per quanto attiene alla comparazione degli strumenti e delle attrezzature attraverso i quali il servizio dovrebbe essere espletato: infatti il nuovo Istituto ha dichiarato di disporre di una centrale operativa di gestione dei segnali di teleallarme GSM moderna e ad elevata tecnologia, nettamente diversa dalle centrali in ponte radio di cui si serve parte degli Istituti operanti nella Provincia. Anche le affermazioni contenute nell'atto in contestazione, relative alla pretesa diminuzione dei crimini nella provincia appaiono smentite dalle dichiarazioni che lo stesso Prefetto ha rilasciato in più occasioni ai giornali (Cfr. documentazione versata in atti), nelle quali si evidenzia l'aumento della microcriminalità nelle città e l'insicurezza dei cittadini, invitati ad attivarsi attraverso l'acquisto di sistemi di allarme per combattere i furti nelle abitazioni. Da ultimo va evidenziato che il rapporto fra il numero delle guardie giurate e quel lo delle forze dell'ordine, che si assume equilibrato, sfugge ad ogni possibile verificazione, atteso che secondo il Prefetto i dati relativi non potrebbero essere forniti per ragioni di sicurezza pubblica In proposito, a parte il ragionevole dubbio circa l'obbligo di segretezza sulla consistenza degli organici delle forze di polizia nella Provincia, che non risulta imposto da alcuna specifica disposizione in materia, il Prefetto avrebbe dovuto quanto meno indicare quale sia la proporzione ritenuta ottimale tra i due valori oggetto di comparazione. Alla stregua delle suesposte osservazioni si palesa illegittimo l'atto impugnato, la cui efficacia era stata peraltro già sospesa dalla Sezione con ordinanza cautelare n. 7322/2000. Con la citata ordinanza si disponeva, altresì, che l'autorità amministrativa provvedesse al riesame del diniego, ponendo a confronto le attività per le quali è stata richiesta la licenza ed i servizi forniti dagli altri Istituti di vigilanza. In pendenza del giudizio il Prefetto di Padova in asserita esecuzione del provvedimento cautelare ha emanato il decreto n. 6126 Sett. I dell'8 novembre 2000, con cui ha ulteriormente negato il rilascio della licenza in questione per mancanza "del requisito dell' assenza di condanne per delitto non colposo ai sensi dell'art. 134 del T.U.L.P.S.". Anche tale atto, contestato con i motivi aggiunti dal ricorrente, si manifesta inficiato da palese illegittimità . Giova in proposito considerare che la condanna riportata dal deducente, la quale ha comportato una pena pecuniaria di modesto importo per il reato di sostituzione di persona, è stata inflitta con decreto assunto in assenza della fase dibattimentale. >Orbene l'art. 654 c.p.p., relativo alla efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in tutti i giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari dispone che "nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito nel processo penale, la sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata a seguito del dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale". L'espresso richiamo alle "sentenze pronunciate a seguito di dibattimento" si giustifica in ragione della previsione del nuovo codice di procedura penale di diversi modelli di procedimento, ciascuno caratterizzato da specifiche tecniche di giudizio e di formazione delle prove, in relazione ai quali è prevista una differente disciplina degli effetti extrapenali del giudicato. Il procedimento per l'adozione del decreto penale di condanna appare senza dubbio ispirato dalla esigenza di rapida definizione dei cas>i di scarsa rilevanza penale e sociale, per i quali può prescindersi dal sottoporre al vaglio del contraddittorio fra le parti le prove risultanti dalla acritica acquisizione di accertamenti di polizia giudiziaria o di atti istruttori del pubblico ministero. Con il risultato che la condanna inflitta per decreto non può dispiegare effetti esterni ed ultronei rispetto alle dirette conseguenze penali connesse al procedimento speciale di che trattasi (Cfr., ad es., Cass. Pen., Sez. V, 24-3-1995, n. 823 per l'ininfluenza, sulla recidiva, della condanna pronunciata con decreto non opposto). Ne deriva che in conformità all'orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 29-7-1998, n. 1003), condiviso dal Collegio, nella vigenza del nuovo codice di procedura penale ogni disposizione che stabilisca la rilevanza nel procedimento amministrativo di una condanna penale va riferita alle sentenze di condanna pronunciate in seguito a dibattimento, nel quale soltanto si forma, di regola, la prova della responsabilità dell'imputato o si possono accertare fatti rilevanti per la decisione penale. Va aggiunto ancora che il ricorrente ha riportato il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale della mite condanna inflitta e, pertanto, anche per tale ragione il Prefetto di Padova non avrebbe dovuto ritenere ostativa la condanna stessa al rilascio della licenza. In relazione a tutto quanto precede il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I ter, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto annulla gli atti impugnati. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese e degli onorari di lite, che si liquidano in complessive lire 5.000.000 (cinquemilioni) in favore del ricorrente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell'11 gennaio 2001, con l'intervento dei Magistrati: Cesare MASTROCOLA - Presidente Nicolina PULLANO - Consigliere Italo RIGGIO - Consigliere est.